Si è svolta nella bella e rilassante cornice del Centro studi "I Cappuccini" a S. Miniato, dal 4 al 10 giugno, la settima edizione della "Delos Summer School".
Il progetto DELOS, finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del VI Programma quadro è finalizzato a creare delle sinergie fra quanti attualmente sono impegnati nella creazione e nella conservazione di biblioteche e archivi digitali.
In questo ciclo di incontri i partecipanti hanno avuto l’opportunità di conoscere lo stato attuale della ricerca e le strategie messe a punto per affrontare le sfide della prevenzione e della conservazione nell’ambiente digitale, attraverso un confronto e un lavoro comune con ricercatori ed esperti di tutto il mondo.
La rivoluzione digitale rappresenta una straordinaria opportunità di informazione, condivisione della conoscenza e crescita culturale: la possibilità di trasferire sotto forma di bit ogni tipologia di contenuto e la diffusione delle reti di comunicazione elettronica permettono a un numero infinito di persone, situate in ogni parte del mondo, nel luogo e nel tempo desiderato, di consultare un libro, di ascoltare un brano musicale, di accedere alle informazioni su una grande quantità di collezioni museali. A questa vasta messe di documenti convertiti va affiancata la produzione born digital che, sempre più e in settori sempre più estesi, va sostituendo i tradizionali supporti fisici.
Un nuovo tipo di patrimonio culturale si sta costruendo, a volte come doppio del patrimonio esistente, a volte in modo completamente autonomo, drammaticamente bisognoso di strumenti, procedure e tecnologie in grado di preservarne nel tempo l’integrità, l’autenticità, la possibilità di fruizione.
La memoria informatica è soggetta a un’obsolescenza maggiore dei supporti tradizionali: ai comuni danni meccanici, fisici, biologici, unisce il rischio legato al rapido avvicendamento di programmi e di elaboratori, tanto che non si è più in grado di accedere ai dati archiviati con sistemi precedenti; il formato file, il cui recupero dipende dall’organizzazione logica del sistema tale che un danno, anche minimo, può compromettere l’intero contenuto del documento, si presenta più fragile e volatile.
Partendo dalla Carta sulla preservazione del digitale dell’Unesco che afferma la valenza di patrimonio culturale da conservare di molte risorse informatiche, Heike Neuroth, capo del dipartimento della ricerca e dello sviluppo della biblioteca statale universitaria di Gottingen, ha definito i termini del problema: cosa significa conservare nel mondo digitale, cosa conservare, perché conservare, come garantire l’autenticità e l’identificazione, quali le strategie più affidabili, gli aspetti legali, il ruolo dei metadati ecc.
L’esame dei metadati, descrittivi, tecnici e gestionali, dei diversi standards messi a punto in questi anni (Dublin Core, Premis, VERS…), e dei protocolli per la loro codifica e trasmissione è stato oggetto specifico della lezione di Wendy Duff, docente di scienze dell’informazione all’Università di Toronto, ma in realtà questo tema, come quello relativo al modello OAIS, ha attraversato tutti i contributi, segno concreto che la sfida rappresentata dalla conservazione del digitale non si gioca tanto sul terreno della tecnologia quanto sulla costruzione di un linguaggio comune, sulla cooperazione internazionale, e sulla collaborazione tra tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti.
Le comunità bibliotecarie e archiviste internazionali stanno compiendo uno sforzo notevole per superare la frammentazione e il particolarismo caratteristici della fase pionieristica della digitalizzazione, quando l’entusiasmo per le enormi potenzialità del mezzo e la scarsa esperienza tendevano a sottovalutare le possibilità di rischio di perdita degli oggetti digitali.
Sono state preparate mappature per la realizzazione di tabelle di comparazione e conversione, ma le risorse presenti in rete hanno spesso caratteristiche talmente differenti che gli schemi si rivelano insufficienti.
Per rispondere a questo, come ad altri problemi legati allo sviluppo delle ICT, sempre più sta assumendo rilievo il modello OAIS (Open Archival Information System).
Adottare un modello di archiviazione dei dati "aperto" è fondamentale ai fini della conservazione, perché permette un dialogo tra gli archivi e la comunità degli utenti e la possibilità di sviluppare soluzioni condivise.
Il tema è stato illustrato, sia sotto il profilo delle strategie politiche che di quelle tecniche, da David Giaretta, attualmente docente al Digital Centre Curation (UK) a Rutherford Apple, la cui formazione è forte dell’esperienza precedente nel campo della ricerca astronomica, in particolare nell’elaborazione dei dati provenienti dai satelliti.
L’individuazione dei rischi potenziali, l’analisi delle metodologie più diffuse, la condivisione delle soluzioni sono elementi sufficienti per garantire la persistenza degli oggetti digitali fino al 2016? Al 2106? E al 3006?
La risposta, che a queste domande provocatorie ha cercato di dare Manfred Thaller dell’Università di Colonia, non è ottimista. Infatti solo parzialmente risiede nella capacità di affrontare i problemi tecnici da parte delle comunità professionali: lo scenario futuro sarà determinato dalla stabilità delle condizioni politiche e quindi dalla stabilità e continuità dell’attuale organizzazione archivistica e bibliotecaria, nonché dalla mancanza di cambiamenti sostanziali nella tecnologia.
Non ci sono quindi risposte definitive.
La risposta più concreta emersa complessivamente durante il seminario è la nostra capacità di assumerci responsabilità verso il futuro: responsabilità nella ricognizione delle informazioni, responsabilità nelle opzioni tecnologiche, responsabilità nella scelta degli indirizzi culturali, responsabilità nell’analisi dei processi.
Molte altre le problematiche affrontate: dai criteri per la selezione, alla gestione dell’immissione dei dati, alle diverse metodologie per la conservazione (migrazione, programmi di emulazione ecc.), ma il filo rosso che ha unificato ricerche e pareri tecnici è stato il tema della consapevolezza e della responsabilità verso le generazioni future, strettamente connesso al tema della trasparenza e della cooperazione.
Grande è in questo momento il fervore anche nelle istituzioni culturali italiane per l’elaborazione e la diffusione di strumenti operativi per le attività di implementazione e di gestione di basi dati di oggetti digitali. La recente pubblicazione curata dall’ICCU del manuale utente per l’uso dei MAG ne è prova concreta.
Impegno della comunità professionale bibliotecaria e archivistica sarà fare diventare queste iniziative, patrimonio di tutti i soggetti coinvolti, nel processo di costruzione della Biblioteca digitale italiana.
marzia.miele@beniculturali.it