[AIB] AIB notizie 19 (2006), n. 5
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Biblioteche e terremoto in Friuli, trent’anni dopo. 1976-2006

Romano Vecchiet

Quando la terra cominciò a tremare attorno alle 21 di quell'afoso sei maggio 1976, mi trovavo nella sala di lettura della Biblioteca universitaria di Trieste intento a studiare, da vero utente improprio, la storia della letteratura francese nell’edizione Einaudi di Saulnier: il pesante tavolo in ferro e tutto il pavimento iniziarono a tremare prima quasi inavvertitamente, poi sempre più sensibilmente, per un lungo minuto, e tutti gli studenti presero a uscire spaventati e increduli nel cortile dell'università. Insieme a uno sparuto gruppo di studenti, ignari del pericolo, non mi mossi da lì, aspettando che quel lungo tremore finisse. Ma da quel momento in poi si può dire che per la mia esperienza di giovane bibliotecario volontario alla Biblioteca Guarneriana di San Daniele, iniziata appena un anno prima, e di studente universitario a Trieste ormai alla fine della sua carriera, terremoto e biblioteca furono un binomio assolutamente inscindibile, naturale e spontaneo, a partire da quella prima scossa, terrificante e devastante in Friuli, ma giunta molto attutita a Trieste, distante cento chilometri dall'epicentro friulano del monte San Simeone. La mia professionalità si individuò e si accrebbe a contatto con quell'evento epocale (950 morti e 2400 feriti, 32.000 abitazioni distrutte, 157.000 lesionate, danni quantificati in 4 mila miliardi su 130 comuni e centomila abitanti) [1], e come tanti altri coetanei anch'io trovai in quei momenti drammatici la strada che mi avrebbe accompagnato fino alla mia piena maturità, quella strada che mi avrebbe portato a occuparmi permanentemente di biblioteche pubbliche.

Il terremoto aveva devastato un'area molto vasta, tra le province di Udine e Pordenone, nel cuore del Friuli storico, ma aveva salvato fortunatamente la città di Udine, che aveva assunto da quel momento la guida dell'opera di ricostruzione. Proverbiale fu la volontà dei friulani nel ricostruire dapprima le fabbriche e quindi il tessuto produttivo, e solo dopo le abitazioni, mettendo subito a frutto i finanziamenti statali e regionali grazie anche a un'accorta politica dei comuni, che seppero trarre da questo disastro una formidabile occasione di rinascita e di sviluppo economico. Si pensi che solo nell'ambito dei beni culturali, il Ministero competente stanziò nel bilancio di previsione 1977-1981 100 miliardi di lire, mentre il Congresso americano favorì la ricostruzione di otto scuole con uno stanziamento di 12 milioni e 600 mila dollari.

Anche le biblioteche pubbliche non rimasero estranee a questo processo distruttivo/ricostruttivo. Molte preesistevano alla prima legge regionale che aveva iniziato a interessarsi a esse (la l. reg. 18 novembre 1976, n. 60), e furono chiuse praticamente tutte, se consideriamo almeno quelle dell'area maggiormente interessata dal sisma, l'area collinare. L'unica che fra queste ultime paradossalmente non chiuse mai, fu proprio la più antica, la Guarneriana di San Daniele, che pure fu colpita in una parte del suo edificio, e fu dichiarata inagibile. Ma si continuò a utilizzare la parte più a nord, quella sottostante il campanile, due vani collegati da una scala, riscaldati da una stufetta elettrica, con la Sala Fontaniniana a due passi (un gioiello di architettura bibliotecaria settecentesca rimasto miracolosamente intatto) e la stanza blindata dei codici guarneriani un piano più sopra. Ad arricchire e complicare il quadro, accanto a un gruppo di studenti che gestivano l'apertura della neocostituita Sezione moderna ogni sabato pomeriggio nel generale laissez faire dell'amministrazione comunale, evidentemente in ben altre faccende affacendata, si facevano notare le frequenti visite di studio del prof. Emanuele Casamassima, che allora insegnava paleografia all'Università di Trieste. Insomma, nel generale disastro, la Guarneriana era l'unica biblioteca pubblica dell'area maggiormente colpita dal terremoto e proprio per questo venne favorita da una vera e propria gara di solidarietà che andò a beneficio della neocostituita Sezione moderna. Paolo Terni, allora responsabile del settore biblioteche della casa editrice Einaudi e tra i protagonisti dell’esperienza di Dogliani, promosse un incontro pubblico con l'amministrazione locale e fu così favorevolmente impressionato di come si volesse fin da subito ricostruire non solo materialmente il Friuli, ma anche i suoi principali servizi culturali, che regalò l'intero catalogo Einaudi perché quella Sezione moderna si arricchisse anche dal punto di vista bibliografico. Qualche mese dopo arrivarono degli enormi scatoloni che contenevano decine di titoli PBE, tutti o quasi i Millenni, centinaia di Saggi, tutti o quasi gli Struzzi e la NUE, oltre alle grandi opere come la Storia d'Italia. Insomma, con poche eccezioni, la quasi totalità dei titoli Einaudi. Si pensi poi che quello era il catalogo del 1977, ovvero quanto di meglio l'editoria italiana fosse in grado di proporre da parte di un solo editore. San Daniele, che con la sua Guarneriana fino ad allora aveva certo mosso la curiosità di tanti studiosi per i suoi fondi antichi, si venne a trovare al centro dell'interesse della migliore editoria italiana (da ricordare infatti anche gli aiuti di Laterza, Bollati Boringhieri e Editori riuniti) e potè affiancare alle prestigiose collezioni umanistiche di Guarnerio d'Artegna e ai fondi settecenteschi di Giusto Fontanini, una biblioteca immediatamente disponibile anche per i suoi cittadini.
È proprio il caso di dire che un'intera comunità, nonostante il terremoto che l'aveva minata, riconobbe le grandi potenzialità e gli innumerevoli vantaggi che una biblioteca, non più solo ed esclusivamente di stampo museale, poteva riservare a chi la frequentava e ne suggeriva i possibili sviluppi. Altrove non si raggiunsero risultati così eclatanti, ma si posero le basi perché le vecchie stanze adibite a biblioteche venissero ampliate e rese più efficienti e funzionali, dapprima con dei più ampi e solidi "prefabbricati", poi con la ristrutturazione di edifici storici, sempre nel centro del paese, a ribadire la centralità di quel servizio, pur tra i mille vincoli che quelle ristrutturazioni comportavano.

I pur scarni dati statistici, che in un'indagine di quegli anni avevo raccolto [2], parlano molto chiaro a questo proposito. Il patrimonio delle sei biblioteche comunali della Comunità collinare ammontava nel 1974 a 18.882 volumi. Sette anni dopo quel dato si accresceva fino a raggiungere i 58.029 volumi e le biblioteche diventavano nove. La superficie totale, che era nel 1974 di 451 mq, aumentò nel 1981 a 1463 mq. Insomma il terremoto, lungi dal costituire un blocco allo sviluppo delle biblioteche, ne decretò il primo vero sviluppo. A San Daniele l'intero antico palazzo comunale, sede della Guarneriana, venne ristrutturato, ricavandone una sala riunioni e molte altre sale attigue, che resero possibile, tra l’altro, la realizzazione di una sezione ragazzi. A Cividale la Repubblica di Slovenia "regalò" un'intera ala di un palazzo del centro cittadino per farne la nuova sede della biblioteca civica, tre piani per 300 metri quadrati. A Gemona l'associazione dei concessionari d'auto reperì un grande "prefabbricato" per trasferire la Glemonense con tutti i suoi fondi antichi, mentre la Biblioteca statale Isontina di Gorizia, che gestiva i capitoli di spesa statali per la tutela dei beni librari della Regione, garantì il restauro di tutti i fondi antichi di quella biblioteca e avviò i primi progetti di occupazione giovanile per la catalogazione di tutti i suoi fondi. Osoppo, un paese di duemila abitanti letteralmente distrutto dal terremoto, a pochi anni dal sisma trasferì la biblioteca comunale in una sede provvisoria ma sufficientemente ampia, e accrebbe a tal punto il proprio materiale librario che lo stesso sfiorò dopo qualche anno i 30.000 volumi. A Maiano, che conobbe la costruzione di un complesso scolastico completamente nuovo grazie ai contributi del Congresso americano, la biblioteca nel 1981, ancora nel prefabbricato cinque anni dopo il sisma, aveva già 4800 volumi con prestiti che raggiungevano le 4098 unità [3].

Ci vollero altri anni, ma non molti, per vedere realizzate le strutture che oggi possiamo ammirare nelle "piccole città" friulane. Dai prefabbricati si passò a sedi definitive, ma anche queste ultime si svilupparono ulteriormente. Due esempi per tutti, e tra i più autorevoli: la storica Guarneriana si sdoppiò felicemente occupando, per la sua Sezione Moderna nata con il sisma, un albergo del centro, riservando nel vecchio palazzo comunale tutta la parte antica e l'archivio storico comunale, mentre la Glemonense passò qualche anno dopo dal prefabbricato periferico, che pure aveva garantito la continuità del servizio negli anni difficili del post-terremoto, alla sua sede definitiva nel centro storico, il prestigioso palazzo Elti. Salti di qualità vennero fatti in anni più vicini a noi anche da Tolmezzo, che occupò dapprima nuove sale di Palazzo Frisacco, per poi approdare alle ex carceri, con un consistente beneficio di spazi e strutture, e – pur ai margini dell’area maggiormente colpita dal sisma – da Spilimbergo, che attualmente sta ultimando nel palazzo Lepido un’importante ristrutturazione funzionale, e da Codroipo, che nel 1999 ha inaugurato una struttura completamente nuova in un ex campo di calcio [4].

Ancora oggi, nelle occasioni più diverse, l'Italia e la gente in genere riconosce questo grande e corale sforzo del popolo friulano, lo porta ad esempio come risultato enormemente positivo, anche se occorre aggiungere che è stato uno sforzo molto generosamente sorretto dallo Stato. Quello che è importante notare, però, è che lo sviluppo che il terremoto con la sua immediata ricostruzione arrecò, non fu solo uno sviluppo meramente materiale, ma trascinò in un processo di modernizzazione di lunga portata l'intera società civile friulana. Il piccolo esempio delle biblioteche che abbiamo portato è significativo, pur con tutti i suoi limiti, di uno sforzo che interessò significativamente anche le principali strutture culturali allora esistenti di quell'area così tragicamente distrutta, ma anche così rapidamente e spesso felicemente ricostruita.

[1] I dati sono ricavati da Le pietre dello scandalo: la politica dei beni culturali nel Friuli del terremoto, Torino: Einaudi, 1980.
[2] Romano Vecchiet, La biblioteca pubblica in Friuli tra ricostruzione e sviluppo, "Metodi & ricerche", n.s., 2 (1983), n. 1, p. 77-87.
[3] Per la presentazione della biblioteca comunale di Maiano da parte del suo progettista, cfr. Luisa Anversa Ferretti, Rapporti con la città e specificità degli spazi di una biblioteca inserita in un complesso scolastico, in: La biblioteca nel territorio: urbanistica, architettura e organizzazione degli spazi, a cura di Romano Vecchiet, Milano: Editrice Bibliografica, 1989, p. 141-148.
[4] Cfr. Romano Vecchiet, Nel segno della trasparenza: la nuova Biblioteca comunale di Codroipo, <>, 18 (2000), n. 7, p. 30-35. La biblioteca è stata progettata dall’arch. Leonardo Miani, mentre responsabile del layout è stata l’arch. Paola Vidulli. Nella provincia di Udine andrebbero poi ricordate le nuove biblioteche di San Giorgio di Nogaro (Villa Dora, inaugurazione 2002), di Cervignano (Scuola media di via Trieste, 2005) e di Lignano Sabbiadoro (ampliamento ultimato nel 2003), anche se decisamente esterne all’area interessata dal sisma.


VECCHIET, Romano. Biblioteche e terremoto in Friuli, trent’anni dopo. 1976-2006. «AIB notizie», 19 (2006), n. 5, p. 5-7.

Copyright AIB 2006-08, ultimo aggiornamento 2006-08-15 a cura di Zaira Maroccia
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