AIB Notizie 04/2004
Dall'albo dei bibliotecari al riconoscimento professionale
Claudio Gamba
Nel 1998 l'AIB costituì l'Albo professionale dei bibliotecari italiani, a cui ad oggi circa 700 colleghi hanno ottenuto l'iscrizione dopo la valutazione di un'apposita commissione di valutazione.
L'istituzione dell'Albo rispondeva alla necessità di prepararsi a un nuovo scenario normativo delle professioni in Italia, basato sul riconoscimento di molte professioni non ancora definite e riconosciute, in vista dell'applicazione di alcune direttive europee non certo recenti (in particolare, la 92/51 e la 89/48) ma mai recepite e attuate in Italia.
Il panorama politico del tempo e i segnali provenienti dagli ambienti parlamentari ci avevano portato (non certo soli, ma insieme ad altri professionisti nelle nostre stesse condizioni) alla fondata speranza che un decisivo cambiamento verso il riconoscimento giuridico della nostra professione sarebbe stato imminente.
Precedentemente (nel 1991 e 1993) altri progetti di legge, mai approdati alle aule parlamentari per il protrarsi dei tempi e il cambio di legislature, avevano tentato di istituire ordini e albi professionali per alcuni comparti legati ai beni culturali (archeologi, storici dell'arte, archivisti e bibliotecari).
Anche sul finire degli anni Novanta, come sappiamo, le cose non sono andate secondo i nostri auspici: l'iter legislativo per il riconoscimento delle professioni si è rallentato fino a bloccarsi e infine annullarsi completamente con il termine della legislatura. Anche l'attenzione da parte della stessa AIB sul nostro Albo è calata, fino a diventare un troppo statico mantenimento della situazione, in attesa di tempi migliori. E indubbiamente questo atteggiamento ha deluso molti soci e iscritti all'albo stesso, che si sono chiesti fondatamente dove fosse finito e che valore avesse.
Dalla ripresa dell'attività del nuovo parlamento nel 2001, si sono succedute diverse proposte, alcune anche molto autorevoli come quella formulata dal CNEL, che da oltre un decennio ha cominciato a interessarsi fattivamente alle "nuove professioni", costituendo anche un Osservatorio con l'obiettivo di monitorare il settore. Oppure quello licenziato da una commissione costituita ad hoc dal Governo, nota come "Commissione Vietti" dal nome del sottosegretario alla Giustizia (è da ricordare che la regolamentazione delle professioni è principalmente competenza di tale Ministero).
Si è arrivati così a ben 5 disegni di legge contemporanei, tra maggioranza e minoranza, aventi per oggetto il riordino del sistema delle professioni e la regolamentazione del loro esercizio in Italia. In realtà però, si è avuta l'impressione che l'impulso politico e il clima determinatosi sul finire della passata legislatura - che sembrava preludere ad un rapido processo di riordino normativo - sia stato in seguito completamente schiacciato dalle pressioni esercitate in modo lobbystico dagli Ordini e Collegi professionali tradizionali.
Intendiamoci: la materia di scontro non era (e non è) certamente la regolamentazione di professioni del tutto "nuove" (pensiamo agli informatici, o a certe professioni dell'ambito delle medicine non tradizionali) e nemmeno quella di professioni (come la nostra) ancora prevalentemente rientranti nella sfera del lavoro dipendente. Quanto piuttosto alcune "zone di confine", in comparti professionali come quelli fiscale, assicurativo, amministrativo, in cui gli ambiti di competenza dei professionisti iscritti agli ordini si mescolano con quelli dei "nuovi", generando una concorrenza ritenuta pericolosa dai gruppi di pressione più legati agli ordini stessi.
In realtà tutte le proposte di riforma, in vari modi e sfumature, si basano non già sul superamento completo delle professioni inquadrate in Ordini e Collegi, bensì sulla logica di un "sistema duale", in cui accanto a professioni che continuano ad essere strettamente regolate dalla legge (limitate a quelle ritenute di particolare interesse pubblico o attinenti ad interessi costituzionalmente garantiti, e regolate anche dall'art. 2229 del Codice Civile), si sviluppano professioni "libere", l'accesso alle quali è consentito a tutti a condizione che possano dimostrare la loro preparazione. Ed il meccanismo con cui avviene questa "dimostrazione di competenza" è la certificazione formulata dalle associazioni di cui tali professionisti fanno parte.
Ecco che allora la normativa deve rivolgersi in particolare al riconoscimento di queste associazioni, alla verifica dei loro requisiti organizzativi ed etici, alla fissazione di alcune linee guida per la certificazione di percorsi di formazione e riqualificazione.
I diversi disegni di legge prevedevano meccanismi leggermente diversificati per la certificazione della competenza professionale (in alcuni casi rilasciata autonomamente dalle associazioni, in altri da organismi di tipo federativo sovraordinati, in altri ancora con più stretto controllo pubblico). La logica di fondo però rimane sostanzialmente identica, ispirata alla diretta assunzione di responsabilità pubbliche da parte di soggetti liberi e diversificati, come le associazioni dei professionisti: sono queste che devono stabilire i "confini" della professione, modalità e titoli di accesso, certificare il possesso di tali requisiti da parte dei propri associati, assicurare loro attività di aggiornamento e formazione continua.
Un altro pilastro di questa riforma - annunciata e non ancora compiuta - è la libera concorrenza: al contrario degli ordini professionali, ognuno dei quali agisce nel proprio settore in regime di esclusività, diverse associazioni di professionisti possono proporsi per la stessa attività: saranno poi gli utenti, fruitori del loro servizio, a scegliere sulla base di criteri di mercato, quindi qualità e convenienza.
Questo principio potrebbe sembrare poco applicabile ad un settore come il nostro, dove prevale il lavoro dipendente (o assimilabile) e non sembra esistere un vero regime di concorrenza compiuto. Tuttavia, pensando all'evoluzione rapida delle biblioteche e dei servizi culturali, alla diversificazione delle loro modalità di gestione (anche in applicazione di specifiche norme di legge, come l'art. 113 del Testo Unico sugli Enti Locali), alla diffusione di pratiche di esternalizzazione dei servizi e di contratti "atipici", non sembra fuori luogo parlare di "concorrenza" o comunque di segmentazione e diversificazione dell'offerta di competenze e servizi professionali.
Nel corso del 2003 i cinque disegni di legge sono stati unificati in un unico testo avente per oggetto la disciplina dell'esercizio e delle forme organizzative delle professioni intellettuali, assegnato in sede referente alla Commissione Giustizia del Senato, dove ancora si trova in esame e discussione. Nel frattempo, altre proposte ancora sembrano affacciarsi.
Ma prima di delineare alcune caratteristiche di tale testo, va registrato un fatto importante: è la nascita del CoLAP, il Coordinamento libere associazioni professionali, organismo nato con il preciso obiettivo di sbloccare l'iter legislativo e dare voce comune e coordinata al folto gruppo delle associazioni professionali.
Oggi il CoLAP raggruppa circa 140 associazioni, molto eterogenee per tipologia, composizione e dimensioni, che si collocano in diversi comparti lavorativi: dalle professioni dell'area finanziaria-fiscale a quelle della sanità, a quelle dell'area informatica, a quelle di una vasta area "tecnica", in cui si ritrovano (un po' per esclusione) tutti gli altri, dagli statistici agli interpreti, dagli storici dell'arte a noi bibliotecari. Infatti, anche l'Associazione italiana biblioteche nel 2001 ha aderito al coordinamento inserendosi all'area "tecnica". Si tratta, come è evidente, di una collocazione non del tutto soddisfacente e da ritenersi provvisoria, in vista della auspicabile formazione di un'area "informativa-culturale" in cui potrebbe trovare più consona rappresentanza la nostra associazione, insieme a quelle dei professionisti a noi più vicini (archivisti, documentalisti, storici dell'arte e archeologi).
Tornando al disegno di legge unificato attualmente in esame (con grande lentezza, per la verità) in Senato, non si può mancare di rilevare come il suo articolato non sia particolarmente soddisfacente, e non trovi perciò moltii consensi nel CoLAP. Infatti, nonostante l'affermazione di principio che «l'esercizio dell'attività professionale è libero» la parte maggiore del disegno di legge è volta a regolamentare (ancora) ordini, collegi e albi professionali, nonché i meccanismi di accesso ad essi (esami di Stato). Solo un paio di articoli parlano delle associazioni professionali, rimandando la determinazione delle loro caratteristiche ad un ulteriore percorso normativo da svolgersi tramite delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi: come si vede, una strada ancora molto lunga e soprattutto tutta da decidere anche nei suoi fondamenti.
Per tentare ulteriormente di sbloccare la situazione, e in generale per dare voce al vasto mondo delle "nuove professioni" con un atto politico e comunicativo di forte impatto, il CoLAP ha deciso di convocare gli "Stati generali delle Associazioni professionali", in programma a Roma il 5 e 6 maggio prossimi. Si tratta di una sorta di grande convention cui sono state invitate le autorità politiche, sindacali, imprenditoriali e sociali del massimo livello (anche "sfruttando" il periodo di campagna elettorale in cui maggiore è la disponibilità dei politici ad incontrare la società civile).
Per l'occasione verrà presentata una ricerca sul mondo delle nuove professioni e delle associazioni che le rappresentano, realizzata dal Censis.
È chiaro che si tratta di un'occasione fondamentale e anche di una sfida difficile: una scarsa partecipazione a questo evento segnerebbe forse la fine di ogni speranza di essere protagonisti della riforma delle professioni in Italia. Siamo quindi chiamati, anche noi, a partecipare: consapevoli che non si tratta, questa volta, di un appuntamento di tipo professionale, convegnistico; quanto piuttosto di un'occasione di partecipazione "militante" a un evento potenzialmente dotato di grande impatto comunicativo e politico. Siamo cioè chiamati a esserci per renderci visibili ai "decisori" politici e alle parti sociali, e anche a un pubblico vasto e formato da non addetti ai lavori. Siamo ben consapevoli che la data scelta dal CoLAP non è l'ideale per noi dell'AIB, perché piuttosto vicina alla Conferenza di Primavera di Saint Vincent (28-30 aprile). Ciò nondimeno, vogliamo sperare che i nostri soci vogliano rispondere massicciamente a questa chiamata, per far sentire anche la nostra voce.
Negli ultimi mesi la nostra partecipazione al CoLAP ha assunto una decisa accelerazione con la presenza a tutte le occasioni di confronto del coordinamento (assemblee ed esecutivi allargati) tramite il sottoscritto, delegato CEN alla divisione professione e lavoro, e con la partecipazione al comitato organizzatore degli Stati Generali (grazie alla disponibilità di Piera Franca Colarusso di Osservatorio lavoro); con il sostegno finanziario agli Stati Generali (per i quali è stata stanziata una quota "sostenitrice" di 2000 euro); con l'intervento nella sessione di apertura dei lavori (che solo sei, tra le circa 140 associazioni aderenti al CoLAP, sono state invitate ad effettuare); con lo svolgimento infine di uno specifico evento AIB agli Stati generali (invitando ad esso anche le associazioni a noi maggiormente vicine).
Il peso dell'AIB sia nel CoLAP che nell'organizzazione degli Stati generali è notevolmente cresciuto anche in ragione delle dimensioni della nostra associazione, che la pone ai primissimi posti tra quelle del coordinamento. Ovvio però che questo peso e la maggior visibilità raggiunta dovranno essere confermati da una massiccia partecipazione agli Stati generali di maggio.
Il programma degli Stati generali, così come tutta la documentazione sul CoLAP, è disponibile sul sito «http://www.colap.it», che vi invito a visitare periodicamente anche per verificare gli aggiornamenti (sia delle proposte normative, che del programma degli Stati generali di maggio).
Concludo tornando al tema dell'Albo professionale, da cui ero partito non certo casualmente. A fronte di un nuovo quadro giuridico che consenta davvero, finalmente, la definizione della nostra e di tante altre professioni intellettuali, io credo che tale strumento possa diventare il primo nucleo di una sorta di "registro dei soci certificati" e in qualche modo abilitati all'esercizio della professione (come lavoratori dipendenti o come liberi professionisti). Sul modello adottato da associazioni straniere (il britannico CILIP, ad esempio) si può ipotizzare una partecipazione associativa di primo livello (per chi inizia la carriera, o chi studia, o chi comunque vuol sostenere l'associazione anche al di là del riconoscimento professionale) e una partecipazione di secondo livello, "certificata" con l'iscrizione all'albo e la verifica, sia iniziale che continuativa, dei requisiti di professionalità richiesti. Ecco allora che l'albo dei bibliotecari italiani, nato su una scommessa lungimirante anche se forse prematura, può diventare uno strumento fondamentale per l'esercizio della professione. Certamente dovranno essere rivisti i criteri di accesso, conseguentemente al quadro normativo adottato; e soprattutto dovranno essere impostati criteri di verifica periodica e iniziative specifiche di aggiornamento professionale rivolte agli iscritti. Fin d'ora si può cominciare a lavorare per questi obiettivi, e anche a cercare (nell'attesa di un necessario ma forse non vicinissimo riconoscimento giuridico formale della professione e della nostra associazione) di utilizzare l'appartenenza all'Albo come titolo preferenziale nei processi di selezione attuati da enti locali, università, aziende e cooperative di servizi: a tal fine vanno utilizzati tutti i "tavoli" negoziali, a partire da quello recentemente aperto con le autonomie locali (regioni, province, comuni) per l'attuazione delle "Linee di politica bibliotecaria per le autonomie".
È utopia ipotizzare tutto ciò? Quanto dovremo aspettare per un vero riconoscimento della professione di bibliotecario in Italia? Certo, io credo che sia il nuovo quadro normativo che la messa a regime di questo nuovo contesto, abbiano bisogno ancora di tempo, consenso, gradualità.
Ma non lo ritengo uno scenario utopistico, anche perché tutta l'Europa si è mossa o si sta movendo in questa direzione. Ritengo velleitario, semmai, nell'Italia e nell'Europa di oggi, pensare di riuscire a realizzare qualsiasi percorso di riconoscimento professionale da soli, rivendicando una specificità e unicità professionale che ritengo fuori tempo. Non siamo gli unici professionisti "incompresi"! E allora, non dimenticando la nostra specifica competenza, i nostri valori e la storia che ci accompagnano, cerchiamo alleanze e strategie che diano finalmente dignità, certezza giuridica e riconoscimento sociale alla professione di bibliotecario.
gamba@aib.it
GAMBA, Claudio. Dall'albo dei bibliotecari al riconoscimento professionale «AIB Notizie», 16 (2004), n. 4, p. I-III.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2004-05-18 a cura di Franco Nasella
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