AIB Notizie 03/2004
Tirocinio, volontariato, servizio civile: intervista a più voci, quasi un'inchiesta
a cura di Vittorio Ponzani e Giuliana Zagra
Il dibattito sul lavoro atipico attraversa l'AIB già da alcuni anni. La Conferenza di primavera del 2002 svoltasi ad Alghero era tutta incentrata su questi temi e una delle sessioni della Conferenza dello scorso anno ad Anagni riprendeva ampiamente la riflessione su figure di lavoratori o collaboratori del tutto nuove che ormai sempre più spesso trovano posto nelle biblioteche italiane
La recente utilizzazione anche da parte di alcune biblioteche del personale volontario previsto dalla legge 3 marzo 2001, n. 64, sul servizio civile destinato agli organismi di volontariato e assistenziali riporta di nuovo l'argomento in primo piano anche nella lista di discussione di AIB-CUR e rinnova l'esigenza di fare chiarezza e di delineare le caratteristiche, là dove è possibile, di figure che rischiano di sovrapporsi tra loro: volontari, tirocinanti, obiettori di coscienza, giovani del servizio civile, spesso operano contemporaneamente nella stessa biblioteca e non sempre sono chiari ruoli, compiti e funzioni di ciascuno.
Sull'onda della discussione nata in lista abbiamo voluto approfondire l'argomento chiedendo l'opinione di alcuni soci che per il ruolo che rivestono all'interno dell'Associazione o per la loro esperienza professionale ci sono sembrati particolarmente adatti ad affrontare e se possibile a sciogliere i nodi principali di una questione intricata e densa di implicazioni.
Sulla base di sette domande uguali per tutti perciò abbiamo chiesto risposte a: Nerio Agostini, Luca Bellingeri, Claudio Gamba, Alberto Petrucciani, Igino Poggiali, Fausto Rosa.
Ne èrisultato un documento molto impegnativo, quasi un'inchiesta, che nonostante la sua mole, non abbiamo voluto spezzare in due puntate, convinti che, al di là della complessità, molti sapranno apprezzare la ricchezza e la profondità delle risposte.
ponzani@aib.it
zagra.g@aib.it
Istituzione del servizio civile nazionale: la Legge 6 marzo 2001, n. 64
La legge sul servizio civile è il risultato di un lungo percorso iniziato con il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e la pari dignità degli obbiettori rispetto ai militari di leva e conclusosi con l' autonomia gestionale del servizio civile nei confronti dell'apparato militare da anni sostenuta dalle associazioni di volontariato.
La legge ha aperto le porte del servizio civile volontario anche alle ragazze e ai ragazzi riformati dalla leva per inabilità.
Tra i principi generali e le finalità indicati nell'articolo 1 della legge, due giustificano in particolare l'utilizzo dei volontari del servizio civile nelle biblioteche: «c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;».
Su questa base alcuni istituti che amministrano il patrimonio culturale nazionale e gestiscono servizi di pubblica lettura hanno presentato progetti per l'utilizzo in biblioteca di personale reclutato mediante il servizio civile nazionale
I progetti hanno una durata di 12 mesi e sono rivolti a ragazzi con un'età compresa tra i 18 e i il 26 anni, prevedono una retribuzione fissa di 433 euro al mese per un numero di ore settimanale che può variare da 25 a 36; nell'arco dell'anno sono contemplati anche i congedi per malattia fino a 15 giorni e 20 giorni di congedo ordinario.
Per il testo completo della legge e ogni altra informazione specifica rinviamo a:
http://www.serviziocivile.it
GZ
Le domande di «AIB notizie»
- Che ne pensi delle biblioteche che hanno utilizzato la legge 3 marzo 2001, n. 64, sul servizio civile, attraverso progetti a tempo, mirati all'utilizzo di volontari nei servizi di biblioteca?
- È possibile delineare delle tipologie tra le figure atipiche che ruotano all'interno dei servizi di biblioteca e individuare eventuali ruoli e specificità?
- Al di là della differenza tra volontariato, tirocinio, servizio civile e obiezione di coscienza, si possono organizzare in biblioteca forme di attività anche non retribuite legandole a un preciso percorso formativo ?
- Queste forme di collaborazione rischiano di andare a coprire nelle biblioteche le carenze di organico rinviando di fatto nuove assunzioni e scatenando l'ennesima "guerra tra poveri". È possibile evitarlo?
- Quanto l'uso indiscriminato di questo tipo di personale in sostituzione di quello qualificato e di ruolo rischia di sminuire la complessità delle funzioni proprie del bibliotecario?
- In AIB-CUR, il responsabile di una biblioteca pubblica ha difeso l'utilizzo degli obiettori di coscienza consentito dall'attuale legislazione, affermando che il non fare uso di questo strumento legislativo rappresenterebbe una mancanza di senso di responsabilità e un danno al proprio istituto e alla comunità. Cosa ne pensi?
- Quale deve essere l'impegno dell'AIB rispetto a questi temi?
Le risposte
Nerio Agostini
membro dell'Osservatorio lavoro dell'AIB
1) Stante l'utilizzo sinora fatto degli obiettori di coscienza sono molto preoccupato del non corretto impiego, che di solito è sostitutivo del personale qualificato, che sarà attuato. Spesso i progetti sono una mascheratura formale dell'utilizzo illegittimo.
2) Le figure che sono legate a percorsi formativi in biblioteca, secondo la legge possono essere solo due: gli stagisti e i contratti di formazione lavoro. Possono essere impiegati in ruoli diversificati, ma in particolar modo in attività di supporto al bibliotecario.
3) Non si possono mettere assieme tutte le figure indistintamente. Il volontariato non ha ragion di esistere e non è previsto dalla normativa. L'unica forma non retribuita ammessa è lo stage. L'organizzazione del percorso formativo è strettamente correlata alle attività che la biblioteca svolge e ai servizi che eroga senza alcuna esclusione.
4) Ripeto: è illegittimo l'utilizzo di qualsiasi forma di prestazione "precaria" che sia sostitutiva di personale. Le forme sostitutive sono regolamentate dal Testo unico sul rapporto di pubblico impiego e dai CCNL. Nel caso degli enti locali sono previsti: l'incarico a tempo determinato e il lavoro interinale.
5) Certamente l'uso indiscriminato di queste figure ha una ricaduta sia sul mancato riconoscimento del ruolo e profilo professionale sia poi sulla continuità e sulla qualità dei servizi.
6) Sono assolutamente d'accordo. Ma l'utilizzo deve essere per progetti aggiuntivi e per nuove attività come previsto dalla legge e non in sostituzione di personale.
7) Alla luce dei fatti e dell'esperienza direi che l'AIB sta già lavorando affinché i bibliotecari siano a conoscenza del corretto utilizzo del personale attraverso i vari interventi a favore dei soci, nei confronti delle amministrazioni e anche con seminari informativi dell'Osservatorio lavoro che le singole Sezioni regionali organizzano. Si può fare di più, nonostante gli innumerevoli limiti oggettivi. Occorre rafforzare i rapporti "di potere" rappresentativo e di "accreditamento istituzionale" per un confronto paritario con le varie amministrazioni e con la dirigenza degli enti sia a livello nazionale che a livello regionale.
Luca Bellingeri
Responsabile dei progetti di servizio civile per la Biblioteca nazionale centrale di Roma; membro del Collegio dei sindaci dell'AIB
1) Proprio in questi giorni presso la Biblioteca nazionale di Roma hanno iniziato la loro attività 50 volontari del servizio civile nazionale, sulla base di due progetti presentati dalla Biblioteca nello scorso mese di giugno. Si tratta della prima esperienza di questo genere realizzata in una biblioteca pubblica statale e, più in generale, in un istituto del Ministero per i beni e le attività culturali, e, a giudicare dalle reazioni suscitate, probabilmente verrà presto seguita da altri istituti. A quanto mi risulta non si tratta però di una novità in assoluto, poiché alcune biblioteche pubbliche già negli anni passati sono ricorse a questo strumento con risultati, a quanto ne so, più che soddisfacenti, a patto, tuttavia, che vengano sempre tenuti presenti alcuni principi di base, ispiratori della stessa legge istitutiva. In primo luogo è importante che i responsabili delle biblioteche abbiano chiaro che il servizio civile non è, o non è esclusivamente, un modo per poter contare su nuovo personale senza oneri per l'amministrazione. Certamente questo è un aspetto rilevante, ma lo scopo dell'iniziativa è, o almeno dovrebbe essere, diverso, garantendo a questi giovani, attraverso un periodo di lavoro volontario, un arricchimento formativo e professionale e quindi un più facile inserimento successivo nel mondo del lavoro. Allo stesso modo dovrebbe essere chiaro a tutti i giovani che aderiscono ai progetti che il periodo trascorso in servizio civile non rappresenta, né può rappresentare, un'anticamera per una futura assunzione, né può sostituire un'adeguata formazione professionale. Un volontario che per un anno abbia svolto servizio di distribuzione in una biblioteca non è per questo in grado di svolgere la professione del bibliotecario, né può dire di conoscere il funzionamento di una biblioteca, anche se indubbiamente attraverso questa esperienza e la relativa attività di formazione avrà alla fine dell'anno acquisito conoscenze di cui non era precedentemente in possesso.
2) Come ho già avuto modo di dire alla Conferenza di primavera di Anagni dello scorso maggio, a partire dalla metà degli anni Ottanta le tipologie di rapporto di lavoro a termine in biblioteca si sono progressivamente moltiplicate, fino a ricomprendere figure e istituti, come l'obiezione di coscienza, che a rigore poco hanno a che fare con un vero e proprio rapporto di lavoro. Ne deriva una certa difficoltà nel definire con chiarezza cosa si voglia intendere quando si fa riferimento all'ampio arcipelago dei lavori a tempo determinato (contratti di formazione e lavoro, contratti di lavoro a tempo determinato, lavoro interinale, collaborazioni coordinate e continuative, ma anche lavori socialmente utili, volontariato, tirocini formativi, obiezione di coscienza, fino al recentissimo servizio civile nazionale) e una certa confusione terminologica, che spesso porta a definire come lavoratori atipici tutti quelli che non godano di un contratto a tempo indeterminato. In realtà, ad accomunare tutte queste diverse forme di lavoro, per il resto contraddistinte da situazioni giuridiche e professionali tra le più varie e articolate, sono esclusivamente la "temporaneità" dell'impegno e una sostanziale "debolezza" dei prestatori d'opera, privi di molte delle tutele tradizionalmente riconosciute ai lavoratori di ruolo, mentre diversissimo è, in considerazione dei differenti percorsi professionali che contraddistinguono ciascuna di queste categorie, il ruolo da esse rivestito all'interno del "sistema biblioteca".
3) Preliminarmente occorre sgombrare il campo da ogni equivoco. Mentre tirocinio e volontariato hanno il preciso scopo di fornire ai giovani quel bagaglio di esperienze professionali che servono ad integrare un percorso formativo universitario altrimenti solo teorico, obiezione di coscienza e servizio civile solo occasionalmente riguardano giovani che intendano avvicinarsi alla nostra professione. Nella maggior parte dei casi, infatti, la scelta di svolgere queste attività all'interno di una biblioteca nasce solamente da un generico interesse per il mondo dei libri e per la lettura, o, nel migliore dei casi, dalla volontà di conoscere "dal di dentro" un ambiente a lungo frequentato come utenti nel corso dei propri studi universitari. In tutti questi casi, dunque, l'obiettivo che ci si può prefiggere è quello di consentire per il futuro a questi giovani un uso più cosciente ed avvertito dei servizi di una biblioteca, ma non certo quello di inserirli in una professione o nel mondo del lavoro.
4-6) Storicamente votate al ricorso a ogni forma di lavoro precario e "destrutturato", le biblioteche, più di altre amministrazioni pubbliche, hanno sperimentano a partire dagli anni Novanta ogni nuova forma di rapporto di lavoro, ricorrendo in modo sempre più massiccio ai cosiddetti lavoratori atipici e procedendo con una progressiva e costante esternalizzazione delle proprie attività mediante affidamento a cooperative o società esterne. Tale fenomeno, che talvolta ha assunto dimensioni quantitative considerevoli, con ricadute non sempre positive sulla qualità ed efficienza dei servizi, ha spesso suscitato, anche da parte sindacale, aspre critiche, nella convinzione che questo fosse un modo per impedire nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato, sostituito da forme di precariato sempre più diffuse.
In realtà, a mio avviso, la questione è mal posta. Nessuna biblioteca, a qualunque amministrazione essa appartenga, può infatti stabilire autonomamente di procedere all'assunzione di nuovo personale e le stesse politiche di blocco delle assunzioni adottate negli ultimi anni in tutta la pubblica amministrazione hanno di fatto impedito ogni ricambio nel personale. Di fronte a una tale situazione, che, ad esempio, ha portato il personale della Nazionale di Roma a una contrazione di oltre il 25% negli ultimi quindici anni, la scelta che si pone a chi ha la responsabilità di un istituto bibliotecario non è quella se assumere nuovo personale o ricorrere a figure atipiche, ma come tentare di riuscire a continuare a fornire i propri servizi a fronte di una costante, inarrestabile, dolorosa riduzione delle risorse umane disponibili. Al di là delle proprie convinzioni personali, in questo contesto, come giustamente ha fatto notare in AIB-CUR il responsabile di una biblioteca pubblica, non utilizzare tutti gli strumenti che l'attuale normativa mette a disposizione rappresenterebbe una mancanza di senso di responsabilità e un danno alla propria istituzione e alla propria comunità di riferimento, né sinceramente credo che un'eventuale contrazione nei servizi offerti o, come spesso accade, uno scadimento della loro qualità potrebbe convincere le autorità preposte a procedere con quelle assunzioni troppe volte e inutilmente richieste negli anni passati.
5) Come ho già detto, l'importante è non confondere i diversi piani e non pensare di poter sostituire con queste figure specifiche professionalità come quella del bibliotecario. Compito del responsabile della biblioteca sarà appunto quello di individuare precise aree di intervento in cui il contributo di queste figure consenta un utile apporto al personale di ruolo, senza immaginare improbabili sostituzioni che finirebbero solamente con il danneggiare, oltre che il servizio, lo stesso percorso di questi giovani, impiegati in mansioni per le quali non possiedono la necessaria preparazione. A questo proposito, ritengo che uno degli elementi più positivi della recente esperienza del servizio civile nazionale risieda proprio nell'obbligo, a carico degli enti che intendano usufruire del contributo dei volontari, di organizzare un percorso formativo iniziale che, pur nella sua essenzialità (le disposizioni attuative della legge n. 64 parlano di un minimo di 25 ore, riconoscibili, previo accordo con le università, in termini di crediti formativi), consenta a queste figure di essere introdotte nel "sistema biblioteca" con un minimo di consapevolezza e conoscenza in più, anche al fine di stimolare eventuali interessi futuri di questi giovani.
7) Per quanto ho finora detto, non ritengo che l'AIB debba assumere preconcette posizioni di chiusura rispetto a queste esperienze, ed in particolare rispetto al nuovo servizio civile, né, per converso, che ogni novità in questo campo debba essere aprioristicamente accolta con ingiustificati entusiasmi. Come per tutte le problematiche che investono il mondo del lavoro, compito dell'AIB dovrebbe essere, a mio avviso, un attento monitoraggio, anche attraverso la struttura dell'Osservatorio del lavoro, delle modalità con cui queste esperienze vengono realizzate nelle diverse realtà bibliotecarie, anche allo scopo di verificare che quanto di realmente innovativo era contenuto ad esempio nella legge n. 64 (percorso formativo, convenzioni con associazioni ed industrie private, riconoscimento di crediti formativi) non rischi con il finire progressivamente accantonato, trasformando anche questa nuova possibilità semplicemente in un'ennesima occasione per le amministrazioni pubbliche per far ricorso a nuove forme di precariato e di lavoro a termine.
Claudio Gamba
membro del Comitato esecutivo nazionale dell'AIB
1) La legislazione sul servizio civile nazionale permette l'utilizzo dei volontari in progetti concernenti il patrimonio culturale (con finalità di tutela) e i servizi alla persona. Mi sembra che le biblioteche, per uno di questi due casi, possano quindi rientrare nella tipologia degli utilizzi ammessi. Peraltro è da notare - per la seconda tipologia - come tali progetti si debbano calare in un ambito di "promozione della cooperazione e della solidarietà"; e, per tutti i casi, il fatto che il legislatore abbia posto particolare accento sulla formazione dei volontari stessi. Quindi, mi sembra, occorre che l'utilizzo dei volontari in biblioteca sia connesso con progetti e obiettivi che rispettino lo spirito della legge. Per esempio: è chiaro che le biblioteche di pubblica lettura sono anche un "servizio alla persona"; ma se si vuol caratterizzare questo servizio per una speciale attenzione alla cooperazione e solidarietà, mi sembra che si dovrebbe pensare a forme "speciali" di servizio, come il portare la pubblica lettura a categorie svantaggiate (malati, carcerati, anziani, immigrati ecc.) difficilmente raggiunte dal servizio "normale". Così come, in biblioteche di conservazione, si dovrebbero accentuare (come prescrive la legge) gli aspetti di tutela per l'utilizzo di volontari (quindi per esempio con attività straordinarie di controllo inventariale, riordino ecc.). In queste forme, sono convinto che l'utilizzo di volontari in biblioteca sia legittimo e da incentivare, anche per favorire lo sviluppo di una forma di "cittadinanza attiva" che mi trova particolarmente d'accordo.
2) Il discorso è molto lungo e complesso; e va molto oltre il problema dei "volontari". Infatti, le nuove forme di impiego "flessibili" utilizzate nel settore pubblico come in quello privato hanno raggiunto un grado di incidenza molto elevato nel mondo del lavoro. Non sempre con buoni risultati: c'è a mio avviso in questa questione un grande problema di fondo, epocale e sociale: ed è che la segmentazione e flessibilizzazione delle forme di impiego hanno generato certamente condizioni più favorevoli all'utilizzo di forza-lavoro in stretta relazione ai fabbisogni, e forse anche modificato positivamente le attitudini imprenditoriali e competitive delle nuove generazioni di lavoratori, costretti dal venir meno del "posto fisso" a maggiore preparazione, impegno e motivazione nella loro carriera.
Ma a fronte di questi (peraltro a me sembra molto spesso solo teorici) aspetti positivi, si è generata una profonda insicurezza sociale, un allungamento di quell'età di ingresso nel mondo del lavoro che è passaggio e costruzione del proprio futuro personale, professionale e sociale. Questo ha profonde conseguenze personali, sulle possibilità dei giovani di formarsi una famiglia, trovarsi una casa, fare scelte durature; ha conseguenze professionali, con l'impossibilità di restare stabilmente in un settore professionale accrescendo le proprie competenze; ha conseguenze sociali impedendo alle persone un impegno civile anche su altri fronti (politica, informazione, cultura ecc.) perché si è troppo presi in un'incessante "caccia al lavoro". Tutte queste cose ci sono anche nelle nostre biblioteche, e i problemi sono esattamente questi, con conseguenze anche pesanti sulla qualità e continuità dei servizi.
Io mi auguro che la tendenza alla "precarizzazione" del lavoro, nelle biblioteche come ovunque, non si accentui ulteriormente, e che le forme attualmente vigenti (principalmente oggi il lavoro a progetto, residualmente negli enti pubblici le collaborazioni coordinate e continuative) vengano meglio normate con l'aumento delle garanzie e dei diritti. Un problema centrale, in queste forme di lavoro, è il riconoscimento anche contrattuale della professionalità: non si può inquadrare un bibliotecario come un addetto alle pulizie, occorre far valere il principio (dichiarato anche nel recente contratto degli enti locali) che a parità di profilo professionale si abbia medesimo inquadramento, pur se in forme contrattuali diverse.
3) Basterebbe rispettare il primo articolo della citata legge 64 del 2001, che afferma la primaria necessità di garantire ai volontari una formazione. Credo che l'utilizzo di volontari, tirocinanti e obiettori debba sempre seguire questo principio. Capisco che in molte circostanze il carico di lavoro impedisca di svolgere questa attività formativa, ma occorre non stancarsi di ripetere che le amministrazioni che scelgono queste forme di collaborazione dovrebbero anche garantire questo aspetto. Probabilmente occorrerebbero opportunità formative gestite in cooperazione e controlli sul rispetto di questo principio.
4) Il rischio c'è, e non è certo nuovo: anche l'utilizzo dei "vecchi" obiettori di coscienza è stato in molti casi una surrettizia forma di copertura di carenze organiche. Quindi io non credo che l'istituzione (e ora il concreto sviluppo, anche per la cessazione della leva obbligatoria) del servizio volontario civile possa peggiorare questa situazione. Occorre anche qui vigilare, con senso civile perché ciò non avvenga, ed è una vigilanza congiunta di bibliotecari, responsabili dei servizi ma anche cittadini utenti, e volontari stessi.
5) Anche in questo caso, niente di nuovo, secondo me: la professionalità del bibliotecario purtroppo è spesso disconosciuta anche nel caso di impieghi di ruolo, ma con inquadramenti assai inferiori alla complessità delle attività svolte. Per questo credo che vada fatto crescere - anche nella percezione comune - il ruolo del bibliotecario, e che si debba perseguire senza sosta l'obiettivo del riconoscimento professionale in un quadro normativo definito e moderno.
6) Credo che in un certo senso abbia ragione, perché l'utilizzo di uno strumento legislativo che incentiva la cittadinanza attiva, la partecipazione dei giovani alla tutela e sviluppo del patrimonio civile della nazione, la formazione, non può essere rifiutato a priori: ma certamente questa non può e non deve essere una scelta fatta solo per far risparmiare alle amministrazioni un po' di costi del servizio.
7) L'AIB si sta impegnando fortemente sul fronte del riconoscimento della professione, anche tramite l'adesione al COLAP, il Coordinamento libere associazioni professionali che si batte a livello nazionale per una nuova legge di riconoscimento di tante professioni intellettuali oggi non definite e riconosciute. Anche l'impegno sul fronte della formazione è importante in questo ambito, perché volontariato e tirocinio non possono essere sostitutivi della formazione di base e di aggiornamento che gli operatori delle biblioteche hanno il diritto di avere dal sistema formativo da un lato, e dagli enti titolari dei servizi di biblioteca, dall'altro. Questo dovrebbe essere il compiuto e razionale sistema di accesso alla professione, di aggiornamento e di tutela e riconoscimento professionale, che da noi ancora manca. È utopia? Spero di no! Prospettiva lontana? Certo il cammino è ancora lungo, ma il futuro professionale dei bibliotecari italiani e l'impegno politico dell'AIB si giocano a mio parere proprio su questa impegnativa scommessa.
Alberto Petrucciani
Professore di Biblioteconomia all'Università di Pisa e già Vicepresidente dell'AIB
1-2) Secondo me bisogna distinguere in maniera molto netta fra il tirocinio professionale, di persone che si preparano a diventare bibliotecari, e l'utilizzazione del servizio civile, di volontari o di altre figure (per esempio le collaborazioni studentesche nelle università), per attività non professionali e che dovrebbero affiancarsi a quelle del personale retribuito ma non sostituirle. Senza questa chiara distinzione si fa danno sia alla biblioteca, dato che l'utilizzazione di persone non preparate peggiora la qualità del servizio, sia alle persone coinvolte, a cui si danno delle illusioni, sia alla professione nel suo complesso, dando l'impressione che le attività del bibliotecario possano essere svolte da chiunque alla bell'e meglio, senza una formazione prolungata e di carattere anche teorico. Non è un caso che tutte le professioni consolidate siano molto attente, fino all'eccesso, a questa netta distinzione. Se si sta attenti a questa distinzione, anche inserimenti temporanei di persone che non hanno e non avranno mai una professionalità nel nostro campo possono essere utili, non per fare il lavoro dei bibliotecari, ma per conoscerlo e per conoscere il funzionamento della biblioteca, oltre che per imparare a rendersi utili in una concreta realtà di lavoro.
3) Il tirocinio professionale deve sempre seguire una formazione organica, altrimenti si rischia di acquisire una pratica superficiale che fa più danno che beneficio. Può essere l'ultima tappa di un curriculum insieme alla tesi o tesina, come avviene oggi di solito a seguito della riforma didattica dell'università, o può essere svolto dopo aver completato gli studi, ma si rivela sempre importantissimo per il lavoro, perché consente di "respirare" quello che avviene nelle biblioteche e di inserirsi nell'ambiente, conoscere altre persone, ricevere notizie. In questi anni il tirocinio è diventato ancora più importante perché, tra concorsi col contagocce e blocco delle assunzioni da parte dell'attuale governo, è in pratica un requisito indispensabile per ottenere le prime occasioni di lavoro retribuito. È molto importante la scelta di dove indirizzarsi per il tirocinio ed è essenziale, secondo me, che il rapporto fra la biblioteca e il tirocinante, o se si vuole fra apprendimento e lavoro, sia equilibrato: da una parte il tirocinante deve ricevere l'attenzione adeguata, dall'altra deve dare un contributo effettivo all'attività della biblioteca.
4-5) Il rischio c'è, sicuramente, ma non mi sembra un buon motivo per rinunciare a queste opportunità. Bisogna, invece, che chi dirige le biblioteche abbia ben chiari gli scopi di ciascuna di queste opportunità e non si faccia trascinare da considerazioni superficiali a utilizzazioni che sembrano un risparmio ma si traducono in un danno. Lo stesso discorso vale, del resto, per gli appalti di catalogazione, spesso aggiudicati a cifre umilianti, con il risultato non solo di lavori pieni di errori e da rivedere da capo, ma di un peggioramento di qualità complessiva del nostro settore: si favoriscono le imprese peggiori, si demotivano le persone, si investe nell'ignoranza e nella superficialità invece che nella crescita qualitativa di tutte le parti in causa.
Le biblioteche servono a trasmettere cultura e conoscenza e dovrebbero ricordarselo in tutto ciò che fanno, anche nelle scelte di amministrazione, tecnologiche, o di gestione delle risorse umane.
6-7) Sia l'AIB che i direttori delle biblioteche, secondo me, non devono avere paura di difendere la professionalità, di distinguere sempre le attività professionali e richiedere per queste un livello adeguato di formazione e di competenza, così come di retribuzione e di inquadramento. Già oggi la stima per la nostra professione e per la qualità dei servizi bibliotecari non sono alte, lo sappiamo, e per migliorarle dovremmo investire nella competenza e nella qualità. Un utente che chiede delle informazioni in biblioteca nella maggior parte dei casi si trova di fronte persone che sono evidentemente impreparate a dargliele, come ha mostrato per esempio - se ci fosse bisogno di conferme - l'indagine sul campo che hanno svolto quest'anno come esercitazione i miei studenti. Ovviamente si possono incontrare anche bibliotecari preparatissimi e amabilissimi, ma questo succede purtroppo solo in una piccola minoranza dei casi. A difendere la qualità del servizio, insieme alla dignità del nostro lavoro, dovremmo essere noi per primi, dedicando la massima attenzione alla formazione e alla crescita professionale delle persone e dando a questi aspetti il dovuto riconoscimento.
Igino Poggiali
direttore dell'Istituzione Biblioteche di Roma e già Presidente dell'AIB
1) La questione va letta non in astratto ma rispetto alla funzione che queste figure vengono a ricoprire nei servizi. Se si pensa di sostituire il personale professionale con queste figure siamo fuori strada. Se queste figure svolgono compiti integrativi e di potenziamento e valorizzazione di un servizio di base sufficientemente strutturato, questi inserimenti sono non solo ammissibili ma auspicabili e opportuni. Fenomeni analoghi accadono nel servizio sanitario e assistenziale ma nessuno si sognerebbe di far prescrivere le cure o far fare gli interventi chirurgici ai volontari o agli obiettori. Le linee guida dell'IFLA-Unesco hanno peraltro già detto quasi tutto a questo proposito.
Occorre stare attenti a non fare mai confusione tra le funzioni del personale tecnico-professionale e le forme con le quali la società civile porta il suo contributo al funzionamento della biblioteca o di un altro servizio pubblico. Dobbiamo considerare che la biblioteca è diventata una piattaforma di opportunità per i cittadini molto articolata e complessa nella quale la prestazione del servizio da parte degli operatori è solo una parte delle cose che vi accadono. Se cittadini singoli o organizzati da associazioni o incentivati da leggi di promozione come quella del servizio civile si prendono cura di un'attività o di un progetto che vada oltre le funzioni strettamente tecniche e porti i libri agli anziani o vigili una sala di lettura o una sala di un museo consentendo di offrire più spazio e più tempo ai cittadini per lo svolgimento delle loro attività, non ci vedo nulla di male.
2) Sulla base di quanto ho appena detto il concetto di figura atipica si riduce drasticamente. Potremmo dire che una struttura ideale può avere personale professionale di ruolo con contratto a tempo indeterminato, personale professionale per progetti e programmi straordinari o per funzioni non specifiche dell'istituto con contratti a tempo determinato o fornito da aziende specializzate, persone in attività di apprendimento della professione che lavorano per imparare a fare bene il mestiere; tutto il resto delle figure presenti nelle biblioteche non deve mai essere considerato sotto la fattispecie della prestazione d'opera anche nel caso in cui si occupi di attività simili a lavori di minor impegno professionale. Il cittadino deve poter riconoscere da appositi cartellini le figure professionali da quelle volontarie e simili.
3) Le esperienze in corso sono molto varie e quasi sempre di buon livello e molto formative per chi le pratica con l'interesse ad apprendere. Del resto la biblioteca è di per sè un'organizzazione per l'apprendimento. Chi presta la sua opera in forme non inquadrate contrattualmente per imparare il mestiere mette in atto uno scambio equo tra il prodotto del suo lavoro e le cognizioni che il personale della biblioteca lo aiuta ad acquisire. Chi ci guadagna non è la biblioteca perché insegnare a chi non sa è un lavoro impegnativo e aggiuntivo. Se poi riceve una mano in cambio non mi pare sia poi così scandaloso. L'inserimento concreto nel mondo del lavoro, da parecchi anni è invece questione completamente disgiunta dai processi formativi di base e integrativi come quelli che potremmo fornire in biblioteca. Ma anche qui ci sarebbe molto da dire sull'irrazionalità di accogliere migliaia di studenti nelle facoltà di Beni culturali e affini e di abbandonarli poi alla ricerca di un posto di lavoro che non c'è e che comunque mai potrebbe esserci in quelle misure anche se la pubblica amministrazione decidesse all'improvviso di fare biblioteche in tutti i più piccoli borghi.
4) Il dibattito su questi aspetti è sempre caratterizzato da astrattezza e vizi ideologici. Nei fatti - purtroppo - laddove si accetta l'idea sciagurata di sfruttare l'abbondanza di domanda di lavoro per spendere il meno possibile non si farebbe comunque alcuna assunzione anche avendo i soldi per farla. E questo accade soprattutto nelle zone del Paese nelle quali i servizi sono più deboli o assenti.
5) Molto peggio, si trasmette agli utenti l'idea di un servizio banale ed improvvisato di nessun valore e per il quale non sarebbero mai disposti a fare una vertenza al proprio sindaco per ottenerlo.
6) Come ho già detto, nella biblioteca è lecito ed opportuno usare tutte le opportunità per dare al servizio la massima espansione. Il tutto nella chiarezza dei ruoli e nel rispetto delle regole. Per questo concordo con quella posizione anche perché l'ho ampiamente messa in pratica nelle biblioteche che ho diretto personalmente. Tra l'altro la presenza di obiettori in mezzo al personale di ruolo ha tenuto giovane il clima del gruppo ed è stata per quei ragazzi che erano quasi sempre nostri concittadini una grande opportunità nell'acquisizione di una percezione del valore del servizio pubblico che altrimenti non avrebbero avuto.
7) Credo che con l'istituzione dell'Osservatorio lavoro e dell'Albo professionale l'AIB abbia messo in opera le funzioni proprie di un'associazione professionale. Si tratta ora di rafforzare il livello dei rapporti istituzionali e con le organizzazioni sindacali per far passare i nostri punti di vista e presidiare il riconoscimento della professione e anche, lo dico senza timidezze, un livello salariale proporzionato alla complessità di questo lavoro.
Fausto Rosa
Direttore del Sistema bibliotecario di Abano Terme; membro dell'Osservatorio lavoro dell'AIB.
1) Affrontare il tema del volontariato in biblioteca significa innanzitutto sollecitare in molti bibliotecari che vi lavorano un'immediata reazione tesa alla difesa della professione e, sempre per riflesso condizionato, mettere in campo una lunga serie di argomentazioni legate alle questioni di una professione che in Italia non ha ancora trovato la giusta e necessaria attenzione, sia da parte delle istituzioni pubbliche, che da parte del mondo sindacale e del lavoro.
Prima di rispondere alle diverse domande sulle questioni del volontariato, vorrei chiarire gli ambiti di questo problema e spiegare, dal mio punto di vista, forme e specificità del volontariato stesso. Infatti, esistono a mio avviso tre diverse forme possibili di volontariato nelle biblioteche: il volontariato professionale, il volontariato associativo e il volontariato civile.
Il "volontariato professionale": è quello legato a percorsi formativi, solitamente realizzati tramite tirocini e stage. Questo tipo di volontariato risponde a esigenze ben specifiche e ha finalità chiare e condivisibili fra chi lo promuove, chi lo ospita e chi lo esercita: formare sul campo, tramite l'esperienza diretta, competenze e comportamenti professionali, spendibili poi nel settore delle biblioteche e delle varie strutture organizzative sul fronte dei servizi informativi e documentativi.
Il "volontariato associativo": in forte crescita e significativamente presente nel settore dei Beni culturali, soprattutto museali. È un fenomeno abbastanza recente in Italia, che ha registrato un vero e proprio boom a partire dagli anni Settanta, sotto la spinta dei grandi mutamenti culturali e sociali, ma che oggi rivela un particolare dinamismo. Già nel 1997 una ricerca nel settore contava che in Italia esistevano oltre 1600 associazioni operanti nell'ambito dei "servizi culturali", alle quali facevano capo più di 60mila volontari impegnati nella valorizzazione e promozione del patrimonio culturale. Scopo di queste organizzazioni volontaristiche è quello di collaborare con i vari enti per la gestione e la valorizzazione dei servizi culturali. Possono dunque compiere, da una parte, un'azione di supporto ai servizi presenti nelle varie strutture affiancando gli operatori già presenti e, dall'altra, colmare le carenze di personale addetto che spesso riducono le possibilità di fruizione delle strutture. Utile ricordare al riguardo che solo di recente si è giunti in Italia a riconoscere l'impegno e le capacità delle forze del volontariato, elaborando nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, regolate sul piano normativo, dalla legge quadro sul volontariato n. 266 del 1991 e la legge Ronchey del 1993. Questo tipo di volontariato si realizza non tramite accordi interpersonali, ma solo attraverso l'attivazione di canali di collaborazione tra le diverse associazioni di volontariato e le istituzioni pubbliche interessate.
Il "volontariato civile": istituito con la legge 6 marzo 2001, n. 64, è finalizzato (art. 1) a: a) concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi e attività non militari; b) favorire la realizzazione dei princìpi costituzionali di solidarietà sociale; c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale e internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona e alla educazione alla pace fra i popoli; d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile; e) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti e amministrazioni operanti all'estero.
Chiarito questo non ho ora difficoltà ad affermare che le mie contrarietà nei confronti del volontariato nelle biblioteche sono riferite a quello di tipo "civile", non riuscendo a capire come una così alta e preziosa risorsa possa o debba trovare collocazione nelle biblioteche, anziché nelle situazioni di vere e effettive emergenze sociali, non difficili purtroppo da immaginare. Si tenga presente che la stessa legge istitutiva dice che «il servizio civile volontario è un'importante e spesso unica occasione di crescita personale, un'opportunità di educazione alla cittadinanza attiva, un prezioso strumento per aiutare le fasce più deboli della società contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese».
2) È da alcuni anni che finalmente anche in Italia, pur ancora in assenza di un riconoscimento formale della professione bibliotecaria, si sono moltiplicate le agenzie e le occasioni di formazione professionale in campo bibliotecario. Molte università hanno previsto specifici corsi, sia di laurea semplice che di laurea specialistica nel settore della biblioteconomia; ma anche, a livello di formazione postdiploma, si moltiplicano gli interventi formativi con i corsi del Fondo sociale europeo, o di altre agenzie formative, quali le Regioni, le Province e i privati. Questi momenti formativi richiedono quasi tutti l'effettuazione di tirocini o stage, da realizzarsi all'interno di biblioteche, sistemi bibliotecari o comunque strutture operanti nell'ambito dell'informazione e della documentazione. Da questo punto di vista diventa quasi doveroso da parte di queste istituzioni il dare la propria disponibilità a ospitare queste occasioni formative che affondano nell'esperienza diretta sul campo e danno ai futuri bibliotecari concrete possibilità di verifica e di traduzione delle nozioni di tipo teorico e generale apprese.
È a questi giovani "volontari" che le biblioteche devono aprire le porte, consentendo loro di effettuare stage e tirocini che, molto utilmente, li mettono in contatto con il mondo reale del lavoro a cui si stanno preparando. Facile pensare al possibile danno che verrebbe arrecato a questi "futuri bibliotecari" che, per non perdere opportunità lavorative, dopo aver portato a conclusione, anche con stage e tirocini, il loro impegnativo curriculum formativo, si vedrebbero "costretti" anche ad abbracciare la scelta del "volontariato civile", per non vedersi superati da altri giovani volontari non formati, ma comunque allettati da questo, forse facile, ma certamente retribuito "volontariato civile"!
4) Ribadisco quanto appena detto: l'accoglienza nelle biblioteche del volontariato civile creerà non pochi problemi ai giovani laureati che aspirano, di diritto, alla professione di bibliotecario. Non trovo sufficientemente approfondita la riflessione di chi ritiene che il "volontario civile" non toglierà opportunità lavorative a chi ha investito tempo e studi in questa professione. Si provi a verificare quanti sono stati i giovani "obiettori di coscienza" che, dopo aver espletato questo doveroso impegno civile, sostitutivo del servizio militare, hanno poi avuto la fortuna (o il privilegio) di riuscire a trovare la propria attività lavorativa nello stesso comune a cui si presentarono in veste di "obiettore di coscienza". Non prendiamoci in giro!
Si faccia invece una seria riflessione su alcune considerazioni che non possono essere sottaciute: lo svilimento di un'alta e nobile idealità sociale, qual è quella del volontariato civile. Infatti, questa esperienza dovrebbe essere accessibile a tutti i giovani, a prescindere dalla specifica situazione in cui il volontariato andrà poi ad essere messo in atto, e quindi eventualmente anche nelle biblioteche…; ma sappiamo che così non è, perché sono abbastanza note le procedure selettive e i colloqui preliminari che i direttori o i responsabili di servizio mettono in atto per "scegliere" i volontari civili più produttivi per le proprie biblioteche. Questo sta a significare che la vera molla che fa muovere le amministrazioni verso il volontariato non è quella di dare attuazione ad un'esperienza umana di disinteresse e altruismo, ma quella di trovare, anche se in forma pienamente legittima, l'ennesima soluzione d'emergenza per superare problemi di strutture insufficienti e di risorse limitate.
Vorrà anche dire, in definitiva, che il vero volontario civile, quello ideale e giovanile, troverà la sua realizzazione effettiva solo nelle situazioni sociali più impegnative e "poco convenienti", come nelle corsie degli ospizi per anziani o nelle cucine popolari; mentre, nelle nostre biblioteche, avremo il "volontario professionista" che, dal suo giusto punto di vista, ha interesse a far di tutto perché l'esperienza volontaria diventi poi, a tutti gli effetti, una vera ed effettiva occasione di lavoro.
Chi, senza una particolare riflessione, va alla caccia di "volontari civili" per la propria biblioteca, dimentica che questo modo di agire avviene oggi in presenza di un fenomeno fino a qualche anno fa quasi del tutto assente, cioè la presenza di agenzie formative, soprattutto universitarie, che sono oggi impegnate alla formazione della figura professionale del "bibliotecario", penalizzando non poco chi si sottopone a questi impegnativi percorsi formativi.
5) Rispondo a questa domanda semplicemente elencando quattro ragioni, che tutti conosciamo, che dimostrano quale sia la complessità, ma anche l'importanza di una professione che in Italia attende ancora il diritto al riconoscimento. In questa situazione il ricorso a soluzioni d'emergenza non fa che aggravare la situazione:
1. Il rapido sviluppo delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche e il ruolo dell'informazione nella società degli anni 2000 stanno rivoluzionando l'organizzazione della vita sociale, al cui funzionale equilibrio contribuisce non poco l'efficace funzionamento dei servizi di accesso al sapere e alla conoscenza. Le professioni del libro, inteso questo come strumento-simbolo per la distribuzione del sapere, avranno un ruolo sempre più strategico nella società dell'informazione.
2. L'importanza della gestione competente ed efficace dei servizi al cittadino: in questi ultimi anni, grazie alla maggiore consapevolezza acquisita dalla collettività circa i propri diritti di accesso e fruizione dei servizi pubblici, è stato profondamente rivoluzionato il quadro normativo, che ha riportato al centro dell'attività amministrativa la questione dell'efficacia dell'efficienza e del controllo/valutazione dei servizi per i cittadini. È sempre più essenziale garantire la qualità. Investire denaro pubblico (e privato) in beni e servizi informativi e culturali non è sufficiente ad allargare il mercato della cultura. L'espansione dei consumi va sostenuta migliorando la qualità dei servizi. Per usare una formula forse ormai un po' logora, bisogna che anche i bibliotecari imparino a gestire il patrimonio culturale con un ottica di tipo imprenditoriale; più in generale, organizzare una biblioteca, un museo, un teatro stabile, ecc. comporta attività e iniziative che oggi richiedono preparazione e professionalità.
3. La progressiva e inevitabile tecnologizzazione dell'attività bibliotecaria: i bibliotecari stanno oggi vivendo la necessità di un rapido adeguamento professionale di fronte alla comparsa, dilagante, dei nuovi strumenti tecnologici di organizzazione e gestione delle informazioni e dei documenti. Non è più pensabile che questa professione possa essere ancora appiattita sulla dimensione impiegatizia e di profilo statico, come tale è percepita da chi pensa sia ottimale l'inserimento del "volontariato civile", ma anche del "volontariato associativo" in questo ambito lavorativo. Relativamente all'importanza di una professionalità finalizzata al trattamento dell'informazione e della documentazione, è bene richiamare le Raccomandazioni che, nel 1998, la Commissione Cultura del Consiglio l'UE, ha predisposto in merito al lavoro culturale nella società dell'informazione, dal titolo I nuovi profili e competenze professionali per gli esperti dell'informazione e gli operatori della conoscenza che operano nelle industrie e nelle istituzioni culturali.
6) Nessuno vuole entrare nel merito di scelte locali che vengono adottate nel merito dell'utilizzo di obiettori di coscienza o, in loro sostituzione, di volontari civili. Se le condizioni locali hanno fatto decidere in questo senso, è perfettamente legittimo l'operato del responsabile di servizio, che avrà agito nel rispetto delle prescrizioni normative e amministrative che egli è tenuto ad attivare e rispettare.
Vorrei però esprimere alcuni dubbi nel merito di tali scelte che sono, l'ho già detto, perfettamente legittime:
- se il responsabile di servizio, magari preso da situazioni di emergenza, non abbia prima attentamente vagliato e valutato altre possibilità. Mi riferisco all'utilizzo, per me prioritario, del volontariato professionale, realizzabile con l'accoglienza di giovani tirocinanti o stagisti, spesso già preparati e fortemente motivati all'apprendimento della professione bibliotecaria;
- un altro dubbio mi rimane sul modo di ricorrere al "volontariato civile": se si leggono e analizzano con attenzione i bandi pubblici di ricerca di questi volontari, è facile rilevare come da essi traspaia, in modo persino evidente, sia la significativa specializzazione dell'attività lavorativa richiesta e sia la presenza di requisiti professionali, definiti preferenziali, che certamente non tutti i giovani aspiranti volontari possono avere. Mi pare chiaro che la legge prevede invece che l'attività lavorativa del volontario civile debba essere di tipo generico ed estensivo. Inoltre, la selezione dei candidati non dovrebbe certo avvenire sulla base di requisiti professionali, ma semplicemente sulla verifica di altri valori, che sono quelli umani, delle motivazioni civili e sociali che hanno mosso la persona volontaria a quella scelta.
7) L'impegno dell'AIB su queste problematiche dovrebbe essere, a mio avviso, il seguente:
- dare ulteriore forza e vigore alle proprie iniziative sul riconoscimento giuridico e istituzionale della professione bibliotecaria in Italia; come i medici, o gli assistenti sociali non potranno mai essere "sostituiti" da volontari magari bravissimi, così anche nel settore delle biblioteche, comprese quelle degli enti locali, non potrà fare il bibliotecario se non colui che ha avuto il riconoscimento professionale per tale compito;
- impegnarsi a monitorare il fenomeno del volontariato nelle biblioteche italiane, raccogliendo ed elaborando dati che diano una chiave di lettura e di interpretazione circa l'uso di questo strumento di supporto. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata al monitoraggio del "volontariato civile", per verificare la correttezza nell'uso e nella verifica di un suo possibile danneggiamento dei diritti alla professione di giovani che si sono impegnati in percorsi formativi e di studio, fatti anche di stage e tirocini gratuiti, per un possibile accesso alla professione bibliotecaria;
- collaborare più direttamente e attivamente con gli enti che hanno il carico istituzionale della formazione professionale del bibliotecario. Nello specifico l'AIB potrebbe anche predisporre e tenere aggiornata una banca dati in cui biblioteche ed enti formatori potrebbero trovare il punto di incontro per la realizzazione dei previsti stage e tirocini formativi.
PONZANI, Vittorio - ZAGRA, Giuliana. Tirocinio, volontariato, servizio civile: intervista a più voci, quasi un'inchiesta «AIB Notizie», 16 (2004), n. 3, p. 7-14.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2004-04-13 a cura di Franco Nasella
URL: http://www.aib.it/aib/editoria/n16/0403inchiesta.htm