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Punti su una retta, porte sull'iperspazio

di Giulia Visintin


Intervento alla giornata di studio delle biblioteche comunali di Milano Un alieno in biblioteca, ovvero Come orientarsi tra gli scaffali della nostra galassia, 31 gennaio 2001, <http://www.aib.it/aib/aibcur/age/w0101/a010131a.txt>.


La maniera più spontanea di guardare a molti degli schemi di classificazione in uso nelle biblioteche ci porta sovente a considerarli dal punto di vista della loro conformazione gerarchica, e questo vale a maggior ragione per un sistema come quello di Dewey, che una delle definizioni più comuni in letteratura ascrive alla categoria dei sistemi gerarchico-enumerativi. Il che significa vederlo quasi sempre come una struttura ad albero, o una serie di scatole cinesi via via più piccole, definite nel proprio ambito concettuale con una progressivamente maggiore ricchezza di particolari.

Prendendo spunto da una bella espressione di Michael Gorman, vorrei suggerirvi oggi di provare a considerare lo schema di classificazione come "una linea retta da 000 a 999 o da A a Z". Questa prospettiva risulta particolarmente illuminante dell'applicazione della classificazione alla collocazione, perché rappresenta in maniera astratta quello che vediamo e tocchiamo con mano nelle biblioteche a scaffale aperto che organizzano i propri documenti secondo un ordine sistematico. Per quanto possa svilupparsi in lunghezza, magari in molte stanze o addirittura su molti piani, possiamo vedere la raccolta disporsi lungo una sequenza lineare, marcata punto per punto dalle classi rappresentate da ciascun gruppo di documenti disponibili. Per capire come questi punti tracciati su una retta possano diventare porte sull'iperspazio, bisogna però fare un passo indietro, anzi tornare alla nascita stessa dello schema di Dewey, e a una frase giustamente citatissima del suo stesso autore:

"Il sistema è stato ideato ai fini della catalogazione e dell'indicizzazione ma, sperimentandolo, lo si è trovato altrettanto valido per numerazione e ordinamento di libri e opuscoli negli scaffali" [1].

Se Dewey aveva la paternità intellettuale dalla sua parte, a farlo consapevole del buon diritto di una simile affermazione, penso proprio che, anche soltanto per il fatto di essere qui a discuterne ancora dopo centoventicinque anni e milioni di libri collocati con questo sistema sugli scaffali di biblioteche in tutto il mondo, possiamo sottoscrivere anche noi le sue parole.

Sono state usate varie metafore per rappresentare i singoli elementi dello schema: dalle ramificazioni arboree di ascendenza filosofica (già le classificazioni elaborate nell'antichità si rifacevano a questa immagine) agli anelli di una catena, ai gradini di una scala. Ma queste fanno riferimento alla struttura della classificazione, più che alla sua applicazione pratica -- tanto nel catalogo quanto nella collocazione dei documenti. Quando lo schema viene usato, in una biblioteca, su una raccolta di documenti, simboli e classi relative sono senz'altro porte d'ingresso alla complessità della raccolta, alle infinite dimensioni che possiamo leggere in una biblioteca percorrendone il reticolo di correlazioni, quelle interne e quelle rivolte verso l'esterno. Se dunque la biblioteca può essere vista come un caso eccellente di ipertestualità [2], quale migliore esempio di percorso iperspaziale di quello offerto da una raccolta catalogata, indicizzata, numerata e ordinata per mezzo di uno schema classificato?

Uno schema che -- applicato -- rimanda vicendevolmente alle sue due sponde, quella dell'informazione sintetizzata nel catalogo e quella della posizione rappresentata nella realtà fisica. Entrambe le sponde, poi, non si limitano a presentarsi o rappresentarsi nella mera funzione primaria di localizzazione: trovare nel catalogo l'informazione desiderata, scovare nello scaffale il volume cercato.

Nel caso del catalogo, la natura simbolica della rappresentazione delle classi (i numeri Dewey) comporta l'istituzione di una accessibilità meno arbitraria, per mezzo di espressioni verbali: e infatti l'indice alfabetico è stato fin dall'origine considerato "cuore del sistema", "importante corredo", insomma "una delle caratteristiche essenziali" [3]. Non è irrilevante che il suo nome ufficiale sia "Indice relativo": non solo via di recupero, dunque, del numero giusto per ciascun soggetto, ma strumento che "mette in relazione" i soggetti specifici (o parenti dispersi, giusta l'espressione di Diego Maltese) con le discipline di appartenenza.

Oltre all'indice dello schema, uno strumento a disposizione per raggiungere il simbolo rappresentativo della ricerca nel catalogo è anche -- dovrebbe anzi essere il primo offerto -- l'indice alfabetico dei soggetti effettivamente trattati nel catalogo di una data biblioteca, indice che rimanda appunto agli equivalenti simbolici. Il metodo più coerente per allestire questo indice è quello dell'indicizzazione a catena.

"Le sue principali caratteristiche sono l'"economicità" e la "sistematicità". La prima si riferisce al numero di voci d'indice che vengono create per un soggetto: il metodo è economico perché fornisce punti di accesso ad un soggetto [...] a partire da tutti i termini significativi che lo compongono (e anche da termini più generali), evitando la loro permutazione. La seconda si riferisce alla procedura con la quale vengono create tali voci: il metodo è sistematico poiché le voci vengono derivate con una semplice routine da una catena gerarchica modulata sulla classificazione" [4].

Allo stesso modo delle voci prodotte dall'indicizzazione a catena, che accompagnano su e giù per i rami, o i gradini della scala, della classificazione in atto, una scelta utile può essere quella di classificare con simboli ricavati dalle tavole integrali -- quindi simboli talvolta piuttosto lunghi -- nel catalogo, riservando alla costruzione delle segnature gli stessi simboli, ma nella versione abbreviata, da edizione ridotta. A questo scopo le tavole stesse offrono indicazioni precise di segmentazione dei numeri. Non si tratta di un espediente pratico, perché "le etichette sui dorsi non hanno spazio per numeri troppo lunghi", ma di sfruttare le differenze di profondità per moltiplicare i percorsi possibili all'interno del medesimo linguaggio d'indicizzazione.

Non è poi impossibile che -- per ragioni dettate da convenienze nella disposizione dei volumi -- la collocazione di certe opere che avrebbero diritto ad un dato simbolo di classificazione abbia luogo per mezzo di una segnatura anche abbastanza diversa: un'opera in più volumi monografici che si preferisce lasciare unita sullo scaffale, una collana che per motivi estetici (perché no?) si vede riservato un posto a sé. Al simbolo che costituisce la segnatura si attribuirà dunque il solo ruolo di localizzazione, mentre nel catalogo ciascun titolo verrà classificato nella maniera più appropriata [5].

Un'altra ricchezza della duplice dimensione catalografica e spaziale della classificazione è infine data dalla possibilità di mettere in evidenza particolari categorie di pubblicazioni aggiungendo qualche cosa alla segnatura classificata, o addirittura sostituendola con un simbolo affatto diverso, in modo da provocare uno spostamento fisico in alcuni settori della scaffalatura, lasciando al catalogo sistematico il compito di fornire la completezza dell'informazione classificata. Nelle biblioteche pubbliche è pratica talmente diffusa da apparire scontata, ad esempio, la disposizione in luoghi adatti alle persone più giovani dei libri e degli altri documenti che a loro si rivolgono (le biblioteche per ragazzi), e quasi nella stessa misura è abituale mettere in risalto la letteratura narrativa, quella che si cerca senza doversi preoccupare di conoscere la nazionalità o la lingua in cui hanno scritto Joseph Conrad o Henry James.

E naturalmente non si può non considerare tutto ciò che abbiamo finora lasciato da parte della rete di correlazioni presenti e percorribili in quell'ipertesto nell'ipertesto che è il catalogo: quella rete che ci permette di entrare in biblioteca grazie al nome di un autore che ci interessa, e di scoprirne altri che hanno studiato lo stesso argomento, o di appassionarci alla scrittura di una romanziera al punto di volerne conoscere anche la produzione saggistica e poetica.

Dal punto di vista dei bibliotecari, poi, basterà solo un accenno al fatto che la dimensione classificata del catalogo risulta particolarmente appropriata come base per rilevamenti e analisi delle linee di sviluppo delle raccolte e per gli altrettanto necessari rilevamenti delle abitudini e preferenze del pubblico in fatto di consultazione e prestito.

Passando poi all'evidenza concreta, reale, della disposizione dei documenti, è quasi banale riflettere sulle possibilità offerte dalla vicinanza immediata di altri documenti sul medesimo argomento di quello cercato, che nel più semplice dei casi allargano la risposta data dalla biblioteca alla domanda del lettore, e nei migliori esempi di serendipità (cioè di fortunate scoperte accidentali) offrono non solo di più, ma di meglio alla curiosità di chi percorre gli scaffali [6]. Il caso mortificante di "cercare quel che si è trovato" [7], cioè di accontentarsi di quel che passa il convento, magari dopo una ricerca resa difficile da un catalogo poco amichevole, si rovescia nel suo opposto positivo, di trovare negli scaffali non solo il titolo che si è venuti a cercare, ma vicino ad esso il documento che fa anche meglio al proprio caso, e che non ci si aspettava di trovare o che addirittura non si sapeva neppure che esistesse.

Ma poiché una delle dimensioni dell'iperspazio è quella diacronica, non si può dimenticare la possibilità che una raccolta organizzata e collocata sistematicamente venga all'occasione riorganizzata in parte secondo criteri dettati da esigenze differenti. La realizzazione e la teorizzazione più compiute di questa possibilità ci vengono dal modello della dreiteiligte Bibliothek [8]. Una biblioteca, cioè, che sappia redistribuire regolarmente i propri documenti, che non si adagi sulla staticità di una collocazione decisa una volta per tutte. Questo vale tanto per i documenti su supporto diverso: libri e registrazioni sonore, videocassette e riviste, giochi e carte geografiche, per i quali in una biblioteca pubblica il criterio della prossimità tematica dovrebbe senz'altro prevalere su quello della separazione dei media in base alle caratteristiche fisiche. Ma vale soprattutto per quel che riguarda la capacità di offrire, per mezzo di rinnovate disposizioni dei documenti, una nuova possibilità di vita a documenti trascurati o dimenticati, fuori mano. Una chiosa alle leggi di Ranganathan: "a ogni libro il suo lettore" e "a ogni lettore il suo libro" potrebbe essere "a ogni libro il suo posto", un posto che può cambiare nel tempo, comportando uno spostamento talvolta permanente, talvolta effimero, ma non per questo meno efficace. È naturale che per far vivere (o rivivere) con questo metodo la collezione di una biblioteca, il sistema di collocazione individuale, le segnature in relazione biunivoca con ciascun documento dovranno essere solidamente costruite -- anche in un sistema di collocazione mobile -- in maniera tale da svolgere comunque la funzione di individuazione e recupero che ad esse compete. E in una collocazione sistematica questo avverrà grazie ad una chiara ripartizione di compiti fra funzione classificatoria del catalogo e funzione di reperimento delle segnature (con eventuale riferimento ad un catalogo topografico).

"Ogni giorno, nelle biblioteche di tutto il mondo, i catalogatori compiono uno sforzo di splendida audacia intellettuale: classificano libri e altri documenti. In altri termini, riducono le infinite dimensioni della conoscenza ad una linea retta da 000 a 999 o da A a Z. [...] Ogni giorno i bibliotecari fanno la cosa impossibile a farsi -- classificano. E il bello è che funziona: i numeri di classificazione, punti tracciati sulla retta, permettono ai lettori di trovare facilmente i documenti [...] Tutto perché i bibliotecari mettono in atto l'impossibile senza fare una piega!" [9].


Note

1. L'affermazione compare, proprio all'inizio, nella prima edizione dello schema, pubblicata nel 1876.

2. Una biblioteca è un ipertesto che cresce è il titolo di un intervento di Riccardo Ridi (in CD-ROM e basi dati: catalogo '96. E.S. Burioni, 1995, p. 308-317), uno studioso che anche in molti altri suoi scritti ha contribuito a sviluppare questa definizione.

3. Definizioni prese tutte (come la citazione immediatamente successiva) da Classificazione decimale Dewey / Luigi Crocetti. Associazione italiana biblioteche, 1994, p. 42; ora nell'edizione aggiornata a DDC 21, di L. Crocetti e Albarosa Fagiolini, AIB, 2001, p. 47.

4. L'indicizzazione a catena / Alberto Cheti. In: Lezioni di biblioteconomia. Regione Toscana, Giunta regionale, 1994, p. 99-123 (il luogo citato a p. 103-104).

5. Andrebbe anche osservato che "Alcune regole applicative generali sono divenute parte integrante della Classificazione [...]. Alcune di esse [...] sembrano concepite, più che in un contesto propriamente classificatorio, per la biblioteca che usa la DDC per collocare fisicamente i documenti negli scaffali, là dove gli oggetti non possono occupare più d'una posizione. In un catalogo classificato (o in una bibliografia classificata) non si pongono problemi del genere e, se le regole suddette non vi fossero seguite, l'ortodossia deweyana non dovrebbe soffrirne troppo." (Classificazione decimale Dewey / Luigi Crocetti. Associazione italiana biblioteche, 1994, p. 47); ora nell'edizione aggiornata a DDC 21, di L. Crocetti e Albarosa Fagiolini, AIB, 2001, p. 52, con un paio di lievi differenze, fra le quali l'avverbio finale, divenuto "affatto".

6. L'esempio classico di biblioteca istituita e costruita sulla base della "legge del buon vicinato" è quello della Biblioteca Warburg: Warburg continuatus: descrizione di una biblioteca / Salvatore Settis. "Quaderni storici", n. 58 (aprile 1985), p. 5-38.

7. L'espressione è stata usata in Le clair et l'obscur: usage de la classification à la Bibliothèque publique d'information / Anne Dujol. "Bulletin des bibliothèques de France", 31 (1986), n. 3, p. 232-237.

8. La biblioteca a tre livelli: un nuovo approccio per l'utenza / Ute Klaassen. In: La biblioteca efficace: tendenze e ipotesi di sviluppo della biblioteca pubblica negli anni '90. Ed. Bibliografica, 1992, p. 69-75; Il laboratorio di Gütersloh / Laura Ricchina. "Biblioteche oggi", 15 (1997), n. 2, p. 38-48.

9. Our singular strenghts: meditations for librarians / Michael Gorman. American Library Association, 1998, The impossibility of classification, p. 106.


Copyright AIB 2005-01-12, ultimo aggiornamento 2005-01-12, testo di Giulia Visintin, a cura di Claudio Gnoli.
<http://www.aib.it/aib/contr/visintin5.htm>

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