di Michele Santoro
Pubblicato anche a stampa su "Biblioteche oggi", 13 (1995), 8, p. 48-57; edizione in "AIB-WEB Contributi" col permesso dell'editore originario.
2 : Rinnovamento, sperimentazione, contrasti
Può un sistema di classificazione arrivare alla soglia dei cento anni e mantenere intatta la propria validità sia sul piano dei contenuti scientifici, sia su quello delle caratteristiche bibliografiche? La risposta, a chi guardi alle vicende degli schemi di classificazione da sempre adottati come strumento di organizzazione delle conoscenze in biblioteca, è senz'altro affermativa, ma ad una condizione: che vi sia una costante manutenzione del sistema stesso, un suo continuo aggiornamento e miglioramento non solo alla luce delle trasformazioni che avvengono nei diversi campi del sapere, ma anche sulla base delle innovazioni e dei mutamenti strutturali che le classificazioni manifestano nel corso della loro storia [1].
La Classificazione Decimale Universale, nata da una costola dello schema di Dewey ed estesasi fino a servire una comunità straordinariamente ampia di utenti, sta varcando questa fatidica soglia con la precisa consapevolezza di mantenere un impianto per molti versi tradizionale sia nella struttura classificatoria sia nella ripartizione delle discipline, e di non essere sempre in grado di rispondere con tempestività alle esigenze di aggiornamento scientifico e terminologico; ma con l'analoga certezza di possedere requisiti di estrema dinamicità che, pur non facendone una classificazione a faccette [2], le permettono di esprimere in maniera sintetica concetti anche molto complessi.
In questa sorta di schizofrenia si riflette l'intera storia della CDU, cioè di uno schema in cui agli aspetti tipici delle classificazioni gerarchiche si sono aggiunti una pluralità di elementi volti a potenziarne le caratteristiche di sintesi e a trasformarlo in un sistema più dinamico ed efficace. L'inserimento di principi di sintesi su uno schema enumerativo, se da un lato ha prodotto una struttura ineguale e a volte contraddittoria, dall'altro ne ha decretato il successo, specie in quelle biblioteche specializzate e centri di documentazione dov'era necessario un trattamento dell'informazione approfondito e dettagliato. La forza innovativa di questi principi, com'è noto, è stata colta da Ranganathan e posta alla base dell'analisi a faccette, mentre le sue caratteristiche di classificazione enumerativa e sintetica insieme hanno posto la CDU al centro di una vasta serie d'indagini tese a valutarne non solo l'adeguatezza disciplinare e terminologica, ma le possibilità di trasformazione in uno schema a faccette o in una struttura thesaurica, o il suo impiego come strumento di traduzione fra diversi linguaggi documentari. Tali indagini d'altra parte non si sono arrestate neppure di fronte agli sviluppi dell'informazione elettronica e delle reti telematiche, che pongono alle strutture classificatorie delicati problemi nel trattamento di dati via via più numerosi, complessi e veicolati da supporti diversi da quelli tradizionali; ci piace pensare che a tali considerazioni risponda almeno in parte il proposito di trasformare la CDU in una più rigorosa struttura a faccette sulla base della Classificazione Bliss [3]: l'ultimo (e forse il più ambizioso) della lunga serie di studi e progetti sviluppatisi intorno a questo schema per emendarne i vizi d'origine e rafforzarne quel ruolo di punta fra le classificazioni documentarie che per tanti versi le appartiene.
Le note che seguono intendono ripercorrere alcune tappe di questa ormai secolare ricerca e dimostrare che, lungi dall'essere un monstre préhistorique come qualcuno ebbe a definirla [4], la Classificazione Decimale Universale si è venuta configurando come una sorta di schema-modello, di grande laboratorio sperimentale avente in sé i presupposti per l'elaborazione di strutture documentarie nuove e interessanti.
È fuor di dubbio che Paul Otlet fosse un uomo di ampie vedute, e che nei suoi progetti avesse trasfuso una particella dello spirito universalistico proprio della fin de siècle: basti pensare alla grandiosità del disegno, elaborato insieme a Henri La Fontaine, di costruire un "Répertoire Bibliographique Universel", ossia un archivio in grado di raccogliere le registrazioni catalografiche di tutte le pubblicazioni prodotte dall'uomo -- libri, articoli, rapporti tecnici, etc. -- e realizzare in tal modo quel controllo bibliografico universale [5] che aveva rappresentato per secoli l'ambizione di eruditi e bibliografi; a sostegno di tale progetto, com'è noto, Otlet e La Fontaine fondarono a Bruxelles l'Institut International de Bibliographie [6] con lo scopo di unificare i metodi catalografici e procedere alla creazione del repertorio universale. Il sogno dei due belgi di un'indicizzazione di tutto lo scibile s'infranse per diverse ragioni, fra cui l'esaurirsi dei finanziamenti da parte del governo belga e l'inadeguato e frammentario coordinamento internazionale; ma fors'anche perché era qualcosa di troppo avanzato e in anticipo sui tempi. Tuttavia il loro sforzo non fu vano, e andò ben oltre i sedici milioni di record trascritti da bibliografie e cataloghi: i risultati più duraturi dell'iniziativa infatti furono da un lato la nascita di una discipina -- la documentazione -- definita con precisione nei suoi fondamenti concettuali [7]; e dall'altro l'elaborazione di un nuovo schema di classificazione, la CDU appunto.
Le esigenze indicizzatorie di un archivio così vasto e approfondito erano in effetti assai diverse da quelle legate al semplice ordinamento dei volumi negli scaffali di una biblioteca: si rendeva cioè necessario un sistema di classificazione capace di descrivere il contenuto di documenti complessi -- quali articoli scientifici o rapporti tecnici -- con un grado di dettaglio tale da esprimerne tutte le possibili articolazioni semantiche. Consapevoli dell'inadeguatezza degli schemi allora in uso nelle biblioteche europee, Otlet e La Fontaine si rivolsero al sistema che Melvil Dewey aveva elaborato fin dal 1876, ottenendo dallo stesso Dewey l'autorizzazione a modificarlo per i fini propri dell'iniziativa [8].
Basandosi sulla quinta edizione della Classificazione Decimale Dewey, Otlet e La Fontaine cominciarono dunque ad apportarvi quei cambiamenti che ritenevano funzionali ai loro obiettivi. In particolare si focalizzarono sul principio del "dividi come", già anticipato nell'introduzione alla prima edizione della CDD ed espressamente previsto nella seconda [9]; tale principio permetteva di adottare, all'interno di una data classe, un certo numero di suddivisioni standard, in grado di specificare tutti quegli aspetti -- indicazioni di tempo, di luogo, di forma, etc. -- che potevano essere presenti nei documenti, ma che sarebbe stato impossibile prevedere ed antieconomico elencare esaustivamente nelle tavole dello schema: si trattava della prima applicazione di un principio di sintesi all'interno di una classificazione gerarchica, principio riconosciuto da Dewey, anche se limitato ad ambiti piuttosto ristretti [10]. Rendendo esplicita l'indicazione di Dewey, i due belgi enuclearono dunque una serie di "suddivisioni comuni" -- cioè categorie d'ordine generale applicabili a qualsiasi contesto -- nettamente distinte dalle vere e proprie suddivisioni elencate nelle tavole; rese riconoscibili da segni d'interpunzione o simboli matematici, le suddivisioni comuni consentivano di esprimere sinteticamente i molteplici aspetti di un documento [11], dando vita a notazioni più precise ed espressive.
Appare chiaro che l'introduzione delle suddivisioni comuni non rappresentò soltanto un'innovazione di tipo tecnico volta alla semplificazione delle stringhe notazionali, ma venne a configurarsi come un principio programmatico di primaria importanza, che liberava lo schema dall'esigenza di prevedere tutte le possibili voci per tutti i possibili concetti presenti nei documenti. Ma il cammino in direzione della sintesi non si arrestò a queste pur fondamentali conquiste, arrivando a investire l'aspetto più delicato e importante di ogni struttura classificatoria, e cioè la rappresentazione dei soggetti complessi, esprimenti non già le diverse caratteristiche (formali, cronologiche, linguistiche) di un documento, ma la sua appartenenza concettuale a due o più classi insieme.
La soluzione escogitata dai due pionieri, che costuisce una tra le innovazioni più significative nella storia delle classificazioni bibliografiche, prese il nome di "relazione" e fu espressa graficamente dal segno dei due punti. Attraverso una relazione diventava possibile esprimere congiuntamente due o più concetti appartenenti a discipline diverse, cioè dislocati in luoghi anche molto distanti della sequenza classificata: un documento sui rapporti della religione con la letteratura, ad esempio, aveva come simbolo notazionale 82:2; uno sull'arte in relazione con l'etica era rappresentato da 7:17. La strada verso la sintesi, già aperta dall'uso delle suddivisioni comuni, veniva in tal modo spianata del tutto, essendo consentita, in linea teorica, qualsiasi combinazione fra qualsiasi tipo di concetto.
La carica rivoluzionaria insita in tale principio verrà colta da Ranganathan, che s'ispirerà ad esso per l'elaborazione dell'analisi a faccette, e che giungerà a intitolare la sua classificazione con il nome del simbolo che lo rappresenta [12], volendo in tal modo indicare l'altissimo potere di sintesi in esso racchiuso; e senz'altro l'introduzione di quella che lo stesso Ranganathan definirà "relazione di fase" costituisce uno strumento assai efficace per la combinazione dei concetti: uno strumento che, se portato alle estreme conseguenze, avrebbe contribuito non poco ad allontanare la CDU dalla sua matrice gerarchica e ad attribuirle un ruolo nuovo e diverso nel campo delle classificazioni documentarie. Ma dai suoi creatori alla relazione di fase [13] non fu assegnata che un'importanza marginale: lo stesso Otlet la definì una "relazione generale" [14], di natura indifferenziata, volta semplicemente a indicare che un certo soggetto è studiato nei suoi rapporti con un altro; dunque, per i padri fondatori della CDU essa non poteva in alcun modo sostituire la maniera normale di rappresentazione dei concetti, che rimaneva la divisione gerarchica dal generale allo specifico e che si esprimeva attraverso la semplice aggiunta di una cifra decimale; insomma, come ha scritto Éric de Grolier, la relazione di fase veniva sì "ad aggiungersi al solo tipo di relazione fino ad allora conosciuto nelle classificazioni documentarie -- la relazione gerarchica da genere a specie (d'inclusione) -- ma come un semplice coadiuvante, destinato a dare maggiore comodità, maggiore flessibilità in casi particolari, non destinato interamente a servire da base alla classificazione: questa restava, nella sua essenza, di tipo gerarchico tradizionale" [15].
Malgrado la sostanziale incomprensione dell'importanza della relazione di fase, non si può disconoscere ad Otlet e La Fontaine il merito di aver delineato le caratteristiche -- fra l'enumerativo e il sintetico -- dello schema, ed elaborato un approccio decisamente nuovo nell'analisi e nella rappresentazione dei concetti, oltre ad aver inserito la CDU in una prospettiva internazionale attraverso la costituzione di organismi deputati al suo periodico aggiornamento.
Alla fase pionieristica seguì un lungo periodo in cui, sotto la guida di Frits Donker Duyvis [16], si moltiplicarono le edizioni -- in più lingue e di diversa ampiezza -- che determinarono lo straordinario successo del sistema: non c'è dubbio che lo schema deve molto a questo tenace olandese, che contribuì a consolidarne la struttura e a razionalizzare la ripartizione delle classi, oltre a promuovere una serie di comitati per la revisione e l'aggiornamento del sistema stesso. Questi progressi, d'altro canto, provocarono l'allontanamento sempre più deciso della CDU dallo schema di Dewey, come dimostrò lo studio di Geoffrey Lloyd [17] che mise a confronto i due sistemi sulla base delle prime tre cifre decimali: ma insieme all'avvenuta presa di distanze, il medesimo rapporto metteva in evidenza la struttura decisamentemente gerarchica della CDU, che non era riuscita, nonostante l'alto livello di dettaglio e le caratteristiche di sintesi introdotte, ad affrancarsi dalla matrice enumerativa propria del suo progenitore americano.
La natura ibrida dello schema era aggravata da un altro vizio d'origine, anch'esso ereditato da Dewey, e cioè la presenza di una base scientifica imperfetta e per molti versi superata, che aveva prodotto ripartizioni disciplinari per lo meno discutibili nei campi delle scienze umane, mentre del tutto inadeguata appariva la separazione fra scienze pure ed applicate, specie in un periodo in cui si tendeva ad una loro maggiore integrazione; tali problemi risultavano tanto più seri se venivano messi in rapporto con le esigenze di un sapere in tumultuosa crescita, che richiedeva strumenti d'indicizzazione sempre più sofisticati e atti ad una rappresentazione articolata e precisa dei contenuti [18]. La CDU, proprio perché era lo schema più adottato in quelle strutture -- biblioteche speciali e centri di documentazione -- in cui vi era una forte domanda di tali strumenti, non poteva sottrarsi a un'esigenza di revisione che andasse al di là del semplice aggiornamento lessicale e semantico: necessitava, in altri termini, di profonde trasformazioni che ne correggessero le inadeguatezze strutturali e la mettessero al passo con i più moderni e dinamici sistemi, ormai decisamente orientati verso una visione "a faccette" della classificazione.
Tuttavia, di fronte ad ipotesi di revisione radicale dello schema, appariva possibile una "riforma" che partisse dalle caratteristiche di sintesi in esso presenti e le valorizzasse ai fini di una migliore espressione dei concetti; poiché la relazione di fase era il meccanismo che più di ogni altro rappresentava tali possibilità, era naturale che le prime analisi si orientassero verso un suo potenziamento ed una sua estensione. Alla fine degli anni '50 dunque gli studi di Désiré Kervégant [19] ribadirono l'importanza di questo strumento, riconoscendogli il merito di aver spezzato il "corsetto di ferro" delle classificazioni enumerative e offerto la possibilità di esprimere concetti articolati; ma al tempo stesso ne individuarono i limiti, dovuti alla natura indifferenziata della relazione, che non precisava il tipo, la funzione o la finalità del rapporto semantico che andava a definire, provocando di conseguenza omonimie e ambiguità nelle notazioni. Dalle esemplificazioni dello studioso si notava infatti come l'indice 576.8.097 (antibiotici) messo in relazione tramite i due punti con 582.28 (funghi) dava vita a una stringa che significava indifferentemente "antibiotici originati da funghi" o "antibiotici usati contro i funghi"; così come 631.4 (suolo) in relazione con 633.11 (grano) poteva significare "relazione fra il suolo e il grano", "terreni vocati alla coltivazione del grano", "terreni coltivati a grano", "influenza del suolo sul grano", "influenza del grano sul suolo", "interazione del suolo e del grano" [20].
Per eliminare tali ambiguità, altamente dannose nell'espressione dei concetti, Kervégant propose di rendere esplicita la natura delle relazioni, precisandone la funzione, il significato o la finalità; per questo elaborò delle tavole di categorie (appartenenza, processi, dipendenza, orientamento, comparazione, etc.) a cui si accompagnava un sistema di frecce diversamente orientate e seguite da un numero d'ordine; in tal modo diventava possibile individuare ed esprimere con chiarezza tutti gli aspetti coinvolti in una relazione, le combinazioni fra concetti venendo "disambiguate" e rese evidenti nel loro valore semantico [21].
Un sistema siffatto, con tutta evidenza, rappresentava un'interessante e innovativa soluzione ai problemi posti dalla relazione di fase, ossia dallo strumento più prezioso posseduto dalla CDU per la combinazione e la sintesi dei concetti; si trattava tuttavia di un sistema poco intuitivo e di difficile adozione, e che pertanto venne respinto dalla FID. Invero la contrarietà della FID non fu motivata soltanto dalle difficoltà pratiche connesse al sistema, ma anche dall'opposizione espressa da un largo numero di utenti: è questo infatti il periodo in cui cominciò a manifestarsi il contrasto fra quanti erano avversi a modifiche che avrebbero comportato, nei fatti, la riclassificazione di intere raccolte documentarie, e quanti invece auspicavano un rinnovamento della CDU anche alla luce degli importanti sviluppi che si registravano nel campo delle clasificazioni a faccette. Le spinte in questa direzione, sostenute dalle indagini del Classification Research Group [22], fecero sì che agli inizi degli anni '60 l'analisi dettagliata della CDU ai fini di una possibile revisione fosse affidata a due noti studiosi e membri attivi del CRG quali Barbara Kyle per le scienze umane e sociali [23], e Brian Vickery per le discipline scientifiche e tecniche [24].
In particolare, l'analisi della Kyle si mostrò molto critica riguardo all'organizzazione delle classi di filosofia e religione, di cui metteva in luce l'ineguale distribuzione nelle tavole e la prevalenza di concezioni e dottrine occidentali; per le scienze sociali invece -- un ambito disciplinare che, a parere della studiosa, poneva notevoli problemi a tutte le classificazioni -- la CDU appariva il migliore fra gli schemi esistenti sia sul piano dell'elasticità che delle possibilità di revisione. Giudizi non sfavorevoli erano espressi anche per la letteratura e le arti, e per la geografia e la storia, classe quest'ultima per la quale risultava di notevole vantaggio l'impiego dei due punti nell'espressione di soggetti specifici. Malgrado ciò, concludeva la Kyle, non sembrava possibile raccomandare la CDU ad utenti che avessero bisogno di una classificazione dettagliata ed aggiornata, a meno di non procedere a revisioni radicali sia dal punto di vista amministrativo che dell'organizzazione delle discipline.
Lo studio di Vickery, d'altro canto, metteva a confronto le possibità della CDU con quelle delle contemporanee classificazioni a faccette, la cui superiorità veniva individuata nella capacità di raggruppare in maniera esplicita i termini per formare le faccette, nell'impiego di un sistema di notazione assai più conciso, e nell'ordine strettamente determinato di combinazione delle faccette. Vickery riteneva comunque possibile attribuire alla CDU caratteristiche analoghe sia continuando a introdurre termini specifici e revisionando di frequente lo schema, sia sostituendo l'attuale notazione con una più concisa ed espressiva; ma soprattutto esaltando le procedure di sintesi già esistenti, e in particolare la relazione di fase, che poteva risultare di notevole vantaggio nell'espressione dei concetti in ambiti disciplinari scientifico-tecnici.
Da questi importanti lavori si deduceva dunque l'interesse che la CDU continuava a rivestire per larga parte della comunità scientifica, ma anche l'improrogabile necessità di una sua revisione che la tenesse al passo con le più aggiornate classificazioni a faccette. Ma ancora una volta le esigenze di rinnovamento dovevano fare i conti con le obiezioni di non pochi fra i suoi utenti; un esempio si ebbe nel 1962, quando si decise di "svuotare" la classe 4 e trasferire il linguaggio insieme alla letteratura, mettendo a disposizione la classe libera per discipline che ancora non avevano un posto nello schema [25]. Poiché appariva chiaro che una tale riforma avrebbe condotto a modifiche sostanziali del sistema, negli ambienti FID si pensò di cogliere questa occasione per tentare una revisione complessiva della CDU: ma quest'ipotesi, com'era prevedibile, incontrò l'opposizione di molti utenti, e in particolare quelli delle aree scientifiche e tecniche, che non erano interessati agli sviluppi della classe 4 e preferivano che il sistema rimanesse com'era, o subisse adattamenti minimi e solo in caso di comprovata necessità. E tuttavia non venivano meno le richieste di quanti erano favorevoli ad un'avvicinamento della CDU ai principi dell'analisi a faccette, il cui paradigma si stava affermando sempre più nel campo delle classificazioni bibliografiche; a tali esigenze cercò di dare risposta l'importante lavoro di Jean Perreault, che rappresentò il primo tentativo di ristrutturazione della CDU su base categoriale dopo quello di Kervégant [26].
In linea con quanto rilevato dallo studioso francese, Perreault osservava infatti come nella CDU fosse possibile esprimere elementi quali lo spazio e il tempo, ma non relazioni più significative e profonde, che indicassero ad esempio che qualcosa "è strumentale per", "è causa di", "è condizione di", è "dentro", "sotto", "sopra", "prima", "durante", "dopo"; anche se la CDU prevedeva la combinazione dei concetti mediante i due punti, ciò che emergeva era l'assenza di qualsiasi criterio che individuasse il tipo di relazione nel momento in cui questa si andava a costituire. Per risolvere tali anomalie, Perreault fu indotto a costruire un sistema di "relatori" -- molto più ampio e filosoficamente fondato rispetto a quello di Kervégant -- i quali, anche se concepiti per gli indici della CDU, potevano essere accolti da qualsiasi altro sistema di classificazione per rappresentare i soggetti composti in modo più preciso ed espressivo.
Per riprendere anche in questo caso gli esempi dell'autore, si può notare che un soggetto quale "nuvole prima dell'uragano" verrebbe espresso con 551.576 fffa 551.55, essendo fff la relazione temporale e fffa l'anteriorità [27]; se "nuvole" fosse modificato da alcune caratteristiche accidentali presenti nel documento, divenendo ad esempio "velocità delle nuvole", la relazione sarebbe codificata come 551.576 dfd 531.76, indicandosi l'"accidente" con dfd; quando si determina un'espressione complessa come "velocità delle nuvole durante l'uragano", si possono usare le parentesi quadre per indicare la subordinazione sintattica: [551.576 dfd 531.76] fffb 551.55, e così via.
Lo studio di Perreault, pubblicato nel 1965 e successivamente revisionato [28], fu ben accolto dalla FID, anche se apparve chiaro che, per essere in grado di applicare con efficacia questi relatori, si sarebbe dovuto convertire l'intero schema in una classificazione a faccette: un'eventualità che non veniva certo esclusa dalla FID, i cui sforzi per giungere a revisioni effettive del sistema, intrecciandosi con le feconde indagini del CRG, davano vita a molteplici e interessanti ipotesi sul suo futuro.
Alla metà degli anni '60 dunque, stimolata dalle analisi del CRG e sollecitata dagli studi volti ad un suo miglioramento, la CDU conobbe una straordinaria crescita d'interesse, che non solo ne confermò il ruolo chiave tra le classificazioni bibliografiche, ma che la additò come uno dei più credibili candidati al ruolo di switching language, ossia di linguaggio di traduzione fra diversi linguaggi documentari. In questo periodo infatti si consolidò l'ipotesi di costituire una rete internazionale di collegamento fra i centri di documentazione scientifico-tecnici; poiché era essenziale che le informazioni possedute da un singolo centro, codificate in un certo linguaggio d'indicizzazione, fossero condivise anche da centri che adottavano linguaggi d'indicizzazione diversi, bisognava individuare un linguaggio "intermedio" che permettesse la traduzione fra questi linguaggi e rendesse così possibile lo scambio di informazioni fra i centri della rete [29]. Il primo passo verso l'identificazione di un efficace linguaggio intermedio consisteva ovviamente nel verificare se i linguaggi documentari esistenti -- schemi di classificazione, indici per soggetto o per parole chiave, thesauri -- potessero assolvere adeguatamente al ruolo di switching language; a tale scopo fu dunque costituito un gruppo di lavoro guidato da Vickery, il quale concluse la sua indagine sostenendo che, per un ruolo di scambio fra linguaggi documentari, risultavano inadatti tutti i sistemi esistenti, ad eccezione della CDU che emergeva come il meno insoddisfacente [30]. Tale risultato era dovuto per un verso al forte credito di cui la CDU godeva presso molti centri specializzati d'informazione, che di certo sarebbero stati fra i primi ad entrare nella rete, e per l'altro alle sue caratteristiche di elasticità e di sintesi e all'alto livello di dettaglio delle tavole; ma a suo favore militavano anche la vastità di adozione internazionale, che secondo un'indagine del 1968 veniva indicata in 100 000 utenti [31], la sua adattabilità a sistemi automatizzati [32], e infine il non trascurabile impianto organizzativo, in grado di far fronte ai problemi posti dal suo impiego come linguaggio internazionale di scambio [33].
A parere dei suoi sostenitori dunque la CDU era in grado di assolvere egregiamente alle funzioni proprie di uno switching language: da un lato infatti le sue edizioni in più lingue potevano risultare di notevole vantaggio nel tradurre le informazioni provenienti da centri che impiegavano le lingue nazionali nell'indicizzazione dei concetti; dall'altro, come linguaggio documentario esteso a tutto lo scibile, si prestava a diventare norma di riferimento interdisciplinare per i thesauri, il cui numero era in costante crescita in molteplici ambiti disciplinari. Numerosi studi vennero infatti condotti per verificare le possibilità d'interazione fra la CDU e i thesauri: ricordiamo in particolare l'indagine di compatibilità con il thesaurus EJC/TEST di ingegneria, che dimostrò come oltre l'80% dei descrittori TEST trovavano un esatto corrispondente semantico nei codici della CDU, che pertanto risultava particolarmente adatta come switching language per questo thesaurus [34].
Per la CDU tuttavia sarebbe stato impossibile esplicare un ruolo chiave come linguaggio intermedio senza ricorrere a drastici cambiamenti nella sua struttura, la qual cosa ovviamente le avrebbe alienato le simpatie e il sostegno degli utenti; e d'altra parte bisognava mettere in conto il ritardo con cui si procedeva agli aggiornamenti dello schema, in assenza dei quali sarebbe stato praticamente impossibile il suo impiego in una rete di informazione scientifica. In risposta a tali difficoltà la FID, attraverso uno speciale gruppo di lavoro, avviò il progetto per l'elaborazione di uno Standard reference code, cioè uno strumento concepito sia come switching language, sia come struttura di sostegno per una coerente revisione della CDU. In sostanza, lo Standard reference code doveva consistere in una mappa sinottica delle conoscenze condensata in 5.000 campi di soggetto; questi venivano organizzati per mezzo di due tavole parallele, la prima di tipo disciplinare, la seconda comprendente entità, categorie o faccette che potevano intervenire nella formulazione dei concetti [35]; la notazione era semplificata al massimo, non andando al di là delle quattro cifre. Con una tale struttura, semplice ed elastica insieme, lo Standard reference code non mirava a diventare uno strumento di indicizzazione e di recupero "di profondità", ma intendeva porsi come una sorta di griglia standard, in grado di raggiungere un certo livello di compatibilità con gli altri linguaggi di indicizzazione ed esplicare in pieno la funzione di switching language; ma allo stesso tempo non nascondeva l'ambizione di rappresentare una credibile alternativa alle proposte del Classification Research Group, tentando di costituire una base innovativa e concettualmente fondata per una revisione complessiva della CDU.
Il progetto ebbe difficoltà a decollare per i consueti motivi (opposizione degli utenti, difficoltà economiche della FID), ma l'idea di un codice di riferimento a larghe maglie, valido sia come linguaggio di scambio sia come schema per un'indicizzazione ampia, non fu abbandonata, venendo anzi sottoposta ad ulteriori elaborazioni fino a dar luogo, alla fine degli anni '70, al Broad System of Ordering, ossia a quel sistema teso a ridurre la profondità dell'indicizzazione per agevolare il trasferimento di larghi blocchi informativi, e a porsi come uno schema universale a faccette, in grado di abbracciare tutti i campi del sapere e di rispondere con agilità al rapido avanzamento delle conoscenze [36].
Le vicende dello switching language (e dei risultati cui sarebbe pervenuto), se da un lato evidenziavano le difficoltà di revisione dello schema dovute alle carenze organizzative e al conservatorismo degli utenti, dall'altro ribadivano per la CDU quel ruolo sperimentale, d'interessante laboratorio d'indagine nel quale poter sviluppare progetti e studi altamente innovativi. Ma a ridosso dei primi anni '70 l'interrogativo che molti continuavano a porsi era se lo schema avesse ancora una sua vitalità, magari da rinvigorire con l'immissione di robuste dosi di faccette, oppure se il monstre préhistorique non dovesse essere finalmente abbandonato, con tutta la sua impalcatura gerarchica e il suo ordinamento disciplinare tardo-ottocentesco. A queste domande risposero, con una precisione ed un rigore inusuali, due lavori di Ingetraut Dahlberg, che rappresentarono non solo le più accurate indagini mai realizzate sulle strutture dello schema, ma anche le più radicali proposte in direzione di una nuova Classificazione Decimale Universale [37].
Pur ammettendo l'importanza della CDU nell'ambito delle classificazioni bibliografiche, la Dahlberg infatti riteneva che, nella sua forma attuale, lo schema fosse lontano dall'essere un linguaggio ideale d'indicizzazione; considerava pertanto indispensabile la nascita di una nuova classificazione universale, di cui vi era una forte richiesta per realizzare lo scambio di conoscenze tra i centri specializzati di documentazione. Ad una prima analisi tuttavia la CDU poteva apparire perfettamente in grado di assolvere a queste funzioni, in quanto assommava in sé una serie di caratteristiche di notevole importanza: la notazione decimale, che esprimeva adeguatamente il livello gerarchico dei concetti classificati; la disponibilità di categorie, quali gli ausiliari generali e speciali, da utilizzare per la sintesi dei concetti; il fatto che le classi principali fossero costituite da campi di soggetto, ossia ripartizioni disciplinari delle conoscenze; l'esistenza di precise regole di applicazione, e infine la robusta organizzazione internazionale. Se questi principi fossero stati applicati con coerenza, precisava la studiosa, se le sue regole si fossero basate su una solida teoria della classificazione, se l'organizzazione fosse stata tale da garantire uno sviluppo razionale, la CDU da tempo si sarebbe imposta come la classificazione universale per eccellenza; ma la realtà che essa presentava era tutt'altra, ed andava attentamente indagata per scoprire i motivi che le impedivano di esprimere a pieno le sue molteplici potenzialità.
L'indagine della Dahlberg partiva dalle 10 classi principali, rilevando come queste fossero di natura assai diversa fra loro, essendo in parte ampie "aree di soggetto" (come la classe 3, scienze sociali, o la 5, scienze naturali), in parte vere e proprie discipline (come la 1, filosofia, e la 2, religione); in parte ancora, un insieme delle due cose. L'eterogenea composizione delle classi principali incideva non poco sulle ripartizioni successive, determinando difformità e incongruenze: alcuni campi di soggetto, ad esempio, venivano suddivisi per mezzo di faccette [38], mentre altri da un misto di faccette e di sottocampi disciplinari [39]; inoltre, non sempre le suddivisioni erano mutuamente esclusive, e non sempre le relazioni genere/specie e parte/tutto trovavano una corretta applicazione, persino in classi quali la zoologia e la botanica in cui avrebbero dovuto incontrare la loro sede naturale di adozione.
Molteplici incongruenze si riscontravano anche nell'applicazione delle suddivisioni comuni, utilizzate nella descrizione di soggetti complessi o adottate come numeri principali [40], e degli ausiliari speciali [41], usati solo in certe occasioni e mai secondo un piano predefinito. Perplessità ancora maggiori suscitava la relazione di fase che, diversamente da quanto lasciava credere la regola di applicazione, in nessun caso riusciva a trasformare lo schema in una classificazione a faccette: in realtà, la sintesi per mezzo dei due punti non era affatto il principale criterio di ripartizione della CDU, venendo limitata nelle sue possibilità dall'esistenza di un gran numero di precombinazioni ottenute con la tradizionale suddivisione gerarchica; questo di conseguenza provocava un eccesso di enumerazione che appesantiva inutilmente le tavole.
Per questa e altre ragioni, la Dahlberg riteneva che il sistema non fosse suscettibile di revisione e che andasse ricostruito ex novo; ma nel far ciò, precisava la studiosa, non si doveva prescindere dagli elementi caratteristici dello schema, che ne avevano costituito i punti di forza e che andavano potenziati in vista di una sua effettiva rifondazione. Fra questi, di particolare importanza appariva l'impianto delle classi principali su campi di soggetto, ossia su divisioni disciplinari dello scibile, un criterio che la Dahlberg riteneva essenziale per ogni classificazione e decisamente più vantaggioso dei tentativi, operati da alcuni esponenti del CRG, di ripartizione per categorie generali; considerata tuttavia l'inadeguatezza disciplinare delle classi principali della CDU, la Dahlberg ne proponeva la sostituzione con altre nove classi, ulteriormente ripartibili in sottoclassi, costituite tutte da campi di soggetto [42]; un sistema di notazione che non andasse oltre la terza o la quarta cifra decimale avrebbe poi assicurato un'ampia possibilità di selezione dei soggetti all'interno di queste ripartizioni. Ma come suddividere i campi di soggetto ottenuti dalle classi principali? Il criterio più efficace appariva naturalmente quello basato sull'analisi a faccette, che era in grado di dar conto di tutte le possibili articolazioni semantiche di un soggetto; ma anche questa possibilità, notava la Dahlberg, era presente nella compagine della CDU e ad essa si poteva far ricorso per una revisione funzionale del sistema: infatti gli ausiliari comuni e le suddivisioni speciali, almeno in linea teorica, permettevano di associare liberamente le categorie più ricorrenti con i diversi campi disciplinari; in particolare, un'applicazione costante e uniforme degli ausiliari speciali avrebbe consentito all'intero sistema di guadagnare in chiarezza e in facilità d'uso. La proposta che ne scaturiva era dunque di suddividere i campi di soggetto derivati dalle prime ripartizioni disciplinari attraverso un certo numero di categorie, concettualmente assai prossime agli ausiliari speciali, e che in accordo con la pratica della CDU potevano essere precedute da un indicatore del tipo .0 [43]; analogamente, si sarebbero potuti impiegare le suddivisioni comuni e gli altri ausiliari per ottenere rappresentazioni sempre più precise ed omogenee di particolari soggetti, di determinazioni formali, di punti di vista, etc.
L'altro fondamentale aspetto preso in considerazione dalla studiosa tedesca riguardava la rappresentazione dei soggetti complessi, cioè le relazioni esprimibili per mezzo dei due punti o di analoghi simboli notazionali [44], di cui era necessario correggere le insufficienze ed assegnare maggiore coerenza ed uniformità; di conseguenza, i due punti potevano rimanere il simbolo per una relazione ancora indefinita, mentre si sarebbe potuto usare il punto e virgola se due o più concetti erano enumerati di seguito ma senza nessuna relazione fra di loro; infine per esprimere una correlazione, ossia un raggruppamento di termini all'interno di una combinazione più ampia di concetti, si potevano comodamente adottare le parentesi quadre. In queste proposte in realtà la Dahlberg non si discostava troppo dai criteri canonici della CDU, in quanto riteneva che, per un'efficace rappresentazione delle relazioni sintattiche, non fossero necessari particolari relatori o simboli notazionali dal momento che tali relazioni potevano essere definite a partire dagli stessi codici della CDU: accogliendo la proposta di Wellisch per cui ogni elemento di un codice complesso CDU poteva "specificare" l'elemento presente alla sua sinistra [45], ed estendendola agli ausiliari del tipo .0, che rappresentavano le categorie da adottarsi nelle divisioni, la studiosa ipotizzava la costruzione di stringhe, per così dire, autocodificanti, in quanto ogni elemento specificava quello che si trovava immediatamente alla sua sinistra e ne precisava con chiarezza il contenuto: così ad esempio se 84 era il numero per la documentazione, .026 la faccetta per i sistemi, .048 quella per la ridondanza, .09 quella relativa alla valutazione, allora il codice 84.026.048.09 avrebbe indicato la "valutazione della ridondanza dei sistemi di documentazione", ciascun elemento della stringa essendo specificato da quello presente alla sua sinistra.
Come si vede, la pars costruens dell'indagine della Dahlberg non prescindeva in alcun modo dalle possibilità offerte dalla CDU, che venivano anzi esaltate e riorganizzate in una chiara e organica visione volta al mantenimento della ripartizione in campi di soggetto, ma con nuove e più appropriate classi principali; alla suddivisione dei campi di soggetto sia attraverso divisioni gerarchiche sia per mezzo di faccette; alla costruzione flessibile ed espressiva di codici numerici complessi; e infine all'efficace impiego di questa nuova Classificazione Decimale Universale in sistemi automatizzati per l'indicizzazione ed il recupero dei documenti.
Le grandi indagini di Ingetraut Dahlberg, accompagnate dalle altrettanto importanti proposte di revisione, venivano a collocarsi in un periodo di rinnovato interesse per la CDU che trovava espressione in un gran numero di rapporti, articoli, seminari e simposi [46] in cui venivano affrontati i problemi relativi all'utilizzo dello schema come linguaggio di scambio, o alla sua compatibilità con thesauri ed altri linguaggi d'indicizzazione, o alla sua adozione in sistemi di automazione; tale fervore d'iniziative indusse la FID a predisporre un vero e proprio "programma di sviluppo" della CDU [47], i cui aspetti fondamentali dovevano consistere nella elaborazione di un roof scheme, cioè di una classificazione a larghe maglie per assolvere al ruolo di switching language; nel proseguimento degli studi sull'uso della CDU in combinazione con thesauri o classificazioni speciali; e infine nel miglioramento di parti difettose o carenti dello schema, sia a breve termine sia in una prospettiva strategica di revisione. Affinché tale programma potesse realizzarsi senza incorrere nell'ostilità degli utenti, la FID si spinse fino a ipotizzare l'esistenza di due forme del tutto separate di CDU, una per le biblioteche tradizionali e le grandi raccolte librarie, che potevano continuare ad impiegare le strutture canoniche dello schema, e un'altra per i più moderni e dinamici centri di documentazione, i quali avrebbero avuto minori difficoltà -- e maggiori vantaggi -- nell'accogliere le proposte di migioramento del sistema.
Per tutti gli anni '70 si assistette dunque a un susseguirsi di studi e di proposte di modifiche -- introduzione di nuovi soggetti, ristrutturazione delle classi principali e delle relative suddivisioni, potenziamento delle "faccette" già presenti nello schema -- che ribadivano l'efficacia delle analisi della Dahlberg e l'importanza dei risultati a cui erano pervenute. Ma la svolta vera e propria si ebbe nel 1983, quando la FID diede incarico a Alan Gilchrist di realizzare un'indagine circa le effettive possibilità di revisione della CDU e di riorganizzazione complessiva dei suoi organismi di gestione [48]: i risultati, favorevolmente accolti dalla FID, vennero a costituire le linee guida per una nuova organizzazione del sistema, riconoscendone le inadeguatezze e considerando non più prorogabile una sua revisione. Sulla base di questi presupposti, nel 1986 si costituì una Task Force guidata da Ia McIlwaine con l'obiettivo di arrivare ad una razionalizzazione complessiva del sistema; la Task Force concluse i suoi lavori nel 1990 raccomandando la creazione di una "versione standard" dello schema in un formato leggibile dalla macchina e a livello medio di estensione, cioè comprendente circa 60 000 suddivisioni; per la corretta realizzazione di questa versione fu successivamente elaborato un "codice di pratica", centrato soprattutto sulle scienze naturali e sociali, mentre si diede il via ad una radicale revisione della classe 0 per poter ottenere una tavola unificata delle scienze dell'informazione e delle scienze gestionali e di controllo. In particolare, il progetto per la realizzazione di una CDU automatizzata fu proseguito fino alla creazione di un database, il Master Reference File, contenente l'Edizione Media Inglese del 1985 insieme con tutte le Extensions and Corrections [49], in modo da rendere particolarmente agevole la ricerca e la manipolazione sia dei codici numerici che dei loro corrispondenti verbali; questo fondamentale strumento di lavoro, completato nel 1993, fu peraltro concepito come un testo di base per le possibili evoluzioni della CDU, comprese le revisioni, le traduzioni e le diverse edizioni dello schema, di qualsiasi grandezza e in qualsiasi lingua fossero.
Tali straordinari sviluppi, se ampliarono ulteriormente l'influenza della CDU in ambito internazionale, misero in luce l'inadeguatezza della FID a esercitare un efficace ruolo di controllo su un insieme così vasto di iniziative: si pensò allora ad una nuova struttura di gestione nella forma di un consorzio che, grazie all'ingresso di partners quali gli editori commerciali, avrebbe garantito una maggiore stabilità alla CDU attraverso un'amministrazione più efficace e diretta; nel 1992 si giunse pertanto alla costituzione dell'UDC Consortium, che sostituì la FID quale responsabile della Classificazione Decimale Universale con l'obiettivo di assicurare lo sviluppo e la diffusione dello schema e di fornire un servizio aggiornato e puntuale a tutti gli utenti.
La trasformazione dell'organismo di gestione del sistema in una struttura più agile ed efficiente è stata accompagnata da nuove e stimolanti ricerche sull'impiego della CDU in sistemi di automazione, trovando un terreno di applicazione del tutto congruente negli OPAC, ossia nei cataloghi automatizzati delle biblioteche, come testimonia fra l'altro il sistema svizzero ETHICS [50], un database catalografico in cui le voci sono disposte secondo l'ordine gerarchico della CDU: effettuando un'interrogazione per soggetto della base di dati si ottiene un range di termini del tutto analoghi a quelli presenti nelle tavole della classificazione, con descrittori gerarchicamente collegati fra i quali l'utente può scegliere quello più pertinente alla sua ricerca. Ma l'altro fecondo campo d'applicazione, che finalmente veniva a trovare uno sviluppo significativo dopo una lunga serie d'indagini, era la possibilità di tradurre la CDU in una struttura di tipo thesaurico [51], il cui risultato più interessante appare senz'altro il progetto di "thesaurificazione della CDU" realizzato da Gerhard Riesthuis e Steffi Bliedung [52].
Gli autori partivano dalla considerazione che, malgrado le numerose caratteristiche di sintesi, la CDU restava comunque una classificazione enumerativa, cosa che ne rendeva problematico l'impiego in un sistema postcoordinato e precludeva di conseguenza i vantaggi di una ricerca realizzata per mezzo di un thesaurus; d'altro canto, una classificazione come la CDU offriva notevoli benefici, sia perché assicurava un'ampia copertura disciplinare, sia perché consentiva l'inclusione di sempre nuovi soggetti all'interno delle sue classi; ma soprattutto perché in essa erano già presenti, in quanto definite dalle suddivisioni delle tavole, le necessarie relazioni fra i concetti, che pertanto potevano essere usate -- analogamente a quanto accadeva in un thesaurus -- per effettuare la scelta più valida fra i termini. Sulla base di tali considerazioni nel 1989 venne avviato un progetto per costruire un thesaurus a partire dalla classe 314 (demografia) della CDU; ciascuna voce di questa classe è stata così "tradotta" nei termini di un thesaurus, i quali sono stati di volta in volta specificati come descrittori (termini accettati) o non descrittori (sinonimi), o caratterizzati come termini semanticamente più ampi o più ristretti, in maniera cioè del tutto analoga a quanto avviene nella costruzione di un thesaurus. Ulteriori vantaggi sono poi derivati dagli ausiliari comuni e speciali, che hanno trovato un valido impiego nel trattamento "thesaurico" di soggetti complessi; infine, poiché ogni termine del thesaurus è collegato ad una notazione CDU, diviene possibile rovesciare l'intero procedimento e presentare il thesaurus come una "classificazione-CDU", con tutta la serie dei descrittori e non descrittori e con una terminologia decisamente più controllata rispetto a quella dello schema originale. I risultati di questo progetto non solo hanno mostrato che è possibile costruire un thesaurus partendo dalla struttura della CDU, ma hanno reso evidente la complementarità dei due linguaggi documentari che, se combinati insieme, avrebbero potuto dar vita ad un sistema più vantaggioso dell'uno o dell'altro presi singolarmente.
Non è facile valutare la storia recente della CDU, né è tuttora possibile apprezzare l'influenza e il ruolo dell'UDC Consortium sui futuri sviluppi dello schema: è tuttavia ragionevole, alla luce dei successi ottenuti nell'applicazione agli OPAC o nella traduzione in thesaurus, considerare maturi i tempi per una sua decisiva e definitiva revisione; l'ultimo capitolo della nostra rassegna intende dunque dar conto del progetto avviato da Nancy Williamson e Ia McIlwaine [53] e volto ad una completa ristrutturazione della CDU per rispondere alla sfida posta dalle mutate strutture della conoscenza e dalle rinnovate prospettive tecnologiche.
Il progetto, avendo ben chiare le precedenti ipotesi e proposte di modifica, si pone come obiettivo la trasformazione dello schema in una classificazione a faccette e la realizzazione di un thesaurus tratto dalla classificazione stessa. Per pervenire a tali risultati non è parso ovviamente opportuno effettuare semplici aggiustamenti nelle tavole, cosa che avrebbe prodotto un sistema del tutto analogo all'attuale, né è sembrato possibile ricostruire ex novo lo schema, per cui sarebbero stati necessari tempi e risorse decisamente elevati; la proposta che invece è apparsa più praticabile è stata quella di "mappare" le classi e le sottoclassi della CDU nelle strutture di una già esistente classificazione a faccette. La scelta dello schema più idoneo per realizzare questa mappatura è caduta sulla Bliss Bibliographic Classification: la seconda edizione del sistema di Bliss infatti, oltre ad essere completamente a faccette ed a disporre di tavole relativamente recenti e aggiornate, ha il vantaggio di presentare un'estensione disciplinare assai ampia ed una struttura a tutt'oggi considerata la migliore fra i sistemi di classificazione esistenti; inoltre la BC2 contiene una precisa serie di indicazioni sull'impiego delle faccette e sul trattamento dei concetti, ed è già stata utilizzata come base per la realizzazione di numerosi thesauri.
Per tutti questi motivi, l'uso della BC2 come sistema di mapping per la revisione della CDU è sembrato un approccio decisamente percorribile, per quanto la radicale diversità dei due schemi abbia posto non pochi problemi relativi fra l'altro all'organizzazione e al contenuto disciplinare delle classi e al differente sistema di notazione: per la loro soluzione, l'ipotesi di fondo è stata quella di mettere a confronto le classi CDU con quelle della Bliss e creare delle tavole di equivalenza, individuando allo stesso tempo precisi criteri tesi ad assicurare la congruità del processo di conversione e a rispettare le caratteristiche semantiche della CDU.
Una volta stabilite queste linee programmatiche, il progetto è stato ripartito in un numero successivo di fasi: la prima prevede la conversione di alcune tavole dei due sistemi -- sono state scelte quelle relative alle scienze mediche -- in un formato leggibile dalla macchina per facilitare il confronto fra i soggetti; nella seconda fase, i soggetti della CDU, completamente revisionati sul piano terminologico, verranno riorganizzati sulla base della struttura a faccette della BC2; quindi si modificherà il sistema notazionale, e si perverrà infine all'elaborazione di un thesaurus derivato dalla nuova struttura classificatoria. Il passaggio conclusivo consisterà in una serie di test per assicurare la compatibilità fra la classificazione e il thesaurus e per accertare la conformità di quest'ultimo con gli standard internazionali.
Nello stadio attuale dei lavori è ancora difficile identificare le soluzioni definitive che verranno adottate nel processo di conversione; e tuttavia l'impegnativo compito di tradurre la CDU in un sistema pienamente a faccette appare una meta decisamente raggiungibile, che può dar corpo alle esigenze di rinnovamento del sistema, mentre il rapporto organico con un thesaurus può avvicinare sempre più lo schema ai meccanismi online senza dover procedere a frequenti e radicali modifiche.
In una fase molto fluida ed interessante della sua storia, la Classificazione Decimale Universale si presenta oggi sulla scena dell'informazione mondiale con un'organizzazione in grado di sostenere sempre meglio le provocatorie sfide tecnologiche e l'ampliamento dei confini del sapere, e con la rinnovata consapevolezza di poter giocare un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale: la disponibilità di una più raffinata e moderna struttura classificatoria e la presenza di più efficaci strumenti di recupero online non potranno che incoraggiare nuovi utenti ad adottare uno schema che, nei suoi cento anni di vita, ha svolto una funzione determinante nell'organizzazione delle conoscenze dentro e fuori le biblioteche.
1. Per un profilo storico delle classificazioni documentarie cfr. E. I. SAMURIN, Geschichte der bibliothekarisch-bibliographischen Klassifikation. Leipzig, VEB Bibliographisches Institut, 1964-1967, 2 v.; É. de GROLIER, Théorie et pratique des classifications documentaires. Paris, Union Française de Documentation, 1956; A. SERRAI, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia. Firenze, Olschki, 1977. 2. Le classificazioni a faccette, com'è noto, permettono la scomposizione di un concetto nei suoi diversi elementi, che vengono sviluppati isolatamente e successivamente ricombinati secondo un ordine che ne consente una precisa rappresentazione semantica, intendendosi per faccetta l'insieme delle divisioni ottenute attraverso l'applicazione di una sola "caratteristica", cioè di un solo principio di divisione per volta; cfr. fra l'altro B. C. VICKERY, La classificazione a faccette. Guida per la costruzione e la utilizzazione di schemi speciali. Roma, CNR, 1972.
3. N. J. WILLIAMSON, Restructuring UDC: problems and possibilities, in Classification research for knowledge representation and organization. Proceedings of the 5th International study conference on classification research, Toronto, 24-28 june 1991. Amsterdam, Elsevier, 1992, pp. 381-387.
4. La definizione è dello studioso francese Gérard Cordonnier.
5. Secondo una definizione dell'Unesco del 1950, per controllo bibliografico s'intende "la padronanza su registrazioni scritte e pubblicate realizzata mediante finalità bibliografiche. Controllo bibliografico è sinonimo di accesso efficace per mezzo di bibliografie"; cfr. D. DAVINSON, Bibliographic control. London, Bingley, 1981.
6. L'Institut nacque nel 1895 a Bruxelles al termine del primo congresso internazionale di bibliografia, ma già dal 1892 Otlet aveva creato, a sostegno del proprio progetto, l'Office Internationale de Bibliographie; dal 1937 l'Institut prese il nome di Fédération International de Documentation (FID).
7. Cfr. P. OTLET, Traité de documentation. Bruxelles, Éd. Mundaneum, 1934.
8. La prima edizione della CDU apparve in Francia nel 1905 con il titolo Manuel du Répertoire Bibliographique Universel, cui fece seguito la Classification Décimale Universelle, pubblicata tra il 1927 e il 1933; la terza edizione integrale fu quella tedesca, iniziata nel 1933 ma completata soltanto nel 1952.
9. La prima edizione dello schema di Dewey è del 1876, la seconda del 1885; cfr. al riguardo J. P. COMAROMI, The foundations of the Dewey Decimal Classification: the first two editions, in Melvil Dewey: the man and the classification, edited by G. Stevenson and J. Kramer-Greene. Albany, Forest Press, 1983, pp. 135-147.
10. In particolare, Dewey fornisce indicazioni per le divisioni geografiche e formali e per le lingue e i diversi aspetti del linguaggio (cfr. J. P. COMAROMI, cit., p. 146).
11. Tra le principali suddivisioni comuni ricordiamo le suddivisioni di luogo, segnalate dalle parentesi: ad es., 347(450) è il diritto privato italiano; di lingua, precedute dal segno = : ad es., 59=50 è un testo di zoologia in italiano; di tempo, indicate dalle virgolette: ad es., 820"17" è la letteratura francese del '700; di razza, tra parentesi con il segno = : ad es., 17(=924) è l'etica degli ebrei; di forma, segnalate da uno 0 fra parentesi: ad es., 159.9(03) è un dizionario di psicologia.
12. La Colon Classification, da colon, che è il termine inglese per i due punti.
13. Come, per comodità, continueremo a chiamarla, anche se nella CDU la combinazione attraverso i due punti potrà assumere significati spesso diversi rispetto alle tradizionali "fasi" ranganathaniane (relazione generale, inclinazione, comparazione, differenza, influenza); al riguardo cfr. S. R. RANGANATHAN, Prolegomena to library classification. London, The Library Association, 1957, pp. 120-122; 275-276.
14. P. OTLET, cit., p. 382.
15. É. de GROLIER, Étude sur les catégories générales applicables aux classifications et codifications documentaires. Paris, Unesco, 1962, pp. 21-22.
16. La gestione di Donker Duyvis ai vertici della Féderation International de Documentation durò esattamente un trentennio, dal 1929 al 1959.
17. G. A. LLOYD, Comparison of Dewey DC and UDC at a minimum of three-figure level. "Review of documentation", 27 (1960) 2, pp. 45-80.
18. Esattamente in questi anni (1957-58) si colloca il progetto Cranfield, cioè un esperimento volto a misurare l'efficacia di quattro diversi sistemi d'indicizzazione: una classificazione a faccette, una lista alfabetica di soggetti, il sistema di descrittori Uniterm e la Classificazione Decimale Universale. Al di là dei risultati, che diedero percentuali di recupero sostanzialmente analoghe e valutabili intorno all'80%, è importante sottolineare come la CDU fosse ritenuta uno degli strumenti d'indicizzazione più importanti e diffusi, da cui era impossibile prescindere (C. W. CLEVERDON, Evaluation test of information retrieval systems. "Journal of documentation", 26 (1970) 1, pp. 55-67; ID., The Aslib Cranfield project on the comparative efficiency of indexing systems. "Aslib Proceedings", 12 (1960) 12, pp. 421-431.
19. D. KERVÉGANT, Développement de l'analyse des relations dans la CDU. "Quarterly Bullettin IAALD", 3 (1958), pp. 111-116; ID., Classification et analyse des relations. "Bulletin des bibliothèques de France", 4 (1959), pp. 495-511.
20. D. KERVÉGANT, Classification et analyse des relations, cit., p. 499.
21. Di conseguenza, gli antibiotici originati da funghi saranno indicati da 576.8.097
22. Il Classification Research Group si costituì in Inghilterra nel 1952 con lo scopo di proseguire l'indagine teorica avviata da Ranganathan ed estenderla fino all'elaborazione di uno schema di classificazione universale interamente a faccette; cfr. fra l'altro D. J. FOSKETT, Classification Research Group, 1952-1968, in Enciclopaedia of library and information science, edited by A. Kent, H. Lancour, J. E. Daily, v. 5. New York, Dekker, 1971, pp. 141-145.
23. B. KYLE, La Classification Décimale Universelle. Étude de la situation actuelle et des perspectives d'avenir en ce qui concerne tout particulièrement les tables afférentes aux lettres, aux arts et aux sciences sociales. "Bulletin de l'Unesco à l'intention des bibliothèques", 15 (1961) 2, pp. 57-75.
24. B. C. VICKERY, La Classification Décimale Universelle et l'indexage de la documentation technique. "Bulletin de l'Unesco à l'intention des bibliothèques", 15 (1961) 2, pp. 135-149.
25. Fra le molte proposte, quella più praticabile sembrava l'assegnazione della classe 4 alle discipline della comunicazione. A tutt'oggi, la classe 4 è ancora vacante.
26. J. M. PERREAULT, Categories and relators: a new schema. "Revue internationale de documentation", 32 (1965), pp. 136-144, poi raccolto nell'importante e complesso Towards a theory for UDC. London, Bingley, 1969 (pp. 119-140).
27. Analogamente, "nuvole durante l'uragano" sarebbe 551.576 fffb 551.55 e "nuvole dopo l'uragano" 551.576 fffc 551.55.
28. J. M. PERREAULT, Emendations to the relators-schema, in Towards a theory for UDC, cit., pp. 141-148.
29. Il funzionamento dello switching language si basa sulla presenza di tavole di equivalenza fra il linguaggio d'indicizzazione proprio di una certa biblioteca o centro documentario, ed un linguaggio intermedio, lo switching language appunto: un messaggio, ad esempio una richiesta informativa per soggetto, da un centro A viene convertito, per mezzo di un'apposita tavola di equivalenza, nel corrispondente termine del linguaggio intermedio, quindi è inviato ad un centro B dove, attraverso una seconda tavola di equivalenza, viene ricodificato nella forma richiesta dal linguaggio d'indicizzazione proprio del centro B, e così via.
30. Aslib Research Department, Classification in science information: a comparative study undertaken for the International council for scientific unions. London, Aslib, 1969.
31. Cfr. G. A. LLOYD, The UDC in its international aspects. "Aslib Proceedings", 21 (1969) 5, pp. 204-208.
32. Numerosi i progetti di automazione applicati alla CDU, sia volti alla produzione di bibliografie, abstract e indici per soggetto, sia orientati al recupero e alla disseminazione selettiva dell'informazione; cfr. al riguardo M. RIGBY, Automation and the UDC; 1948-1980. The Hague, Fédération Internationale de Documentation, 1981; Proceedings of First seminar on UDC in a mechanized retrieval system, Copenhagen, 2-6 Sept. 1968. Copenhagen, Danish Centre for Documentation, 1969; Proceedings of Second seminar on UDC in a mechanized information system, Copenhagen, 1-5 June 1970. Copenhagen, Danish Centre for Documentation, 1971.
33. Cfr. G. A. LLOYD, The Universal Decimal Classification as an international switching language, in Subject retrieval in the seventies: proceedings of an international symposium. Westport, Greenwood, 1972, pp. 116-123.
34. Cfr. H. WELLISCH, A concordance between UDC and TEST (Thesaurus of Engineering and Scientific Terms): results of a pilot project, in Proceedings of the international symposium: "UDC in relation to other indexing languages", Herceg Novi, June 28-July 1, 1971. Beograd, Yugoslav Center for Technical and Scientific Documentation, 1975, pp. 1-33.
35. In particolare, la prima tavola comprendeva le "discipline o branche di sapere" (studi e scienze, tecniche ed attività), schierate nelle superclassi 00/99, nelle classi 000/999 e nelle sottoclassi 0000/9999; la seconda le "entità oggetti", associabili con tutte o molte delle discipline presenti nella precedente, ordinate ancora in superclassi (00/99), classi (000/999) e sottoclassi (0000/9999); cfr. G. A. LLOYD, FID's Standard reference code project and UDC improvement programme. "Aslib Proceedings", 24 (1972) 10, pp. 580-587.
36. Cfr. BSO: Broad System of Ordering: schedule and index. Third revision. Prepared by the FID/BSO Panel by E. Coates, G. Lloyd and D. Simandl. The Hague, Fédération Internationale de Documentation, 1978; The BSO manual. The development, rationale and use of the Broad System of Ordering. Prepared by E. Coates, J. Lloyd, D. Simandl. The Hague, Fédération Internationale de Documentation, 1979.
37. I. DAHLBERG, The UDC as an ideal indexing language, in Proceedings of the international symposium: "UDC in relation to other indexing languages", cit., pp. 1-25; ID., Possibilities for a new Universal Decimal Classification. "Journal of Documentation", 27 (1971) 1, pp. 18-36.
38. Le suddivisioni dell'indice 02 (Biblioteche, biblioteconomia), ad es., sono vere e proprie faccette: 021 (Funzione e utilità delle biblioteche); 023 (Servizi di gestione delle biblioteche); 025 (Metodi di amministrazione delle biblioteche); etc.
39. Da 32 (Scienze politiche), ad es., si ha indifferentemente la faccetta 321 (Forme di organizzazione politica) e il sottocampo 323 (Politica interna).
40. In palese contrasto con quanto prescritto dalle regole di applicazione.
41. Usati per denotare concetti ricorrenti in determinati punti delle tavole, gli ausiliari speciali indicano elementi generali o specifici, aspetti, componenti, proprietà, processi, operazioni, configurandosi dunque come vere e proprie faccette.
42. Le classi principali e le loro suddivisioni erano: 1) Scienze strutturali (matematica, statistica, teoria dell'informazione...); 2) Fisica, geo-scienze e tecnologia (fisica atomica, mineralogia, metereologia...); 3) Biologia (botanica, zoologia, biochimica...); 4) Scienze biologiche applicate (medicina, veterinaria, farmacologia, agricoltura...); 5) Antropologia (etnologia, storia, geografia, psicologia...); 6) Scienze sociali (politica, diritto, economia, educazione...); 7) Ingegneria (trasporti, costruzioni...); 8) Scienze dell'informazione (archivistica, biblioteconomia, comunicazione...); 9) Scienze umane (letteratura, arte, musica, filosofia, teologia...).
43. Le categorie individuate dalla Dahlberg erano le seguenti: .01 Investigazioni teoriche, problemi generali relativi a un soggetto, etc.; .02 Oggetti in un campo di soggetti (parti, componenti, etc.); .03 Processi (tecniche, metodi, azioni, etc.); .04 Attributi (proprietà, catatteristiche, etc.); .05 (ancora da assegnare); .06 Ordine (organizzazione, orientamento, etc.); .07 Relazioni (interne, esterne, etc.); .08 Determinazione (funzione, influenza, effetto, uso, etc.); .09 Valutazione (stime, etc.).
44. Oltre ai due punti, che com'è noto indicano una relazione indifferenziata, la CDU presenta i doppi due punti (::), che stabiliscono l'ordine della relazione; il segno più (+), che indica soggetti congiunti in un documento ma separati nelle tavole, e le parentesi quadre, che indicano un raggruppamento di tipo algebrico all'interno di una combinazione complessa di numeri CDU: ad es., [622+669](485) indica miniere e metallurgia in Svezia.
45. Cfr. H. WELLISCH, Bond and bonding of UDC notational symbols. College Park, University of Maryland, 1969, p. 4.
46. Fra i quali ricordiamo soprattutto l'importante convegno tenutosi a Herceg Novi nel 1971 su UDC in relation to other indexing languages, cit.
47. Cfr. G. A. LLOYD, Universal Decimal Classification, in Classification in the 1970s. A second look, revised edition edited by A. Maltby. London, Bingley, 1976, pp. 99-118.
48. A. GILCHRIST, UDC: The 1990's and beyond, in Classification research for knowledge representation and organization, cit., pp. 69-77.
49. Ossia tutte le proposte di implementazione o di modifica delle tavole accolte dagli organismi della FID.
50. H. HUG - M. WALSER, Retrieval in the ETH database using the UDC, in Tools for knowledge organization and the human interface. Proceedings 1st International ISKO-conference, Darmstadt, 14-17 august 1990, v. 1. Frankfurt/Main, Indeks Verlag, 1990, pp. 216-219.
51. Cfr. E. SCIBOR, UDC in relation to thesauri: a state-of-the-art-report, in New trends of documentation and information: proceedings of the 39th FID Congress, 25-28 september 1978. London, Aslib/FID, 1980, pp. 248-258; per la realtà italiana cfr. M. SANTORO - S. SPINELLI, Non solo numeri. Un progetto di "traduzione" della CDU in thesaurus avviato dalle biblioteche dell'Ateneo di Bologna. "Biblioteche oggi", 13 (1995) 4, pp. 24-27.
52. G. J. A. RIESTHUIS - S. BLIEDUNG, Thesaurification of the UDC, in Tools for knowledge organization and the human interface, cit., v. 2, pp. 109-117.
53. Cfr. N. J. WILLIAMSON, cit.; Restructuring project, "Knowledge organization", 20 (1993) 4, pp. 224-225.
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32 <-
582.28, in quanto il codice ->
32 ->
esprime l'origine: antibiotici (576.8.097) originati da (<-
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) funghi (582.28); gli antibiotici contro i funghi saranno indicati da 576.8.097 ->
212 ->
582.28, in quanto ->
212 ->
indica un processo sfavorevole ("contro" i funghi); e così via.
Copyright AIB 2002-04-04,
ultimo aggiornamento 2002-07-09, testo di Michele Santoro,
a cura di Claudio Gnoli.
<http://www.aib.it/aib/contr/santoro1.htm>