di Massimo Gatta
"Avevano nel cuore pochi libri."
(Salvatore Quasimodo)"Là dove si danno alle fiamme i libri,
si finisce per bruciare anche gli uomini."
(Heinrich Heine)
La Nuova Grande Biblioteca (NGB) si ergeva sulla sommità di una collinetta, fuori del centro abitato, in un silenzio ovattato. Da lontano ricordava vagamente la fortezza pugliese di Federico II a Castel del Monte. Era stata da poco inaugurata e dalle grandi finestre entrava tutto il verde della campagna circostante e la luce, attenuata da vetri speciali, s'adagiava lieve sulle migliaia e migliaia di volumi d'ogni epoca e paese di cui la Biblioteca era ricca. L'architettura era ultramoderna ma all'interno conservava un certo che di antico, quasi a voler tenere per mano la grande tradizione bibliotecaria con la contemporaneità dei codici architettonici d'avanguardia. In effetti questo strideva un poco con l'insieme, ma nessuno ci faceva caso preoccupati di rendere, nel migliore dei modi, un servizio culturale all'intera collettività. Del resto la Nuova Grande Biblioteca era l'unica biblioteca nel raggio di centinaia di chilometri, frequentatissima da persone di ogni tipo, professori, studenti, bambini, anziani, donne, extracomunitari; insomma era luogo ideale per rilassarsi e per studiare.
Il Direttore era uomo energico ma tranquillo, di cui nessuno sapeva molto, tranne che veniva da lontano. Parlava poco con tutti ed era di una estrema riservatezza. Gli impiegati della Nuova Grande Biblioteca parlavano spesso tra di loro del Direttore, commentando però quello che non conoscevano, cioè poco. Così passavano i mesi.
Uno dei luoghi più belli, il gioiello luminoso della Nuova Grande Biblioteca, era l'immensa Sala Studio e Lettura (SSL). Prendeva luce da enormi lucernai posti in alto, da cui scendeva una luce bellissima che si spargeva sul parquet chiaro e sui grandi tavoli circolari. La sala era completamente tappezzata da antiche scaffalature lignee che ospitavano migliaia di volumi. Ognuno poteva liberamente accedere da solo agli scaffali e prendere ciò che desiderava (la grande Sala Studio e Lettura era anche nota come Sala a Scaffale Aperto, SSA). Ospitava qualche incunabolo, diverse cinquecentine, secentine e tanto Ottocento e Novecento, manuali, bibliografie, dizionari, intere collane editoriali e poi saggi e romanzi e poesie d'ogni tempo e paese, codici e vocabolari, periodici e manuali, testi giuridici, medici, economici, di agraria e ingegneria e balistica, trattati sugli uccelli, le piante, i pesci e i mammiferi boreali e poi intere sezioni dedicate alla guerra e alla pace, alla filosofia e all'alchimia, alla religione, all'ateismo e al femminismo. Insomma era un luogo ideale per studiare e molto frequentato, soprattutto in inverno quando veniva riscaldato da enormi stufe in ghisa e ceramica policroma acquistate direttamente in Germania, che riempivano di un dolce tepore la sala, rendendo lo studio e la concentrazione assolute e perfette.
Avrebbero potuto capirlo quel giorno ma non ci fecero caso. Lo studio del Direttore, assolutamente bianco e spoglio, ospitava due grandi librerie, completamente vuote, immacolate, e una scrivania sulla quale campeggiava un gigantesco computer di ultima generazione, più un piccolo telefono. Alle pareti non erano appesi quadri né stampe, nessuna pianta ornava la stanza. I pochi fogli che arrivavano sulla scrivania la lasciavano quasi subito dopo aver ricevuto la sua firma, un visto, una correzione. Nessuno sapeva cosa facesse tutto il giorno seduto a quel tavolo. Ogni tanto qualcuno entrava nel più assoluto silenzio per uscirne poco dopo con aria assente e trasognata. La mattina nessuno lo sentiva arrivare, la sera nessuno lo vedeva andar via.
Avrebbero potuto capirlo anche qualche settimana dopo ma non ci fecero caso. Erano tutti presi da strani lavori effettuati nella grande Sala Studio e Lettura, lavori di muratura. Da giorni e giorni operai vi trasportavano sacchi di cemento e sabbia e mattoni, pietra e legno, corde e putrelle, secchi d'acqua. Salivano la lunga scalinata fischiettando e sorridendo agli impiegati che li osservavano incuriositi. Nessuno aveva capito nulla. La Sala Studio e Lettura venne così chiusa al pubblico per un mese durante il quale i muratori si diedero molto da fare. Per tutta la Nuova Grande Biblioteca si udivano i rumori tipici di chi stia costruendo qualcosa in muratura. Ma nessuno poteva entrare, solo il Direttore, che una volta al giorno lasciava la sua stanza e saliva di sopra a controllare che i lavori venissero fatti a regola d'arte.
Passò un mese. I muratori, com'erano venuti, se ne andarono. Portarono via i sacchi di cemento e di sabbia che erano avanzati, i mattoni, il legno e la pietra non utilizzati, le putrelle e le corde in più. Subito dopo arrivò una squadra di pulizie che in un giorno rimise a nuovo la grande Sala Studio e Lettura. Furono aspirati con potenti macchine i residui e la polvere, pezzi di mattoni e di corda; fu di nuovo lucidato l'intero parquet e le pareti vennero tinteggiate di un ocra chiaro. Poi, uno ad uno, timidamente, gli impiegati entrarono nella Sala Studio e Lettura per ammirare coi loro occhi cosa fosse stato costruito, un segreto rimasto tale fino ad allora. E fu così che videro, al centro della parete più grande, un enorme camino in pietra e mattoni, con al lato due figure mitologiche scolpite in pietra che reggevano un piano in legno massiccio diversi centimetri. Era veramente enorme, poteva entrarci tranquillamente una persona senza abbassare la testa, un camino come quelli delle corti rinascimentali nei quali venivano arrostiti interi vitelli e cinghiali. Insomma uno spettacolo.
Gli impiegati si guardarono negli occhi stupiti, nessuno osava pronunciare una parola. Ma tutti pensavano che il camino era veramente bello e degno della Nuova Grande Biblioteca. Poi, uno ad uno, andarono a complimentarsi con il Direttore che li ricevette sorridendo, ringraziando, senza dire null'altro. Ma si capiva che gradiva molto quei complimenti per l'opera realizzata, anche se non a tutti (forse a nessuno) era ben chiaro che scopo avesse quell'enorme camino. «Vedrete cosa diventerà questa Biblioteca! La prima Grande Biblioteca Virtuale (GBV) al mondo!», ripeteva a tutti coloro che incontrava nei corridoi. «Vedrete cosa sarò capace di fare di questa struttura, basta aspettare e vedrete nascere il mio Grande Progetto (GP), il mio Gioiello Più Importante (GPI). Il futuro, capite? Il futuro! Avremo bisogno solo di guardare il Grande Schermo per avere tutto lo scibile a portata di mano. PubMed, EconLit, CSA, DoGI e CC non saranno più sterili acronimi o fredde sigle ma l'Intero Piano della Conoscenza Immediata Virtuale (IPCIV).» L'ascoltavano intimoriti, in religioso silenzio, assentivano ma in fondo per tutti era come se parlasse una lingua straniera. Del resto lui era il Direttore e non era necessario che i suoi Piani e le sue Strategie fossero immediatamente comprensibili per tutti, anzi. Facevano parte del Grande Piano Strategico di Abolizione Opere Cartacee (GPSAOC) a cui lui lavorava da anni, un progetto finanziato da privati e da molti Enti, ma questo gli impiegati non lo sapevano.
Loro, gli altri, avrebbero potuto capirlo molto prima se solo avessero fatto più attenzione a quella sua scrivania, rimasta deserta per due lunghi anni, e che negli ultimi giorni cominciava invece ad animarsi di curiosi libretti. Inoltre dal suo studio, solitamente silenzioso, iniziarono a provenire strane risatine e ghigni sinistri, che lasciavano tutti nel più assoluto stupore non conoscendone il motivo. Ma nessuno osava aprire bocca. Solitamente ciò accadeva nella tarda mattinata dopo che il Direttore aveva effettuato il suo consueto giro giornaliero in Sala Studio e Lettura, per ammirare l'enorme camino in pietra. Tornando nello studio si chiudeva la porta alle spalle e dopo qualche minuto, puntuali, iniziavano quei ghigni e quelle risate, sempre più sadiche. Ma quando qualcuno bussava alla porta tornava un assoluto silenzio, le uniche parole che si udivano erano «avanti, prego».
Un giorno il Direttore uscì dalla sua stanza con un libro in mano, per recarsi come al solito in Sala Studio e Lettura. Un impiegato riuscì a leggere il titolo, "Die Blendung", ma capì che si trattava di un trucco per mascherare il titolo in italiano. Aveva infatti utilizzato la sovraccoperta dell'edizione tedesca per non far capire di quale libro si trattasse. Ma l'impiegato, oltre a conoscere un poco di tedesco, conosceva l'autore che lui non aveva potuto mascherare. Fu così che si sparse la voce che il Direttore stava leggendo un classico del Novecento come "Auto da fé" di Elias Canetti. Anche allora nessuno si insospettì ne capì il perché di quella lettura. Non capirono neppure quando, oltre Canetti, gli videro sfogliare sia "Les combustibles" di Amélie Nothomb, che leggeva nella traduzione italiana di Libri da ardere, sia "I roghi dei libri: l'eredità di Calibano" di Leo Löwenthal. Eppure qualcosa avrebbero potuto intuire, ma niente, niente. Altro occupava la mente di quei semplici.
Fu così che diversi altri libri cominciarono lentamente ad occupare la sua scrivania, solitamente deserta. Un raro scritto di Leo S. Olschki, "Saggio di una storia delle più notevoli distruzioni di libri", pubblicato a Bologna nel 1885, ma uscito in prima edizione lo stesso anno sulla rivista "Il bibliofilo", che il Direttore si era fatto inviare direttamente dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze; oppure il saggio "Il libro nella Shoah", curato da Jonathan Rose, che conteneva alcuni saggi sui roghi di libri ebraici da parte dei nazisti, oppure "Libro e libertà", il dotto pamphlet di Luciano Canfora. Insomma avrebbero potuto intuire qualcosa da questi titoli ma non lo fecero.
Nel grande camino vennero sistemati enormi ciocchi di legno, disposti a piramide. Gli operai lavoravano silenziosi senza disturbare minimamente i lettori. Intanto l'inverno si avvicinava, in quella regione il clima diventava veramente rigido e la neve poteva cadere abbondante.
Un giorno il Direttore chiamò tutto il personale a raccolta e lo invitò nella saletta delle proiezioni a vedere un film che aveva portato da casa. Tutti furono felici e lodarono il gentile pensiero. Presero posto e quando si spensero le luci la saletta cadde in un silenzio assoluto. Il film che si proiettava, "Fahrenheit 451", un capolavoro di François Truffaut, era tratto dal celebre romanzo di Ray Bradbury. Alla fine della proiezione tutti furono soddisfatti. Il Direttore tornò nel suo studio e gli impiegati al loro lavoro. Quei semplici avrebbero potuto capire qualcosa ma non lo fecero neppure allora.
Quando però un giorno lo videro leggere, sorridendo, "Quintetto di Buenos Aires" e "Tatuaggio" di Manuel Vázquez Montalbán pensarono che finalmente si stesse sciogliendo, che la sua ben nota riservatezza stesse, seppur lentamente, lasciando il posto ad una socialità ancorché contenuta. E neppure allora sospettarono nulla. Eppure, da qualche settimana, sulla sua scrivania faceva bella mostra di sé anche un numero di "Biblioteche oggi", con saggio di Rino Pensato il cui titolo avrebbe potuto insospettirli un poco: "La "griglia" di Pepe Carvalho: ovvero della libertà di bruciare libri". Per la verità qualcuno sospettò che il Direttore non avesse compreso fino in fondo le ragioni distruttive di Carvalho, l'eroe di Montalbán, ma di certo non ebbe il tempo di renderne partecipi i colleghi. Nel giro di poche settimane, infatti, la grande Sala Studio e Lettura divenne un vero e proprio forno crematorio. Ogni impiegato venne coinvolto nella Grande Impresa Finale (GIF). Decine di carrelli trasportarono dai magazzini e dagli scaffali della Sala Studio e Lettura migliaia di volumi che venivano gettati uno ad uno nel fuoco crepitante del camino. Il Direttore lodava la canna fumaria che a suo dire aspirava meravigliosamente bene. In effetti il fumo non usciva dal camino e la grande Sala Studio e Lettura, detta anche a Scaffale Aperto, in quei giorni non si riempì minimamente di quel fastidioso e nauseabondo fumo che spesso invade le case dotate di caminetto. I libri, specialmente quelli antichi e rari, prendevano immediatamente fuoco ed era una bellezza vederli scomparire in pochi minuti sostituiti dai manuali e dai dizionari, dalle opere complete di Leopardi e Manzoni e da tutta la letteratura universale. Un fuoco magnifico, non c'è che dire. I bagliori rossastri illuminavano fino a tarda notte le pareti e gli scaffali della grande Sala Studio e Lettura, che così lentamente e inesorabilmente si svuotava di tutto quel peso superfluo. Il calore prodotto dal fuoco garantì per molto tempo una temperatura ideale giorno e notte e fece sì che le grandi stufe non venissero più utilizzate, con notevole risparmio economico per l'amministrazione.
Giorno dopo giorno, per settimane, nell'immenso camino furono gettati migliaia di volumi e periodici, l'intero patrimonio bibliografico della Nuova Grande Biblioteca. Il Direttore trascorreva ormai tutto il suo tempo comodamente seduto di fronte al camino a godersi lo spettacolo. Di tanto in tanto rimproverava qualche impiegato perché dimenticava nel carrello un libro da bruciare, e il poveraccio rimediava con gesti veloci. «Vedrete che Grande Biblioteca Virtuale (GBV) creerò, la prima e unica al mondo», diceva orgoglioso di sé e del proprio Progetto. Gli impiegati annuivano, dando una malinconica occhiata agli scaffali sempre più vuoti, alla biblioteca sempre più deserta, anzi all'idea di biblioteca. Che bella che era, comunque stesse andando a finire.
Dopo un mese e dieci giorni esatti il grande camino nella grande Sala Studio e Lettura della Nuova Grande Biblioteca, diventata ora la Nuova Grande Biblioteca Virtuale (NGBV), aveva ingoiato l'intero patrimonio librario, con piena soddisfazione della direzione. Il lavoro era stato lungo e massacrante per tutti ma il risultato ripagava pienamente degli sforzi compiuti.
Ora finalmente tutti capirono il perché della presenza di quei libri sulla scrivania del Direttore. Libri anch'essi immolati, ma per ultimi, nel sacro fuoco per il bene della Nuova Grande Biblioteca Virtuale, che da lì a qualche settimana sarebbe stata inaugurata in pompa magna dalle massime autorità politiche locali. Quel giorno tutti sarebbero stati invitati, sperando almeno in un clima clemente.
Sarebbe stato così sufficiente il calore delle grandi stufe per riscaldare tutto quel Vuoto, senza dover necessariamente accendere il grande camino, nel quale ormai ben poco c'era da bruciare. La Nuova Grande Biblioteca Virtuale (NGBV), appena inaugurata dalle massime autorità politiche locali, si ergeva sulla sommità di una collinetta, fuori del centro abitato, in un silenzio ovattato, lo stesso delle sue sale. Da lontano ricordava vagamente la fortezza pugliese di Federico II a Castel del Monte. Dalle ampie finestre entrava tutto il verde della campagna circostante e la luce, attenuata da vetri speciali, si adagiava lieve sul vuoto che restava delle migliaia e migliaia di volumi d'ogni epoca e paese di cui la biblioteca era un tempo ricca.
L'architettura era ultramoderna ma conservava all'interno un certo che di antico, quasi a voler tenere per mano la grande tradizione bibliotecaria con la contemporaneità dei codici architettonici d'avanguardia. In effetti questo strideva un poco con l'insieme, ma nessuno ci faceva poi caso preoccupati di rendere, nel migliore dei modi, un servizio culturale all'intera collettività. Del resto la Nuova Grande Biblioteca Virtuale (NGBV) era l'unica biblioteca nel raggio di centinaia di chilometri ed era stata un tempo frequentatissima da persone di ogni tipo, professori, studenti, bambini, anziani, donne, extracomunitari; insomma era stato un luogo ideale per rilassarsi e per studiare.
Il Direttore era uomo energico ma tranquillo, veniva da lontano e di lui, adesso, si sapeva molto. Parlava poco ed era di una estrema riservatezza. Gli impiegati della Nuova Grande Biblioteca Virtuale parlavano spesso tra di loro del Direttore e del camino da lui fatto realizzare nella Sala Studio e Lettura. Così passavano i mesi, gli anni.