Il dibattito in corso è ulteriormente stimolato da un’altra considerazione. A tutt’oggi uno dei criteri seguiti nell’applicazione delle normative catalografiche è stato quello di fare riferimento, in maniera costante, al modello ideale di utente della propria biblioteca. In base a tale valutazione si sono decisi la forma delle intestazioni, il numero degli accessi, e ancora il livello della descrizione. Le AACR2, ad esempio, ne prevedono tre: minimale, medio ed esteso da applicare secondo le necessità. E’ proprio valutando la tipologia degli utenti che la biblioteca stabilisce quale debba essere la struttura semantica più adeguata alle esigenze della ricerca, il soggettario, il thesaurus, lo schema di classificazione e così via. Ma soprattutto è in base alle caratteristiche dell’utente che viene decisa la lingua di lavoro della biblioteca stessa. L’accesso ai cataloghi tramite internet, pur non alterando le specificità della biblioteca e l’opportunità di un servizio rivolto innanzi tutto alla propria utenza, comporta per il bibliotecario una riflessione supplementare sul fatto che gli stessi dati saranno consultati da utenti di altri Paesi, che parlano lingue differenti, che pensano secondo forme mentali diverse e per i quali le specificità della biblioteca in questione potrebbero essere totalmente estranee.
L’esecuzione di progetti di retroconversione rappresenta per molte biblioteche l’occasione più opportuna per introdurre cambiamenti nella propria tradizione catalografica. Un tale progetto, infatti, comporta non soltanto la trasposizione sul supporto magnetico di notizie già redatte in forma cartacea e per così dire pronte per l’uso, ma anche controlli di tipo inventariale sui documenti e persino la necessità di una loro ricatalogazione in forma originale. La Biblioteca Vaticana non ha fatto eccezione a questa consuetudine. Infatti, è stato proprio in seguito all’adozione del primo sistema di gestione automatizzata del catalogo nel 1985, che sono state, in larga parte, abbandonate le Norme Vaticane per il Catalogo degli Stampati, le cui direttive avevano guidato il lavoro dei catalogatori sin dai primi anni Trenta. Tali norme furono introdotte, nell’ambito di un più vasto progetto di riorganizzazione degli uffici e di risistemazione delle raccolte, grazie ad un intenso e fruttuoso rapporto di collaborazione con alcune prestigiose istituzioni internazionali, la Library of Congress in primo luogo. Pur consapevoli dell’opportunità di adeguare la descrizione bibliografica alle normative internazionali e la formulazione degli accessi ai Principi di Parigi, i catalogatori avevano deciso di soprassedere, vista l’estrema difficoltà e la quantità di risorse necessarie a riorganizzare uno schedario di oltre un milione e mezzo di schede. La questione degli accessi si presentava, in particolare, come un ostacolo impegnativo, perché occorreva dare forma diretta ad intestazioni modellate per lo più secondo forma inversa. Per questo motivo, nel corso della conversione retrospettiva del catalogo degli stampati, oltre ai controlli inventariali, che hanno permesso fra l’altro di portare alla luce una serie di pubblicazioni di cui si ignorava l’esistenza, è stata dedicata una attenzione particolare alla riformulazione delle intestazioni.
I fattori maggiormente considerati nell’impostazione dell’authority file sono stati i seguenti: innanzi tutto la constatazione che il catalogo è lo strumento di lavoro di una biblioteca specializzata, frequentata da studiosi provenienti dai più diversi Paesi del mondo, che, pur considerando la lingua italiana come lingua franca, utilizzano per formulare le proprie ricerche quello che Gadda chiama "il linguaggio delle tecniche", ossia preferiscono le forme classiche dei nomi degli autori e dei titoli a quelle vernacolari. D’altro canto la Vaticana svolge anche un ruolo ben preciso nel panorama italiano, collaborando con istituzioni culturali ed accademiche. E come trascurare, infine, la vasta utenza che interrogherà i suoi cataloghi elettronici collegandosi tramite internet, considerata la notorietà, la varietà e la unicità delle collezioni?
Queste tre esigenze, tutte egualmente importanti, hanno condotto alla realizzazione di un authority file multilingue, in grado di rispondere a richieste formulate secondo lingue o criteri catalografici differenti. Si è cercato di dar vita ad uno strumento di interrogazione che servisse adeguatamente ciascuna delle tre tipologie di utenti individuate. Nel caso degli autori classici, ad esempio, la forma latina del nome o del titolo sarà quella più utilizzata dallo specialista, la corrispondente forma italiana sarà quella di uso più comune per lo studente che si collega per una ricerca di tipo scolastico, la forma inglese quella che consentirà di effettuare la stessa ricerca contemporaneamente su più archivi elettronici. Naturalmente non vi è altro motivo che l’esiguità delle risorse che spieghi l’attuale limitazione a due o tre lingue. Una struttura concepita secondo uno schema modulare di questo tipo potrebbe, infatti, essere ampliata e contenere forme equivalenti in un numero molto grande di lingue e secondo codici catalografici diversi.
Come molteplici sono le tipologie degli utenti della Vaticana, allo stesso modo la biblioteca può essere considerata sui generis per l’eterogeneità del suo patrimonio, in quanto possiede molte decine di migliaia di antiche incisioni, migliaia di disegni ed oggetti d’arte, uno dei più grandi medaglieri del mondo e molte centinaia di migliaia di volumi stampati negli ultimi due secoli. Tuttavia, la sua grande ricchezza è certamente costituita dai centocinquantamila manoscritti, dagli incunaboli, dalle cinquecentine e dalle pubblicazioni del XVII e XVIII secolo. Questa grande varietà rappresenta, per chi si occupa della trasposizione in forma elettronica, una occasione difficilmente ripetibile per applicare, nell’ambito di un medesimo progetto, soluzioni tecnologiche sofisticate come risposta alle esigenze di ciascuna tipologia di documento.
Quando fu intrapresa la strada dell’automazione, ci si interrogò a lungo se fosse opportuno dar vita a strumenti di ricerca distinti, cioè cataloghi ed inventari diversi per ciascuna collezione, ovvero creare un sistema informativo unico, interrogabile secondo le medesime modalità, indipendentemente dalla natura del documento ricercato. Fra le considerazioni che condussero a preferire questa seconda alternativa, un particolare peso ebbe la possibilità di costruire uno strumento di ricerca molto potente, specie se integrato da immagini ed altre informazioni multimediali. La sua efficacia sarebbe andata ben oltre la semplice sommatoria di numerosi cataloghi e, realizzando una vera e propria enciclopedia di ambito umanistico, avrebbe dato veste elettronica allo spirito rinascimentale che aveva animato i primi anni di esistenza della Biblioteca.
Questa impostazione del catalogo comporta l’evidente difficoltà di tenere nel debito conto tutte le specificità dei diversi materiali. Ad esempio, per gli archivisti il trattamento "bibliografico" dei documenti è innaturale e inadatto a riflettere la struttura gerarchica dell’archivio. L’evoluzione tecnologica conseguente alla diffusione di internet ripropone oggi la possibilità di pensare a cataloghi separati o, per meglio dire, a strumenti informativi non necessariamente concepiti secondo la struttura di un catalogo. Questo da un lato salvaguarderebbe il trattamento differenziato dei documenti e dall’altro lato consentirebbe di interrogare i diversi archivi mediante il medesimo dispositivo, nella fattispecie il browser. Ecco dunque che accanto al catalogo dei libri a stampa strutturato nell’ormai tradizionale formato MARC, vengono creati degli archivi elettronici basati su altri formati: ad esempio, il formato SGML (Standardized General Mark-up Language), che permette di dare ai documenti una forma narrativa, lontana dalla rigidità della griglia catalografica tradizionale, e di incorporare informazioni multimediali, come suoni ed immagini. Particolarmente adatti alla descrizione dei manoscritti medievali sono i principi contenuti in Guidelines for Electronic Text Encoding and Interchange conosciuti come formato TEI. Questo formato è stato adottato nell’ambito del progetto EAMMS (Electronic Access to Medieval ManuscriptS), curato da un Gruppo internazionale di lavoro, cui prende parte anche un rappresentante della Biblioteca Vaticana.
Da tutto ciò si può prevedere che l’opac della Vaticana con il passare del tempo assumerà funzionalità che oggi ancora non possiede. Dovranno essere sviluppati pertanto tutti quegli strumenti che consentano di condurre la ricerca in modo semplice e di fare un uso proficuo delle informazioni reperite. Occorre tuttavia aggiungere che, senza una struttura complessa di base, anche le ricerche più elementari rischiano di produrre risultati incompleti o di difficile utilizzazione.
L’insieme di tutte le considerazioni fatte conduce a ritenere che anche
per la Biblioteca Vaticana valga quanto affermato da più di uno
studioso, cioè che le biblioteche potranno sopravvivere e continuare
a svolgere un ruolo attivo nel circuito dell’informazione soltanto se i
bibliotecari vinceranno una sfida: fornire un accesso intellettuale alle
risorse digitali applicando i principi consolidati della tradizione bibliotecaria,
ma utilizzando al tempo stesso nuove strategie per metterli in pratica.
I nuovi formati e i protocolli elettronici per la codifica, l’indicizzazione
ed il collegamento fra i documenti, in virtù della maggiore flessibilità
che assicurano e per il fatto di essere stati ideati, non come semplice
riproduzione informatica di procedure manuali, come in fondo è avvenuto
nel caso del formato MARC, ma come strumenti di lavoro che fin dall’inizio
hanno tenuto presenti le caratteristiche dell’elaboratore, possono essere
applicati agli obbiettivi perseguiti per tradizione dal catalogo. Le elaborazioni
sul linguaggio, finalizzate alla esecuzione delle ricerche, possono integrare
e potenziare le vie di accesso tradizionali ai cataloghi, così come
l’immediata disponibilità dei documenti in forma digitale può
considerevolmente ridurre gli sforzi per rappresentare fedelmente i documenti
stessi. Nonostante ciò, la necessità di strutturare in modo
organizzato gli strumenti del sapere, che è proprio ciò che
fa il bibliotecario attraverso la catalogazione, non sembra in un futuro
prevedibile poter venir meno.