Resa disponibile sul server web del Consiglio, la bozza è stata quindi sottoposta, dal dicembre del '98 al febbraio del '99, ad un processo di verifica e di raccolta di pareri presso i rappresentanti degli stati membri, i ministri competenti dei singoli stati nazionali (cultura, educazione, affari sociali, occupazione, industria), le associazioni professionali e culturali nazionali ed internazionali ed altri enti interessati. I pareri ricevuti dal Consiglio sono stati analizzati e dibattuti in seno alla Commissione Cultura, ed hanno concorso ad un'ulteriore riflessione in occasione della sessione del 21-23 aprile '99. Il nuovo testo verrà ulteriormente discusso e perfezionato nel corso della conferenza internazionale che si terrà a Roma nei giorni 22-23 ottobre di quest'anno (Cultural Work in the Information Society).
Andando un po' più a ritroso nel tempo, possiamo trovare l'"humus" di questo documento proprio nel contesto del primo progetto "Nuova economia del libro" (NEL), al quale ha partecipato anche l'Italia, finalizzato alla valutazione dell'impatto delle tecnologie digitali e dello sviluppo dell'editoria elettronica lungo tutta la filiera delle professioni del libro (produzione, commercio, intermediazione), dall'ideazione alla fruizione di un qualsiasi contenuto culturale. L'impatto delle tecnologie informatiche e telematiche è stato analizzato dai partner del progetto soprattutto nell'ottica della predisposizione di strumenti ed ambiti di riqualificazione professionale per gli operatori della "catena del libro" (editori, librai, bibliotecari), attraverso un ridisegno delle competenze e delle figure professionali che tiene conto dei profondi cambiamenti prodotti dall'affermarsi di questo tipo di tecnologie.
Il gruppo di ricerca italiano del progetto NEL, ispirandosi tra l'altro ad una analoga iniziativa promossa dall'ABPTOE nell'ambito del programma comunitario "Leonardo", ha cercato innanzitutto di individuare le aree percepite come necessitanti di maggiore e più urgente intervento formativo da parte delle imprese editoriali: lo strumento utilizzato per la rilevazione è stato un questionario esemplato su quello elaborato dall'ABPTOE per gli altri paesi europei. Contestualmente all'indagine tramite questionario, sono state effettuate una serie di interviste "in profondità" a manager di case editrici, nuovi editori operanti nel multimediale, librai e bibliotecari, sempre con lo scopo di identificare i principali fabbisogni formativi e le nuove figure professionali legate all'erogazione di prodotti o servizi afferenti all'ambito delle "Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione" (TIC).
Il contesto NEL, soprattutto la particolare attenzione riservata all'ambito della produzione editoriale elettronica, sembra dunque avere in una certa misura influenzato anche la Raccomandazione del Consiglio d'Europa: non solo le industrie ma anche le istituzioni culturali, cioè entrambe le categorie destinatarie della raccomandazione, vengono viste in primo luogo come fornitrici di prodotti editoriali di editoria elettronica piuttosto che di servizi basati sulle TIC.
Ma scendiamo un po' più nel dettaglio analizzando la struttura del documento. Dopo il testo vero e proprio della raccomandazione, che rivolge agli stati membri l'invito a:
· Professionisti dell'informazione (1.5): definiti come mediatori fra i produttori, i fornitori, gli utilizzatori d'informazioni e le tecnologie dell'informazione, e caratterizzati da competenze chiave "tecniche" che investono i due versanti dell'organizzazione dell'informazione ai fini del suo recupero, e della capacità di ascolto e rispondenza alle esigenze di fornitori e utenti dell'informazione;
·
Operatori
della conoscenza (1.6): detti anche "analisti di simboli", cioè
produttori di un valore basato sull'elaborazione dell'informazione, sono
definiti come persone in grado di trasformare la conoscenza trattata per
creare e fornire nuovi contenuti; per loro, la conoscenza è la fonte
principale di produttività e innovazione, la materia prima per lo
sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
Industrie ed istituzioni culturali devono perciò sviluppare, al loro interno (e non più appaltare all'esterno i relativi compiti o segmenti lavorativi), una serie di nuovi profili professionali, tramite un'attività di formazione sistematica del proprio personale afferente all'area dei professionisti dell'informazione e operatori della conoscenza: la raccomandazione considera questa dell'internalizzazione delle nuove figure professionali una scelta assolutamente cruciale, l'unica attraverso la quale è possibile raccogliere adeguatamente la sfida di una società ad alta tecnologia.
I nuovi profili professionali, elencati nel terzo capitolo, si articolano in:
Le autorità pubbliche sono perciò invitate a promuovere un quadro politico entro cui, nell'ambito TIC, possano svilupparsi contenuti culturali di qualità, forme di qualificazione professionale, aumento delle competenze e delle esperienze, adeguamenti delle logiche organizzative del lavoro, strategie di cooperazione e di scambi internazionali.
Il sesto capitolo del documento, intitolato
Rapporto esplicativo, non è stato ancora redatto, ma si può
intuire che cercherà di fornire un'analisi del contesto in cui s'inserisce
la "sfida" delle nuove tecnologie e dei principali doveri politici che
dovranno essere affrontati per rispondervi adeguatamente.
Al di là degli intenti ricognitivi e analitici del documento, della forte vocazione ad affrontare il problema del recupero di professionalità del mondo produttivo entrate in crisi a causa dell'evoluzione delle tecnologie e dei mercati, e al di là delle inevitabili rigidità e lacune di un'esposizione alla quale sarebbe opportuno riconoscere un valore più esemplificativo che prescrittivo, la raccomandazione del Consiglio d'Europa può assumere per noi un'importante funzione di linea-guida, di cornice da riempire dei contenuti che sapremo elaborare a partire proprio dai profili e dalle linee evolutive della nostra professione.
Dal riconoscimento della centralità del professionista dell'informazione in una società fortemente caratterizzata dalle tecnologie informatiche e comunicazionali, e della centralità del ruolo delle istituzioni culturali pubbliche nella conservazione e trasmissione del sapere, dobbiamo far sì che conseguano azioni che rendano strutturali e non episodiche o contingenti le iniziative di formazione e di aggiornamento professionale, che trasferiscano all'interno dei nostri enti le professionalità e le competenze necessarie per una gestione evoluta dell'intermediazione informativa, che inducano processi di riorganizzazione del lavoro orientati alla deburocratizzazione, al decentramento, all'autonomia e all'assunzione di responsabilità.
Si tratta di una sfida cruciale per la
nostra professione, che stimola ad approfondire ancora qualche riflessione
a partire da alcuni luoghi "critici", per rilevanza o per problematicità,
della Raccomandazione.
Una maggiore attenzione, o forse una riflessione
più specifica, si dovrebbe dedicare alla gestione del contenuto
informativo dei documenti (piuttosto che ai suoi aspetti puramente tecnologici
e d'interfaccia), e alle competenze professionali necessarie ad una rappresentazione
della conoscenza che sfrutti nella maniera più efficace possibile
il supporto elettronico (per intenderci, ad esempio, le problematiche della
rappresentazione della conoscenza tramite il paradigma ipertestuale, il
"buon uso" del linguaggio ipertestuale, l'indicizzazione dei documenti
elettronici, la standardizzazione dei metadati, ecc.). A questi aspetti
della problematica della "riconcettualizzazione" del documento elettronico,
si allaccerebbe poi naturalmente l'opportunità di una ridefinizione
del concetto di "autore" in un contesto di possibile condivisione del documento
digitale quale è quello del mondo web, del rapporto fra autore,
redattore, editore, lettore, e cosi' via.
Altri spunti di riflessione derivano dalla constatazione che il documento del Consiglio appare molto più orientato alla definizione dei nuovi profili professionali afferenti all'ambito della produzione dei documenti multimediali (soprattutto, anche se non esclusivamente, off-line) che non dei profili afferenti all'ambito dell'intermediazione, per una serie di motivi che vanno dalla nascita nel contesto degli studi di "Nuova economia del libro", all'attenzione particolare che il Consiglio d'Europa dedica al problema del rapporto fra sviluppo delle tecnologie digitali, disoccupazione e nuove occupazioni, all'impegno europeo per una transizione verso la "società dell'informazione" supportata da scelte politiche che ne ammortizzino gli effetti collaterali più dirompenti.
Come categoria professionale, dovremmo
sicuramente rivolgere una maggiore attenzione alle problematiche, alle
nuove professionalità e alle competenze chiave dell'intermediazione,
soprattutto in un momento in cui la nostra identità professionale
si ridisegna a fatica fra nuovi ordinamenti professionali delle pubbliche
amministrazioni e tendenze centrifughe di outsourcing di funzioni
ad elevato contenuto tecnico-scientifico o manageriale.
Si pensi a competenze emergenti come quelle
giuridiche di base (per la gestione dei documenti digitali e delle fattispecie
di diritti correlati); come la capacità di valutazione dei prodotti
e dei mercati (per la scelta dei formati e dei supporti alternativi, la
contrattazione degli acquisti e delle licenze d'uso, anche in ambienti
cooperativi e consortili), di organizzazione e gestione degli accessi,
degli usi e delle condivisioni di documenti elettronici, di elaborazione
di soluzioni per i problemi di conservazione a lungo termine della documentazione
elettronica (tutela e conservazione dei supporti; duplicazione e/o migrazione
da un tipo di supporto ad un altro; monitoraggi di hardware, software e
sistemi operativi per l'uso dei dati) e di garanzia dell'accesso nel tempo
alla documentazione elettronica (sia dal punto di vista legale che tecnico);
come la padronanza degli aspetti generali dell'intermediazione fra patrimonio
documentario elettronico e utenza (selezione e controllo di qualità,
organizzazione e "catalogazione" della documentazione elettronica, identificazione
e valutazione delle fonti informative, recupero e presentazione delle informazioni),
la capacità di allestire strumenti di corredo per l'orientamento
dell'utente e la creazione di valore aggiunto informativo (help, interfacce
utente, personalizzazioni, indici e classificazioni di risorse, ecc.),
la conoscenza e applicazione degli standard e degli identificatori di oggetti
elettronici, nonché delle modalità di rapporto e interfacciamento
fra di essi. Si tratta in ogni caso di competenze, oltre che tipiche della
funzione intermediaria delle strutture bibliotecarie e documentali, sicuramente
integrative di una professionalità più tradizionale e consolidata:
necessarie, anzi fortemente necessarie, ma non sostitutive. Anche il fenomeno
che il documento etichetta come "convergenza" (il progressivo avvicinamento
delle sfere di attività e dei profili professionali delle diverse
industrie culturali) mi sembra che si possa interpretare come conferma
della diffusa necessità di competenze chiave comuni e afferenti
al campo TIC in tutti i profili professionali già esistenti.
E' per questo che alla soluzione profilata
dal documento del Consiglio di creare, per fronteggiare efficacemente i
problemi di gestione dell'informazione digitale in una biblioteca, figure
specialistiche e ben separate da quelle preesistenti, come quella del "bibliotecario
del multimediale" o del "web-watcher", accanto a quella del bibliotecario
"tradizionale", preferirei percorsi formativi e politiche di aggiornamento
che mettessero in grado tutti i professionisti dell'intermediazione informativa
di gestire e attingere efficacemente alle risorse digitali, di esplorare
la rete e cercare, individuare, vagliare, organizzare e "riconfezionare"
l'informazione di cui hanno necessità.
Viene da chiedersi, a questo punto, se ciò di cui abbiamo bisogno, accanto ad un ripensamento sui nostri profili professionali, non sia anche e soprattutto una "riconcettualizzazione", un nuovo statuto per le biblioteche in cui operiamo.
Creare una biblioteca a compartimenti "stagni"
(comparto cartaceo e comparto digitale), quale è quella in qualche
modo prefigurata dalla Raccomandazione, ognuno gestito dalle relative categorie
professionali, non è a mio parere una buona soluzione alle emergenze
dettate dagli sviluppi tecnologici. Dobbiamo piuttosto attrezzarci per
governare nel migliore dei modi una fase di transizione in cui è
di cruciale importanza curare l'integrazione fra le varie tipologie di
risorse informative (locali e remote; su supporti elettronici, micrografici
e cartacei; e così via) e la gestione "integrata" dei servizi ad
esse collegati. Agiamo in un contesto di biblioteca "ibrida", non più
solo tradizionale e non ancora solo digitale, in cui dobbiamo essere in
grado di gestire nel modo migliore non solo ognuna delle due "metà"
della nostra struttura, ma anche il continuo spostamento di confine fra
informazione digitale e non digitale. Ricostruire per l'utenza (e quindi
per la società) un mondo informativo a tutto tondo, nel quale le
nuove tecnologie vengano utilizzate sapientemente, e non inducano il rischio
di fratture artificiose motivate esclusivamente dalle diversità
di codifica e di supporto, non sarebbe anche questa una bella sfida per
le nostre "professioni della conoscenza"?