[AIB]

53º Congresso nazionale AIB

Le politiche delle biblioteche in Italia
La professione

Roma, Centro congressi Europa
Policlinico universitario "A. Gemelli"
18–20 ottobre 2006


Programma 53º Congresso AIB

Formazione professionale : esperienze e considerazioni del Sistema Bibliotecario di Ateneo

Raffaella Ingrosso,  Cinthia Pless
Università di Modena - Reggio Emilia

Abstract

Il Sistema Bibliotecario dell'Ateneo di Modena e RE nel corso del 2005 ha avviato un percorso di formazione per il personale dell'Area, funzionale all'aggiornamento degli operatori e finalizzato a sviluppi organizzativi che prevedono anche ruoli di direzione per strutture complesse o a progetti articolati che richiedono competenze elevate.

Questo intervento nasce dall'esperienza formativa dell'Ateneo di Modena e Reggio Emilia, che ha commissionato un "pacchetto formativo" residenziale all'associazione professionale AIDA.

Oggetto dell'intervento:

  • la decisione dell'affidamento dell'incarico da parte del SBA,
  • - le aree disciplinari e la metodologia seguita (metodi e risorse finanziarie coinvolte),

– le "questioni aperte" – ovvero, analisi :

  • dell'impatto di un percorso formativo che nel nostro ramo professionale e nel contesto universitario tende ad essere realizzato secondo modalità tradizionali;
  • del rischio di veicolare contenuti autoreferenziali: più legati al sapere tecnico che al potenziamento delle capacità di innovazione e partecipazione ai processi di sviluppo organizzativo.

Si intende relazionare sulla esperienza condotta e sviluppare proposte utili allo sviluppo futuro di corsi erogati a personale universitario eterogeneo, e, nello specifico, considerando che è in atto un passaggio generazionale, da tarare ancor di più sulla base delle funzioni e delle aspirazioni del personale affinché anche le associazioni professionali e/o gli enti di formazione propongano nuove modalità di erogazione.

Diversi livelli di conoscenza non dovrebbero essere un ostacolo quanto, piuttosto un contributo alla dinamicità delle lezioni e uno stimolo all'approfondimento delle tematiche; l'intero processo potrebbe fornire strumenti organizzativi ai responsabili delle strutture e indicazioni utili per lo sviluppo delle risorse umane coinvolte.

 


 

Il Sistema bibliotecario di ateneo dell'Università di Modena consta di 61 unità di personale dell'area. Istituito solamente nel 2004 col raggruppamento di biblioteche prima inserite nelle strutture delle facoltà e dei dipartimenti, la nuova aggregazione risentiva di una disomogeneità derivante dalle diverse consuetudini delle comunità originarie e dal diverso peso da queste attribuito all'elemento biblioteca.

La mancanza di un centro di responsabilità e di spesa sovraordinato alle strutture, nei fatti aveva impedito di affrontare organicamente il tema dell'aggiornamento professionale, che perlopiù restava affidato alle iniziative dei singoli. Negli stessi anni l'ingresso di personale nuovo, di formazione moderna, con grosse potenzialità professionali aveva accentuato la disomogeneità complessiva e portato disparità nell'offerta di servizi difficilmente comprensibili per l'utenza.

Sanare queste sperequazioni diventava quindi un compito prioritario.

Si aggiungeva la volontà di rimediare ad un certo difetto di considerazione del personale bibliotecario nell'ambito del personale tecnico-amministrativo, di offrire una qualificazione eventualmente utile ai fini della progressione di carriera e infine il desiderio di movimentare il panorama, suggerendo la prospettiva e la mentalità della formazione permanente.

Tutti questi motivi erano ugualmente presenti e rivestivano un carattere di necessità, perciò si è scelto di affrontare un lungo ciclo di lezioni, che toccasse il maggior numero degli aspetti nuovi della professione e di renderlo obbligatorio, svolgendolo in orario di servizio.

La scelta dei docenti è andata ad AIDA, un'associazione che raccoglie fra i più noti professionisti nel campo dell'informazione e documentazione avanzata ed è stata dettata dalla fiducia nell'esperienza organizzativa e progettuale dei corsi oltre che per il supporto tecnico che poteva offrire nella realizzazione di moduli formativi, articolati in lezioni frontali, esercitazioni e attività propedeutiche complementari. Pertanto, nel periodo giugno 2005 – primavera 2006, si sono tenuti i corsi, consistenti in 15 moduli di diversa durata, da uno a tre giorni cadauno. A fine corso è seguita una verifica, peraltro prevista dal regolamento d'ateneo, atta a rilasciare una valutazione, anche se al buon esito non si è potuto far seguito con l'attribuzione di crediti formativi.

Il risultato è stato complessivamente positivo, come risulta dai commenti generali dei colleghi; ciononostante, in vista di una ripetizione ciclica di quest'esperienza, si impongono alcune considerazioni per il futuro che vertono su questi aspetti:

  • metodologia di programmazione all'interno dell'amministrazione;
  • strutturazione dell'esperienza (obbligatoria/facoltativa/per autovalutazione, stima dei prerequisiti);
  • contenuti;
  • metodologia didattica

All'interno dell'organizzazione, in stretto contatto con l'Ufficio Formazione dell'Università, è importante arrivare a redigere una sorta di portfolio delle competenze richieste per svolgere determinati ruoli (cosa bisogna sapere), così come, sempre in sinergia con l'ufficio Formazione, sarà utile raccogliere un elenco di desiderata, per conoscere cosa gli operatori ai diversi livelli ritengono che sia necessario sapere per essere messi in condizione di lavorare con sicura competenza. Questa ricognizione dovrebbe dettare i contenuti dei prossimi corsi.

Ci si interroga anche se mantenere il carattere obbligatorio così come lo ha avuto in questo ciclo, in quanto per i dipendenti è senza dubbio un vantaggio e un incentivo implicito poter seguire tutti i corsi in orario lavorativo, o se dare spazio ad una sorta di autovalutazione che permetta di scegliere entro un'offerta formativa precedentemente enucleata, e in quale orario possa essere svolta.

La partecipazione di tutti i dipendenti a tutti i corsi, infatti, rischia di compromettere l'apertura delle biblioteche e introduce il problema dei requisiti: una parte di personale manca delle nozioni basilari per seguire certe applicazioni avanzate, specie laddove la dimestichezza tecnologica è indispensabile. Oppure certe applicazioni sono del tutto estranee alla realtà lavorativa

La metodologia didattica presenta gli aspetti più problematici. Trattandosi di un pubblico adulto, che, vogliamo ricordarlo, è tipologicamente diverso dallo studente per motivazione, per stili di apprendimento, caratteristiche cognitive, resistenza fisica, è più che mai necessario adottare metodi consoni a questa realtà. L'esperienza dei corsi di formazione ha introdotto nuovi modelli accanto alla tradizionale formula di insegnamento ex cathedra; in questo settore risulta appropriato, ed efficace, il modello andragogico.

Questo metodo, avviato negli anni Settanta in risposta al metodo pedagogico, si fonda sulle osservazioni sviluppate da Malcom Knowles sul discente adulto. Malcom S. Knowles, che insegnò in varie università USA (1913-1997) e divenne una riconosciuta autorità nel settore, ritiene che in almeno sei aspetti si riscontrino delle differenze significative.

  • il bisogno di conoscere: l'adulto ha bisogno di capire perché deve apprendere, deve cioè essere consapevole del divario tra la competenze possedute e quelle necessarie all'attività svolta;
  • il concetto di sé: l'adulto ha raggiunto una concezione di sé come di un essere in grado di autogovernarsi. Di conseguenza in una condizione in cui torna ad esser dipendente, sperimenta una tensione che può tradursi in rigetto; –
  • l'esperienza: i gruppi di adulti sono eterogenei, diversi tra loro più di qualunque gruppo di studenti, e tutta l'esperienza pregressa è vissuta come costitutiva dell'identità personale. Nello stesso tempo, rappresenta un serbatoio di sapienza collettiva da cui sviluppare le potenzialità individuali;
  • la disponibilità: a differenza dei giovani, consapevoli della necessità di formarsi un bagaglio culturale per applicazioni che verranno dopo e che si declineranno nel futuro, gli adulti concedono una disponibilità mirata. L'insegnamento deve migliorare le competenze e poter essere applicato efficacemente nel quotidiano;
  • l'orientamento all'apprendimento: prevale il senso pratico. Perché valga la pena investire energia e mettersi in gioco (emozioni) l'insegnamento non deve essere centrato sulle materie e svolgere una dottrina in astratto, ma deve essere imperniato sulla vita reale, deve aiutare ad assolvere i compiti e ad affrontare i problemi;
  • infine le motivazioni. Anche queste cambiano, forse perché i giovani sono più plasmabili, e quindi si conformano più agevolmente alle aspettative sociali, negli adulti, invece, le motivazioni interne all'apprendimento, quali senso di realizzazione, autostima, coinvolgimento, gusto.. alla fine sono più efficaci delle pressioni esterne (carriera, tempo a disposizione, etc.).

Elaborando la dottrina andragogica Knowles parte dall'assioma che la formazione non è un travaso di contenuti da un docente a un discente, quanto piuttosto l'apprendimento di un processo, il cui traguardo è costituito dai comportamenti di lavoro. L'assioma comporta un corollario di atteggiamenti che devono esprimersi nelle lezioni.

Comportamenti idonei al risultato focalizzano il modello di processo, di trasmissione di risorse e procedure, di acquisizione di informazioni e abilità, soprattutto fanno richiamo alla responsabilità del discente e alla condivisione del progetto.

Un corso di formazione dovrà quindi diagnosticare i bisogni di apprendimento (sulla base dello scarto percepito) e dar vita a una progettazione cooperativa, perché l'impegno sarà proporzionale alla partecipazione al progetto, o almeno all'influenza su questo (ecco il concetto di negoziazione). Si dovrà creare un clima fisico, umano e strumentale, favorevole e vivace, animato da esperienze diversificate.

La figura del docente si concretizzerà in quella di facilitatore del processo, organizzatore dei materiali e delle attività attento al feed-back e responsabile della rimodulazione del programma.

Sulla scia di Knowles si sono posti vari studiosi della formazione continua. Peter Jarvis, docente di Continuing Education all'Università del Surrey (UK), approfondendo i presupposti già esaminati alla luce dell'accresciuta complessità dei ruoli organizzativi, ha sviluppato il modello dell'experiential learning ovvero "insegnamento progettuale".

Le funzioni lavorative sono segnate oggi da richieste di maggiore autonomia, di integrazione tra le funzioni, di efficacia, di superamento delle logiche specialistiche (analisi che sembrano scaturite dalla riflessione bibliotecaria!). Di conseguenza l'aggiornamento e la formazione professionali dovranno incidere sulle abilità del soggetto, che sarà attivo, imparerà facendo esercizi, sperimentando, risolvendo problemi (try & error), in un tipo di comunicazione transitiva col docente.

Tecniche esperienziali contrapposte alle consuete tecniche trasmissive. La metodologia richiede la destrutturazione del modello: a una formazione programmata nei dettagli e articolata in un percorso sequenziale si contrappone un'area di sperimentazioni del possibile, tutte mirate a costruire l'apprendimento in un ottica di self-development o, meglio, self directed learning.

Questo tipo di approccio, particolarmente rivolto ad attività professionali in cui le componenti prescrittive devono integrarsi con le componenti discrezionali, promuove la creatività, l'adattabilità al contesto (problem solving). Ne deriva che le tecniche che integrano soggetto e contenuti, che fanno uso sostanziale dell'esperienza dei partecipanti sono connotate dall'attivismo: discussioni di gruppo, esercizi di simulazione, metodo dei casi, metodi di laboratorio, aiuto tra pari, role playing, gruppi strutturati...

Ovviamente costruire un corso strutturato secondo queste indicazioni è un impegno creativo, che oltre alla padronanza dei contenuti richiede molta attenzione al contesto operativo. D'altronde è acquisito che l'apprendimento più significativo passa attraverso l'azione.

Per raggiungere questi risultati Joanne Wegsten, della Golden Gate University di San Francisco, ha distillato una sorta di prontuario, raccogliendo raccomandazioni ampiamente condivise dalla comunità degli studiosi.

In primo luogo colui che ha la posizione di insegnante deve conoscere le peculiarità della classe per riuscire a graduare il metodo su di essa.

Questa constatazione ci porta alla definizione dei prerequisiti di partecipazione a un corso. Prerequisiti che non possono essere vincolanti, ma devono comunque essere esplicitati in senso orientativo.

In una dimensione di sistema bibliotecario risulterebbe utile un database aggiornato delle competenze e delle mansioni (chi fa cosa, cosa potrebbe fare, cosa gli potrebbe essere proposto).

Una preventiva analisi aiuterà a capire dove le professionalità delle persone sono male utilizzate o insufficienti, dove sprecate ovvero dove mancano le conoscenze necessarie. La maggiore adesione di corsi e fabbisogni aiuterà il successo dell'iniziativa di formazione da parte delle associazioni professionali.

Per assolvere il suo compito di "facilitatore" il docente dovrebbe utilizzare una varietà di tecniche didattiche, trascurare le ipotesi accademiche privilegiando una didattica per obiettivi, cioè di attività formative dirette sulle finalità, contestualizzare le applicazioni in relazione ai ruoli svolti, valorizzare l'esperienza pregressa.

A tutto ciò si può aggiungere l'osservazione di buon senso relativa alle condizioni fisiche, negli adulti non sempre smaglianti, e alle minori performance della memoria: per l'adulto è irritante restare seduto a lungo in condizione di passività e la memoria si satura prima.

Knowles raccomanda anche una situazione di comfort complessivo, costituita da comodità materiale e benessere complessivo, costituito da un clima informale, da un senso di fiducia, di libertà di espressione, di realizzazione personale derivata dalla percezione dei propri progressi.

L'insegnante dovrà allora evitare le situazioni di sovraccarico, che demoralizzano e frustrano lo spirito di collaborazione, parcellizzare i contenuti in unità agili, sforzarsi di trovare esempi riconoscibili, alternare gli input informativi a esercizi oprativi e discussioni di gruppo, eventualmente rinegoziare gli obiettivi.

La programmazione di corsi protratti nel tempo e di contenuto significativo potrebbe allora prevedere un impegno non superiore a mezza giornata, articolata in due ore di lezione// intervallo // due ore lezione e dopo qualche giorno un richiamo dei temi affrontati e tre ore di simulazione e compito, lasciando l'impegno su l'intera giornata per i seminari di aggiornamento. Ciò ovviamente si scontra con il costo dei docenti, ma non può essere scartato da un'ipotesi concettuale.

Resta da affrontare il tema, anch'esso spinoso, della valutazione finale. Un sistema bibliotecario, che è chiamato ad emettere un giudizio sia per i propri fini interni sia per dare un riscontro all'amministrazione, può prescindere dall'esame finale ?

Lezioni concepite secondo i parametri enunciati fin qui incorporano la verifica dell'apprendimento durante tutta la durata del corso e non soltanto in sede di esame consuntivo. È un accertamento che deve scaturire da riflessioni collettive, magari opportunamente sollecitate dall'insegnante alla fine di ogni lezione (esempio: qual'è il concetto più importante di oggi? Qual'è la domanda più importante che avete ancora da fare ?)

Bertrand Schwarz, studioso accreditato alla CE per i problemi dell'educazione degli adulti afferma che la valutazione fa parte integrante del processo di formazione e poiché questa mira non semplicemente a trasmettere contenuti, quanto piuttosto a sviluppare capacità chiave, cioè capacità riutilizzabili, che si possono identificare nelle competenze trasversali, intese come capacità di affrontare le situazioni e le trasformazioni, comunicare, risolvere un problema, prendere una decisione, lavorare in gruppo, agire sull'ambiente controllando i processi, queste sono cose che si valutano meglio con situazioni di simulazione della realtà affrontate apparentemente in ordine sparso nel corso delle lezioni, piuttosto che con una verifica finale con caratteristiche di esame.

Per questi motivi si sarebbe preferita un'alternativa al questionario e si era pensato a un project work redatto a gruppi.

Alla fine del ciclo formativo tenuto a Modena questa scelta, che continua a sembrarci la più plasmabile e la più rispettosa dell'autonomia del discente, non si è potuta attuare, per motivi di tempo e organizzativi. Introdurre il concetto nell'arco delle lezioni, disseminarne i contenuti nelle esercitazioni, concedere spazi all'esperienza avrebbe potuto vincere la resistenza a questo tipo di esaminazione, temperandone l'aspetto valutativo con un accertamento svolto durante ogni modulo, piuttosto che a fine corso.

Riferimenti bibliografici / sitografia

M. Knowles. Quando l'adulto impara: Milano: Angeli, 1997.

M. Castagna. Progettare la formazione: Milano: Angeli, 1988.

L. Albert – V. Gallina – M. Lichtner. Tornare a scuola da grandi. Milano: Angeli, 1998.

J. Ewing. Apprendimento online e offline, a cura di Alessandra Pini, «IRRE Emilia Romagna» 6 (2001), p. 13-20.

E-ducation.it. <http://www.e-ducation.it>

Assistere l'impresa. Il portale Gemini Europa. <http://www.geminieuropa.com>


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