[AIB]

53º Congresso nazionale AIB

Le politiche delle biblioteche in Italia
La professione

Roma, Centro congressi Europa
Policlinico universitario "A. Gemelli"
18–20 ottobre 2006


Programma 53º Congresso AIB

I professionisti dei musei, delle biblioteche e degli archivi di fronte alla sfida dell'innovazione : nuova missione, nuove competenze, nuove responsabilità

Alberto Garlandini
Dirigente Musei e servizi culturali della Regione Lombardia; Consigliere nazionale di ICOM Italia

 


 

1.   I temi del mio intervento

In pochi anni i musei – e gli altri servizi culturali – hanno cambiato funzione e ruolo sociale. Le competenze per la loro gestione sono diventate sempre più complesse e multidisciplinari. I professionisti dei musei e del patrimonio culturale sono oggi molto diversi da come erano solo pochi anni fa. ICOM Italia [1] e le altre associazioni museali hanno approvato nel 2005 la Carta nazionale delle professioni museali [2]. Si tratta di una prima risposta alle sfide che i musei contemporanei devono affrontare. I professionisti dei musei si prefiggono di ottenere un riconoscimento pubblico delle loro professioni e propongono ai bibliotecari e agli archivisti di muoversi insieme verso la costituzione di un corpo tecnico della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale. Quale può essere un percorso realistico per ottenere il riconoscimento delle nostre professioni?

2.   I musei oggi

I musei stanno cambiando radicalmente e rapidamente. Da luoghi di conservazione gestiti da una élite a favore di un pubblico ristretto si trasformano in servizi pubblici con forti finalità educative e sociali. Le risorse disponibili, sia pubbliche che private, non crescono, anzi spesso diminuiscono. Malgrado ciò, decisori, cittadini e pubblica opinione chiedono sempre di più ai musei, e in generale ai servizi culturali.

I musei garantiscono alle future generazioni la conservazione del patrimonio culturale. Al contempo, sono innovativi centri di produzione di servizi, di attività, di cultura e di saperi. Aprono le porte a nuovi pubblici, a nuovi linguaggi, a nuove forme di comunicazione. Sono istituti culturali permanenti al servizio di uno sviluppo equilibrato e compatibile della società. Non sono un costo, bensì una risorsa strategica delle comunità, infrastrutture a supporto dell'attrattività e competitività dei territori.

La complessa missione del museo contemporaneo è così sintetizzata da ICOM: «Il museo è un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto» [3].

Solo nel 2004, con l'approvazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio [4], la normativa nazionale ha preso atto dell'esistenza dei musei, delle loro funzioni e finalità. Dopo un secolo di oblio, i musei ora non sono più considerati dei meri contenitori di raccolte da tutelare. L'articolo 101, Istituti e luoghi della cultura, del Codice fornisce una corretta definizione di museo. In coerenza con ICOM, il museo è inteso come un istituto permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. Se appartenente a soggetti pubblici e destinato alla fruizione pubblica, è un servizio pubblico; se appartenente a soggetti privati e aperto al pubblico, è un servizio privato di utilità sociale.

Questo riconoscimento è importante, tenuto conto che la legge 1089/1939 [5] non citava il museo e il Testo unico sui beni culturali del 1999 [6] nell'articolo 99.2 forniva una riduttiva definizione di museo statale come struttura per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di raccolte di beni culturali. Nella definizione di museo del Codice rimangono escluse le funzioni di ricerca e le finalità di diletto previste da ICOM. Spetta alle normative regionali superare tale limite, come peraltro molte Regioni hanno già fatto.

3.   Nuova missione, nuove professionalità

I musei sono istituti culturali complessi e complesse sono le competenze necessarie per gestirli. I musei cambiano e si innovano; altrettanto devono fare i professionisti dei musei. Professioni tradizionali, come quelle del direttore e del conservatore, sono in trasformazione; nuove professioni emergono e si diffondono.

Consideriamo il direttore, la figura centrale e inderogabile di ogni museo. Essere un buon direttore è una impresa difficile. Il direttore è il garante dell'attività del museo nei confronti dell'amministrazione responsabile, della comunità scientifica e dei cittadini. A lui compete la piena responsabilità dell'attuazione della missione e delle politiche del museo, della sua gestione, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico delle collezioni, nonché della ricerca scientifica ad esse connesse. Per far ciò non basta essere un buon specialista. A profonde competenze nelle discipline attinenti alla specificità del museo si devono aggiungere competenze trasversali, gestionali, di servizio pubblico, di comunicazione, di lavoro in gruppo. Esse sono necessarie anche per altri professionisti museali, innanzitutto per i conservatori. Nella tradizione museologica italiana i conservatori spesso sostituiscono il direttore. Nei musei in cui mancano i direttori, sono loro i consegnatari e i responsabili delle collezioni.

Nuove professioni sono apparse nei musei, in sostituzione o in aggiunta alle figure tradizionali. Si pensi ai responsabili dei servizi educativi e agli educatori/mediatori museali; ai responsabili e operatori dei servizi di accoglienza e custodia; ai registrar, i responsabili del servizio prestiti e della movimentazione delle opere; ai responsabili della sicurezza e ad altri ancora.

4.   I professionisti dei musei: non solo pubblici dipendenti

Malgrado le carenze delle statistiche nazionali, possiamo stimare che ormai siano varie decine di migliaia i professionisti che lavorano nei e per i più di quattromila musei italiani [7]. Essi sono molto frammentati per ruolo, tipo di incarico, rapporto di lavoro, responsabilità esercitate, competenze professionali. Una parte sono dipendenti diretti dei musei, altri collaborano con essi, sia individualmente che in soggetti privati, no profit in massima parte, che sono incaricati di esercitare importanti funzioni museali (servizi di accoglienza, di promozione e di comunicazione; servizi educativi e didattici; servizi editoriali e di merchandising ecc.).

I musei gestiti direttamente dalle pubbliche amministrazioni sono ancora in larga maggioranza. Non va però dimenticato che i musei di fondazioni, associazioni ed enti ecclesiastici sono all'incirca il 40% del totale. Inoltre, le tradizionali forme di gestione diretta dei musei pubblici stanno evolvendo, e sono in crescita i musei pubblici, in specie civici, la cui gestione è affidata a nuovi soggetti privati e misti.

In conseguenza di ciò, le professioni museali sono oggi esercitate non solo da dipendenti pubblici e figure assimilabili, ma anche da un numero sempre maggiore di dipendenti privati, liberi professionisti, consulenti e titolari di contratti atipici.

5.   La Carta nazionale delle professioni museali

I professionisti museali studiano da tempo le trasformazioni in atto. Negli ultimi due anni hanno proposto un aggiornamento dei tradizionali profili di competenze e analizzato le nuove figure professionali. Il 24 ottobre 2005 a Milano la Prima conferenza dei musei italiani – convocata dalla Conferenza permanente delle associazioni museali [8] – ha discusso e approvato la Carta nazionale delle professioni museali. La Seconda Conferenza nazionale dei musei – tenuta a Roma il 2 ottobre 2006 – ha, fra l'altro, aperto il confronto con l'Associazione italiana biblioteche e l'Associazione nazionale archivisti italiani, che stanno anch'esse discutendo il tema della valorizzazione delle rispettive professioni.

La Carta proposta dalle associazioni museali è una sistematizzazione di quanto prodotto negli ultimi anni [9]. E' rivolta a tutti i musei, siano essi pubblici o privati, indipendentemente dalle loro dimensioni, origini, titolarità, tipologia.

Nella Carta sono individuati venti profili professionali prioritari [10], di cui sono descritti responsabilità, ambiti e compiti, requisiti per l'accesso all'incarico, modalità di incarico. Alcune professionalità della Carta hanno genesi e profili prettamente museali – direttore, conservatore, responsabile dei servizi educativi ecc. – , altre hanno origine in altri istituti culturali – bibliotecario, documentalista, registrar... –, altre provengono da ambiti economico/manageriali – responsabile amministrativo e finanziario, responsabile per lo sviluppo... –, altre ancora sono trasversali – responsabile dell'ufficio stampa e delle relazioni pubbliche, responsabile del sito web, responsabile della sicurezza...

Preso atto che in molti musei italiani pochissimi professionisti (se non uno solo) si trovano a gestire l'insieme delle funzioni museali, la Carta è prima di tutto uno strumento per rivendicare una maggiore presenza di professionisti. In secondo luogo, offre elementi di riflessione alle università e agli altri istituti di formazione e aggiornamento per verificare i percorsi formativi e per cercare una maggiore corrispondenza con il mercato del lavoro, sia sul piano quantitativo che qualitativo.

6.   Verso un corpo tecnico della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale

I professionisti museali lavorano direttamente nei musei, ma anche indirettamente, in soggetti privati no profit o for profit al servizio dei musei. Ovunque essi lavorino, devono condividere le medesime competenze, metodologie di lavoro, strategie e soprattutto gli stessi principi etici. La Carta delle professioni museali è innanzitutto un momento di ricomposizione dei professionisti museali. Ma è anche un primo passo verso la costituzione di un "corpo di azione tecnica" per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, capace di agire unitariamente, indipendentemente dalle diverse posizioni lavorative.

L'auspicio è che i professionisti dei musei abbiano finalmente prospettive di carriera e di crescita professionale. Non è più accettabile che la loro carriera si svolga per intero nello stesso ente e nello stesso museo. Occorre favorire la mobilità interistituzionale, innanzitutto nel settore pubblico. Vi sono esempi positivi di passaggio di responsabilità da un comune a un altro, dallo Stato alle regioni e ai comuni e viceversa. Purtroppo si tratta ancora di episodi isolati. Siamo ben lontani, per fattori sia normativi che culturali, da un'effettiva osmosi di professionalità tra musei pubblici e musei privati, tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Ciò va a scapito sia della crescita professionale dei singoli sia del miglioramento qualitativo degli istituti.

Le conferenze dei musei tenute a Milano e a Roma hanno approvato raccomandazioni volte a potenziare il confronto con gli altri professionisti del patrimonio culturale, in primis con l'AIB e l'ANAI. L'obiettivo è migliorare il confronto interdisciplinare e professionale, ma anche incidere maggiormente nelle scelte politiche nazionali, regionali e locali. Perché non lavorare insieme per costruire una Carta delle professioni del patrimonio culturale? Una Carta unitaria potrebbe aiutarci a ottenere il riconoscimento pubblico delle nostre professioni.

7.   Il riconoscimento delle professioni del patrimonio culturale

Realisticamente, quali sono i percorsi per ottenere un riconoscimento pubblico delle nostre professioni?

Anche dopo la riforma costituzionale del 2001 [11] l'individuazione di nuove professioni, e dei relativi profili di competenze, è riservata allo Stato. La competenza statale è stata confermata dalla sentenza n. 153 del 14 aprile 2006 della Corte costituzionale [12]. Alle Regioni spetta la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

Come professionisti museali ci sentiamo estranei a un riconoscimento di tipo ordinistico, per motivi sia pratici che teorici. In Parlamento sono in discussione da più di dieci anni proposte di riforma che prevedono anche il riconoscimento delle "associazioni delle professioni intellettuali". Varie proposte di legge sono state via via discusse e abbandonate. Nella nuova legislatura si è riaperto il dibattito, cui partecipa anche il CoLAP, Coordinamento delle libere associazioni professionali. Al di là della sorte delle proposte in discussione, credo sia arrivato il momento per i professionisti museali di stringere una più forte unità d'azione con gli altri professionisti della cultura, innanzitutto con l'AIB, che già partecipa al CoLAP, e con l'ANAI. Il riconoscimento delle professioni museali può avvenire all'interno del più generale riconoscimento delle professioni del patrimonio culturale. Il percorso è arduo e complesso: le nostre professioni e le nostre associazioni – per natura e storia – sono diverse da molte delle altre professioni che chiedono un riconoscimento. In ogni caso, è opportuno far sentire anche la voce delle nostre associazioni nel dibattito in corso sul riconoscimento delle "nuove professioni".

8.   Il codice dei beni culturali e del paesaggio e il riconoscimento della professione di restauratore

I restauratori sono gli unici professionisti del patrimonio culturale che hanno ottenuto un riconoscimento. Ciò è avvenuto grazie all'art. 29 sulla conservazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il restauratore è una delle professioni individuate dalla Carta delle professioni museali e la Conferenza dei musei di Milano ha valutato molto positivamente tale riconoscimento e ha auspicato che ad esso segua quello di altre professioni museali e del patrimonio culturale.

Quali sono le caratteristiche di tale riconoscimento? Il restauro sarà insegnato solo nelle scuole statali di alta formazione e di studio (Istituto centrale del restauro, Opificio delle pietre dure e Istituto centrale per la patologia del libro) e nelle altre scuole di alta formazione che saranno accreditate. Le nuove scuole potranno essere istituite mediante accordi tra il MiBAC e le regioni, anche con la partecipazione di altri soggetti pubblici e privati accreditati dallo Stato. Sarà un decreto del MiBAC, in concerto con il Ministero per l'università e la ricerca, a individuare le modalità di accreditamento e di vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e dell'esame finale. Il titolo accademico rilasciato è equiparato al diploma di laurea specialistica e la qualifica di restauratore sarà attribuita con provvedimenti del Ministero. I restauratori qualificati saranno inseriti in un apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati e aggiornato dal Ministero stesso, sentita una rappresentanza degli iscritti [13].

9.   Il mancato riconoscimento della professione di archeologo

Con la legge 109/2005 [14] si è cercato di dare riconoscimento a un'altra figura professionale culturale, quella dell'archeologo. Negli articoli relativi all'archeologia preventiva si fa obbligo ai committenti di lavori pubblici di verificare preventivamente l'eventuale interesse archeologico delle aree su cui interviene. Tale compito può essere svolto solo da personale qualificato. La legge lo individua in modo un po' approssimato nei «dipartimenti archeologici delle università» ovvero nei «soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia». A tal fine viene istituito presso il MiBAC un apposito elenco «degli istituti universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione».

Il Regolamento ministeriale attuativo della legge è stato bloccato dal Consiglio di Stato (parere 1038/2006) per motivi procedurali e di merito. In particolare, è stata censurata l'elaborazione del regolamento senza la collaborazione del Ministero della giustizia, poiché l'elenco sembra assumere impropriamente la natura di "albo di fatto". In altre parole, per il Consiglio di Stato la costituzione di un albo della professione di archeologo travalica l'applicazione della disciplina dell'archeologia preventiva e rientra nelle competenze di altri ministeri.

10.   Il ruolo strategico delle Regioni

La riforma costituzionale del 2001 ha modificato anche le competenze in materia di valorizzazione e gestione dei musei e dei servizi culturali. Le funzioni amministrative in materia di musei e biblioteche di enti locali e di interesse locale – trasferite alle regioni a statuto ordinario nel 1972 – sono ora inquadrate nelle nuove competenze legislative concorrenti delle regioni in materia di luoghi ed istituti della cultura non statali. Nelle materie di competenza legislativa concorrente lo Stato può emanare solo norme di principio. Quindi spetta allo Stato definire i principi della valorizzazione dei beni culturali e alle Regioni darne concreta attuazione. I principi cui devono fare riferimento le normative regionali sono espressi nel Codice. Gli art. 102.2 Fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica e 112.2 Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sanciscono che la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti nei musei (e negli altri istituti e luoghi della cultura) non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità. In altre parole, sono pienamente regionali le responsabilità di governo relative ai musei e ai servizi culturali, con l'esclusione di quelli statali.

È compito delle regioni sostenere la crescita dei musei e promuoverne l'accreditamento e la certificazione. La Conferenza nazionale delle associazioni museali ha promosso la costituzione di assemblee regionali, in modo da permettere ai professionisti di diventare interlocutori organizzati delle regioni. Auspico che il confronto con le Regioni possa avvenire unitariamente, con il coinvolgimento di tutti i professionisti del patrimonio.

11.   Un percorso realistico per il riconoscimento delle professioni museali

Penso che sia irrealistico proporsi in tempi brevi di far approvare norme speciali ovvero di modificare ulteriormente il Codice per ottenere ulteriori riconoscimenti dopo quello dei restauratori. Piuttosto, un riconoscimento de facto delle professioni del patrimonio può avvenire attraverso atti di indirizzo nazionali, interregionali e regionali.

Mi riferisco all'art. 114 Livelli di qualità della valorizzazione del Codice, che così recita: «il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica e ne curano l'aggiornamento periodico». Ciò è coerente con quanto previsto dall'art. 117 della Costituzione riformata, ove è sancita la competenza dello Stato a determinare «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

Le amministrazioni pubbliche devono garantire gli standard di qualità dei servizi e la professionalità degli addetti ne è il fulcro. Perciò l'attuazione dell'articolo 114 del Codice è una buona base di partenza per il riconoscimento delle nostre professioni. Tale articolo prevede che i livelli di qualità siano adottati con decreto del Ministro previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato, regioni, enti locali. Quindi un primo riconoscimento delle nostre professionalità può essere costruito seguendo il percorso che ha portato al decreto ministeriale sugli standard museali [15], e cioè attraverso accordi tra Ministero, regioni e altri enti pubblici territoriali, anche in concorso con le università e con i professionisti museali e del patrimonio culturale.

 


Note

[1]   L'International Council of Museums è l'organizzazione internazionale dei musei ed è affiliato all'Unesco. È presente in più di 140 paesi e conta in tutto il mondo circa 24.000 iscritti.

[2]   Si veda, La carta nazionale delle professionalità museali, Conferenza nazionale dei musei, Milano, Auditorium Giorgio Gaber, 24 ottobre 2995, a cura di Alberto Garlandini, Milano: ICOM Italia e Regione Lombardia, 2006.

[3]   Estratto dall'art. 2 Definizioni dello Statuto dell'ICOM, adottato dalla XVI Assemblea generale di ICOM (L'Aja, Paesi Bassi, 5 settembre 1989) e modificato dalla XVIII Assemblea generale di ICOM (Stavanger, Norvegia, 7 luglio 1995), dalla XX Assemblea generale (Barcellona, Spagna, 6 luglio 2001), nonché dalla XXI Assemblea generale (Seul, Repubblica di Corea, 8 ottobre 2005).

[4]   Decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, modificato con Decreto legislativo del 24 marzo 2006 n. 156, Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione ai beni culturali.

[5]   La legge 1º giugno 1939, n. 1089 Normativa generale di tutela delle cose d'interesse artistico e storico è rimasta in vigore per 65 anni e ha improntato la politica culturale dello Stato italiano per tutto il XX secolo.

[6]   Decreto legislativo del 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352.

[7]   La recente rilevazione della Corte dei Conti sui musei segnala la presenza media di quasi otto dipendenti per museo; il sistema informativo della Regione Lombardia segnala la presenza media di circa 10 persone a contratto per ogni museo lombardo (un terzo dei quali è composto da personale direttivo), a cui si aggiungono mediamente più di cinque volontari per museo.

[8]   Nel novembre 2004, su proposta di ICOM Italia, si è costituita la Conferenza permanente delle associazioni museali italiane, composta da ICOM Italia; SIMBDEA Società italiana per la museografia e i beni demoetnoantropologici; ANMS Associazione nazionale musei scientifici; AMEI Associazione musei ecclesiastici italiani; ANMLI Associazione nazionale musei locali e istituzionali; AMACI Associazione musei d'arte contemporanea italiani; Commissione Musei della CRUI Conferenza dei rettori delle università italiane.

[9]   La Carta fa riferimento innanzitutto all'Atto di indirizzo nazionale sugli standard museali del 2001, ma anche a varie iniziative regionali, in primis l'accreditamento dei musei e l'analisi dei profili professionali prioritari definiti dalla Regione Lombardia nel 2002.

[10]   Oltre al direttore sono definiti i seguenti profili professionali: conservatore, assistente tecnico addetto alle collezioni – introdotto nel 2006 –, catalogatore, registrar; responsabile dei servizi educativi ed educatore museale, responsabile del centro di documentazione, responsabile della biblioteca, coordinatore ed operatore dei servizi di accoglienza e custodia; responsabile amministrativo e finanziario, responsabile della segreteria, responsabile per lo sviluppo, responsabile del sito web, responsabile dell'ufficio stampa e delle pubbliche relazioni; responsabile delle strutture e dell'impiantistica, responsabile della sicurezza, progettista degli allestimenti, responsabile della rete informatica.

[11]   Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[12]   Una prima attuazione della sentenza della Corte costituzionale è avvenuta con il Decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, pubblicato nella «Gazzetta ufficiale», n. 32 dell'8 febbraio 2006.

[13]   L'articolo 182 del Codice contiene disposizioni transitorie per far acquisire la qualifica di restauratore anche a quanti già possiedono titoli ed esperienze pregressi.

[14]   Legge 109 del 25 giugno 2005, Conversione il legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d'autore. Disposizioni concernenti l'adozione di testi unici in materiali previdenza obbligatoria e di previdenza complementare.

[15]   Ministero per i beni e le attività culturali, Decreto 10 maggio 2001. Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. (Art. 150, comma 6, D. L. n. 112/1998).
Tale atto era finalizzato al trasferimento della gestione di musei e beni culturali statali agli enti locali ed era normato dall'articolo 150 del d. lgs 112/98. Nessun trasferimento è avvenuto e l'art. 150 è stato poi espressamente abrogato con l'articolo 184 del Codice. Peraltro, con altra modalità l'art. 114 del Codice ridà valore di norma all'atto di indirizzo, in quanto definitorio di livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione.


Copyright AIB 2007-11-28, a cura della Redazione AIB-WEB.
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