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AIB. Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali

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51. Congresso nazionale AIB

AIB2004

Venerdì 29 ottobre 2004
ore 12,30-13,30
Roma EUR, Palazzo dei congressi
Sala palatino


Per divulgare una cultura della conservazione in biblioteca. Presentazione della traduzione italiana del volume: IFLA Principles for the Care and Handling of Library Materials

a cura della Commissione nazionale Biblioteche e servizi nazionali dell'AIB


Sui significati della conservazione

Carlo Revelli

Non è raro nei rapporti umani che si disputi sull’impiego di termini ai quali si attribuiscono definizioni contrastanti, anche quando ci sia un accordo sostanziale sui riferimenti concreti. Insomma, l’accordo esistente sui comportamenti da tenere nei confronti degli oggetti si trasferisce in un disaccordo sui termini da impiegare per denotare quegli stessi comportamenti. Sarebbe molto peggio se il disaccordo, anziché sui termini, vertesse sui comportamenti. Un esempio tipico di questa situazione – ma non è certo un caso unico, per lo meno nel nostro lavoro – riguarda il significato del termine conservazione, riferito ai materiali di biblioteca, se cioè esso debba riguardare in esclusiva gli oggetti fisici, intesi come unità inseparabili dai testi, dalle immagini, dai suoni in esse contenuti, oppure se la conservazione possa prescindere dal supporto limitandosi al solo contenuto. D’altra parte non è mancata la considerazione che termini come patrimonio culturale e conservazione in ambienti diversi possano assumere significati diversi, tanto da non rendere possibile una definizione valida in assoluto [1]. Il documento IFLA nel testo originale, seguendo una tradizione forse non ancora del tutto stabilizzata, impiega per il primo caso il termine conservation, mentre per il secondo preferisce preservation. Nella buona e attenta traduzione italiana offertaci, il primo termine è dato come restauro ed il secondo come conservazione. Non tutti saranno d’accordo con questa soluzione, ma il significato dei termini è chiaro nella loro stessa definizione, al punto che il documento IFLA dichiara di non interessarsi del restauro, inteso come intervento diretto sui singoli oggetti (pochi, afferma il testo, possono permettersi un programma intenso di restauro). Anche se i due aspetti in realtà non sono da vedere necessariamente in contrapposizione: il restauro non invasivo, come avverte Franca Alloatti nel riconoscere una definizione più sfumata, «potrebbe essere considerato un prolungamento del momento preventivo»” [2].

Il documento IFLA non si interessa dunque del restauro inteso nel senso tradizionale, per considerare invece gli accorgimenti atti a preservare gli oggetti nella loro integrità e a preoccuparsi anche della conservazione del loro contenuto intellettuale, del loro testo insomma – attribuendo al testo una connotazione non limitata alla parola scritta. Ecco allora affacciarsi la valutazione sull’opportunità di conservare l’oggetto o di sostituirlo, anche su supporto diverso, ad esempio con la microfilmatura. In quest’ultimo caso il microfilm è considerato la soluzione migliore per la conservazione (dettagliate sono le pagine sulla conservazione delle fotografie, delle pellicole e delle registrazioni sonore), mentre per la sua consultazione risulta preferibile la digitalizzazione. Allo stato attuale, «l’utilizzo della digitalizzazione per scopi di conservazione continuerà a essere un problema dibattuto»: sono le parole che concludono queste raccomandazioni, dopo avere evidenziato i noti rischi dell’obsolescenza tecnologica, quell’«aspide di Cleopatra» che «sta in agguato nel canestro dei frutti digitali» [3]. Quanto poi alla conservazione dei documenti elettronici originali, non rientra negli scopi di un testo riservato ai “materiali di biblioteca”.

Ma, per ritornare alla necessità di questi accorgimenti, non ci sono discussioni, anche se può variare il giudizio sul rapporto conveniente tra l’uso e la conservazione [4], un dilemma di sempre che trova soluzione nella ragione di essere del singolo istituto. Insomma, come è detto nella prefazione, «i Principi dell’IFLA per la cura e il trattamento dei materiali di biblioteca si propongono quindi di incoraggiare i responsabili ad affrontare le conseguenze e, insieme con esperti scientifici e tecnici, a formulare direttive per il futuro del materiale presente nelle loro raccolte».

La conservazione preventiva è legata direttamente agli oggetti fisici, ai supporti – termine quest’ultimo forse preferibile perché costituisce il presupposto di qualcosa, il testo per l’appunto – e non si limita esclusivamente ai soli oggetti unici, rari, preziosi, ma comprende tutti i materiali esistenti in biblioteca, la cui conservazione fisica esige accorgimenti troppo sovente trascurati, la cui mancanza favorisce il deterioramento o la perdita degli oggetti, ma che per la maggior parte delle biblioteche non converrà spingere al di là di certi limiti. Come è stato scritto, «quello che è in gioco in materia di conservazione, ancor prima delle tecniche e dei piani di conservazione, è la domanda su che cosa convenga conservare e perché» [5]. Di qui si apre la strada alla considerazione ovvia della necessità della cooperazione, necessità che compare in tutte le attività della biblioteca, così ovvia che non se ne dovrebbe neppure parlare, tanto è da considerare un presupposto del lavoro del bibliotecario, e che pure è trascurata così di frequente. Perché non è sufficiente prendere qualche accordo occasionale e neppure seguire meccanicamente una prassi prestabilita, ma occorre acquisire una cultura della cooperazione, che nasce all’interno della singola biblioteca prima ancora di poter essere esportata.

Sta alla missione della singola biblioteca stabilire quale del materiale posseduto convenga conservare e per quanto tempo, se esso sia destinato al consumo o se debba rimanere integro indefinitamente, con la conseguenza di un rapporto diverso con la sua utilizzazione diretta da parte del pubblico. E di qui deriva il tema dello scarto, per il materiale che non si ritenga opportuno conservare nella consapevolezza che ad altri sia affidato quel compito, ma anche quando si consideri «se il contenuto intellettuale è l’unica cosa che interessi», e «tale selettività deve essere una parte esplicita della politica di una biblioteca». Vediamo dunque come dalla finalità della biblioteca nasca il riconoscimento di una elasticità nell’applicazione dei criteri di conservazione, che ha tuttavia una stretta connessione con la conoscenza di quanto avviene altrove. Sta alla missione del sistema stabilire una politica analoga, con una distribuzione dei compiti tra le biblioteche che ne fanno parte. Ho detto sistema, ma avrei dovuto dire sistemi, ossia una serie di sistemi con raggio diverso. E dal più ampio di essi, che comprende a livello nazionale l’intero complesso bibliotecario, nascerà un programma di conservazione che fisserà gli obblighi per biblioteche destinate a conservare materiale determinato a tempo indefinito, anche con una differenziazione tipologica, su scala nazionale, che può spingersi all’estremo fino alla “conservazione assoluta”, con l’esclusione totale della consultazione, della quale abbiamo un esempio nella Bibliothèque nationale de France con il deposito di Marne-la-Vallée. «La BnF – sostiene Caroline Wiegandt, direttrice dei servizi e delle reti di quella biblioteca – deve assumere il proprio ruolo di raccolta patrimoniale, ma può anche appoggiarsi a una rete di biblioteche per completare questa conservazione patrimoniale» [6]. Non necessariamente dunque un’unica conservazione in un unico luogo, con la previsione di scendere quando ritenuto conveniente al livello inferiore e riprendere con criterio analogo il programma di conservazione per il materiale di produzione regionale o interregionale. Criterio che potrà essere adottato, eventualmente per tipologie più limitate, a livelli ulteriormente inferiori fino alla conservazione di materiale strettamente locale. In questo modo si avrà la certezza della presenza continua del materiale prodotto nell’intero paese in istituti centrali e di duplicati distribuiti su scala locale.

Le linee guida dell’IFLA offrono istruzioni dettagliate per la conservazione di tutti i tipi di documenti, anche se suggerimenti più approfonditi sono rivolti alla gestione dei documenti rari, accanto ai quali troviamo suggerimenti per un comportamento direi generale, validi per tutte le attività della biblioteca, come il buon trattamento dei documenti, il rispetto vorrei dire, che comprendono l’uso da parte del pubblico, il modo di aprire i libri, la fotocopia, o le misure di sicurezza o quelle più volte accennate per prevenire e per fronteggiare le calamità, misure queste ultime considerate con attenzione in altri paesi - e ne abbiamo un buon esempio nella vicina Svizzera – fino a considerare “priorità di salvataggio” in caso di necessità. Ma, accanto agli eventi eccezionali, si riconosca il pericolo dei «piccoli disastri quotidiani nei quali c’è lo zampino della nostra insipienza» [7]. Rientra in questa tendenza globale l’invito a coinvolgere nelle misure di conservazione – che, estese al buon trattamento dell’intero contenuto della biblioteca, valgono in misure diverse per tutte le biblioteche senza alcuna esclusione – a coinvolgere, dicevo, tutto il personale, ciascuno a seconda delle proprie funzioni e responsabilità, ma tutti consapevoli delle ragioni del proprio lavoro. È anche questa una raccomandazione valida per l’intero servizio e che trova qui applicazione specifica. Ed è una riprova ulteriore che la cultura della cooperazione nasce all’interno della biblioteca prima ancora di estendersi al di là dei suoi confini. Significativo è il suggerimento di un “conservatore ibrido”, una figura che soprintende a un complesso di attività in rapporto stretto con i responsabili dei singoli settori, dal trattamento delle raccolte generali e di quelle speciali al personale, dall’addestramento degli studenti al controllo delle procedure, dalle priorità degli interventi alla partecipazione ai programmi contro i disastri e alla cooperazione ecc. [8]

Da queste considerazioni sulle linee guida dell’IFLA, le quali in più punti applicano alla conservazione temi che non le sono esclusivamente specifici, possiamo trarre la conclusione che ogni tema non può essere affrontato asetticamente, svincolato da una struttura complessa le cui componenti si condizionano a vicenda. Ben giustificata dunque in queste linee guida l’insistenza sulla cooperazione interna, dagli interventi sull’edificio agli acquisti e alla formazione del personale, finalizzata alla conservazione del materiale. Il che, se volete scusare la ripetizione, ci riporta a riconoscere le sorgenti della cooperazione.

[1] Michèle Valerie Cloonan. Preservation without borders, «Libri», 47, 3 (Sept. 1997), p. 180-186.
[2] Franca Alloatti. Restauro: un concetto in evoluzione, «Biblioteche oggi», 22,5 (giugno 2004), p. 27-30.
[3] Bernard Huchet. Postface, in: Les bibliothèques dans la chaîne du livre, Paris, Ed. du Cercle de la librairie, 2004, p. 243-246.
[4] Cfr. Ambrogio M. Piazzoni. The Vatican library and its manuscripts: between the past and the future, «Alexandria», 15 (2003), 2, p. 121-133.
[5] Bertrand Calenge. Quelle formation pour quel métier?, in: Bibliothécaire, quel métier? , sous la direction de Bertrand Calenge, Paris, Éd. du Cercle de la librairie, 2004, p. 221-241.
[6]Caroline Wiegandt. “Gallica, c’est un beau succès, mais aussi parfois un bel embouteillage, «Livres hebdo», 548, (12.3.2004), p.73-75.
[7] Maria Stella Rasetti. Il bibliotecario pompiere, «Biblioteche oggi», 22, 8 (ott.2004), p. 9-20.
[8] Whitney Baker. The hybrid conservator. Challenges in a research library environment, «Library research and technical services» 48, 3 (July 2004), p. 179-190.


Copyright AIB 2005-09, ultimo aggiornamento 2005-09-09, a cura di Gabriele Mazzitelli
URL: http://www.aib.it/aib/congr/c51/revelli04.htm


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