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51. Congresso nazionale AIB

AIB2004

Giovedì 28 ottobre 2004
ore 9,00-13,30
Roma EUR, Palazzo dei congressi
Sala Esquilino


Principi di catalogazione internazionali: una piattaforma europea?
Considerazioni sull'IME ICC di Francoforte e Buenos Aires


Elena Escolano Rodríguez
Principi internazionali e Regole spagnole

Vorrei ringraziare Mauro Guerrini e l’Associazione italiana biblioteche dell’invito e di questa opportunità per parlare delle Reglas de Catalogación spagnole.
Parlare e definire con chiarezza la tradizione catalografica di un paese è un compito non facile, giacché nel corso della storia tutti i codici hanno attinto alle medesime fonti, e tutti noi siamo stati coinvolti dagli stessi avvenimenti e, inoltre, abbiamo sempre coltivato un desiderio di avvicinamento e di cooperazione, che ci ha portati a una loro revisione continua, così da assorbire e assimilare influenze provenienti dai diversi codici cercando, al tempo stesso, di incorporarle e interpretarle alla luce della nostra tradizione.
Oggigiorno può sembrare più facile introdurre delle variazioni nel nostro codice di catalogazione e perfino sostituirne uno con un altro accettato internazionalmente. Se da una parte l’attuale tecnologia ci consente di fare cambiamenti nei cataloghi senza che ciò comporti un carico di lavoro gravoso, dall’altra non possiamo non tenere conto di quanto questi mutamenti incidano sulle abitudini di ricerca già acquisite dai nostri utenti. Gli sforzi dei bibliotecari non possono perdere di vista questa prima premessa "l’interesse dell’utente". È per questo che nei nostri tentativi di avvicinamento e cooperazione non dobbiamo dimenticare queste abitudini, questa tradizione catalografica che in Europa è sempre stata forte e marcata. Bisogna perseverare in queste ragioni, che, come sostiene Elaine Svenonius, comportano il mantenimento dell’equilibrio tra il progresso politico (che ha richiesto una maggiore internazionalizzazione e l’estensione del controllo locale al controllo bibliografico universale) e il progresso tecnologico. In questo senso la posizione della Biblioteca Nacional di Spagna e della Commissione di revisione delle Regole di catalogazione spagnola è stata e sarà quella di accettare e adattare ciò che è stabilito e approvato in seno all’IFLA cercando, dove possibile, di mantenere la nostra tradizione.
Tratterò, sommariamente, della tradizione catalografica spagnola seguendo un percorso storico, che non deve essere né disprezzato né tantomeno dimenticato, e che è stato segnato dagli influssi di diversi codici. Quindi metterò in evidenza i tratti distintivi della nostra tradizione confrontandola con il codice internazionalmente più accettato, cioè le AACR2 e, da ultimo, mi avventurerò nelle implicazioni che potranno avere i nuovi principi internazionali emanati dall’IFLA, ancora in bozza.

Evoluzione storica

Le origini della catalogazione spagnola si possono rintracciare nella seconda metà del sec. XVIII, nelle regole elaborate da Pedro García, bibliotecario della Real Biblioteca. Queste prime regole spagnole di catalogazione, influenzate da Jean-Baptiste Massieu, redattore del codice francese del 1791, hanno avuto una vita breve e una scarsa influenza poiché a partire del 1836 sono state sostituite dal primo manuale di catalogazione spagnolo Método antiguo de hacer las cédulas para insertarlas después del índice di autore sconosciuto. Nel 1857 un funzionario della Biblioteca Nacional, Indalecio Sancha y Moreno de Tejada, pubblicò le Instrucciones para formar los índices de impresos existentes en la Biblioteca Nacional che in 39 pagine condensavano dei concetti piuttosto generali. La Junta Facultativa de Archivos, Bibliotecas y Museos cercherà di sanare questa situazione con la pubblicazione nel 1882 delle Instrucciones para formar los índices de impresos de las bibliotecas administradas por el Cuerpo de Archiveros, Bibliotecarios y Anticuarios. Índice de autores. Índice de títulos. In queste istruzioni si scorge l’influsso delle regole di Panizzi. Tuttavia continuavano a essere considerate insufficienti finché, nel 1902, si arriva alla pubblicazione dell’opera ritenuta il primo codice spagnolo: le Instrucciones para la redacción de los catálogos en las bibliotecas públicas del Estado, dictadas por la Junta Facultativa de Archivos, Bibliotecas y Museos, ispiratesi alle "Istruzioni prussiane" del 1899. Nella nuova edizione del 1941 delle Instrucciones si introducono alcune modifiche con lo scopo di aggiornarle e adattarle all’evoluzione della tecnica catalografica avvenuta nei primi quaranta anni del secolo e che, per quanto riguarda la corrente europea degli inizi del sec. XX, trova il suo più insigne rappresentante nel Codice Vaticano del 1931. Alla base di questo codice c’erano le regole italiane del 1911 alle quali si aggiungevano le regole tratte dal codice angloamericano del 1908, con la finalità di renderlo più internazionale. Era la migliore dimostrazione di sintesi tra la corrente europea e quella nordamericana, la cui influenza si lasciò sentire in maggior misura in Europa e in America latina più che negli Stati Uniti, giacché ciò avrebbe comportato l’adeguamento della pratica angloamericana a una lingua, l’italiano, con caratteristiche simili allo spagnolo.
Con le Instrucciones del 1941 si verifica in Spagna un cambiamento di rotta verso la corrente angloamericana, e che si riflette nella constatazione che per la prima volta appare un paragrafo dedicato agli enti collettivi, si aggiunge un elenco di classici anonimi a quello degli autori latini del codice precedente, si adotta il canone biblico del Codice Vaticano e, sul suo esempio, si danno norme sulla trascrizione di alfabeti non latini, insieme ad altri cambiamenti di minore entità; è importante inoltre far notare che è in questo momento che si riducono a tre i cinque autori che prima erano accettati quale numero massimo oltre il quale si considera anonima un’opera. La seconda edizione fu ristampata negli anni 1945, 1955 e 1960 senza variazioni.
Con la Conferenza di Parigi (1961) dedicata ai Principi di catalogazione si fecero dei passi in avanti sulla strada dell’unificazione. Fu allora che la Commissione spagnola per la riforma delle Instrucciones decise di unirsi a questa corrente e così, nell’introduzione delle Instrucciones para la redacción del catálogo alfabético de autores y obras anónimas de las bibliotecas públicas del Estado del 1964, dichiara che "sarebbe stato assurdo rinchiuderci nella difesa delle nostre peculiarità, voltando le spalle completamente a ciò che nel mondo si fa o si tenta di fare. Con tutto l’affetto che possiamo rivolgere a queste peculiarità e anche se fossimo convinti della saggezza che le ispira [...] maggiori vantaggi possiamo ottenere dal loro sacrificio sull’ara dell’unificazione", perlopiù ammettono che altro non si fa che continuare sulla strada intrapresa nel 1941. In un altro passo dell’introduzione si sostiene che "la missione propria del catalogo consiste nel permettere al lettore di cultura media di trovare i libri di cui ha bisogno con la minore difficoltà possibile; per raggiungere questo obiettivo non c’è nulla di meglio che [...] intestare le opere di ciascun autore sotto il nome con cui è abitualmente conosciuto, anche se non è quello che figura nel suo atto di nascita".

Nel 1985 si pubblica il primo volume delle Reglas de catalogación dedicato alle monografie e ai seriali; il secondo volume apparirà nel 1988 e tratta la catalogazione di materiali specifici. Questa edizione strutturata in capitoli è stata condizionata dalla pubblicazione nel 1978 delle AACR2 che attribuivano una grande importanza alla descrizione, oltre a raccogliere ciò che già si faceva nella catalogazione bibliografica dall’apparizione delle ISBD(M) del 1974 e delle successive ISBD e, come dice nell’Introduzione, "non è stata dimenticata la tradizione catalografica spagnola". L’edizione rivista e corretta verrà pubblicata nel 1995. Essa modifica alcune regole, in modo da recepire i cambiamenti introdotti nelle diverse edizioni di ISBD e completa alcune lacune evidenziate nella descrizione bibliografica e in altri capitoli. La nuova edizione presenta una variazione nella struttura, con la redazione di un primo capitolo con le regole generali per la descrizione bibliografica che precede i capitoli specifici per ciascun tipo di documento (dal 2 al 12), il capitolo 13 dedicato alla descrizione analitica, il capitolo 14 alla scelta dei punti d’accesso, il 15 alla forma delle intestazioni, il 16 ai titoli uniformi e il 17 ai rinvii. La decisione di introdurre un capitolo con le regole generali riguardanti la descrizione bibliografica comune a tutti i tipi di materiali e capitoli specifici per il contenuto di ogni tipo di materiale suppone una maggiore integrazione di ciascun tipo di materiale e un minor numero di differenze nella loro descrizione, declinando le differenze specifiche del materiale al capitolo a esso dedicato. Tutto ciò ha comportato un grande lavoro di sintesi nella redazione da parte della Commissione di revisione delle Regole di catalogazione.
Nell’ultima edizione nuovamente rivista delle regole, che risale al 1999, è stata modificata la redazione di alcune norme con lo scopo di renderle più precise, e sono stati corretti i rifusi di stampa.

Tradizione catalografica: differenze con le AACR2

Da questo percorso storico si deduce che il codice di catalogazione ha condiviso con gli altri codici – sensibili agli stessi avvenimenti internazionali – un comune processo tendente all’avvicinamento e all’uniformità. Per raggiungere la normalizzazione si è cercato di superare le resistenze che opponevano una catalogazione di ambito nazionale a una catalogazione a livello internazionale. Tuttavia le Reglas de catalogación (RC) hanno mantenuto la loro identità in quei casi in cui non trasgredivano nessun accordo internazionale precedentemente raggiunto che risultava più adeguato ai nostri cataloghi. Per analizzare queste differenze farò il paragone delle RC del 1999 con le AACR2, che ritengo sia il codice internazionalmente più diffuso.
In primo luogo credo che sia opportuno chiarire che nelle RC non sono incluse tutte le regole esistenti nel nelle AACR2; le RC sono impostate sulla situazione catalografica spagnola e contemplano i casi più ricorrenti in Spagna. A ogni modo, come osservazione generale personale e prima di entrare nella trattazione dettagliata di queste differenze, vorrei far notare che certe volte – a parità di risultati – le AACR appaiono più accurate, in altre occasioni, invece, possono sembrare più ridondanti e perfino contraddittorie, da disorientare il catalogatore. In questo senso le RC sintetizzano, organizzano e unificano in una sola regola ciò che le AACR2 esprimono in più paragrafi. In queste ultime si esemplifica di più che nelle RC, le quali sono piuttosto descrittive.
È importante mettere in evidenza certe differenze per quanto riguarda la scelta dei punti di accesso, capitolo 14 delle RC e 21 nelle AACR2, per l’influenza che ha nell’organizzazione del catalogo. Mi soffermerò soltanto a quelli più importanti, e cioè ai casi in cui, davanti a situazioni simili, le decisioni adottate applicando l’uno o l’altro codice implicheranno la scelta di punti d’accesso differenti.

In questo senso le RC, dal momento che aggiungono una regola specifica che reitera la norma generale – che tuttavia evita contraddizioni nella pratica –, distinguono tra i provvedimenti amministrativi che regolamentano una legge e i provvedimenti amministrativi di regolamentazione di un ente e che, in ultima istanza, deve essere conforme alla logica e alla pratica generale. Devo, inoltre, aggiungere che tutto ciò era stato recepito nelle Instrucciones del 1941 nella regola numero 117.

Vi sono inoltre differenze riscontrabili nella forma dei punti d’accesso, attualmente importante dal punto di vista dell’esaustività del ricupero, benché non tanto in futuro grazie ai progressi tecnologici per quanto riguarda il collegamento tra i cataloghi, essendo possibile creare dei legami tra le intestazioni che si riferiscono a una medesima entità e che si presentano in forme diverse in ragione del codice utilizzato, conclusione a cui è arrivato il Gruppo MILAR. Tuttavia farò riferimento ai seguenti punti:

Le AACR2 22.3B32 sui nomi in forma vernacola e forma greca o latina, dicono che si sceglierà la forma che si trova con maggior frequenza nelle fonti di riferimento, nonostante che nella regola 22.3B3 "Nomi in scrittura latina comunemente accettati in forma inglese" (la lingua del catalogo) prescriva che si deve scegliere la forma in questa lingua. In linea di principio non sembra una grande differenza, però le RC si declinano più chiaramente rispetto alla lingua da scegliere che le AACR. Nulla è più agevole per l’utente che trovare i punti d’accesso al catalogo nella lingua da lui conosciuta, senza richiedergli una conoscenza scientifica o linguistica per farlo. In maggior o minor misura i codici di catalogazione hanno accettato, ove era possibile, il nome nella lingua del catalogo. In questo senso le RC hanno fatto un ampio uso della forma nella lingua del catalogo. Se per molto tempo questo ci ha differenziato e diviso da alcune tendenze o pratiche più conservatrici, che accettavano la forma latina dei nomi, oggigiorno – e penso al VIAF, Virtual International Authority File – questo perderà importanza. Con la posizione adottata dalla catalogazione spagnola il catalogo fa da ponte tra il contenuto scientifico ed erudito di una risorsa e l’utente considerato in astratto e che presenta una grande varietà di livelli di conoscenza e di abilità intellettuale, essendo il nome convenzionale nella lingua naturale dell’utente quello più pratico e di gran lunga più utile per la ricerca.

Nell’edizione del 1978 delle AACR2, nella regola 22.17A5, si prescriveva di aggiungere il titolo ai figli e nipoti di sovrani, e gli esempi mostrano il nome proprio seguito dal titolo; differenza con le RC che in parte era riscattata dalla regola 22.17A7, della stessa edizione, in cui si diceva che "i nomi delle case non regnanti che hanno perso o rinunciato ai loro troni, e che non si identifichino come membri della nobiltà, devono essere intestate per la parte del nome per la quale sono identificati (per il cognome, nome del casato, dinastia, ecc.), aggiungendo i titoli". La soppressione di questa regola nell’edizione del 1988, benché abbia cancellato la contraddizione che s’annidava in seno alle AACR, ha segnato una chiara differenza con le RC.

La situazione ambigua o alquanto confusa sorge quando esistono forme varianti del nome. Le RC, adottando una particolare interpretazione, chiaramente non hanno seguito la disposizione contenuta nei Principi di Parigi alla quale ho fatto riferimento sopra, cioè che l’intestazione uniforme sarà rappresentata dal nome con cui l’ente è più frequentemente identificato nelle sue pubblicazioni, "eccetto" nel caso che si trovino forme diverse del nome, stabilendo un ordine: per primo il nome ufficiale, e al terzo posto il convenzionale. In RC 15.2.1A si fa una preferenza in modo chiaro ed esplicito, poiché dopo aver trattato della scelta in caso di varianti delle forme si dice "quando un ente è conosciuto con un nome convenzionale, si preferirà al nome ufficiale". Dirò che ciò è in corrispondenza con la regola n. 79 delle Instrucciones del 1941 e la n. 72 del 1964, e che continua fino ai giorni nostri.

Nella nostra opinione le AACR2 24.2D non lo esprimono così chiaramente; perfino l’ordine in cui appaiono le opzioni potrebbe indicare una preferenza per la "presentazione formale" dell’ente anziché la presentazione convenzionale. Di certo è che ciò si è rivelato essere di grande vantaggio per le RC e di conseguenza per i cataloghi e le pratiche della catalogazione, dato che i nuovi principi approvati a Francoforte e ora a Buenos Aires sembrano risolvere il conflitto o la confusione che potrebbe esistere nei Principi di Parigi tra la norma generale del nome con cui l’ente è più frequentemente identificato e l’ordine prescritto che situava all’ultimo posto il nome convenzionale. Adesso "l’intestazione [...] deve essere il nome che identifica l’entità in maniera costante, o perché è quello che compare prevalentemente nelle relative manifestazioni, o perché è un nome accettato, adatto agli utenti del catalogo (ad es.: il "nome convenzionale").

Come ho detto prima, benché oggi la forma abbia perso importanza, in questo caso, invece, essa incide sulla difficoltà che presenta la determinazione se si tratta oppure no dello stesso ente, per poter creare i legami corrispondenti. Inoltre è ancora rilevante nel formato MARC, che opera una distinzione tra gli enti temporanei e quelli permanenti. Per cui uno stesso congresso, che includa un nome di ente permanente, potrebbe essere codificato nel campo 110 di enti con congressi subordinati, oppure come accesso diretto del congresso nel campo 111, se non sono chiaramente specificati nel codice i criteri da seguire. Tutto ciò ha delle conseguenze sulla ricerca: ci sono cataloghi che permettono la ricerca di ente/congresso insieme per ovviare a questi problemi, ne esistono invece altri che non possono farlo a causa di problemi tecnici legati al proprio sistema, per cui perfino la ricerca in un unico catalogo non consente un ricupero dell’informazione esauriente come si potrebbe aspettare. D’altra parte l’utente non è tenuto a conoscere queste nostre considerazioni, né tantomeno la codificazione come ente permanente o temporaneo.

Nel caso spagnolo questa soluzione non è facilmente praticabile a causa della grande quantità di pubblicazioni esistenti e perché tutte verrebbero intestate alla Chiesa Cattolica. D’altra parte nelle RC, al comma Ca) del primo paragrafo della norma si prescrive quando si debba indicizzare subordinatamente sotto l’ente religioso: "Nel caso della Chiesa Cattolica, questa regola è applicabile soltanto quando l’autorità dell’ente si estende a tutti i membri della Chiesa", per cui una giurisdizione e un ente giurisdizionale inferiore non potrà intestarsi alla Chiesa Cattolica.

Nell’applicazione delle AACR2 è lecito supporre che saranno sempre trattate come traduzioni e si farà ricorso alla norma 25.5C1, quarto paragrafo, "se il documento è in due lingue, si nominano entrambe […]. Se il documento è in tre o più lingue, si usa Poliglotta […]", che corrisponderebbe alla regola delle RC.16.1.6C attinente alle edizioni bilingue.

Inoltre, le RC affermano che, se si tratta di una parte e non esiste un titolo uniforme indipendente per questa parte, si utilizzerà il titolo uniforme dell’opera nel suo insieme, in aperta contraddizione con AACR2 25.23 "Parti di opere liturgiche", dove si dice che per i testi "estratti da un’opera liturgica più ampia, si usa come titolo uniforme [...] un titolo comunemente accettato in inglese".

Implicazioni dei nuovi principi internazionali

Per ultimo, cercherò di esporre brevemente in quale misura i nuovi Principi dell’IFLA, ancora in bozza, potrebbero incidere sul nostro codice e se potremo continuare a mantenere le caratteristiche che gli sono proprie.
Come considerazione generale, devo dire che questi nuovi principi presuppongono molti cambiamenti e un passo avanti nella strada verso la cooperazione con altre istituzioni del mondo della cultura, come per esempio gli archivi e i musei. Tutto ciò è stato recepito nella bozza di Francoforte, non trovandosi tracce nei Principi di Parigi, tuttavia risulta curioso l’impegno a mantenere il termine "bibliografica" nell’espressione "registrazione bibliografica", forse per distinguerla da "registrazione d’autorità" che sarebbe applicabile a entrambe.
È interessante sottolineare che nel paragrafo dedicato all’Ambito di applicazione dei Principi, a differenza di quelli di Parigi, ci sia un’apertura ai soggetti. Si dice che questi Principi "intendono fornire un approccio coerente alla catalogazione, descrittiva e per soggetti, di qualsiasi tipo di risorsa bibliografica", per cui vengono inclusi nel novero dei punti d’accesso indispensabili.

Nei Principi di Francoforte e di Buenos Aires (IME ICC), le registrazioni d’autorità e le registrazioni bibliografiche sono considerate alla stessa stregua. Le RC non dedicano nessun capitolo a quest’ultimo tema e a quello sopra menzionato, per cui ci sarà d’obbligo la loro incorporazione in futuro. Per tanto, la revisione del codice esistente oppure l’elaborazione di uno nuovo, dovranno tenere conto della catalogazione per soggetti, così come della redazione delle registrazioni d’autorità.
Ci sono molte novità in questi Principi, ma per quanto riguarda la scelta dei punti d’accesso – Principio 5.1.1.1 (che raccoglie il principio di Parigi 9.1), e che si riferisce ai casi in cui si dovrà fare un’intestazione di una pubblicazione all’ente collettivo – non implica nessun cambiamento nelle nostre RC.
Nel principio 5.1.2 "Intestazioni autorizzate", avvertiamo un cambiamento rispetto ai Principi di Parigi per quanto riguarda la forma del nome da preferire, nel senso che ora si dichiara senza ambiguità che la scelta dovrà ricadere sulla forma prevalente e più adatta all’utente, cioè quella convenzionale, trovando corrispondenza con le regole delle RC. L’ordine stabilito nei Principi di Parigi non era d’accordo con il proposito generale di avvicinamento, per quanto possibile, tra il vocabolario controllato dei cataloghi e il vocabolario naturale dell’utente.

In conformità alla norma generale sulla lingua dell’intestazione – Principio di Francoforte 5.1.3 – le RC accettano l’intestazione nel modo in cui si presenta nelle manifestazioni nella lingua originale e che sarebbe discutibile soltanto per il caso dei santi, beati, papi, imperatori, re e principi sovrani, così come per i classici greci e latini, ma questa peculiarità potrebbe essere salvata tenendo conto che il Principio di Francoforte a cui si fa riferimento, al primo comma, recita "l’intestazione può essere basata su forme presenti in manifestazioni o in citazioni in una lingua e scrittura più adatta agli utenti del catalogo". Del resto sono questi casi concreti di una conoscenza acquisita da parte dell’utente, abituato a trovare, nelle fonti di riferimento, queste forme già stabilite in lingua spagnola.
Fonte di maggiore conflittualità presuppone il Principio 5.2 "Forma dei Nomi di persona". Nelle RC 15.1.2 "Elemento iniziale", par. A, si sostiene che "quando il nome sia formato da più elementi, si sceglierà come elemento iniziale quella parte sotto la quale il nome della persona si presenti ordinato in una lista alfabetica autorizzata, nella sua lingua o nel Paese di residenza"; il contenuto della regola delle RC sebbene coincida con le AACR2 si allontana dai Principi di Parigi. Il principio stabilito a Francoforte, motivo di discussione a Buenos Aires, ribadisce ancora la prescrizione stabilita a Parigi, aggiungendo inoltre una opzione: primo, cittadinanza, secondo residenza e per ultimo, lingua.
Proprio a Buenos Aires ho posto il problema che presenta il termine inglese "citizenship", il che potrebbe essere considerato praticamente un sinonimo di nazionalità, anche se non lo è. Perché né a Parigi né a Francoforte si adottò "nazionalità" che per tutti noi ha un significato concreto? Citizenship è un vocabolo più ambiguo e con diversi contenuti dal punto di vista legale in ciascun paese. In Spagna, per esempio, ma anche in altri paesi europei, il concetto di cittadinanza non è sinonimo di nazionalità, è un concetto senza tradizione giuridica che soltanto ora comincia a introdursi nell’ordinamento giuridico a motivo della Costituzione europea. Secondo il Diccionario de la Real Academia de la lengua española, Cittadinanza si lega al concetto di "vecindad", "vecino de una ciudad". Allo stesso tempo è un termine che presenta aspetti legali di riconoscimento che una residenza generica non ha. È per questo che nei Principi di Francoforte si introduce come seconda opzione "per l’uso accordato dal paese dove la persona generalmente risieda", quindi la differenziazione con questa seconda opzione implica l’obbligatorietà di quei connotati legali nella prima. Ma se non si scelse "nazionalità", perché è una informazione difficile d’acquisire – come si deduce dalle discussioni svoltesi nella Conferenza internazionale sui Principi di catalogazione di Parigi (ICCP) – oltre la circostanza che l’autore possa avere doppia cittadinanza, cambiarla, ecc., riuscire a conoscere la residenza legale di una persona mi sembra più difficile ancora.

Credo che questo sia un problema irrisolto, gli autori oggi si muovono molto, e sarebbe opportuno trovare un criterio più permanente, duraturo e che implichi un compromesso culturale. Ci sono autori che hanno la loro residenza legale – per motivi diversi e, non ultimo, per motivi politici – in un paese differente ma continuano ad essere rappresentanti, con la loro opera, della cultura del paese d’origine, alla cui nazionalità non necessariamente hanno rinunciato.
A Buenos Aires questo tema è stato oggetto di accessi dibattiti nei due gruppi creati per trattare i nomi personali, entrambi sono giunti alla medesima conclusione, cioè, che si dovrebbe dare priorità alla lingua e che la nazionalità avesse un più alto livello definitorio, arrivando il secondo gruppo a proporre una redazione senza commi diversi in cui si dovrebbero adottare lingua e nazionalità insieme per stabilire la parola d’ordine.
Per ora non sono previsti ulteriori cambiamenti nelle RC, ma rimangono da fare ancora molte riunioni prima dell’approvazione finale dei Principi dell’IFLA, prevista per il 2007. Tenendo conto che si tratta di principi (cioè direttive generali per assumere decisioni) e non di regole, personalmente spero che sia dibattuto dal Gruppo di elaborazione del codice di catalogazione internazionale, creato in seno all’IFLA, la scelta dei punti d’accesso, che è ciò che più segna le differenze tra i diversi codici e, in conseguenza, l’organizzazione dei cataloghi. Questo ci avvicinerà un po’ di più, giacché come ho detto prima, la Spagna ha sempre cercato di adattarsi e di seguire quello che veniva stabilito e approvato in ambito internazionale dall’IFLA.

(Traduzione di Gustavo R. Rella - Revisione di Mauro Guerrini)


Copyright AIB 2005-02, ultimo aggiornamento 2005-03-04 a cura di Gabriele Mazzitelli
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