Per effettuare gli acquisti, per controllare le fatture dei libri arrivati, per redigere l'inventario, gli operatori devono conoscere la lingua delle pubblicazioni, ma per catalogare i libri questo non è più sufficiente, in quanto ci vogliono persone adeguatamente formate come catalogatori, per garantire la qualità dei risultati, e perché questi non influiscano negativamente sul livello di qualità del catalogo generale. E allora, tenuto conto del fatto che ai lettori si deve dare uno strumento informativo nella lingua delle pubblicazioni, le biblioteche che non sono in grado di garantire un catalogo formale in lingua originale, possono predisporre altri strumenti, sempre in lingua originale, più semplici, come uno o più elenchi per autori e per titoli, o per argomenti, che possono essere sufficienti come strumento di reference, per il pubblico e per il personale, perché vanno ad integrarsi con lo scaffale aperto, il primo e più diretto strumento informativo. Una ragione ulteriore a sostegno di questa scelta, particolarmente nel caso di scritture come quella cinese e quella araba, è che i software di cui disponiamo attualmente, anche se permettono la redazione di testi in caratteri originali, non permettono la creazione di basi di dati.
Per quanto riguarda la funzione del catalogo di rendere disponibili le notizie bibliografiche relative alle pubblicazioni possedute ad un'utenza il più possibile ampia, che include lettori che non conoscono le lingue, e cioè, se si inseriscono le registrazioni nel catalogo generale, allora la traslitterazione è d'obbligo, nel caso di scritture non latine. La scelta di un sistema di traslitterazione unico, da adottare da parte di tutte le biblioteche, soprattutto ai fini del catalogo collettivo in linea, sarebbe di competenza di un'agenzia bibliografica nazionale, come la BNI, o le biblioteche nazionali. A questo proposito cito il Gruppo di lavoro per la revisione delle tabelle di traslitterazione in ambito SBN, e riporto alcuni stralci dalla relazione finale a cura di Isa De Pinedo e Francesca Niutta, reperibile nel sito dell'ICCU [1] : nel paragrafo delle riflessioni conclusive si legge che "Gli esperti nelle diverse lingue hanno effettuato un'analisi degli standard ISO vigenti o in corso di elaborazione o revisione verificandone coerenza interna, qualità ed efficacia (condizione indispensabile per la validità di un sistema di traslitterazione è la possibilità di retroconversione nell'alfabeto originale), anche in relazione ad altri sistemi di traslitterazione, verificando anche la compatibilità con i cataloghi preesistenti. Ne emerge un ventaglio di valutazioni e di indicazioni differenziate, che vanno dall'accettazione integrale dello standard ISO (per il cinese), al suo rifiuto totale (per il giapponese), con posizioni di proposte variate per gli altri alfabeti e lingue presi in esame (arabo, persiano, ebraico, greco, cirillico); e ne emerge anche la conferma che ciascuno degli standard ISO va valutato di per sé, prima di poter procedere alla sua adozione." E poi, più avanti: "Per l'arabo Lanciotti e Sagaria Rossi rilevano la distanza di ISO 233: 1984 dalla prassi corrente di traslitterazione e muovono critiche all'ISO 233-2:1993; il suggerimento è quindi di non discostarsi dalla prassi di traslitterazione in uso. Però, considerata la difficoltà di traslitterare dall'arabo (la facevano notare già le RICA, p. 228, nel commento alla tabella di traslitterazione dell'Appendice VI: "la traslitterazione non è possibile se non si ha una buona conoscenza della lingua"), e i limiti connaturati nella traslitterazione da questo alfabeto per la sua stessa natura, fanno presente l'opportunità che i documenti in lingua araba vengano descritti in alfabeto originale, e auspicano la costituzione di un archivio di autori corredato di rinvii che raccordino le notizie traslitterate a quelle originali.". E poi, più avanti, " [...] si è visto come Lanciotti e Sagaria Rossi mettono in evidenza le esigenze di un'utenza specializzata, che possono differire da quelle di un'utenza generale. Per lo specialista la conversione in alfabeto latino, a causa del suo carattere convenzionale e inevitabilmente approssimativo, può costituire un ostacolo nell'identificazione di titoli e autori. E siamo qui al punto nodale della questione. L'utilizzo della pratica della traslitterazione standardizzata che garantisca uniformità e quindi unicità di accessi alle notizie continua ad essere indispensabile in cataloghi di carattere generale in cui coesistano registrazioni bibliografiche in lingue con caratteri diversi, viceversa nel caso di cataloghi specializzati, con documenti in lingue originali, rivolti esclusivamente ad una utenza specializzata, non sarebbe necessario né opportuna una traslitterazione nell'alfabeto latino".
Anche riguardo alle pubblicazioni cinesi, per quanto sia totale ed unanime l'accettazione integrale dello standard ISO del pinyin [2] , tuttavia non mancano alcuni problemi. E' vero che tale sistema di trascrizione è stato accettato dalle biblioteche più importanti del mondo occidentale, ma è anche vero che non tutte lo applicano allo stesso modo: in particolare, nel catalogo della Library of Congress, a differenza di quello della British Library, i caratteri vengono trascritti senza legare le sillabe in parole, come prescrive la norma, salvo per alcune categorie di parole, come per esempio i nomi geografici. Inoltre il pinyin è una forma di scrittura fonetica, a differenza dei caratteri originali, perciò i caratteri omofoni, anche se non omografi, si trascrivono nello stesso modo, e questa può essere una fonte di ambiguità nel testo romanizzato. Per esempio, nella trascrizione dei nomi personali possono prodursi degli omonimi, oppure, nel corpo della scheda, espressioni che sono chiare in caratteri possono diventare ambigue quando sono trascritte in pinyin. Tuttavia il pinyin rimane uno strumento molto importante ed utile. Lo si capisce dalla diffusione che ha avuto, ed anche dal fatto che, nelle biblioteche cinesi, si è affermato l'uso di soprascrivere al titolo ed al nome dell'autore la trascrizione in pinyin, per permettere l'ordinamento alfabetico dei records, perché il criterio di ordinamento tradizionale per caratteri originali è molto più complicato, ad un punto tale che pare che sia proprio impossibile mandarlo a memoria.
Infine, non si può non ricordare la necessità di redigere liste di autorità per il controllo delle intestazioni. Si tratterebbe, prima ancora, di individuare repertori di riferimento, e di darne una valutazione, e si può ben immaginare la difficoltà di tale lavoro, non solo di natura linguistica, ma anche perché possono non essere disponibili repertori autorevoli, oppure essere autorevoli ma discordanti.
A proposito della catalogazione semantica, andrebbero fatti degli studi approfonditi sulla classificazione e su liste di soggetti idonei a descrivere le pubblicazioni. Faccio soltanto un accenno citando un esempio che considero emblematico, tratto dal nostro fondo albanese. Il libro dal titolo Toleranca burim i hapestres ekumenike dhe i artit ekumemik ne Balkan, di cui mi è stata fornita la traduzione seguente: La tolleranza: fonte dello spazio ecumenico e dell'arte ecumenica nei Balcani. In esso si parla delle forme in cui nell'arte sacra albanese determinate forme di sincretismo del linguaggio pittorico e di quello architettonico esprimono il concetto di tolleranza religiosa nelle due accezioni cristiana ortodossa ed islamica. Scorrendo l'indice, si constata che i Balcani di cui si parla hanno un'estensione che arriva fino a Venezia, e che nella popolazione balcanica è inclusa la diaspora albanese negli Stati Uniti.
In sostanza, la catalogazione delle pubblicazioni in lingua è un'attività complessa, che richiede mezzi tecnici e personale adeguati. Non è realistico pensare che tutto questo sia alla portata di tutte le biblioteche che devono servire un pubblico di immigrati, perciò, probabilmente, la soluzione per garantire efficacia ai servizi tecnici è la loro centralizzazione, dall'acquisto alla catalogazione, incluso un servizio di reference per bibliotecari. Nella nostra realtà italiana, e non solo in Italia, è avveniristico pensarlo, ma in Danimarca la Danish Central Library for Immigrant Literature, generalmente chiamata Immigranti Library [3] , è una biblioteca centrale che ha l'incarico di assistere le biblioteche nella scelta, acquisizione e trattamento dei dati. Possiede una collezione di 120.000 documenti, e non riceve pubblico, ma presta i documenti alle biblioteche che non hanno i mezzi di sviluppare una politica di acquisti nelle lingue straniere. In questo caso è lo Stato che si fa carico di una politica di sviluppo dei servizi multiculturali delle biblioteche, con una legislazione che li rende obbligatori e con fondi statali stanziati appositamente.
In questo modo i bibliotecari multiculturali che operano nelle biblioteche a contatto con il pubblico, potrebbero focalizzare la propria attività su altri aspetti del servizio, legati per esempio ai servizi di reference, elaborando sistemi di monitoraggio dei servizi e dell'utilizzazione di questi da parte degli immigrati, ed una migliore cura del livello generale dei servizi della biblioteca in funzione della presenza degli immigrati, per il fatto che a questo pubblico è interessata tutta la biblioteca, complessivamente. O, ancora, potrebbero dedicarsi all'elaborazione di politiche e piani di azione specifici, pensati per i giovani in un contesto di diversità etnica e di una sua valorizzazione, in collaborazione con scuole, licei, associazioni, eccetera.
E, a proposito di fondi, questi condizionano pesantemente scelte e realizzazione dei servizi, e sono solitamente un punto dolente. Il grande problema dei servizi multiculturali è che sono costosi, molto costosi, se si rapportano ai costi dei servizi bibliotecari tradizionali. E le biblioteche degli enti locali, invece, si trovano spesso di fronte a tagli nei bilanci comunali, che vanno a gravare sui servizi ritenuti non essenziali, e molto spesso i servizi agli immigrati sono non solo gli ultimi arrivati, ma anche delle cenerentole. Allora si pone il problema del reperimento di fondi alternativi, come quelli del Fondo Sociale Europeo, o fondi regionali, o altro, attraverso progetti specifici. Per avere delle possibilità di ottenere dei finanziamenti alternativi, una chance può essere collegare i servizi multiculturali a temi di grande rilievo, come la telematica, con la costruzione di siti, aventi una funzione di informazione e di promozione della biblioteca, in particolare curando l'informazione presso le minoranze etniche, e cercando di promuovere il superamento delle disuguaglianze in fatto di accesso ai diversi generi di informazione tra la popolazione immigrata attraverso forme di training all'utilizzo degli strumenti informatici. Oppure il lifelong learning, l'educazione permanente, nell'ambito della quale realizzare iniziative a favore del pubblico di immigrati adulti. Probabilmente questa è una delle possibili forme in cui si può evolvere una specializzazione della figura del bibliotecario multiculturale.
NOTE
[1] <http://www.iccu.sbn.it/tabtrasl.html>.
[2] Information and Documentation - Romanization of Chinese ISO 7098: 1991 (pinyin).
[3] <www.indvandrerbiblioteket.dk/base>.