AIB. Gruppo di studio sulle pubblicazioni ufficiali | |
Il problema dell"editoria pubblica" nasce a partire dalla sua stessa definizione, dalla conseguente maggiore o minor ampiezza del campo dindagine e, di riflesso, dagli ambiti e dai materiali che dovrebbero costituire loggetto del controllo bibliografico.
Le difficoltà che si incontrano per arrivare a una definizione di "pubblicazione ufficiale" o, nel tentativo di superarla, di "pubblicazione di fonte istituzionale" o "amministrativa" permangono in egual misura nel momento in cui ci si appresta a definire il concetto di "editoria pubblica" e, prima ancora, si cerca di individuare la natura dellente che giustifica la connotazione "pubblica" di un determinato documento editoriale.
"Pubblico" può essere inteso in senso lato ogni documento editoriale che sia emanazione diretta o indiretta dello Stato, dei suoi organi centrali e periferici, e degli enti pubblici che la legge definisce tali per il loro regime giuridico e per la partecipazione dello Stato alla gestione e al controllo della loro attività.
Questa attività editoriale può essere ripartita al suo interno in tre grandi blocchi (statale, parastatale e locale), ciascuno dei quali presenta un quadro bibliografico estremamente complesso e sfuggente, sia per la miriade di enti che a vario titolo producono documenti editoriali, sia per leterogeneità dei materiali che li compongono.
Ho usato prima lespressione "emanazione diretta o indiretta": ciò significa che il documento editoriale riceve in qualche modo una patente di ufficialità da parte dellente, sia che lo editi in proprio e vi figuri come titolare dei diritti (copyright), sia che ne affidi ad altri la pubblicazione e la diffusione. Da questo punto di vista, non è di per sé essenziale - anche se di fatto avviene così - che la spesa sia sostenuta dallente o che in qualche modo vi contribuisca, oppure che vi sia una partecipazione diretta al processo di redazione e cura per la stampa. Lufficialità, infatti, non risiede innanzitutto nella presenza di un rapporto economico o redazionale, ma nel riconoscimento di appartenenza e comunque nellavallo scientifico, culturale o morale che lente dà alla pubblicazione apponendovi con evidenza il proprio nome.
Si potrebbe obiettare che non sempre il nome sul frontespizio o in copertina è un elemento decisivo per stabilire il grado di ufficialità di unopera, dato che nella prassi editoriale è frequente il caso di intestazioni che non esprimono tanto un riconoscimento ufficiale, quanto piuttosto un generico patrocinio o una sponsorizzazione data dallente. Personalmente, anzi, sarei portato ad escludere dal novero delleditoria pubblica questo genere - del resto incontrollabile - di pubblicazioni che ricevono sì un patrocinio o una qualche forma di sovvenzione, ma che non si possono riferire allautorità o comunque alla responsabilità diretta dellente.
Daltra parte, se si eccettuano le pubblicazioni di carattere giuridico e normativo pubblicate dallo Stato e dai suoi organi attraverso specifiche procedure previste dalla legge, è obiettivamente difficile stabilire che cosa sia "ufficiale" e che cosa non lo sia nelleditoria di fonte pubblica. Non ritengo peraltro che la genericità o lambiguità insite nel concetto di "ufficiale" si possano superare automaticamente usando il termine "istituzionale", anche perché l"istituzionalità" di una singola pubblicazione non sempre coincide con la sua ufficialità, se intesa come espressione di autorità, responsabilità e coinvolgimento totale dellente pubblico di riferimento.
A livello, invece, di controllo bibliografico, può risultare utile procedere sulla base di ben definite tipologie istituzionali, amministrative o scientifiche, non tanto perché sono diverse le funzioni che assolvono le varie pubblicazioni, quanto piuttosto per ragioni di ordine pratico nel reperimento e nella gestione efficace dellinformazione.
Le indagini, generali o parziali, che sono state condotte fino ad oggi hanno infatti questo in comune: tutte hanno portato alla luce un materiale bibliografico pressoché sconosciuto e spesso mai catalogato da nessuno.
Già nel 1965 una ricerca promossa dallIstituto per la scienza dellamministrazione pubblica - confluita poi nella bibliografia - Le pubblicazioni degli enti locali - era istruttiva al riguardo. La documentazione offerta in quella rassegna - per quanto anchessa necessariamente incompleta, data la vastità del campo dindagine - era infatti costituita da 5.156 referenze bibliografiche relative a pubblicazioni curate, direttamente o indirettamente, da regioni, province, amministrazioni delle città capoluogo, camere di commercio ed enti provinciali per il turismo, in un arco di tempo che va dal 1945 al 1962. Le 286 pubblicazioni allanno che risultavano come media da tale cifra rappresentavano il 5,2% dellintera produzione libraria (esclusi i testi scolastici) di quegli anni (98.874 titoli): un dato già molto significativo se si considera che la ricerca era limitata agli enti locali e, per quanto riguarda i comuni, alle sole città capoluogo di provincia.
Unindagine complessiva riguardante un arco di tempo più vicino a noi porrebbe sicuramente in luce lenorme sviluppo delleditoria pubblica locale. I cataloghi usciti in questi anni - benché incompleti - sono come tante spie della vastità di questa realtà sommersa: a cominciare dal catalogo di una rassegna nazionale denominata "Entepubblica", promossa nel 1993 dal Comune di Castel S. Pietro Terme e dallIstituto per i beni artistici, culturali e naturali dellEmilia Romagna, per finire con i cataloghi delle Regioni Sardegna e Campania diffusi alla recente Fiera del libro di Francoforte, o con quello della Provincia autonoma di Bolzano. Già in passato, del resto, i dati concernenti le pubblicazioni delle Regioni in quanto enti risultavano particolarmente istruttivi. Lo specchietto riportato a p. 6 e 141 dei "Materiali di lavoro" indica infatti una media di 50 titoli lanno per le sette regioni considerate. Andrebbe almeno aggiunta come importante entità editoriale la Regione Siciliana che, dal 1977 al 1995, ha raccolto ben 846 titoli prodotti, direttamente o da altri, con fondi dell'Assessorato regionale dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione. Una media, per un solo Assessorato, di circa 45 titoli lanno non è una cifra da trascurare, dato che equivale alla produzione annua di un editore italiano medio.
Il problema delleditoria pubblica locale diventa particolarmente gravoso nel momento in cui si deve procedere a un censimento delle pubblicazioni - oltreché delle regioni e delle province - dei comuni (che sono 8.102) e degli altri organi dellamministrazione pubblica sul territorio costituiti da consorzi fra enti territoriali, unioni di comuni, aziende sanitarie locali (ASL), municipalizzate, di promozione turistica (APT), camere di commercio, comunità montane ecc. Il problema, naturalmente, non riguarda solo i libri, ma anche gli altri materiali bibliografici, tra cui notiziari, giornali e riviste. Dal Catalogo dei periodici italiani 1998 di Roberto Maini rileviamo ad esempio che le sole testate edite dai comuni, dalle province e dalle regioni ammontano rispettivamente a 546, 37 e 50, per un totale di 633 periodici: il 4,9% di tutta la stampa periodica oggi circolante in Italia (12.881 testate).
Se tuttavia le pubblicazioni degli enti locali presentano le maggiori difficoltà sia per il loro numero sia per loro dispersione territoriale, lesplorazione per campioni fa emergere la complessità del controllo bibliografico anche in altri ambiti dellamministrazione pubblica. Prendiamo, ad esempio, le pubblicazioni dei Ministeri. Due recenti cataloghi del Ministero per i beni culturali e ambientali - I libri e le carte e Le arti documentate sono a questo proposito una spia significativa dellentità del materiale prodotto da questi organismi e della necessità di un capillare controllo bibliografico. In questi due volumi sono infatti catalogati rispettivamente 1.049 e 1.338 titoli, promossi e realizzati dalle strutture centrali e periferiche del Ministero negli anni 1990-1996: un totale di 2.437 pubblicazioni, che porta a una media di 348 titoli lanno.
Ritengo che ci si possa fermare qui nelle esemplificazioni. Dai risultati di ogni ricerca e dallo spoglio di cataloghi e materiali bibliografici diversi la conclusione a cui si arriva è sempre identica: la produzione editoriale a stampa che fa capo agli enti pubblici nel loro complesso è cospicua, ma riuscire ad individuarla con un certo grado di completezza è ancora - nella situazione attuale - unimpresa disperata: si ha come limpressione di inseguire le capriole dei fantasmi. Ogni tanto capita, sfogliando qualche bibliografia o visitando gli stand di qualche ente pubblico a mostre o convegni - specialmente al Salone del libro di Torino - che questi fantasmi si materializzino e ci ricordino, con la loro presenza, che ne esistono tanti altri disseminati nellombra per lItalia.
Se dovessi fare a questo punto unipotesi quantitativa, direi che il numero di titoli prodotti ogni anno dagli enti pubblici non è inferiore alle 3.500-4.000 unità. Questa cifra corrisponderebbe al 7,7-8,8% della produzione libraria complessiva (45.446), esclusi i testi scolastici, e potrebbe anche essere approssimata per difetto, se già più di trentanni fa - come ho riferito - le sole pubblicazioni di ente locale rappresentavano il 5,2% dellintera produzione libraria.
Nella cifra ipotizzata, e riferita alle sole pubblicazioni a stampa, sono escluse le opere che non siano direttamente o indirettamente riconducibili allente, secondo le considerazioni fatte in precedenza. Il calcolo, dunque, delimita, da un lato, ed estende, dallaltro, larea delle "pubblicazioni ufficiali" propriamente dette, intese cioè come "opere pubblicate su committenza e a spese delle autorità pubbliche, quale che sia il loro supporto, siano esse destinate a una diffusione generale o limitata", secondo la definizione delle Guidelines for legal deposit legislation.
Ripartendo le 3.500-4.000 pubblicazioni secondo i tre grandi blocchi di cui si è detto - cioè statale, parastatale e locale - leditoria pubblica verrebbe ad assumere la seguente fisionomia: Enti statali 1100-1200
Enti parastatali 900-1000
Enti locali 1500-1800
Ci si può ora domandare qual è stata levoluzione delleditoria pubblica in Italia negli ultimi anni. Va segnalato innanzitutto il forte incremento degli enti editori (o committenti) e del numero dei titoli pubblicati. Ciò è dovuto a una sempre maggiore consapevolezza da parte dellente pubblico della necessità di:
Cè stato, in secondo luogo, un miglioramento delleditoria pubblica sul piano editoriale e grafico. Mi riferisco, non tanto alle pubblicazioni darte o di pregio - che erano curate anche prima, e forse anche di più - ma alle pubblicazioni normali, che invece assumevano spesso laria e potremmo anche dire il colore della "letteratura grigia" tipica per lunghi anni delleditoria pubblica, anche quando i contenuti erano di tutto rispetto. Questo salto di qualità è stato il frutto di una conversione mentale, prima ancora che funzionale o tecnologica, nel segno di una professionalità e di una strategia comunicativa nuova da parte dellamministrazione pubblica. In alcuni casi - e mi piace fare almeno lesempio dellIstat, perché è stato un rinnovamento a 360° - si sono raggiunti risultati notevoli. A questa evoluzione hanno contribuito le competenze maturate allinterno dellente pubblico, anche come risultato di processi formativi nel settore del lavoro editoriale e, per certi aspetti, gli accordi di collaborazione stabiliti più intensamente con editori privati, che hanno messo a frutto la loro competenza ed esperienza.
Nonostante il numero consistente di pubblicazioni e il loro miglioramento sotto diversi aspetti, leditoria pubblica resta in genere un pianeta invisibile e dunque anche inesplorato. Questo è dovuto a due essenziali motivi: da un lato, alla non organizzazione dellente pubblico come struttura in grado di far fronte - seppure a titolo gratuito - alla circolazione dei materiali prodotti; dallaltro, allimpossibilità anche per gli editori privati che collaborano con lente pubblico di varcare la soglia della libreria. E abbastanza frequente, in ogni caso, il rimprovero che viene mosso allente pubblico e soprattutto alleditore privato di "non distribuire i propri libri", dato che le librerie ne sono immancabilmente sprovviste. Ora, non è inutile ricordare che un libro può essere promosso anche nel migliore dei modi - come fa ogni editore che abbia una distribuzione a livello nazionale, toccando dai 600 agli 800 punti vendita -, ma non può naturalmente essere imposto ai librai, i quali in genere lo rifiutano perché ritengono che questo tipo di pubblicazioni possa trovar posto in libreria soltanto se cè già una richiesta preventiva.
Questo accade perché, nella precaria situazione attuale del mercato, non cè più posto in una normale libreria per opere che non abbiano un minimo di vendibilità e leditoria pubblica rientra certamente in questo genere di opere. Oggi la libreria è diventata, per forza di cose, una sorta di stazione ferroviaria, dove gran parte dei treni non sosta più e dove molti altri si fermano pochissimo tempo (diciamo 30-40 giorni), perché costretti a far posto agli altri treni sempre più numerosi che attendono di entrare. Fuori dellimmagine, la maggior parte dei libri che non sia destinata al mercato di massa entra ed esce dalla libreria senza lasciare traccia, riducendosi sempre più gli spazi e la convenienza. Una libreria, quindi, dove di fatto soltanto chi è forte come marchio editoriale, è sostenuto da unefficiente struttura distributiva e soprattutto da titoli "commerciali" può assicurarsi quella presenza continuativa e quella visibilità che sono il presupposto necessario alla vendita. Chi non sa o non può, per un motivo o per laltro, inserirsi in una determinata logica e in un certo dinamismo di mercato resta, se non escluso, fortemente penalizzato, entrando in tempi sempre più rapidi in un vicolo cieco nel quale i problemi, rimbalzando luno sullaltro senza risolversi, conducono a una stasi e comunque a un appannamento dellattività.
Leditoria pubblica è, per sua intrinseca natura, uneditoria non commerciale e quindi, sotto questo aspetto, debole, che non può trovare in libreria un punto stabile di riferimento. Certo, sarebbe bello se si potesse disporre, almeno nelle grandi città, di librerie dello Stato - come quelle del Poligrafico per le pubblicazioni ufficiali, legislative e statistiche - in cui siano reperibili pubblicazioni in commercio relative a determinati settori o aree tematiche che abbiano interesse per qualche tipo di utenza specializzata. Ma si tratta in ogni caso di investimenti di una certa portata, difficili da sostenere in presenza - si fa per dire - di un mercato "che non cè".
Allora, il vero problema delleditoria pubblica è innanzitutto quello di diventare visibile a livello informativo e comunicativo: quindi un controllo bibliografico rigoroso, un trattamento efficace dellinformazione, una diffusione capillare e metodica di questa informazione attraverso forme, supporti e canali diversi. Perché quello che conta, in definitiva - al di là della reperibilità e delleventuale acquisto -, è che si sappia che un certo materiale esiste e che venga alla luce proprio attraverso un tempestivo e organico lavoro informativo. Altrimenti, cè il rischio - ma potremmo dire anche la certezza - che un patrimonio, a volte di grande valore, resti disseminato in mille rivoli e sia destinato a disperdersi sempre di più per il moltiplicarsi delle fonti e dei supporti, sotto la spinta impetuosa dello sviluppo tecnologico. Penso ad Internet, ma anche al "print on demand": cioè alla scannerizzazione e alla stampa dei testi in poche copie - al limite anche in una sola copia -, con tutti i problemi che ne deriveranno al controllo bibliografico, non solo naturalmente per leditoria pubblica. E certo, comunque, che siamo in una fase di trapasso che ci sta proiettando verso nuovi approdi di cui anche leditoria pubblica non potrà non tenere conto.