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Dovrebbe essere per noi molto agevole riflettere sul significato, sull'importanza
di una biblioteca all'interno di un sistema bibliotecario. Caratteristiche
tipologiche, storia delle raccolte, efficacia dei servizi forniti, cooperazione
con le altre strutture bibliotecarie del paese, soddisfazione dell'utenza
dovrebbero essere i cardini su cui articolare una riflessione seria, pacata,
costruttiva. Questa riflessione non dovrebbe essere altro che il naturale
portato della maturazione complessiva della Res publica, della comunità
di cittadini che si fa Stato, che si riconosce in un determinato contesto
culturale e fa dell'istruzione, della conoscenza, del progresso intellettuale
e scientifico, la base su cui costruire il proprio futuro.
Purtroppo quando ci si trova a parlare del sistema bibliotecario italiano
si è attraversati dal sospetto che si stia parlando di una chimera,
o peggio, di un'attesa, di una speranza costantemente delusa.
Questa considerazione, però, non vuole servire a eludere il problema,
a liquidare la questione con una vuota lamentazione o con la sconfortata
presa d'atto che tutto è inutile, tutto è perduto e non c'è
più niente da fare. Luigi Crocetti, al quale molto debbono i bibliotecari
italiani, in un illuminante e bellissimo intervento dal titolo La tradizione culturale del Novecento
ha messo in luce alcune delle cause dell'anomalia italiana. Voglio citarne
un passo, a mio avviso molto significativo, dedicato alla nascita nel 1975
del Ministero per i Beni culturali e ambientali (che come sapete di recente
ha cambiato denominazione): «Nel testo del decreto del presidente
della repubblica sull'organizzazione del ministero per i beni culturali
e ambientali (del 1975), non s'infieriva più sui bibliotecari, ormai
sistemati, ma sulle biblioteche, non vergognandosi di definirle "organi
periferici del Ministero", ciò che non era stato immaginato
neppure nei tempi della dittatura. Se ne ribadiva così la burocratizzazione.
È sempre stupefacente per me che a questo non ci sia stato nemmeno
un conato di resistenza organizzata. Forse non si è capito che con
quell'iniqua e mostruosa definizione - tuttora in vigore - venivano attaccate
le caratteristiche di policentrismo della galassia italiana; (...). Ma più
grave è la provocata sconnessione tra biblioteche e cultura (così
come credo si possa dire per i musei). Può fare cultura un organo
periferico del ministero?».
Basterebbe forse partire da qui, da questa affermazione di Crocetti, per
cercare di capire cosa è successo o cosa non è successo in
questo ultimo quarto di secolo, per tentare di impostare una discussione
seria, possibilmente serena, in cui siano messe in campo le armi della ragione
e non quelle di polemiche sterili e strumentali: visto che nessuno può
mettere in dubbio che il nostro obbiettivo, l'obbiettivo comune di chiunque
affronti queste tematiche, siano essi bibliotecari, docenti, funzionari
dei vari Ministeri o uomini politici, deve essere quello di favorire l'organizzazione
di servizi bibliotecari degni di questo nome.
Né, d'altro canto, si può pensare che non vi possano essere
idee diverse in proposito, ma proprio dal confronto di queste idee dovrebbero
nascere gli stimoli giusti per trovare assieme le soluzioni migliori.
Per le biblioteche universitarie il 1975 significò anche la «sconnessione»
amministrativa e gestionale dalle università, sconnessione che, però,
sanciva, almeno in determinate realtà, un allontanamento che si stava
già compiendo o era già avvenuto nei fatti 1.
Proprio sulla base di queste considerazioni si potrebbe affermare che, in
fondo, l'articolo 151 del Decreto legislativo 31.III.1998, n. 112, che prevede
che «le università possono richiedere il trasferimento delle
biblioteche statali ad esse collegate», sembrerebbe voler ricucire
quello strappo, riconoscendo alle università che lo richiedono, la
possibilità di 'ricollegarsi' alle strutture bibliotecarie che della
qualifica di universitarie si fregiano. Ma la ricucitura appare debole,
lasciata al motu proprio delle università e già il
concetto di 'collegamento' sembra essere oggetto di interpretazioni diverse:
nella tanta frenesia legislativa caratteristica del nostro paese, in questo
caso si resta nel vago, si lasciano irrisolti i nodi di fondo, si ha la
sensazione che il mutamento gestionale proposto resti affidato al caso e
non sia il frutto di una riflessione approfondita. Insomma di questa legge
non si coglie bene la ratio.
Ma, ribadisco, se l'analisi di Crocetti è giusta e condivisibile
allora non ci si dovrebbe troppo lamentare se il legislatore tenta di porre
un rimedio, parziale, incompleto, compromissorio, ma comunque un rimedio.
E, in effetti, sarebbe un errore avere un atteggiamento preconcetto. Ma
prudenza, buon senso e raziocinio in situazioni del genere sono il minimo
che si possa richiedere a chi la legge è chiamato a mettere in pratica.
Così come non si può far finta che non esistano delle situazioni
de facto che richiedono attenzione e rispetto. Esiste un personale
che può vantare delle legittime aspirazioni, un patrimonio librario
che ha una sua storia e che va tutelato, un'utenza, in particolare, a cui
bisogna garantire l'erogazione di una sempre maggior gamma di servizi.
Vedete, prescindendo da ogni opinione personale, sono convinto che del futuro
dell'Alessandrina, ad esempio, molto più di me siano autorizzati
a parlare gli operatori di questa biblioteca e gli utenti che quotidianamente
la frequentano. Ma certo il problema generale, quello relativo al «sistema»
bibliotecario rimane. E inevitabilmente si rincorrono una fitta serie di
domande che enumero in ordine sparso: Quale è oggi il ruolo delle
biblioteche universitarie nel panorama bibliotecario italiano? Quale è
l'attuale situazione delle biblioteche delle università? Quante università
hanno sistemi bibliotecari d'Ateneo davvero funzionanti? Qual è il
contesto universitario locale in cui si andrebbero a collocare le biblioteche
universitarie? L'università "La Sapienza" vorrà
approfittare dell'opportunità offerta dalla legge di 'ricollegarsi'
alla biblioteca che è nata storicamente per servirla? Se sì,
in che modo? E se, invece, non lo volesse, cosa accadrà? E così
di seguito. Mi verrebbe da dire che già questa sequela di interrogativi
evidenzia un limite dell'articolo 151: da un articolato di legge ci si potrebbe
aspettare delle risposte e non la proposizione di questioni non semplici
da risolvere.
Si dirà che tutto potrà dipendere dalle contingenze, che in
fondo dettano legge più delle norme del codice. Giusto. Ma credo
che noi tutti possiamo concordare che ci si trova di fronte a alternative
che possono incutere un qualche timore. E il problema è senz'altro
più generale, perché davvero investe l'aspetto sistemico e
voglio qui ricordare che l'AIB ha tentato di dare un contributo fattivo
in questo senso con una proposta di legge-quadro che, qualora il legislatore
l'assumesse, potrebbe diventare, finalmente, un chiaro strumento di "indirizzo
politico" unitario e coordinato nel settore dei servizi bibliotecari
e informativi.
Nel recente convegno che si è tenuto a Bologna proprio sul tema della
possibile integrazione tra biblioteche universitarie e biblioteche delle
università, organizzato dalla Commissione per i servizi bibliotecari
nazionali e la tutela e dalla Sezione Emilia Romagna dell'AIB, Rosalba Suriano
nel suo intervento ha ben
messo in evidenza le diverse problematiche aperte e, sebbene l'analisi fosse
relativa alla situazione della Biblioteca universitaria di Padova, credo
che molte di quelle considerazioni possano valere anche per la maggior parte
delle altre biblioteche universitarie.
Si potrà anche dare il caso di trovarsi di fronte a dei paradossi:
biblioteche che non vogliono tornare alle università per le quali
viene richiesto il passaggio e biblioteche che magari auspicherebbero un
distacco dal Ministero che non sono gradite alle università. E allora?
Torniamo ancora all'aspetto generale. E se volete alle domande di fondo
che non investono solo le biblioteche universitarie, ma l'intero sistema
bibliotecario nazionale che non c'è.
Consentitemi di ricordare che nel giugno del 1994 partecipai, in qualità
di presidente della Sezione Lazio dell'AIB, a un convegno organizzato dalla
Biblioteca nazionale centrale "Vittorio Emanuele II" sui problemi
della lettura a Roma, in cui si evidenziò pienamente la difficoltà
in cui tutti noi ci troviamo nello gestire un'utenza spesso costretta a
ricorrere impropriamente a strutture bibliotecarie che finiscono per perdere
i loro connotati tipologici. A rileggere gli interventi tenuti in quel convegno
si direbbe che da allora la situazione non è cambiata: i problemi
sono rimasti gli stessi e le buone intenzioni non hanno avuto alcun seguito.
Oggi, però, noi abbiamo a disposizione delle novità tecnologiche
che stanno mutando il quadro generale all'interno del quale si situa la
nostra professione. Scrive ancora Crocetti: «Abbiamo ora strumenti
potentissimi, che nessun bibliotecario delle età passate ha avuto
a disposizione; e mi sembra che questi strumenti stiano insegnando molto,
almeno ai bibliotecari delle generazioni più giovani».
Questi strumenti possono, forse, consentirci di superare alcune delle difficoltà
che hanno impedito fino ad ora di cooperare in maniera armonica. Senz'altro
ce ne porranno di nuove, ma l'essere preparati alle sfide delle nuove tecnologie
fa anche parte delle peculiarità della nostra professione.
Al convegno di Bologna che ho ricordato e al quale ho avuto il piacere di
partecipare, ho avanzato l'ipotesi che le biblioteche universitarie prendano
in considerazione l'opportunità offerte dal Decreto legislativo n.
112, come un'occasione per ridisegnare il loro ruolo, per accrescere la
loro presenza sul territorio diventando magari centri per la fornitura di
servizi avanzati, senza per questo perdere di vista la funzione di valorizzazione
dei loro fondi storici. E' un'idea discutibile, certo, ma nasce dalla volontà
di porre il problema di un riassetto complessivo del nostro sistema che
non c'è, di sottolineare l'urgenza che ci si muova in direzioni nuove.
Vorrei qui soffermarmi su un altro aspetto che so molto delicato, venuto
alla luce anche nel corso del convegno di Bologna, e che ci riguarda in
prima persona. Si ha a volte l'impressione che tra gli stessi bibliotecari
non sempre esista una condivisione di intenti. Si direbbe che siamo afflitti
da un corporativismo 'tipologico' che certo non aiuta a essere uniti. D'altra
parte è anche umano che in un contesto non sistemico ciascuno tenti,
diciamo così, di difendersi e sia molto preoccupato di possibili
mutamenti.
Ancora una volta, inevitabilmente, il discorso si amplia, investe temi legati
al rapporto di lavoro, alle qualifiche, ai mansionari, alla complessità
della nostra macchina amministrativa, a quella burocratizzazione dei nostri
istituti bibliotecari che secondo Crocetti ne ha comportato la definitiva
separazione dalla cultura italiana.
Il nostro problema è, oggi, capire come ricucire questo strappo.
So che può apparire astratto spostare la questione sul terreno culturale,
quando invece sono in gioco anche destini individuali. Ma può non
essere un problema culturale la realizzazione di un sistema bibliotecario
nazionale? Può la politica bibliotecaria di un paese essere separata
dal contesto culturale, dalle esigenze primarie di formazione che ogni comunità
civile deve avere? Nel convegno romano del 1994 Maria Concetta Petrollo
denunciava: «la scarsissima attenzione che da sempre la società
italiana e le istituzioni dedicano all'istruzione, alla formazione e all'educazione
dei ragazzi» 2. Una denuncia che, purtroppo, mantiene
ancora oggi tutta la sua validità.
So bene che spostare sul terreno culturale il problema non aiuta a risolverlo,
proprio nel momento in cui si ha la sensazione che nel nostro caso il legislatore
abbia volutamente tralasciato il quadro generale per soddisfare delle possibili
esigenze particolari. Nell'impossibilità di mutare l'assetto complessivo,
per ora si favorisce l'eventualità di quello che alcuni, comunque,
ritengono essere un rimedio, rimedio che in fondo non riuscirà a
provocare danni maggiori.
E allora? Come comportarsi? Sarà il semplice trascorrere del tempo,
l'ingresso in Europa, l'invasione di Internet, ma comunque il passaggio
dal «sistema bibliotecario che non c'è» a un sistema
bibliotecario moderno e efficiente dovrà realizzarsi. Credo che si
tratti di una battaglia nella quale valga la pena di impegnarsi. Forse sarà
necessario ripensare il nostro ruolo, rivedere la funzione e le peculiarità
di alcuni istituti bibliotecari. Non mancheranno critiche, timori e una
giustificata apprensione. Sta, però, anche a noi dare il nostro contributo
fattivo.
Come ho già detto, nutrirei la speranza che quanti a vari livelli
e con diverse capacità decisionali si trovino a fronteggiare questi
problemi si sentissero animati dalla consapevolezza di affrontare questioni
rilevanti per la democrazia e per il paese. Dovrebbe essere dato per scontato
che chi si siede intorno a un tavolo per discutere di queste tematiche lo
faccia con quello spirito di servizio, con quel senso delle istituzioni
che dovrebbe animare ogni cittadino che si senta davvero parte di una comunità
di uomini liberi.
Vedete, qui non si tratta tanto di essere favorevoli o contrari all'articolo
151: il problema è quello di capire quale sistema bibliotecario vogliamo
avere. Ben vengano quegli stimoli che possono servirci a disegnare un futuro
migliore per le nostre biblioteche. Ben venga che a questa riflessione partecipino
tutti coloro che sono realmente interessati a raggiungere dei risultati
concreti. Nella speranza che, davvero, tornare a riflettere su questi problemi
non sia uno sterile esercizio di bello stile o una vacua geremiade, ma il
portato della maturazione complessiva della nostra società, finalmente
capace di rinsaldare e mantenere vivo quel legame fondamentale tra cultura
e biblioteche che è necessario perché un sistema bibliotecario
possa fornire ai suoi utenti i servizi di cui hanno diritto.