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AIB. Commissione nazionale servizi bibliotecari nazionali e tutela


CONSERVARE IL '900
Ferrara, 25-26 marzo 2000

Intervento / Giovanni Morelli

Dal 1964 quando Gian Francesco Malipiero donò le sue carte musicali (documenti diversi, fotografie, autografi, belle copie, lucidi, abbozzi, libri usati per scrivere le sue proprie musiche e concepire le sue opere teatrali) al suo amico e benefattore Vittorio Cini al fine che fossero allocate nella Fondazione da poco costituita dal conte ferrarese presso l'Isola di San Giorgio Maggiore e presso la quale, sotto la effervescente direzione erano nati o stavano nascendo diversi Istituti di studi avanzati, dal 1964 molta acqua è passata sotto i ponti dell'inquieto nostro passato Novecento, e molti altri archivi musicali (oltre al malipieriano, oltre a un ramo di un archivio boitiano secondariamente trasmesso da Piero Nardi) si sono accasati in laguna, in massima parte nella suddetta Fondazione Giorgio Cini: quelli di Alfredo Casella, Ottorino Respighi, Nino Rota, Camillo Togni, Aurel Milloss (coreografo di primo rango nella storia del ballo europeo), Olga Rudge e altri (non si dimentichi che a Venezia, in ottima salute organizzativa e ideativa, è stato costituto ed opera anche oggi, saviamente trattenuto da una esportazione che ha riguardato la documentazione di vita e opere di non pochi importanti Maestri italiani -Maderna, Petrassi, Berio-, l'archivio di Luigi Nono, costituitosi privatamente in una sede ad hoc dalla quale con gran merito gli eredi del Maestro e i loro collaboratori avviano diverse iniziative coordinate con le altre istituzioni di studio attive in città).

Un archivio musicale novecentesco è forse cosa più difficile da definirsi di un archivio musicale d'altri tempi. Le personalità dei musicisti o dei creatori di arte con la musica connessa (cinema, danza ecc.) lascia tracce o troppo complesse, o troppo labili, o enigmatiche. Per più motivi. Innanzitutto perché la dignità "intellettuale" del musicista si è fatta più cosciente e la coscienza del musicista s'è fatta più infelice e nervosa nel passato secolo di quanto non fosse, intellettuale e nervosa, nei secoli ancor più passati. Molti autori hanno agito sulle tracce residue del loro operare improntandole con alcune manifestazioni di intenzionalità autointerpretativa, fornendo quasi sempre ai conservatori delle loro memorie uno schema operativo personalizzato.

Faccio solo qualche esempio. Alfredo Casella ha delineato un piano di conservazione distinta della sua personale, multipla esperienza artistica e culturale: l'attività concertistica documentata dal totale dei programmi originali dei propri concerti (di musica propria e non), l'attività creativa (documentata da un imponente sistema di abbozzi molto istruttivi nell'ordine della analisi del procedimento compositivo adottato opera per opera), l'attività organizzativa di promozione culturale (documentata da un cospicuo carteggio molto segnato dalla praticità, dal trattamento epistolare di eventi concreti e di varia operatività), la critica ricevuta (ritagliata e cronologizzata), la propria attività di scrittore e critico (affettuosamente raccolta). Gian Francesco Malipiero ha dato spazio, invece, ad alcune opzioni eccentriche; ha spartito le sue carte epistolari in fasci compatti trascegliendo testi atti a ripercorrere narrativamente avvenimenti artistici o culturali ovvero peripezie perlopiù enigmatiche o affabulabili di un suo eterno gioco fra i modi della vita come sogno, come scatenamento di idiosincrasie spesso avvelenate, come manifestazione rusticamente scettica di un irrimediabile "cussì va lo mondo". Del pari ha messo ordine ai resti delle spartizioni a volte integrando a volte no le carte ricevute con copia originale delle spedite, enfatizzando di fatto alcuni aspetti dei rapporti selettivamente documentati. Circa le musiche, ha "estetizzato" i materiali accorpandoli rilegati in stile antico o nello stile di un revival immaginario di un passato leggendario al quale collega la sua esperienza forzandola a una serie di salti dal flusso della continuità storica degni di paragoni con i salti di favolosi storioni o cetacei dal flusso o dallo specchio dei loro grandi fiumi o mari. L'attenzione portata alle critiche o alle recensioni lo ha portato a realizzare delle antologie beffarde o dispregiativamente accozzate, spesso forzando uno sfondo drammatico, romanticheggiante, di una contemplazione della esemplare incomprensione tributatagli e delle messe "alla berlina". Prevale sul tutto una passione estetica che impone agli oggetti cartacei contenitori estremamente caratterizzati da una sovrapposizione di ossessioni decorative: neo-gotiche, neo-francescane, iniziatiche, asolane, fondamentalmente dannunziane (ma se dannunziane intrise di un dannunzianesimo risentito, non epigonico, oltremodo eterodosso). Nino Rota ha lasciato un archivio marcato dalla combinazione di una vita di strabiliante operosità (159 colonne sonore, 200 numeri di composizioni da camera, sinfoniche e teatrali -alcune operone, scritte più e più volte-) e di "distrazione" ovvero di candida, fanciullesca predisposizione al disordine del children corner. Camillo Togni ha lasciato una documentazione "seriata" del suo operare, comprendente vari stati della composizione, tavole dei materiali musicali utilizzati, plurime definizioni in pulito delle creazioni, apparati critico-analitici dei pezzi. Aurel Milloss ha predisposto un vademecum obbligato di ripercorrimento d'ogni fase della sua carriera, reiteratamente suffragato da conferme dell'ordinamento delle fonti, secondo codificati protocolli. E così via.

È facile immaginare che corrispondentemente ad ogni configurazione la responsabilità della conservazione comporta un difficile gioco di rispetti e trasgressioni delle volontà autointerpretative implicite nei lasciti, che possono facilitare o inibire le catalogazioni (quella di Casella è uscita a stampa in quattro grossi volumi tematicamente cadenzatissimi, quella di Malipiero procede paradossalmente allontanando nel corso del crescere dei lavori il compimento della impresa, sollecitando la proliferazione di catalogazioni à tiroirs, tanto più virtuali quanto più realmente nutrite di descrizioni dello stato delle documentazioni).

Per uscire, comunque, dalla dimensione autobiografica del responsabile perplesso e affaccendato attorno alle problematizzazioni della resa di post-freudiane proprietà di latenza e manifestazione intrecciatissime e specifiche di un'età in cui gli autori di opere musicali sono divenuti attori su di una scena sulla quale l'originalità del portato individuale dell'artista ha prevalso su di ogni altra categoria interpretativa delle testimonianze documentarie delle opere, dei testi, del fare e dell'interpretare, mi accingo ad esporre alcune osservazioni pertinentemente connesse alla questione, alla interrogazione (riprodurre o conservare?) posta in titolo alla seduta che è da poco qui iniziata.

Ho appena sospeso l'insinuazione dell'idea di uno spirito essenzialmente novecentesco che grava, per disposizione degli autori novecenteschi, pressoché tutti, sulla conservazione "archiviale" della materia e delle tracce ideative presenti, spesso fuggevolmente, segretamente presenti nelle documentazioni delle loro opere. È molto importante, per gli autori del Novecento, tener sempre presente che sempre più, in essi e per essi, la testualità non è solo quella dell'opera finita (anzi lo è molto di raro, una testualità effettiva, quella del finito), ma è soprattutto rivelazione (o problematico occultamento) del progetto dell'opera (spesso di fatto non realizzata fedelmente) o del processo costitutivo della sua evolutiva vita prenatale e postuma.

Gli archivi di cose musicali novecentesche devono infatti essere organizzati nel senso di rendere evidente la loro "apertura", la violenta centralità della loro natura incompleta e della loro provvisoria condizione interpretativa. Ciò riguarda in particolare la determinazione di cosa sia archiviabile nel sistema delle tante opere che negli importanti anni Sessanta-Settanta nacquero nel clima intellettuale che privilegiava l'interesse per l'"opera aperta". In ordini a tali documentazioni, una archiviazione sviluppata in termini di "riproduzione" dei documenti, abbatte la stessa ragion d'essere delle opere che sono concepite per essere destinate al continuo rilancio della loro "apertura". Ed in tal senso una corretta archiviazione dovrebbe mirare a conservare testimonianza di modelli proibiti alla riproduzione, ovvero dei modelli negativi (modelli di ciò che nella adeguata continuazione della tradizione di quei testi deve essere evitato, rimosso dalla ripresa effettiva).

Un certo importante repertorio di ricerca e di creazione sulla base dell'uso di strumenti elettroacustici desueti, ovvero macchine superate tecnologicamente, ma specificamente adibite alla loro realizzazione estremamente definita (del tutto all'incontrario delle opere aperte), realizzazione allo stato delle cose dell'oggi divenuta impossibile, imporrebbe alla responsabilità dei conservatori di opere novecentesche di questo ambito (che storicamente erano dipese in tutto e per tutto per quel che concerne la loro esistenza, tradizione, diffusione, conoscenza ecc. dai macchinari degli studi storici di fonologia) il ripristino o, addirittura, la ricostruzione stessa (sulla base degli eventualmente rinvenuti loro progetti o brevetti, ove ci sono) delle macchine che in grandissima parte sono andate perdute, e disattivate sino alla distruzione, quando non effettivamente distrutte.

Per tornare alle più tradizionali documentazioni scritte, per lo più relative alla dotazione, che in diverso grado, diverse opere possono avere o non avere, di materiali appoggiati su diversi supporti testimoni della organizzazione progettuale dell'opera o della esecuzione, o delle "prove" della esecuzione (non di raro esitate in un nulla di fatto, o in un nulla di pertinentemente connesso alla effettiva esecuzione consegnata ai pubblici destinatari), è necessario prendere coscienza che esse sono in genere documentazioni slegate, approssimative, sopraffatte da un carico di errori o di fuggevoli accidenti della ideazione. Ciò per rendere più significativa quella archiviazione che studia il rilievo del totale delle intenzioni preliminari agli stessi progetti, e che di fatto è una scienza analitica degli antecedenti dell'opera.

In questo si verifica un importante passaggio trasformativo del tradizionale lavoro filologico. Laddove nella classica ricerca filologica sui testi musicali, l'assunto fondamentale del lavoro era, nel passato, la verifica dei "tradimenti" apposti ai testi dai suoi conseguenti interpretativi, progressivi, sviluppatesi nelle dinamiche della recezione, e il ripristino di un livello originario di testualità corrispondente alla volontà perfezionata dell'autore, nella ricerca filologica nuova (neue), che passa per una immersione convinta in un processo di marcia-indietro, fino alla idea prima pensata dall'autore all'atto dell'avvio del processo creativo, la volontà dell'autore è interpretata come se fosse una funzione dinamica: un ambito di avventure della testualità tutto pertinente le vicende delle trasformazioni degli antecedenti dell'opera che deve essere percorso e ripercorso nei due sensi spazio-temporali del "prima" dell'opera. A questo ordine di documentazioni dovrebbero essere cooptate altre documentazioni dei processi preparatori della esecuzione (da desumere dalle documentazioni oggettive o soggettive delle prove stesse: dai filmati ovvero registrazioni delle prove, alle testimonianze, più o meno credibili, in genere, degli interpreti, intervistati o comunque attivati nelle riesumazioni del ricordo di un interessante numero di dettagli di atti performativi richiesti, suggeriti, accettati dall'autore).

A questo ordine di cose, per le opere che esigono l'attivazione di operazioni acquisitive di documenti ulteriori ai conservati, viene a rapportarsi una mentalità archivistica inedita: il conservatore dovrà assumersi il carico d'essere anche il responsabile della conservazione della moralità del processo del comporre, dovrà più aprire che chiudere la realtà dello stato attuale, consegnato, della documentazione, sviluppando una ricerca di ulteriori documentazioni delle potenzialità di accrescimento del valore progettuale dei testi. Non si potrà ritenere pertanto sempre facilmente conclusa una operazione di conservazione al momento del totale reperimento dei testimoni e dell'ordinamento catalografico dei reperti (massimamente quando gli autori hanno progettato e composto le loro opere in un regime di estrema valorizzazione delle incidenze dell'alea, oppure sullo sviluppo delle potenzialità esecutive degli interpreti, vivendo in comunità con loro, ed elaborando, come dei materiali di base o semilavorati, le interpretazioni delle loro -degli interpreti-coautori-personalizzate capacità di creazione sonora).

Cresce inoltre la responsabilità d'ordine critico, nel lavoro di archiviazione-conservazione di materiali novecenteschi, quando, come frequentissimamente accade, le opere restano inconcluse, oppure subiscono un numero di rifacimenti notevole, in specie rifacimenti che siano totali ri-creazioni dell'opera e che in tal senso possano essere intesi come effettive volontarie, necessarie, sostituzioni della passata versione, così come invece, in senso opposto, creazioni del tutto "altre", eccedenti, irrelatamente presentificabili alle passate precedenti versioni, le quali non hanno diritto alcuno di negare la ricuperabilità delle stesse (precedenti-prime) ad un onesto riuso o a una ripresentazione (perlomeno adibibile alla funzione conoscitiva della storia della creatività dell'autore). In questo stesso ordine di responsabile interesse diviene compito della istanza conservativa-archivistica operare o meno, giudiziosamente, nel senso del completamento di opere incompiute-incomplete (sulla scorta di verifica o di ricerca di materiali sufficientemente utili a conseguire un risultato autenticabile sulle fonti, dirette o indirette, archiviate o archiviabili).


Copyright AIB 2000-06-09, a cura di Elena Boretti
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