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La storia novecentesca del Gabinetto Vieusseux, che di fatto inizia nel 1925, con la costituzione in Ente Morale di proprietà del Comune di Firenze, è segnata dalla presenza di tre personalità eminenti della società letteraria, di derivazione solariana e di respiro europeo: Bonaventura Tecchi, direttore dal 1925 al 1929, Eugenio Montale dal 1929 al 1938, e successivamente Alessandro Bonsanti, alla guida dell'Istituto fino al 1979, ma presente fino alla sua morte, avvenuta nel 1984, come conservatore dell'Archivio contemporaneo.
Il quarantennio di direzione Bonsanti si conclude con la creazione di un luogo specificamente destinato alla conservazione della memoria del 900, quell' Archivio che oggi porta il suo nome, ospitato nelle suggestive sale trecentesche di Palazzo Corsini Suarez in oltrarno.
Dal 1975 - anno dell'atto formale di nascita dell'Archivio contemporaneo - sono confluiti qui, da tutta Italia, per donazione o comodato, decine e decine di fondi (oggi sono oltre un centinaio) di personalità del 900 italiano. Per fare solo qualche nome, tra i più celebri, Pier Paolo Pasolini, Giacomo Debenedetti, Eduardo De Filippo, Vasco Pratolini, Mario Tobino, Federigo Tozzi, Giorgio Caproni.
Aperto a discipline diverse (letteratura, musica, teatro, architettura, pittura, cinema, editoria), e quindi caratterizzato da grande varietà di materiali (manoscritti, corrispondenza, libri, autografi musicali, fotografie, quadri, disegni, arredi ecc.), l'Archivio accoglie il visitatore e lo studioso nella sala di consultazione, sotto gli occhi dei contemporanei ritratti con forte senso del colore da Adriana Pincherle: Bonsanti, Landolfi, Longhi, Gadda, Morante, Moravia, Betocchi, Montale, presenze vive del 900 conservato a Palazzo Corsini-Suarez. Un 900 fatto prevalentemente di manoscritti e di carte ma anche di ricche collezioni di libri: per citare solo i nuclei più grossi, le biblioteche private di Adolfo Orvieto, di Ugo Ojetti e di sua figlia Paola, di Alberto Savinio, di Ettore Allodoli, di Giuseppe De Robertis, di Emilio Cecchi, di Luigi Dallapiccola, di Bino Sanminiatelli, di Alessandro Bonsanti, di Carlo Betocchi. Ognuna di queste si affianca alle carte (corrispondenza e manoscritti) di ogni proprietario, costituendo un fondo unico, dalla duplice fisionomia. In altri casi, invece, si conservano solo le carte di un autore, oppure solo la sua biblioteca: ne sono un esempio le biblioteche private conservate nella sede di Palazzo Strozzi, come quella del germanista Giuseppe Zamboni.
L'insieme delle biblioteche pervenute all'Archivio tra il 1978 e il 1987, supera i 70.000 volumi e offre una documentazione ricchissima della produzione editoriale italiana del 900 nei settori della letteratura e dell'arte, con significative estensioni anche all'editoria francese, inglese e tedesca.
Ma se l'insieme di queste biblioteche finisce per costituire un grande "archivio del libro del 900", ricco di prime edizioni e di rari, ogni raccolta porta i segni della vicenda intellettuale ed umana di chi l'ha creata, ne rispecchia la fisionomia, mettendone in luce gli interessi culturali e le relazioni con i propri contemporanei. I libri, infatti, sono spesso contrassegnati dalle dediche autografe dei propri autori, a testimonianza di rapporti di amicizia, di affetti, di scambi intellettuali. A conferma, i dedicatori sono anche corrispondenti assidui, le cui lettere vengono conservate nella sezione archivistica di ogni singolo fondo.
Carte e libri si integrano così a documentare l'attività, gli interessi, le relazioni di ogni singolo proprietario, costituendo un unico archivio, prezioso per ogni tipo di ricerca.
Non è questa la sede per esaminare dettagliatamente tutte le biblioteche d'autore conservate all'Archivio contemporaneo. Ci limiteremo ad indicarne i tratti caratteristici, per ricostruire sommariamente le linee portanti di un complesso bibliografico di edizioni del 900 davvero imponente e forse poco conosciuto.
La prima biblioteca depositata all'Archivio è quella di Adolfo Orvieto, direttore insieme al fratello Angiolo della rivista "Il Marzocco", di cui si conservano anche i ricchissimi carteggi
I diecimila volumi di Adolfo Orvieto sono collocati in tre ambienti ricostruiti con le scaffalature e gli arredi che già occupavano l'abitazione originaria del proprietario: la "Sala rossa" o "Adolfiana", la "Napoleonica" e la "Sala bianca".
Nella suggestiva "Sala rossa", con il grande pianoforte a coda, i divanetti rossi di velluto, gli specchi, troviamo la memorialistica francese dei secoli XVII-XIX, disposta in librerie curvilinee, in stile vagamente neo rinascimento. Nella attigua "Napoleonica", arredata con mobili di radica ambrata della metà degli anni '30, si conserva la ampia e preziosa collezione di opere, in massima parte ottocentesche, ispirate alla figura di Bonaparte e alle vicende politiche e dinastiche della Francia a cavallo fra i secoli XVIII e XIX.
La parte novecentesca, sicuramente più esigua del resto, sta invece nel terzo locale, la "Sala bianca", con una significativa sezione di letteratura di viaggio e alcuni nuclei di letteratura della prima metà del Novecento. Sopra la porta che divide la "Napoleonica" dalla "Sala Bianca" campeggia la grande targa della redazione del Marzocco, ma dell'intensa attività letteraria della rivista e dei suoi collaboratori non c'è quasi traccia in questa biblioteca di impronta ottocentesca, dove prevalgono gli interessi personali di Adolfo, collezionista e bibliofilo.
Come la biblioteca Orvieto, anche quella del musicista Luigi Dallapiccola è conservata in una saletta che ricostruisce lo studio del Maestro, con gli arredi originali (librerie, pianoforte, poltroncine ecc.).
Si tratta di una raccolta di dimensioni più esigue (3000 volumi circa, tra i quali sono compresi anche i libri della moglie Laura Luzzatto Coen), conservata con le collocazioni originarie, che documenta prevalentemente interessi musicali ma anche letterari, connotata da una forte presenza di libri in lingua tedesca.
Come in tutte queste biblioteche private, anche qui molti sono i libri con dedica. Tra i nomi dei 252 dedicatori, dove ricorrono ovviamente molti musicisti, spicca quello di Thomas Mann, riconoscente a Dallapiccola per le lezioni di musica impartite alla figlia Monica. Siamo nel '35; il libro dedicato è l'edizione della "Medusa" del Giovane Giuseppe, tradotto da Gustavo Sacertode: "Signore Luigi Dallapiccola Maestro di musica della nostra Monica saluto e riconoscenza!".
Vent'anni dopo, nel '54. ancora una volta Mann esprime con una dedica in francese la sua riconoscenza al Maestro, nel volume Giuseppe e i suoi fratelli (vol VI di Tutte le opere di Thomas Mann, a cura di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Mondadori, 1954) per un regalo ricevuto .
Un altro esempio, preso dal repertorio musicale di Dallapiccola, la prima delle tre opere teatrali messe in musica dal Maestro: Vol de nuit, 1935-1938, dal testo di Antoine Saint-Exupéry, di cui si conserva nel fondo anche l'autografo musicale e la stampa.
Saint-Exupéry ringrazia Luigi Dallapiccola di amare un po' il suo piccolo libro. Dalle pagine del volume Gallimard spunta anche un ritaglio di giornale con l'ultima foto di Saint-Exupéry, inserito probabilmente da Dallapiccola dopo la morte dello scrittore francese.
Tra le grandi biblioteche del 900 conservate all'Archivio un posto di rilievo occupa quella di Ugo Ojetti e di sua figlia Paola, anche questa depositata nel 1978, insieme ai manoscritti e ai dattiloscritti dei collaboratori di "Pegaso" e "Pan" (le due riviste di Ojetti), ma non la corrispondenza (conservata alla Bibl. Nazionale di Firenze).
Si tratta di una parte consistente di una grandissima biblioteca, costituita originariamente di circa 40.000 volumi, in gran parte venduti, in parte dispersi. Il nucleo conservato al Vieusseux ammonta a 9500 opere, con i libri di Ugo, della moglie Fernanda e della figlia Paola, traduttrice, in edizioni che vanno dalla fine dell''800 fino agli anni Settanta.
I libri di Ojetti, spesso contrassegnati dall'ex-libris di Oscar Ghiglia e impreziositi da legature non editoriali, portano tutti i segni dell'intenso lavoro del proprietario, che non esita a scrivere annotazioni sui frontespizi, nelle carte bianche, ad ammassare ritagli di giornale tra le pagine dei volumi, a disseminarli di fogli sparsi con annotazioni bibliografiche, fotografie, lettere e quant'altro. Esempio: Emile Zola, Rome (Paris, Bibliothèque-Charpentier, 1896), dove la dedica dell'autore "à son dèvoué confrère" è accerchiata da appunti, annotazioni, ritagli di giornale.
Ricchissima la sezione italiana dei contemporanei, con libri spesso con dedica autografa (cito fra tutte quelle di D'Annunzio), ma consistente anche la sezione francese, impreziosita da dediche autografe di autori personalmente legati ad Ojetti: Anatole France, Paul Valéry, Céline, per citarne solo alcuni
Ma tra i dedicatori stranieri non si può non segnalare la serie dei libri di Maxsim Gork'ij tradotti in francese, editi per lo più a Parigi dalla Societé du Mercure de France nei primi anni del '900, tutti con dedica autografa a Ugo Ojetti, in una appellato "caro compagno" a testimonianza di un' amicizia nata durante i soggiorni fiorentini dello scrittore russo, come racconta Ojetti stesso in Cose viste (Gorki quindici anni fa, in Cose viste: 1921-1923, Milano, Treves, 1923). Si segnala la dedica del 1907 a Ugo nel volume La mère e quella a Fernanda Ojetti, in caratteri cirillici, nel volume Les déchus (Paris, Societé de Mercure de France, 1901).
E forse non è casuale che proprio con un libro di Gork'ij si concluda l'intensa attività di Ojetti lettore, come registra puntualmente la mano di Fernanda Ojetti, fedele custode dei libri del marito, nel volume La mère: "ultimo libro preso in mano da Ugo".
Se nella biblioteca di Ojetti ci sono molti francesi, in quella di Emilio Cecchi, (circa 8000 volumi), critico della letteratura anglosassone, oltre che di quella italiana del '900, la sezione anglo-americana è più nutrita, con numerose edizioni di Stevenson (tra cui Treasure island, Tauchnitz, 1884, con l'annotazione "1921, letto alle bambine", Giuditta e Suso).
Anche qui non mancano illustri dedicatari come T.S.Eliot nel volume Murder in the cathedral (London, Faber and Faber, 1945).
Le sezioni italiane di Ojetti e di Cecchi si affiancano, e in certi casi si sovrappongono, alle altre biblioteche conservate all'Archivio: il nucleo delle edizioni italiane del 900 estrapolato dai libri del critico Giuseppe De Robertis, la ricchissima biblioteca di Ettore Allodoli, critico e scrittore, docente di letteratura italiana all'Università di Firenze negli anni quaranta e cinquanta, i libri del Fondo rivista "Letteratura", corrispondenti ad un'ampia sezione della biblioteca di Alessandro Bonsanti.
Tutte queste, ricchissime di dediche autografe, offrono una dettagliata documentazione dell'editoria italiana del 900 fino alla fine degli anni settanta, con esemplari ben conservati, copertine originarie, sovracoperte, fascette editoriali, pubblicità e schede editoriali, cioè tutto quel materiale non conservato nelle biblioteche pubbliche, com'è noto, prezioso per ricostruire cataloghi di case editrici o più in generale per gli studi sull'editoria del 900.
Ma tra tutte le biblioteche presenti all'Archivio contemporaneo, l'esempio più significativo di biblioteca d'autore ci viene offerto da quella del poeta Carlo Betocchi, composta di circa 6000 volumi, costruita pezzo per pezzo da un lettore che si è fatto da sé, dove i libri segnano le tracce del percorso di una vita, dell' iter poetico, delle relazioni. Molti i volumi con dedica, ma sopratutto molti i volumi arricchiti da documenti autografi e a stampa, tali da costituire un archivio nell'archivio, una vera officina di lavoro, secondo la felice definizione di Luigina Stefani, autrice dei due volumi su La biblioteca e l'officina di Betocchi (Roma, Bulzoni, 1994).
Nei libri di questa biblioteca, che il poeta non esita ad usare come quaderni, si trovano stesure autografe di poesie, scritte nelle pagine bianche, magari rincorrendo un'ispirazione provocata dalla lettura del testo a stampa. E non è infrequente il caso di manoscritti di altri autori che spuntano dalle pagine dei volumi, talvolta glossati o corretti da Betocchi stesso.
E' il caso del volume vallecchiano di Mario Luzi, Biografia a Ebe, introdotto dalla dedica autografa "affettuosissimamente", in data dicembre 1942. Nelle carte bianche non numerate rispettivamente a fronte e nel verso dell'indice troviamo 2 poesie di Betocchi scritte a lapis.
Una di queste (incipit: "Non difendermi, no, chiusa finestra") è la stesura autografa (con varianti) della poesia Del tempo, nell'edizione garzantiana di Tutte le poesie.
Dentro il volume è conservato anche il prezioso autografo del saggio di Mario Luzi, Dubbi sul realismo poetico, pubblicato nella "Chimera" nel luglio 1954 (poi raccolto nel volume di saggi Tutto in questione, Firenze, Vallecchi, 1965), che presenta varianti consistenti rispetto alla stesura a stampa.
Carichi di materiali esterni al libro (lettere, autografi, ritagli di giornale, appunti manoscritti ecc.) i volumi di Betocchi si intrecciano significativamente con le sue carte poetiche e con la corrispondenza dei suoi contemporanei. I documenti più eterogenei si legano tra loro, costituendo un Fondo unico per ricchezza e varietà di materiali, insostituibili per ricostruire la fitta e preziosa rete delle relazioni con i poeti e con i critici.
Tra i numerosissimi poeti presenti nel fondo, sia nei carteggi che tra i libri, da quelli di fama consacrata (Saba, Montale, Ungaretti) a quelli compresi nelle generazioni di Valeri e Moretti, Luzi e Caproni, abbiamo selezionato due esempi: Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna.
Le edizioni friulane di Pasolini degli anni quaranta, edizioni numerate, decisamente rare, sono impreziosite dalle affettuose dediche autografe, a testimonianza, per usare le parole di Pasolini stesso, di una "acerba ma antica" amicizia. Il 9 settembre del 1951, Pasolini, a Roma, ormai lontano dal suo Friuli, dedica a Betocchi due delle edizioni dell'Academiuta di Casarsa, I pianti del 1946 e Dov'è la mia patria del 1949, insieme alle Poesie Casarsa (edito nel 1942 a Bologna dalla Libreria antiquaria Mario Landi). E sempre tra le edizioni friulane compare anche Tal cour di un frut = Nel cuore di un fanciullo del 1953, con la dedica "A Carlo Betocchi il suo affezionato Pier Paolo Pasolini" .
Se per ricostruire il rapporto Pasolini-Betocchi c'è anche la corrispondenza (un gruppetto di 16 lettere + 1 cartolina postale e una risposta di Betocchi del 28.8.1952), nel caso di Penna i libri forniscono tasselli insostituibili.
Vediamo il minuscolo libro giallo edito nel 1956 da Vanni Scheiwiller (All'insegna del pesce d'oro), Una strana gioia di vivere e le garzantiane Poesie del 1957. Nel primo la dedica "A Carlo Betocchi perchè mi rivoglia un po' del bene che io ho guastato"; nell'altro, con lo stesso tono un po' lamentoso tipico di Penna, "A Carlo Betocchi, grato per la sua poesia, i suoi interessamenti (per un ingrato), le sue benedizioni".
Tra un volume e l'altro, una lettera di Penna e la risposta di Betocchi mettono in luce una questione editoriale: nell' ottobre del '55 Betocchi spiega a Penna che occorre rinviare la pubblicazione delle sue poesie con Vallecchi, mentre andranno immediatamente in stampa quelle di Caproni e di Luzi. Nel luglio del '57, dal canto suo, Penna riassume in una cartolina a Betocchi la vicenda editoriale delle sue Poesie: "Vallecchi non mi ha voluto più" scrive "sebbene per colpa della mia pigrizia. Ma saprai forse che il Garzanti esce da sé: io non ho fatto quasi niente e forse gli amici che lo hanno fatto (di cui mi lagno) hanno fatto bene così: me lo hanno strappato di mano...".
Segue un lungo silenzio, interrotto solo dalla presenza di due volumi penniani tra i libri di Betocchi: Croce e delizia (Longanesi, 1958) e Un po' di febbre (Garzanti, 1973), glossato e sottolineato dal proprietario.
Ma il 18 gennaio 1977, pochi giorni prima la morte di Penna, Betocchi acquista Stranezze, finito di stampare nell'ottobre del 1976 da Garzanti, con la postfazione di Cesare Garboli. L'acquisto è documentato dalla cedola di Garzanti (L. 4500), conservata all'interno del volume. Quattro giorni dopo, il 22 gennaio, Penna muore e Betocchi, il giorno successivo, lo ricorda scrivendo Quartine in memoria e leggendo Stranezze di Penna, come si ricava dal dattiloscritto, in doppia copia, conservato dentro il volume, insieme all'autografo manoscritto, rimasto finora inedito.
Sempre in Stranezze, inoltre, confluiscono alcuni ritagli di giornali con le recensioni al volume (tra cui quella di Natalia Ginzburg sul "Corriere della sera") e gli articoli apparsi in occasione della morte di Penna, tra cui sempre la Ginzburg, Enzo Siciliano, Piero Dallamano, Guido Bezzola.
Ma lasciamo da parte il piano dei contenuti e passiamo agli aspetti della conservazione e della gestione catalografica.
Come abbiamo visto dalle diapositive, ciascuna di queste biblioteche costituisce un fondo a sé, che occupa almeno una sala di Palazzo Corsini-Suarez, dove sono conservati anche i fascicoli, dentro appositi contenitori, con le carte manoscritte. Ogni sala è contrassegnata da un cartiglio che riporta l'intitolazione del Fondo: nel caso Orvieto e Dallapiccola, come abbiamo visto, le sale sono arredate con gli arredi originali e anche libri sono disposti sugli scaffali secondo le collocazioni originarie. Questa disposizione dei fondi, voluta dal fondatore Alessandro Bonsanti, ispirata ad un principio museale, è sicuramente molto suggestiva ed evocativa della personalità di ciascun proprietario, ma poco funzionale dal punto di vista degli spazi, che alla lunga tendono ad esaurirsi. In prospettiva non è escluso che, pur mantenendo la disposizione attuale dei fondi, si debba abbandonare il criterio di un fondo per ogni sala. Rimane per altro indiscutibile il principio che queste biblioteche debbano essere conservate come nucleo a sé stante e non disperse nel patrimonio generale. Così come, da un punto di vista della fruizione, è escluso che i libri appartenenti a questi fondi possano andare in prestito, mentre è consentita la consultazione in sede.
Per mantenere integre le copertine e le legature originarie, questi libri, timbrati con l'indicazione del fondo di appartenenza, non vengono cartellinati. La collocazione viene riportata in una striscia di cartoncino, che fuoriesce dal volume, come si è visto dalle diapositive.
Passando al trattamento catalografico: ogni volume conservato in queste biblioteche costituisce un esemplare unico, non solo perchè appartenente ad una raccolta dalla fisionomia unica - quella di chi l'ha costruita - ma per tutti gli aspetti che lo distinguono dalla copia uscita dai torchi dello stampatore e magari confluita nelle collezioni delle biblioteche pubbliche.
Molto vicino al documento d'archivio, ognuno di questi libri richiede una descrizione che non si accontenta dei dati bibliografici standard: descrivere il documento come appartenente a un'edizione. Mutuando la formula di Luigi Crocetti, "descrivere per conservare", si impone una descrizione che "vuole la copia, vuole l'esemplare, non gliene importa niente degli altri esemplari (se non per l'eventuale collazione)".
L'esemplare richiede una descrizione analitica di tutto quello che lo caratterizza: dalla presenza di ex-libris, di note di proprietà, di dediche autografe, dei stesure autografe di testi (es. le poesie di Betocchi), di glosse manoscritte, di sovracoperte, di legature, di etichette del libraio o del legatore, oltre a tutto il materiale esterno eventualmente inserito nelle pagine del libro: ritagli di giornale, cedole di acquisto librario, fogli sparsi con appunti, lettere, manoscritti autografi, fotografie, cartoline, pubblicità e schede editoriali, segnalibri ecc.
Per garantire l'uniformità della descrizione, spesso complessa in questo tipo di documenti, all'inizio dei lavori di catalogazione informatica delle biblioteche d'autore, nel 1994, è stato redatto, ad uso interno, un prontuario per l'uso dell'area 7 dello standard ISBD(M), stabilendo l'ordine e la forma di rilevamento delle diverse note.
Per facilitare la ricerca sugli esemplari con dedica, inoltre, si è stabilito di indicizzare i nomi dei dedicatori, che compaiono nell'archivio degli autori preceduti da una sigla convenzionale (DD).
Contemporaneamente sono stati definiti anche dei criteri per la conservazione del materiale allegato: quando di tratta di lettere, queste vengono estratte dal volume e inserite nella serie della corrispondenza, segnalandone la originaria collocazione, sia nella scheda del libro che in quella della lettera. Lo stesso criterio viene ovviamente usato anche per gli altri autografi: esempio il caso Luzi che abbiamo visto poco fa.
Tutto il materiale a stampa (ritagli di giornale, schede editoriali ecc.), invece, rimane con il libro, ma sarebbe opportuno, per ovvie ragioni di buona conservazione, confezionare appositi contenitori (tasche interne al volume o buste esterne) per raccogliere questi documenti.
I lavori di catalogazione informatica di questi fondi, tuttora in corso, hanno interessato finora circa 25.000 volumi. E' stata catalogata l'intera biblioteca Ojetti, quella di Dallapiccola, quella di Betocchi, una parte della grande biblioteca Allodoli e di quella di Cecchi. I records delle opere appartenenti ai vari fondi, contrassegnati ognuno secondo la propria provenienza, sono presenti nel data-base generale della Biblioteca Vieusseux, ma ogni fondo è accessibile anche separatamente, come data-base autonomo.
L'ampia possibilità di accessi consentita dai sistemi informatici rende possibili ricerche di tutti i tipi, sia all'interno di ogni singolo fondo, che attraverso più fondi.
Ricercare attraverso le varie biblioteche significa addentrarsi in un fitto sistema di relazioni, spesso intrigante, scoprire sovrapposizioni (molto frequenti), assenze e presenze, ricostruire il percorso di un libro, scelto e acquistato, altre volte ricevuto con una dedica o come omaggio dell'editore, in alcuni casi letto e commentato con note a margine, in altri rimasto intonso. Gli spunti e le suggestioni sono infiniti, anche grazie alle opportunità offerte dall' evoluzione tecnologica. Navigare da una biblioteca d'autore ad un' altra, ben oltre le mura di Palazzo Corsini-Suarez, alla ricerca degli esemplari delle edizioni del 900, ormai è diventata una realtà.
Copyright AIB 2000-04-04, a cura di Elena Boretti
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