AIB. Commissione nazionale biblioteche pubbliche | |
Nel giugno scorso a Vicenza si era tenuto un primo incontro, dal titolo Palla al Centro, con lo scopo di offrire l'occasione agli addetti ai lavori di confrontarsi per la prima volta e verificare il reciproco interesse a conoscere le diverse realtà. In quell'occasione, che ha avuto un'ampia partecipazione e un vivace dibattito, fu presentato anche il risultato di una prima indagine su 45 centri servizi, 21 dei quali hanno inviato la loro risposta.
Da questa indagine emerge che la cooperazione, nelle aree in cui si organizza, tende ad aggregare numerose biblioteche, comprese fra le 25 e le 50, ma non raramente anche oltre le 50, con bacini di utenza di riferimento tra i 100.000 e i 300.000 abitanti, ma in alcuni casi anche oltre.
Priva di una forma giuridica di gestione adeguata, la cooperazione ha spesso una gestione in economia, gravitante attorno ad una biblioteca, ma più spesso su una Provincia o su una Comunità Montana. La convenzione è il debole ma più diffuso strumento che regola la cooperazione, mentre i consorzi sono abbastanza rari. Del tutto particolare, ed al confronto assai avanzata, la realtà delle Regioni autonome, che possono contare non solo su forme organizzative autonomamente scelte, ma anche su finanziamenti assolutamente eccezionali rispetto al resto del paese.
I servizi che si gestiscono più frequentemente in cooperazione sono la catalogazione, il prestito interbibliotecario, la gestione del catalogo e delle pagine in rete, ovvero servizi che da un lato non sembrano poter incidere in modo rilevante su una diversa, più economica ed efficace organizzazione delle biblioteche, mentre da un altro lato avrebbero dovuto poter trovare una diversa soluzione. Infatti, il Servizio Bibliotecario Nazionale, che solo ora sta iniziando ad aprirsi all'interazione con programmi diversi e più adeguati anche alla gestione dei servizi di piccole biblioteche, avrebbe dovuto da tempo costituire una soluzione affinché un documento non dovesse più essere catalogato tante volte quante sono le biblioteche che ne possiedono copia, ma solamente la prima volta a favore di tutti gli istituti che operano sulla catalogazione del medesimo documento nei momenti successivi.
"I centri servizi" - è stato detto a Vicenza - "sono nati per risolvere il problema della catalogazione, mentre in realtà questo problema dovrebbe avere soluzione altrove e non gravare affatto sulle biblioteche pubbliche". Da questa considerazione si sviluppavano però a Vicenza due opposte riflessioni: una, più pragmatica, che proponeva di affrontare il problema realizzando un'azienda privata in accordo fra varie biblioteche per la condivisione e vendita delle notizie catalografiche, sull'esempio dell'americano OCLC; l'altra posizione, più legata ai principi di correttezza della buona amministrazione, richiamava alla necessità che SBN realizzi finalmente per tutti il servizio per il quale è stato progettato e finanziato, a partire dal catalogo nazionale.
Tra i diversi servizi che nell'indagine vengono indicati come centralizzati, un diverso valore mi sembra che debba essere assegnato, ad esempio, laddove si parla di prestito interbibliotecario, in confronto al trasporto librario, e di selezione acquisti, in confronto alle acquisizioni. E' evidente che parlare di prestito interbibliotecario presuppone un livello di coordinamento di rilievo maggiore in termini di integrazione, mentre il trasporto librario è solo lo strumento gestionale, funzionale ad un servizio che potrebbe avere carattere opzionale, debole in termini di crescita reale e cambiamento qualitativo. La differenza è ancor più chiara quando si parli di procedure di acquisto, in genere gestite in forma centralizzata per un interesse economico, quello di ottenere maggiore sconto da editori e librai, mentre assume tutt'altra capacità di incidere sulla qualità del servizio del sistema bibliotecario la selezione degli acquisti coordinata, soprattutto dove si sia approfondita una riflessione sul diverso carattere delle comunità e le raccolte delle diverse biblioteche, al fine di esaltare le diverse vocazioni e, nel coordinamento, liberare risorse e favorire specializzazioni. Tutt'altro rilievo proprio in termini di integrazione mi sembra si possa intravedere nei casi in cui si parli di anagrafe unica degli utenti del sistema, o ancora più quando si parli di centralizzazione della gestione di prestazioni d'opera (6 casi) o più ancora di gestione del personale (3 casi). Ma, come dimostra la genericità delle risposte alle domande del questionario sui vantaggi rilevati nella cooperazione, che non sono in grado di quantificare miglioramenti né in termini di economie, né in termini di qualità, la cooperazione interbibliotecaria è ancora una realtà debole. Un'istanza forte, perché, dove nasce, la cooperazione aggrega numeri alti di biblioteche, ma una realtà ancora debole perché giovane e priva di strumenti adeguati, sia giuridici che, in qualche misura, anche organizzativi: mancano ad esempio standard di sistema, mancano metodi di valutazione di sistema.
Il ricorso ad esperienze straniere non potrebbe esserci di grande aiuto. La realtà italiana è molto particolare nel suo lungo percorso storico, che porta all'ingresso del XXI secolo più o meno cospicue raccolte storiche quasi in ogni biblioteca. La lunga tradizione di appartenenza di ciascuna biblioteca a certe comunità, e anche ad ambienti particolari delle comunità, il segno lasciato nella storia dalle diverse titolarità istituzionali per la gestione di ciascuna biblioteca, sono percettibili ancora oggi e conducono ad un altro aspetto emerso già a Vicenza: il problema del rapporto fra centralizzazione e decentramento. Ma oltre a questa realtà così frammentata, concepire un disegno complessivo di organizzazione del sistema bibliotecario in Italia è reso ancora più complesso dalla presenza, alle dipendenze del Ministero, di due biblioteche nazionali centrali e numerose statali, tutte definite per legge biblioteche pubbliche, anche quando il loro scopo prioritario dovrebbe essere la conservazione e la bibliografia nazionale, come nel caso di Firenze. A questa confusione di competenze e di funzioni, dobbiamo aggiungere l'assenza di una statistica nazionale, sia quantitativa che qualitativa. E' mancata anche una programmazione delle infrastrutture, che inizia oggi per lo sviluppo dei servizi telematici sulla scorta della programmazione europea, ma ad esempio non si capisce perché le biblioteche non abbiano mai potuto godere di una tariffa agevolata ai fini di pubblico servizio, uguale sull'intero territorio nazionale, per la spedizione postale dei prestiti interbibliotecari. I nostri servizi nazionali si occupano, tra le altre cose, di organizzare il prestito interbibliotecario, quando almeno una delle due nazionali dovrebbe avere l'unico scopo della conservazione. L'assenza di un riconoscimento dei reciproci e diversi ruoli fra livello nazionale e locale si dimostra ancora quando il Ministero si impegna in attività di promozione della lettura, trascurando piuttosto un compito più proprio, quello di promuovere e coordinare iniziative, anche di rilievo internazionale, di tutela e valorizzazione dell'eredità culturale e della memoria storica nazionale, o il coordinamento nazionale delle digitalizzazioni.
In assenza di una cornice generale, e mancando la legge quadro nazionale, lo Stato sembra agire in regime di concorrenza con il governo locale, con la conseguenza di duplicazioni, sovrapposizioni, inefficienze su entrambe i livelli e sprechi, tanto che in alcune aree geografiche si ha una generica quanto confusa sovrabbondanza di offerte, in altre una cronica carenza, in ogni caso frammentarietà di proposte e di servizi, inefficacia di risultati. Così, mentre la programmazione europea, che alcune nuove leggi regionali rispecchiano, invita alla creazione di un coordinamento delle biblioteche con i musei e gli archivi, il coordinamento è carente in Italia anche fra le stesse biblioteche.
La composizione stessa dei nostri patrimoni, la sua varietà, la diffusione e la ricchezza della nostra lunga tradizione sono un valore sul quale la nostra professione non ha ancora riflettuto abbastanza. Aspetti di continuità culturale e di diversità di caratteristiche dell'erogazione dei servizi fra biblioteche storiche e biblioteche di base, o in una stessa biblioteca fra collezioni storiche e collezioni contemporanee è un terreno di riflessione non ancora abbastanza maturo, che invece la biblioteconomia italiana potrebbe fare proprio.
Occorre darsi una prospettiva di lavoro comune, e su questa iniziare a confrontarsi per tentare di iniziare a dar forma al sistema bibliotecario italiano, trovando modo di esaltare la ricchezza del nostro patrimonio culturale anche nelle sue specificità locali, senza trascurare che è necessario restituire una capacità di servizio, che possa essere concretamente valutabile ed apprezzabile dalla società attuale.
L'obbiettivo condivisibile da tutti i livelli istituzionali sul quale ridefinire reciproci ruoli e competenze potrebbe essere oggi la formazione per tutto l'arco della vita, funzione individuata per le biblioteche dalle maggiori potenze mondiali e dalla stessa Unione Europea come indispensabile per favorire lo sviluppo sociale ed economico. Non si tratta di un obbiettivo facile, perché le carenze del nostro sistema si dimostrano fino dal momento della formazione scolastica elementare, quando dovrebbe iniziare a radicarsi l'abitudine a sapersi orientare tra le fonti dell'informazione e della conoscenza: le biblioteche scolastiche sono nella maggioranza dei casi una finzione e le biblioteche pubbliche per i ragazzi una rarità. Si forma in questo modo il circolo vizioso della mancanza di domanda e della mancanza di offerta di servizi di accesso all'informazione e alla conoscenza, e ne sono una riprova le stesse cifre della produzione editoriale italiana. Questo circolo vizioso continua ad alimentare la nostra storica frattura fra i concetti di cultura alta e di diffusione della cultura, fra sapere e vita quotidiana. E' così che non ha ancora messo radici il senso del diritto del cittadino a un servizio pubblico di accesso ai documenti e alle informazioni, e mentre le biblioteche restano nella concezione comune i luoghi di deposito dei beni culturali, si moltiplicano le agenzie, pubbliche e private, per l'informazione aziendale, giuridica, ambientale, per il lavoro, e su ogni altro aspetto utile della vita privata o della vita lavorativa. La frammentazione, mista alla debolezza del sistema, è tale da non permettere neppure che si inneschi un salutare processo di concorrenza fra offerte di servizio diverse.
Un anno fa al convegno di Viareggio su "Gratuità e tariffe nella biblioteca pubblica", Gabriele Mazzitelli concludeva la sua relazione sulla Carta dei servizi del prestito interbibliotecario, un lavoro svolto dalla Commissione università e ricerca, ammettendo la difficoltà ad immaginare di poter comporre un accordo fra biblioteche dell'università, che cercano in ogni modo di fissare tariffe, e biblioteche pubbliche, che assumono la gratuità come principio di base. Se il nostro operare dovesse arrestarsi di fronte a una simile riflessione, tanto utile quanto allarmante, dovremmo ammettere che non solo il sistema bibliotecario italiano non c'è, ma che ne perseguiamo scientemente la sua decostruzione.
E' proprio da questo punto che a mio parere occorre proseguire: occorre saper trovare modalità concrete per rendere i servizi più efficaci ed operativi, occorre iniziare a dimostrare risultati. La domanda di formazione permanente, di strumenti per l'autoistruzione e l'autoaggiornamento che perviene dalla società può diventare l'elemento coagulante sul quale concentrare insieme i nostri sforzi.
Può essere forse solo la cooperazione l'elemento capace di spezzare il circolo vizioso, in modo da dare maggiore consistenza, visibilità e forza d'impatto ai servizi, permettere di applicare su più grande scala la loro analisi economica, avviare la realizzazione di servizi speciali a tariffa, sviluppare il miglioramento quantitativo e qualitativo dei risultati, rappresentare un maggior peso nelle trattative per la realizzazione di accordi interistituzionali, investire su bacini territoriali più ampi le migliori tecniche di management e marketing, così come anche l'ultima versione delle Guidelines dell'Ifla per le biblioteche pubbliche prevedono.
Di fronte a un indice di impatto medio talmente modesto (solo il 10% della popolazione italiana sembra essere utente delle biblioteche pubbliche), diventa ridicola la difesa del localismo: abbiamo bisogno di strutture più efficienti ed efficaci e l'unico modo per farlo è intraprendere con decisione la strada della cooperazione, che certamente non significa negazione di identità locali, ma significa organizzazione in dimensioni più grandi, integrazione e articolazione dei servizi, maggiore qualificazione professionale.
Per favorire questo processo di aggregazione dei servizi nella cooperazione, sarebbero indispensabili anche forme giuridiche più opportune per la gestione in cooperazione. Una maggiore definizione e distinzione fra ruolo tecnico e ruolo politico favorirebbe una migliore espressione della competenza professionale. La scelta, sulla quale del resto non sembra che si propongano delle alternative, di andare verso l'esternalizzazione della gestione dei servizi, si presenta come una via per riconoscere maggiore responsabilità ed autonomia alla professione e per questo il disegno di legge per la riforma della gestione dei servizi è un'ipotesi da considerare come una possibile, positiva opportunità.
Copyright AIB 2000-10-31, a cura di Elena Boretti
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