Gruppo di studio sulle biblioteche digitali |
Posta elettronica: <messina@marciana.venezia.sbn.it> |
Prodotto per l'American Library Association's Office for Information Technology Policy
Traduzione a cura di Angela Di Iorio e Marialaura Vignocchi del Gruppo di studio sulle biblioteche digitali dell'Associazione Italiana Biblioteche.
Versione per la stampa, in AIB-WEB da 2007-11 a URL <http://www.aib.it/aib/cg/gbdigd07-p.htm3> [116+4042 k]. – Versione per la consultazione a URL <http://www.aib.it/aib/cg/gbdigd07.htm3> [116 k], non ingloba direttamente le immagini. – Versione PDF a URL <http://www.aib.it/aib/cg/gbdigd07.pdf> [1002 k, 42 p.].
Originale: <http://iis.syr.edu/projects/PNOpen/ParticiaptoryNetworks.pdf> [PDF 2054 k, 39 p.]; sua versione HTML (con diversa numerazione interna) a partire da <http://blogs.iis.syr.edu/wp/>.
Introduzione | |
L'obiettivo | |
1 | La biblioteca come facilitatore della conversazione |
2 | Networking partecipativo, reti sociali e Web 2.0 |
2.1 | Il Web 2.0 |
2.1.1 | Caratteristiche del Web 2.0: le reti sociali |
Esempi: Flickr – Cheshire Public Library – Memorial Hall Library – Biblioteche in MySpace | |
2.1.2 | Caratteristiche del Web 2.0: la competenza delle moltitudini |
Esempi: eBay – LibraryThing – Diary Project | |
2.1.3 | Caratteristiche del Web 2.0: le API facilmente abbinabili |
Esempi: Google Maps – Flickr – YouTube | |
2.1.4 | Caratteristiche del Web 2.0: le mashup |
Esempi: ChicagoCrime.org – Book Burro – Library Lookup | |
2.1.5 | Caratteristiche del Web 2.0: sempre "beta" |
Esempi: Google Labs – Biblioteche del MIT | |
2.1.6 | Caratteristiche del Web 2.0: più persone lo usano e più il software migliora |
Esempi: Amazon | |
2.1.7 | Caratteristiche del Web 2.0: le folksonomie |
Esempi: PennTags – Hillsdale Teen Library | |
2.2 | Le nuove tecnologie di base: AJAX e servizi Web |
2.2.1 | AJAX |
2.2.2 | Servizi Web |
2.3 | Library 2.0 |
2.4 | Reti partecipative |
3 | Le biblioteche come conversazioni partecipative |
3.1 | Biblioteconomia partecipativa in azione |
3.2 | Il contesto per l'integrazione della biblioteconomia partecipativa |
3.2.1 | Integrare il reference con i servizi di comunità |
3.2.2 | Integrare i metadati di biblioteca in un catalogo potenziato |
3.2.3 | Costruire la biblioteca partecipativa |
3.3 | Conversazioni e conservazione |
3.4 | Essere dove la conversazione ha luogo |
3.5 | Sfide e opportunità |
3.5.1 | Sfide tecniche |
3.5.2 | Sfide operative |
3.5.3 | Sfide politiche |
3.5.4 | Sfide etiche |
4 | Raccomandazioni |
Ringraziamenti |
La conoscenza si crea tramite la conversazione. Le conversazioni possono aver luogo tra amici e colleghi, "qui ed ora". Ma possono anche avvenire nel corso dei secoli, con partecipanti diversi su uno stesso tema, e con la conversazione registrata su migliaia di artefatti, come libri, immagini, e file digitali. In molti casi gli utenti hanno bisogno di processi sofisticati per facilitare la conversazione. La facilitazione non solo arricchisce le conversazioni di informazioni diverse e dettagliate, ma serve anche come custode della memoria, documentando concordanze e risultati, per facilitare le conversazioni future. La biblioteca riveste questo ruolo vitale per molte comunità.
Questo concetto piuttosto astratto implica che le biblioteche sono nel business della conversazione. Nelle biblioteche tradizionali, le "biblioteche fisiche", questo argomento teorico si concretizza neI cicli di conferenze pubbliche, nei gruppi di lettura, ed anche nei processi di sviluppo delle collezioni. Online, tuttavia, la biblioteca è lontana dalla realizzazione dell'ideale della facilitazione delle conversazioni. I sistemi chiave della biblioteca, come ad esempio il catalogo, sono nella migliore delle ipotesi conversazioni monodirezionali. Le biblioteche hanno la grande opportunità di fornire un'inestimabile infrastruttura conversativa e partecipativa alle proprie comunità online. Adottando concetti e tecnologie dal Web 2.0 e integrandoli strettamente nei loro servizi, le biblioteche possono far progredire non solo le proprie comunità ma anche le proprie posizioni al loro interno.
Le opportunità derivanti dalle reti partecipative non sono emerse in conseguenza degli attuali sviluppi di Internet, come il Web 2.0; piuttosto, queste tecnologie rendono più facile svolgere un ruolo ben identificato e permanente delle biblioteche. Wiki, blog, e sistemi interattivi rimpiazzano le bacheche elettroniche ed i database locali come mezzi per dare potere alle proprie comunità. Di più, queste tecnologie possono estendere ai sistemi fondamentali della biblioteca l'ideale del modello partecipativo. Le biblioteche dovrebbero adottare i concetti ed il software delle reti di partecipative non perché sono nuovi e seducenti, ma perché rispondono alla nostra missione fondamentale: la creazione e la disseminazione della conoscenza.
Questo documento descrive il modello partecipativo delle biblioteche e fornisce una panoramica delle attuali tecnologie del Web 2.0 ed una breve discussione su come gli attuali sforzi di Library 2.0 indichino la direzione di un cambiamento anche più grande nella biblioteca come facilitatore delle conversazioni. Sono poi passate in rassegna specifiche sfide ed opportunità delle reti partecipative. Infine, gli autori raccomandano la creazione di un ambiente di prova partecipativo condiviso per le biblioteche. Questa rete sperimenterebbe non solo le nuove tecnologie collaborative del Web, ma lavorerebbe anche con le organizzazioni bibliotecarie e le aziende venditrici per accelerare l'innovazione nei sistemi bibliotecari tradizionali. Infine, l'ambiente di prova reticolare creerebbe un'infrastruttura condivisa per fornire alle biblioteche tecnologie partecipative – come Wiki, blog e RSS – da includere nei propri servizi giornalieri.
La conoscenza si crea tramite conversazione. Le biblioteche sono nel business della conoscenza. Di conseguenza, le biblioteche sono nel business della conversazione. Alcune di queste conversazioni abbracciano millenni, mentre altre abbracciano solo pochi secondi. Alcune di queste conversazioni accadono in tempo reale. In alcune conversazioni, c'è una trasmissione di idee da un autore a pubblici diversi. Alcune conversazioni sono rese visibili da un libro o da un video o da una pagina Web. Alcune di queste conversazioni sono banali quanto indicare a qualcuno la toilet. Altre conversazioni sono incentrate sulle origini di noi stessi e della nostra umanità.
Potrebbe risultare strano iniziare un compendio tecnologico con tali commenti, apparentemente astratti. Tuttavia, senza questa base stabile, anche se teorica, l'avvento del Web 2.0, le reti sociali, la Library 2.0, e le reti partecipative, sembrano un insieme confuso di nuova terminologia, strumenti ed acronimi. Infatti, se verranno discusse senza questa fondamentale premessa, molte funzioni bibliotecarie potranno sembrare sconnesse, e il settore professionale che serve avvocati, dottori, madri single e i bambini di otto anni (tra gli altri) frammentato.
La portata di questo compendio tecnologico è limitata; serve a presentare a chi ha potere decisionale nelle biblioteche le opportunità e le sfide delle reti partecipative. E' solo un singolo pezzo di un puzzle più grande che cerca di delineare una struttura coesa per le biblioteche. Questa struttura non solo si adatterà a ciò che offrono i blog e i Wiki (laddove appropriati), ma mostrerà anche come un approccio conversativo più partecipativo in generale può aiutare le biblioteche ad integrare meglio le proprie funzioni attuali e future. Pensiamo a questo documento come a una panoramica o a un'introduzione alla biblioteconomia partecipativa. I lettori troveranno più avanti numerosi esempi e definizioni di Web 2.0 e di networking sociale.
Ad ogni modo, tuffarsi nella tecnologia senza avere delineato una struttura più ampia invita al legittimo scetticismo un'organizzazione bibliotecaria che si sente costantemente sballottata dall'evoluzione tecnologica.. In Qualsiasi ambiente privo di un'ampia base concettuale, misurare l'importanza dei progressi tecnologici o selezionare qualsivoglia tecnologia o pratica è quasi arbitrario. Senza una struttura il settore è in balìa di influenze personali e delle tecnologie alla moda. Di conseguenza, è vitale basare qualsiasi conversazione tecnologica, sociale, o politica su un concetto più ampio e radicato. Come ha detto Susser: "...praticare senza teoria significa navigare in un mare sconosciuto, ma la teoria senza la pratica significa non navigare affatto" [1]. In questo documento, "la carta nautica" sarà la teoria della conversazione.
Questo documento si articola nelle seguenti quattro sezioni:
Si raccomanda al lettore di seguire quest'ordine per ottenere una visione d'insieme, comunque la sezione 2 dovrebbe essere un'utile introduzione sul linguaggio e sui concetti delle reti partecipative.
Ma ritorniamo al concetto che la conoscenza viene creata attraverso la conversazione, questa nozione risale a Socrate e al metodo socratico. Ad ogni modo, la base specifica per questo assunto proviene dalla "Teoria della Conversazione" [2], un mezzo per spiegare la cognizione e come le persone imparano. Fornire una descrizione dettagliata della Teoria della Conversazione, un compito già mirabilmente svolto da Pask, non è lo scopo di questo lavoro. Piuttosto, usiamo la teoria come struttura su cui incardinare un'esplorazione del networking partecipativo e, più ampiamente, della biblioteconomia partecipativa.
Il fulcro della teoria della conversazione è semplice: le persone imparano attraverso la conversazione. Le diverse comunità hanno diversi standard di conversazione, dai rigorosi formalismi delle comunità scientifiche, ai significati intrinseci delle scritture delle comunità religiose al talvolta impenetrabile dialetto degli adolescenti. Rimane comunque il punto che diversi attori stabiliscono significati, attraverso la determinazione di definizioni comuni e la costruzione di concetti condivisi.
La biblioteca è stata un luogo dove le conversazioni vengono facilitate, sebbene spesso ciò avvenga implicitamente. Il concetto di apprendimento attraverso le conversazioni viene evidenziato in iniziative ampie come l'information literacy e l'insegnamento del pensiero critico (che usa alcuni approcci meta-cognitivi come l'autointerrogarsi), e negli eventi minori dei gruppi di lettura, dei colloqui di reference e dei cicli di conferenze. Le attività delle biblioteche come costruire collezioni di artefatti (i prodotti tangibili della conversazione) informano la ricerca intellettuale attraverso un processo formale di conversazione dove le idee sono sostenute dall'evidenza e dai metodi. In modo simile, i lavori di conservazione, magari di cilindri di cera con contenuto "parlato", o di mappe antiche, che rappresentano un dialogo continuo sulla forma e la natura del mondo fisico, cercano di salvare, o almeno di documentare, conversazioni importanti.
L'uso comune della parola "conversazione" concorda pienamente con l'uso del termine nella Teoria della Conversazione. Il termine è, comunque, più specificamente definito come un atto comunicativo ed un accordo tra un insieme di agenti. Così, una conversazione può avvenire tra due persone, due organizzazioni, due paesi, o anche dentro un individuo. Come avviene una conversazione dentro un individuo? Educatori e bibliotecari scolastici possono avere familiarità con il termine "metacognizione", [3] o con l'atto di riflettere sull' apprendimento di qualcuno. Ed anche il lettore più occasionale avrà familiarità con il concetto di parlare tra se e se ("se vado, dritto arriverò più velocemente, ma se vado a sinistra posso fermarmi da Jim..."). Il punto è che una conversazione avviene con almeno due agenti che cercano di addivenire alla comprensione e che quei due agenti possono cambiare nel tempo. Così, sebbene Socrate e Platone siano morti, la conversazione che hanno iniziato sulla natura della conoscenza e sul mondo, viene continuata da nuove generazioni di pensatori... stessa conversazione, agenti diversi.
La gente conversa, le organizzazioni conversano, gli stati conversano, le società conversano. I requisiti, nei termini della Teoria della Conversazione, sono due sistemi cognitivi che cercano un accordo. Il risultato di queste conversazioni, che Pask avrebbe chiamato "coinvolgimento cognitivo", sono libri, video, ed artefatti che documentano, espandono o risultano dalle conversazioni. Così, sebbene non si possa conversare con un libro, quel libro certamente può essere un punto di partenza per molte conversazioni sia dentro il lettore che all'interno di una comunità più ampia.
Se la teoria è che la conversazione crea conoscenza, la comunità bibliotecaria ha aggiunto un corollario: la miglior conoscenza deriva da un "ambiente informativo ottimale", in cui le informazioni più diverse e complete sono a disposizione dei conversatori. L'etica bibliotecaria mostra un'implicita comprensione di questo corollario nella difesa della libertà intellettuale e di un accesso senza vincoli. Le biblioteche cercano di creare ambienti ricchi per la conoscenza ed hanno assunto l'atteggiamento secondo il quale non spetta loro il lavoro di arbitrare le conversazioni che avvengono o l'"appropriatezza" dell'informazione usata per sostenere tali conversazioni. Come verrà discusso più avanti, questa fede nell'apertura delle conversazioni avrà alcune implicazioni di vasta portata per le collezioni bibliotecarie ed è un ideale che non potrà mai essere raggiunto veramente. Per adesso, il lettore potrebbe comprendere che la teoria della conversazione è molto più in linea con la pratica bibliotecaria attuale e del passato, e mostra anche una chiara traiettoria per il futuro.
Il valore per questo punto di vista non è solo teorico, ma ha conseguenze ed usi reali. Per esempio, molta della valutazione bibliotecaria è stata basata su conteggi numerici di output tangibili: la circolazione di libri, la dimensione della collezione, le transazioni di reference, e così via...
Anche questo approccio quantitativo è stato frustrante per molti, i quali avvertono di stare contando i risultati ma di non cogliere il vero impatto del servizio bibliotecario. I bibliotecari potrebbero chiedersi: "Quali numeri sono importanti... e perché ?".
Se le biblioteche si concentrassero sulle conversazioni ci potrebbe essere maggiore chiarezza e coesione tra le statistiche e gli altri risultati. Improvvisamente, il numero di domande di reference può essere collegato alle unità catalogate o ai numeri delle unità in circolazione. Sono tutti indicatori di portata e di scala delle conversazioni all'interno del contesto bibliotecario. Questo approccio potrebbe mettere la comunità bibliotecaria nelle condizioni di identificare meglio le conversazioni "importanti" e dimostrare, attraverso le proprie funzioni, i contributi diretti a queste conversazioni.
Per esempio, un distretto scolastico ritiene importante la prima alfabetizzazione. Esiste un dibattito riguardo le opzioni di politica pubblica, i nuovi programmi e gli obiettivi formativi per raggiungere la maggiore alfabetizzazione nel grado K-5. La biblioteca dovrebbe poter tracciare due flussi di questa conversazione. Il primo è quello che le biblioteche sono solite calcolare; cioè il contributo della biblioteca all'alfabetizzazione nel grado K-5 (partecipazione alle presentazioni di libri, agli eventi per l'infanzia, circolazione dei libri per l'infanzia, domande di reference etc.). Ma la biblioteca può anche documentare e dimostrare come ha incrementato la conversazione sull'alfabetizzazione dei bambini, in generale. Potrebbe mostrare alle autorità della comunità le risorse che ha prodotto. Potrebbe mostrare i percorsi di alfabetizzazione che sono stati creati. Il punto di questo esempio è che la biblioteca è sia partecipe della conversazione (cosa facciamo per promuovere la prima alfabetizzazione) che suo facilitatore ( cosa facciamo per promuovere un dibattito pubblico).
La discussione teorica ci porta a discutere sul secondo argomento di questo sommario tecnologico: gli aspetti pragmatici della conoscenza come approccio conversativo, o approccio partecipativo, come sarà chiamato. Dal momento che le nuove tecnologie sono sviluppate e implementate nell'ambiente attuale, costituito da risorse limitate, ci deve essere qualche mezzo di valutazione sulla loro utilità. L'utilità di una tecnologia viene appropriatamente misurata a fronte di una data mission della biblioteca, che viene a sua volta sviluppata per rispondere alle esigenze della comunità che la biblioteca va a servire. In primo luogo, quindi, identifichiamo alcune delle nuove tecnologie e descriviamole brevemente.
Passando dal piano teorico a quello operativo, l'esigenza sottesa a questo lavoro è un'emergenza relativamente recente di un nuovo gruppo di servizi e di opportunità Internet. Improvvisamente, termini come Wiki, blog, mashup, Web 2.0 e biblioblogosfera sono diventati termini di uso comune, e come ogni ondata di novità tecnologiche, possono sembrare ambigui e sono anche avvolti da un eccesso di entusiasmo. Ognuno di essi, comunque, potrebbe essere riferito al fenomeno di networking partecipativo.
Sebbene abbiamo un quadro concettuale per valutare queste tecnologie che supportano il networking partecipativo (p.e. fare ulteriori conversazioni), abbiamo il bisogno ulteriore di conoscere le basi della terminologia e delle tecnologie.
Questa sezione delinea i concetti chiave nelle prammatiche del networking partecipativo. La sezione successiva unirà teoria e pratica per evidenziare le sfide cruciali e le opportunità per il mondo bibliotecario. Andiamo ad iniziare dal Web 2.0
Molto di ciò che chiamiamo networking partecipativo, quantomeno la sua base tecnologica, deriva dagli sviluppi del "Web 2.0". [4] Come accade con molti tecnicismi, l'esatta definizione di Web 2.0 non è chiara. Essa è più un'aggregazione di concetti che spazia dallo sviluppo di software (come le Application Programming Interfaces [APIs] facilmente abbinabili e la facilità di inserire funzionalità su diverse piattaforme), alle astrazioni concettuali (l'utente è il contenuto). Ciò che pervade l'approccio del Web 2.0 è la nozione che i servizi Internet sono sempre di più i facilitatori di conversazioni. Le sezioni successive descrivono alcune delle caratteristiche del Web 2.0.
Il nucleo concettuale del Web 2.0 è che le persone sono il contenuto dei siti; il che sta a significare che un sito non è popolato con informazioni a consumo degli utenti. Al contrario, i servizi sono forniti ai singoli utenti per loro stessi e per costruire reti di amici ed altri gruppi (professionali, ricreativi, ecc.). Il contenuto di un sito, poi, comprende informazioni fornite-dagli-utenti che attraggono nuovi membri di una rete in continua espansione.
Flickr <http://www.flickr.com> mette a disposizione degli utenti spazio Web libero per caricare immagini e creare album di fotografie. Gli utenti possono poi condividere queste foto con amici e con un pubblico allargato. Flickr facilita la creazione di gallerie fotografiche condivise ed incentrate su argomenti e luoghi in particolare.
Il Blog Teen Book <http://cpltbb.wordpress.com> della Cheshire Public Library offre recensioni di libri, scritte dagli studenti che usano la biblioteca.
La Memorial Hall Library di Andover Massachusetts offre in podcast i concorsi di poesia, il cui contenuto viene creato dagli studenti <http://www.mhl.org/teens/audio/>
Le ricerche su MySpace mostrano che esistono siti MySpace per centinaia di biblioteche individuali e gruppi di valutazioni di biblioteche. La Alexandrian Public Library, per esempio, ha creato un sito su MySpace: <http://www.myspace.com/teensatapl/>. Questa pratica sta crescendo tra le biblioteche pubbliche ed è un tentativo di raggiungere gli utenti nei propri ambienti online preferiti. Secondo questa ottica, più amici il sito MySpace della biblioteca ha e più viene considerato un successo. The Alexandrian Public Library ha 75 amici e 15 commenti. Il Brooklyn College Library ha 2195 amici e 270 commenti.
Ci sono state alcune ricerche sulla qualità del "prendere decisioni di massa". [5] Tali ricerche mostrano quanto i gruppi siano particolarmente accurati nei loro giudizi. Il Web 2.0 mette insieme ampi gruppi di utenti per commentare le decisioni. Questa aggregazione è facilitata dalla pronta disponibilità dei siti di networking sociale. Di certo, questo approccio di organizzazione della comunità e di verifica della conoscenza ha anche i suoi detrattori. Molti, per esempio, discutono sulla competenza riscontrata in alcune annotazioni di Wikipedia. E ancora, articoli recenti hanno paragonato questi processi di redazione di massa in modo favorevole rispetto alle fonti di informazione tradizionale come l'Enciclopedia Britannica. [6]
eBay ha forse i sistemi di reputazione e di community policing più studiati e copiati. Qualsiasi compratore e venditore può essere valutato. L'aggregazione delle esperienze diverse dei tanti utenti crea un "Feedback Score" che è l'equivalente di una quantificazione della credibilità nel gruppo. Questi tipi di sistemi a riscontro di gruppo adesso possono essere trovati nei maggiori siti di vendite su Internet.
Fig. 1. Il profilo di un venditore mostra
ad un potenziale compratore la stima corrente della credibilità
del venditore che si è venuta a creare nella comunità di
eBay
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LibraryThing.com <http://www.librarything.com> fornisce raccomandazioni sui libri basate sull'intelligenza collettiva di tutti gli utenti del sito. Più grande è il gruppo di intelligenza collettiva e maggiori sono le informazioni che vengono messe a disposizione degli utenti per prendere decisioni.
Il Diary Project Library <http://www.diaryproject.com> è un'organizzazione no-profit che incoraggia gli adolescenti a scrivere giorno per giorno le loro esperienze di crescita. L'obiettivo di questo sito è incoraggiare la comunicazione tra gli adolescenti di tutte le culture e background, fornire supporto peer-to-peer, stimolare la discussione e generare un riscontro che può aiutare ad alleviare alcune preoccupazioni incontrate nel percorso adolescenziale e far sentire loro che non sono soli. A questo scopo, il sito ha raccolto in 24 categorie le migliaia di voci, grazie alle quali la maggior parte dei giovani può trovare materiale di supporto.
API è un'abbreviazione per "Application Programming Interface." Fornisce un insieme di istruzioni (messaggi) che un programmatore può usare per la comunicazione tra applicazioni. L'API permette ai programmatori di incorporare in un altro software un pezzo di codice che non possono manipolare direttamente. Per esempio, Google Maps ha creato un API [7] pubblico che permette ai designer di pagine Web di includere le immagini da satellite nelle proprie pagine, solo immettendo i valori di latitudine e longitudine. Le API variano nella loro facilità di integrazione. Le API facilmente abbinabili permettono un'integrazione molto facile usando linguaggi di scripting di alto livello (come Javascript [8]).
Google Maps visualizza strade o mappe da satellite che mostrano degli indicatori sui luoghi specifici forniti da una fonte esterna, mediante semplici insiemi di longitudini e latitudini. Così, diventa estremamente facile creare Sistemi di Informazione Geografica, anche con scarsa conoscenza dei principi GIS.
Flickr offre un modo facile di integrare le immagini ospitate in altre pagine o applicazioni Web (come una Google Map che mostra immagini prese in un determinato luogo).
YouTube <http://www.youtube.com> fornisce agli utenti la possibilità di aggiornare e commentare un video su Internet. Permette anche una facile integrazione di video in altre pagine Web e nei blog. Con una semplice linea di codice HTML chiunque può accedere al loro contenuto in streaming video.
Le mashup sono combinazioni di API e dati che si traducono in nuove fonti e servizi di informazione. [9] Questa facilità di incorporamento ha condotto all'assunto del "right to remix". Nel mondo del software open source e del creative commons, il right to remix si riferisce ad una crescente aspettativa tra gli utenti di Internet secondo la quale non vengono limitati dalle interfacce e dagli usi presentati loro da una singola organizzazione.
Un esempio spesso citato di mashup è il ChicagoCrime.org <http://chicagocrime.org> che usa Google Maps per tracciare i dati dei crimini avvenuti nella città di Chicago, di conseguenza, gli utenti possono vedere esattamente in quale angolo di strada si è verificato il maggior numero di omicidi.
Fig. 2. Chicagocrime.org. La mappa,
generata da Google Maps, mostra un segnaposto nei luoghi degli omicidi
avvenuti a Chicago dal 2 Novembre 2005 al 2 Agosto 2006
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Book Burro <http://bookburro.org/about.html> è un'estensione del Web 2.0 per Firefox e Flock. Mentre si guarda una pagina che contiene un libro, viene sovrapposto un piccolo riquadro, il quale se aperto mostra i prezzi dei rivenditori di libri online come Amazon, Buy, Half (e molti altri) e se il libro è disponibile nella propria biblioteca."
Il MIT Library LookUp Greasemonkey Script per Firefox <http://libraries.mit.edu/help/lookup.html> offre la possibilità di fare ricerche nel catalogo MIT's Barton da una classica pagina di Amazon.
Il concetto di "sempre beta" significa in parte prendere coscienza che nessun software è mai veramente completo finchè, la comunità di utenti lo sta ancora commentando. Per esempio, Google non rilascia servizi dallo stato beta finchè non ha raggiunto una sufficiente base di utenza, non importa quanto sia funzionante il codice sorgente sottostante. [10] "Sempre beta" è anche una strategia di progettazione. Grandi applicazioni vengono spezzettate in parti più piccole, che possono essere manipolate separatamente. Ciò offre l'opportunità che grandi applicazioni vengano continuamente sviluppate dalle comunità più disparate (come per l'open source).
Google ha un sito chiamato "Google Labs" <http://labs.google.com> che mette insieme strumenti e servizi generati in azienda. Infatti, parte del tempo lavorativo degli impiegati di Google viene dedicato alla creazione di risorse e strumenti mediante progetti e ricerche personali. Questi strumenti e servizi rimangono nel "Lab" finchè non sono stati completati e non hanno una sufficiente base di utenza. I progetti (Figura 3) spaziano dal semplice Google Suggest, che fornisce una casella a discesa di possibili interrogazioni di ricerca in base a ciò che è stato digitato come termine di ricerca, all'esteso Google Maps, che è iniziato come progetto Google Lab.
Fig. 3. Attuali progetti di Google Lab
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Le biblioteche del MIT stanno sperimentando le nuove tecnologie per rendere più facile l'accesso all'informazione. Gli strumenti descritti di seguito, vengono offerti al pubblico con richiesta di riscontro e con strumenti integrativi, ed esiste un indirizzo permanente pensato solo per collezionare riscontri dagli strumenti in fase beta, che sono:
Un numero crescente di siti Web 2.0 enfatizza le reti sociali, dove i servizi acquistano valore solo se acquisiscono utenti. Malcolm Gladwell racconta questo principio e il lavoro di Kevin Kelly con una precedente rete di telecomunicazione, la rete di fax connessa al sistema telefonico:
"Il primo dispositivo per fax mai costruito... costava circa 2.000 dollari. Ma non aveva nessun valore perchè non c'erano altri fax con cui comunicare. Il secondo fax rese più valore al primo, ed il terzo rese più valore ai primi due, e così via... Quando si acquista un fax, allora ciò che si sta effettivamente acquistando è l'accesso all'intera rete di fax – che ha un valore infinitamente superiore rispetto alla macchina stessa." [11]
Per i siti delle reti sociali, e per tutti i siti che cercano di capitalizzare sulle immissioni degli utenti (recensioni, annotazioni, profili, etc.), il vero valore di ciascuno viene definito dal numero complessivo degli utenti.
Un esempio classico di questa caratteristica è Amazon.com <http://www.amazon.com>, che vende libri ed altri articoli commerciali, ma che in realtà ha a che fare molto di più con la vendita di informazioni. Amazon acquista un enorme valore permettendo ai propri utenti di recensire e valutare gli articoli. Più persone usano Amazon, più commentano e maggiore è la visibilità che questi utenti attivi acquistano, e più indicatori di credibilità acquisiscono.
Una folksonomy è un sistema di classificazione creato in modo bottom-up e senza un coordinamento centrale. Ciò differisce dall'approccio deduttivo dei sistemi di classificazione come il Dewey Decimal System, [12] dove il mondo delle idee viene suddiviso in dieci classi nominali. Differisce anche dagli altri mezzi di classificazione progressiva dove la decisione se un termine dovrebbe essere incluso o meno, viene presa di autorità. In una folksonomy, i membri di un gruppo attribuiscono semplicemente termini ad un oggetto (come foto o appunti di blog) e l'aggregazione di questi termini viene vista come una classificazione. Ciò che emerge è uno schema di classificazione che da priorità all'uso comune (le tag maggiormente usate) rispetto alla chiarezza semantica (se la maggior parte delle persone usano "car", ma alcune usano "cars", questi vengono considerati come termini diversi e la tag automobile non ha una relazione reale all'interno della classificazione aggregata).
PennTags <http://tags.library.upenn.edu/help> è uno strumento di social bookmarking per localizzare, organizzare e condividere le proprie risorse preferite online. I membri della Penn Community possono raccogliere e mantenere URL, collegamenti ad articoli giornalistici e record del catalogo online Franklin e del VCat, il catalogo video online. Una volta che le risorse vengono compilate, gli utenti possono organizzarle assegnando tag (parole chiave a testo libero) e/o raggrupparle in progetti, secondo specifiche preferenze. PennTags può anche essere usato in modo collaborativo, perchè è come un deposito di interessi diversificati e di ricerche accademiche della propria comunità, e un utente può trovare luoghi ed altri utenti correlati alle proprie risorse online preferite.
La biblioteca Hillsdale Teen <http://www.flickr.com/photos/hillsdalelibraryteens> usa Flickr per esporre immagini di eventi nella Hillsdale Teen Library, come nella figura seguente.
Fig. 4. Immagini di eventi nella Hillsdale
Teen Library
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Nella figura successiva viene visualizzata ciò che risulta dalla tag. Queste tag permettono agli utenti di recuperare facilmente le immagini a cui sono interessati.
Fig. 5. Tag per la selezione delle immagini
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Esistono anche altre caratteristiche del Web 2.0, ma quelli fin qui riassunti sono i concetti generali.
Come appena discusso, il Web 2.0 è un po' più che un insieme di concetti correlati, sebbene con molti valori che al momento sono collegati a questi concetti. Questi concetti vengono supportati da due tecnologie di base che hanno facilitato lo sviluppo del Web 2.0 e trasferito un'esperienza sostanzialmente nuova nel Web. La prima è AJAX, che permette una maggior esperienza desktop-like per gli utenti. La seconda è l'avvento dei servizi Web. Queste tecnologie non sono necessarie per i concetti del Web 2.0, ma hanno reso i siti Web 2.0 molto più convincenti.
AJAX [13] sta per Asynchronous JavaScript and XML. E' un insieme di tecnologie Web già esistenti che funzionano insieme. A livello di base, AJAX permette al browser (la parte con cui l'utente interagisce) e ad un server (dove risiedono i dati) di inviare i dati avanti ed indietro senza la necessità di fare il refresh dell'intera pagina Web con cui avviene l'interazione. Pensiamo ai siti Web con cui si interagisce. L'utente seleziona un link, il browser si ferma ed aspetta i dati, successivamente li visualizza sullo schermo. Nelle prime versioni di siti come MapQuest, veniva mostrata una mappa, e se si voleva fare uno zoom all'interno della mappa, bisognava premere l'icona corrispondente ed attendere finchè la nuova mappa ed il resto della pagina Web non venivano ridisegnate. Paragonate quanto descritto con Google Maps, dove invece cliccando nel punto voluto sulla mappa e trascinando a sinistra o a destra, la mappa si muove dinamicamente. Questo tipo di interazione è stato usato nelle applicazioni di tipo desktop. Cliccare e trascinare sono diventati la seconda natura del desktop e anche AJAX sta diventando la seconda natura del Web.
Un altro vantaggio di AJAX è che è aperto e non richiede competenze avanzate di programmazione. Javascript su client e quasi ogni linguaggio di scripting, lato server sono linguaggi facilmente accessibili. Questo fatto permette sia uno sviluppo agevole e veloce, che una più facile integrazione con i sistemi esistenti. Come esempio, ora dovrebbe essere più facile costruire interfacce Web più interattive, per i cataloghi online esistenti.
I servizi web [14] permettono interazioni software-to-software attraverso il Web. Usando i protocolli Web e XML, le applicazioni si scambiano richieste ed informazioni per facilitare un più ampio funzionamento del sistema. Un esempio sarebbe un sistema che usa un numero ISBN per chiedere la disponibilità di un libro ai diversi cataloghi e ai rivenditori online. Questo semplice processo potrebbe essere parte di un catalogo bibliotecario molto più grande che mostra agli utenti un libro e la sua disponibilità. Il punto è che diversamente dai sistemi di ricerca federati come lo Z39.50, i servizi Web sono limitati. Hanno la tendenza ad essere leggeri (che sta a significare limitati in ciò che fanno), e vengono aggregati per funzionalità maggiori. Questa è la base tecnologica per le API facilmente abbinabili discusse precedentemente.
Library 2.0 è un concetto alquanto diffuso. Walt Crawford, nel suo esteso componimento Library 2.0 and "Library 2.0" [15] ha trovato 62 punti di vista diversi (e spesso contraddittori) e sette distinte definizioni di Library 2.0. Non c'è da meravigliarsi che la gente sia confusa. Comunque, è naturale per idee e gruppi emergenti lavorare in un ambiente ad alta ambiguità. In questo compendio tecnologico gli autori vedono l'uso di Library 2.0, come un tentativo di applicare i concetti del Web 2.0 ( ed alcune delle convinzioni di vecchia data per il coinvolgimento di comunità più ampie) agli obiettivi della biblioteca.
Nelle parole di Ormsby, "Lo scopo di una biblioteca non è ... una vetrina di nuova 'gadgetteria'...; piuttosto, è rendere possibile quell'istante della comprensione quando tutti i fatti si costituiscono insieme sotto forma di nuova conoscenza" [16]. Nel caso della Library 2.0, la nuova 'gadgetteria' discussa nelle sezioni precedenti comprende un gruppo di applicazioni software. Ciò che determinerà se supportano l'"istante della comprensione" di Ormsby viene individuato nel 'Come' verranno usate tali applicazioni. Molte biblioteche e bibliotecari stanno già perseguendo questo obiettivo. Alcune, per esempio stanno utilizzando i blog per raggiungere gli altri bibliotecari, i propri utenti (sui propri siti), e gli utenti potenziali (che usano MySpace ed altre comunità online). Stanno usando Wiki per pubblicare report, insegnare l'alfabetizzazione all'informazione, e servire come depositi. Qualcuno ha sviluppato un'API che permette alle pubblicazioni di WordPress di essere direttamente integrate in un catalogo bibliotecario. Chiaramente, Internet e gli strumenti più nuovi che danno maggior potere agli utenti sembrano essere allineati con la missione bibliotecaria. Dopotutto, usare blog bibliotecari e permettere che il catalogo venga "mashed up" può essere visto come un'estensione degli attuali servizi di informazione bibliotecari.
Ma questa abbondanza di nuove applicazioni pone una sfida. Considerata la velocità con cui i nuovi strumenti vengono inventati, i bibliotecari potrebbero incontrare qualche difficoltà a creare strategie che includano i servizi necessari a renderle possibili. Per ogni nuova applicazione che diventa disponibile, gli amministratori bibliotecari devono decidere se può servire alla biblioteca, come utilizzarla, e come trovare altre risorse per gestirla (p.e., "Adesso dobbiamo fare questo. Ma perchè dovremmo?"). Questo problema deriva dal concentrarsi eccessivamente sulla tecnologia.
I bibliotecari dovrebbero, invece, focalizzare l'attenzione sui fenomeni resi possibili dalla tecnologia. Il più importante di questi fenomeni: la biblioteca invita alla partecipazione. Come Chad e Miller hanno stabilito:
Library 2.0 facilita ed incoraggia una cultura della partecipazione, attingendo dalle prospettive e dai contributi dello staff di biblioteca, dei partner tecnologici e della comunità più allargata. Library 2.0 significa imbrigliare questo tipo di partecipazione in modo che le biblioteche possano beneficiare degli sforzi sempre più consistenti di catalogazione collaborativa, come includere i contributi delle biblioteche partner, come anche aggiungere sostanziosi miglioramenti ai record prodotti dagli editori e da altri, come copertine di libri o file cinematografici.
Library 2.0 riguarda l'incoraggiare ed il dare possibilità ad una comunità di utenti di biblioteche di partecipare, contribuendo con i propri punti di vista alle risorse che hanno usato e quelle a cui vorrebbero avere accesso.
Con Library 2.0, una biblioteca continuerà a sviluppare ed implementare i ricchi standard descrittivi del dominio, fino ad abbracciare approcci più partecipativi che incoraggino l'"interazione con" e la "formazione di" comunità di interesse. [17]
La dichiarazione che è in assoluto "buona cosa" che gli utenti partecipino alla biblioteca è, comunque, insufficiente. La biblioteca deve chiedersi "Qual è l'obiettivo finale?".
Per concludere, le attuali iniziative nel mondo delle biblioteche per utilizzare gli strumenti del Web 2.0 per il servizio di Library 2.0 sono esaltanti ed innovative, e ancor più sono di supporto per gli obiettivi della biblioteca. Monitorare blog e Wiki, creare contenuti e corrispondere con gli utenti potrebbe però gravare sui costi, riducendo ulteriormente le già inadeguate risorse.
Infine, il valore dei concetti della Library 2.0 chiede risposte ad alcune domande fondamentali: saranno usate per ulteriore conoscenza, o creeranno semplicemente più lavoro ai bibliotecari? Come sarà la "prossima versione" della Library 2.0? La sua mission è la stessa e solo gli strumenti diversi? Cosa rende la biblioteca diversa da MySpace... semplicemente un'eredità? Dovremmo incorporare nuovi servizi in ciò che offre attualmente la biblioteca? In qualità di facilitatori di conversazioni, come dare una direzione alla futura generazione di biblioteche? Si spera che alcuni concetti nella biblioteconomia partecipativa possano rispondere a queste domande ed aiutare ulteriormente le innovazioni della comunità della Library 2.0.
Gli autori usano la frase networking partecipativo per circoscrivere il concetto di uso dei principi e delle tecnologie del Web 2.0, implementando un modello di conversazione all'interno di una comunità (una biblioteca, un gruppo peer, il pubblico in generale, ecc.). Perchè semplicemente non viene adottato il social networking, Web 2.0 o Library 2.0 per questo problema? Esaminiamo i limiti di ciascun termine:
Quindi, alla fine, gli autori propongono le "reti partecipative" come un termine positivo ed un concetto che le biblioteche possono usare e promuovere senza la confusione e le limitazioni dei linguaggi precedenti.
La frase "rete partecipativa" ha anche una storia di uso precedente che può essere ricostruita. La frase "reti partecipative" rappresenta sistemi di scambio ed integrazione ed è stata a lungo usata nelle discussioni politiche, di arte e di governo per descrivere le comunità online che si scambiano ed integrano informazioni.
E così dove siamo arrivati? Siamo partiti dall'affermazione che le conoscenze si creano attraverso le conversazioni. Abbiamo, poi, dato uno sguardo al panorama attuale delle tecnologie che possono favorire queste conversazioni e abbiamo mostrato esempi di come le biblioteche, altre istituzioni e i singoli individui usano tali tecnologie. In questa sezione intendiamo mettere in relazione il quadro di riferimento generale con le tecnologie per vedere come le biblioteche possano incorporare le reti partecipative per progredire nella loro missione di facilitare le conoscenze.
Diamo ora uno sguardo specificamente a come le reti partecipative possono essere usate dalle biblioteche come mezzo di facilitazione della conoscenza attraverso le conversazioni. Un esempio ovvio è dato dalle biblioteche che effettuano servizi di hosting di blog o wiki per le loro comunità di utenti creando in questo modo luoghi di incontro virtuali per singoli individui o gruppi di persone proprio come fanno le biblioteche nel mondo reale. In effetti, queste funzioni saranno sempre più utili per le biblioteche in quanto rispondono ad un bisogno percepito dalle comunità di utenti e possono essere accolte con entusiasmo dai bibliotecari e dagli utenti stessi. L'idea di creare siti per singoli individui e organizzazioni si addice alle biblioteche anche se questo comporta delle difficoltà (vedi "Sfide" più avanti). Le biblioteche potrebbero anche utilizzare software open source, disponibili gratuitamente e sempre meno difficili da implementare, per creare delle versioni di Wikipedia di biblioteca (con o senza processi editoriali avanzati). Un'altra strada che le biblioteche possono percorrere per offrire tali servizi passa attraverso sistemi cooperativi o partner commerciali. Un simile servizio potrebbe facilmente essere considerato come un'attività di knowledge management che catalizza e mette a disposizione competenze locali collegandole a quelle offerte da altre biblioteche.
Un'altra ragione che giustifica il coinvolgimento delle biblioteche nelle reti partecipative è la possibilità di collaborare con altre biblioteche per creare dialoghi più ricchi. Attualmente abbiamo dei sistemi che connettono i nostri cataloghi on-line e ci aiutano a condividere le risorse attraverso il prestito interbibliotecario. Questi canali esistono già e possono essere utilizzati per il trasferimento di dati più ricchi come succede per i sistemi collaborativi per l'erogazione dei servizi di reference digitale. Nei nostri sistemi attuali, come nella prassi biblioteconomica tradizionale, quando gli utenti sono indirizzati ad altre biblioteche, essi vengono mandati "via" e non vengono mai "riportati indietro".
Nell'ambiente partecipativo, le biblioteche faciliterebbero le conversazioni degli utenti con la comunità locale e, attraverso i canali sviluppati, con altre biblioteche e le loro comunità. Il risultato finale assomiglierebbe ad una rete trasparente di biblioteche di cui l'utente potrebbe tranquillamente ignorare le complessità e i limiti della struttura organizzativa e dove le biblioteche offrirebbero le migliori risorse locali per rispondere a bisogni di comunità.
Unificare più biblioteche in modo trasparente e farle partecipare a conversazioni con singoli utenti comporta un altro vantaggio significativo: sarebbe facile per gli utenti unirsi alle conversazioni indipendentemente da dove si trovano attraverso la presentazione di un'unica interfaccia offerta da La Biblioteca. Ad esempio esiste un solo Google, un solo Amazon, un solo Wikipedia. Perché dunque gli utenti dovrebbero cercare fra migliaia di biblioteche per trovare le conversazioni che vogliono? Le reti partecipative raggiungeranno la loro massima efficacia quando le biblioteche lavoreranno assieme, quando l'insieme sarà più grande delle sue parti.
Al momento possiamo osservare aspetti della Biblioteca Partecipativa nel progetto di OCLC Open Worldcat. Ad esempio, gli utenti che ricercano con Google possono incontrare liste di risultati forniti da OCLC. Dopo aver selezionato la voce relativa al libro, l'utente può, poi, saltare alle informazioni offerte della propria biblioteca locale su quel libro. Estendendo questo concetto alle conversazioni, un obiettivo di queste reti partecipative è di fare in modo che sia facile per l'utente entrare in conversazione con La Biblioteca senza dover faticare per scoprire i singoli punti di accesso.
Tuttavia, assicurare questo accesso trasparente ed efficace a La Biblioteca richiederà molto di più che non la semplice aggiunta di reti partecipative lungo i margini delle biblioteche. Aggiungere un blog o un wiki può essere considerato semplicemente come un servizio supplementare all'attuale offerta della biblioteca. Come succede con il progresso tecnologico in genere, le scarse risorse vanno commisurate con il desiderio di incorporare nuovi servizi. Decidiamo di sviluppare la collezione, di migliorare il sito web o di offrire blog agli studenti? Un approccio migliore a questo tipo di decisioni è considerare i bisogni della comunità di utenti di riferimento nel contesto dei compiti comunemente attribuiti alle biblioteche e vedere come essi possono essere ripensati (e potenziati) come strumenti di conversazione o partecipativi.
In realtà, ogni servizio, lettore o punto di accesso rappresentano punti di inizio per una conversazione. Cominciamo dal catalogo.
Se il catalogo è una conversazione, allora è decisamente una conversazione formale e, sopratutto, unidirezionale. Pensate al catalogo come all'equivalente educativo di una lezione universitaria. Viene usato un sistema formale per presentare una serie di rappresentazioni su un dato argomento. Le rappresentazioni sono rigide nel loro formato (MARC, AACR2, ecc.) Seguono un modello astratto (punteggio in base alla rilevanza, qualche volta un ordinamento alfabetico) e offrono opportunità minime a chi riceve l'informazione di inviare un feedback o un commento. Non offrono all'utente nessun mezzo costruttivo per migliorare o modificare la conversazione. Persino recenti innovazioni nelle funzioni del catalogo (visualizzazioni grafiche dinamiche; ricerca a faccette; campi di ricerca semplice, link a risorse esterne alle collezioni) fanno poco più che rendere più varia la presentazione delle informazioni. Non sono ancora veramente interattive perché non consentono la partecipazione degli utenti. Non consentono nessuna conversazione.
Per mettere in evidenza la natura unidirezionale del catalogo basta una semplice domanda: cosa succede quando un utente non trova qualcosa? Dobbiamo pensare che l'informazione ci sia ma che l'utente sia semplicemente incapace di trovarla (in tal caso il catalogo può presentare suggerimenti di ricerca, può indirizzare il lettore ad un bibliotecario esperto in grado di aiutare nella ricerca o offrire istruzioni)? Dobbiamo pensare che l'informazione non esista (quindi dobbiamo indirizzare il lettore al servizio di prestito interbibliotecario o ad un motore di ricerca più generale)? Dobbiamo presumere che lo stesso catalogo sia limitato (quindi dobbiamo indirizzare l'utente a banche dati in rete o altri strumenti di ricerca)? E se presumessimo che il catalogo fosse proprio il luogo dove un utente può lasciarsi coinvolgere in una conversazione in corso ... che aspetto avrebbe? Come può un tale sistema tradizionalmente rigido essere trasformato in uno più partecipativo (nell'essenza più che in uno specifico set di funzioni)? E se l'utente, non trovando l'informazione cercata nel catalogo, aggiungesse o l'informazione o un segnaposto, perché un'altra persona inserisca l'informazione mancante? Probabilmente l'utente aggiungerà un'informazione presa dalla sua esperienza. Presupponendo tuttavia che la maggior parte delle persone si rivolgano al catalogo perché non hanno un'informazione, allora forse è probabile che l'utente dia invece inizio ad un processo per aggiungere tale informazione. L'utente può rivolgere una domanda usando il servizio di reference digitale; alla fine della transazione l'utente ha poi l'opzione di aggiungere la domanda assieme alla risposta e il materiale allegato al catalogo. O forse l'utente può semplicemente lasciare la richiesta nel catalogo perché altri lettori rispondano con l'opzione di ricevere notifica quando una risposta viene aggiunta. In tal caso, quando un nuovo utente effettua una ricerca nel catalogo e incontra la domanda può inserire la risposta. La risposta può essere un testo (o un'immagine, suono, video) o semplicemente una nuova richiesta che indirizza l'utente originario o nuovi lettori verso informazioni esistenti nel catalogo (l'utente aveva creato delle voci "vedi anche" nel catalogo).
Il catalogo può anche associare conversazioni con qualsiasi altro punto fornitore di dati. Per esempio un utente trova una descrizione bibliografica relativa ad un libro che pensa possa essere rilevante per soddisfare un suo bisogno informativo. Questo processo dà avvio ad una conversazione fra l'utente e la biblioteca, i suoi utenti e gli autori di opere associate. L'utente può vedere i commenti e i punteggi associati a questo libro non solo di utenti di quella biblioteca, ma anche di altre biblioteche. Inoltre associata potrebbe esserci una lista di opere correlate o la registrazione audio di una lezione dell'autore. L'utente può anche essere diretto a un gruppo di lettura reale o virtuale che sta leggendo quel libro. L'importante è che il catalogo faciliti una conversazione, invece, semplicemente di presentare cosa sa di un argomento e poi uscire dal processo. Il catalogo allora non presenterebbe semplicemente delle informazioni, ma aiuterebbe invece gli utenti a costruire la conoscenza consentendo all'utente di partecipare ad una conversazione.
Ci sono altri mezzi per migliorare e collegare i sistemi in una biblioteca "conversazionale". Si prenda il collegamento implicito fra catalogo e circolazione dei documenti. Naturalmente questi sistemi sono sempre stati collegati in quanto i documenti trovati nel catalogo possono essere chiesti in prestito e i documenti richiesti cambiano stato nel catalogo. Questa informazione di "disponibilità" però è un'offerta molto scarsa. Provate ad immaginare di utilizzare i dati di circolazione dei documenti per migliorare le funzionalità attuali del catalogo. Si prenda ad esempio il caso di un utente che sta utilizzando il catalogo per trovare libri di narrativa sulla magia. Ad oggi viene calcolato un punteggio in base a un rapporto di rilevanza fra la domanda e i metadati del documento, poi tutti i documenti sono elencati per ordine di importanza in un set di risultati. Questo punteggio di rilevanza può essere calcolato in molti modi, ma di solito dipende dal numero di volte in cui una parola chiave compare nel record e dal punto in cui essa compare nel record, dando la preferenza ai termini che compaiono in certi campi del formato MARC come i campi "titolo". Ciò che manca è la reale circolazione del documento. Non avrebbe più senso, data una tale domanda così astratta presentare all'utente Harry Potter per primo (ma non esclusivamente)? E se aggiungessimo i dati relativi alla circolazione ai nostri sistemi di ranking basati sulla rilevanza: quante volte un documento è stato chiesto in prestito? Scopriremmo che l'utilizzo di semplici dati statistici è straordinariamente potente. E' simile all'algoritmo di visualizzazione dei risultati nelle pagine usato da Google che presenta i siti più citati in cima alla lista. Inoltre, per quelli che si preoccupano che gli utenti possano essere inondati da informazioni relative ai documenti più noti, esistono degli studi che mostrano come, mentre questi algoritmi cambiano effettivamente i documenti che si posizionano in cima alle liste, l'effetto svanisca in fretta, così l'utente può recuperare facilmente altri materiali. Un'altra possibilità per raffinare la ricerca è permettere all'utente di cambiare l'algoritmo utilizzato per il recupero delle informazioni. Nell'esempio fatto prima, l'utente avrebbe potuto togliere il filtro di "popolarità". L'utente potrebbe passare da un ordinamento in base al livello di aggiornamento, all'autore o altre faccette di ranking.
Il modello conversazionale richiede un ripensamento del catalogo come sistema dinamico, con dati con vari livelli di aggiornamento e qualità che entrano ed escono dal sistema. In un catalogo conversazionale non c'è ragione per cui alcuni dati non possano esistere per un tempo determinato, di anni o secondi. I record bibliografici di collezioni fisiche ben organizzate possono costituire la parte principale e duratura del catalogo, ma rappresenterebbe solo uno dei molti tipi di informazioni che potrebbero esistere nello spazio "catalogo". Inoltre, persino questi dati principali potrebbero essere aggiunti come nota e collegati da o verso media più volatili. In questo modo l'utente potrebbe vedere una recensione in un blog come parte di un record bibliografico del catalogo in un dato momento, ma non trovarla più successivamente dopo che il blogger ha ritirato il commento. Questo assomiglia alle operazioni di scarto che si effettuano in una collezione di biblioteca, ma avverrebbe in un modo più dinamico di quanto non accada alle collezioni sugli scaffali delle biblioteche.
Il modello conversazionale può essere utilizzato anche in altre aree delle biblioteca. Cosa si digitalizza? Cosa si seleziona? Quali programmi si offrono? Cosa si tutela? L'utente empowered può partecipare rispondendo a tutte queste domande senza sostituirsi al bibliotecario esperto, ma piuttosto dando in questo modo il suo contributo, fornendo informazioni e opinioni diverse e aggiuntive.
In effetti lo scenario appena proposto presume già che il catalogo di biblioteca faccia di più che non conservare metadati. Perchè lo scenario funzioni, occorre che il catalogo conservi domande, risposte, video, audio... in buona sostanza il catalogo deve espandersi e integrarsi con altri sistemi di biblioteca affinché un Sistema di Biblioteca Partecipativa possa offrire una visione coerente de La Biblioteca al lettore.
La sezione successiva presenta le tappe che possono portare a questi potenziamenti e integrazioni.
Come è stato osservato in precedenza, le reti partecipative e le biblioteche come conversazioni non sono concetti del tutto nuovi, scaturiti dal nulla. Al contrario, servono per integrare il passato con le innovazioni attuali e per pianificare un progresso sostenibile. La figura presenta le tappe attraverso le quali le biblioteche possono effettuare la transizione dai sistemi correnti ai sistemi veramente partecipativi. Comprende i sistemi in uso, sistemi in via di sviluppo (come la ricerca federata) e concetti nuovi come la Biblioteca Partecipativa. Cerca di cogliere la situazione corrente e di prefigurare la visione di un orizzonte futuro più ampio invece di bloccarsi nelle complicazioni di una particolare attività di sviluppo.
Fig. 6. Dai servizi attuali alla biblioteca
partecipativa
[diagramma]
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Nella parte sinistra dell'immagine si trovano gli attuali sistemi di biblioteca. Anche se la terminologia può cambiare da biblioteca a biblioteca quasi tutti questi sistemi si trovano sui siti web delle biblioteche oggi. L'elenco di tutti i sistemi fa emergere i problemi legati alla confusione dell'utente e al carico gestionale delle biblioteche. Gli utenti devono spesso navigare attraverso questi sistemi in base ai propri bisogni e spesso con scarsa assistenza. Devono cercare per prima cosa nel catalogo o nei database? Ma il catalogo non è in fondo solo un altro database? Quali database scegliere? Nel tentativo di servire al meglio gli utenti creando un portfolio ricco di risorse e servizi finiamo per complicare la vita di chi cerca informazioni. Come ha detto un bibliotecario "non datemi un altro sistema con cui io o i miei lettori dobbiamo confrontarci"
Dall'elenco dei sistemi sulla sinistra vediamo che le biblioteche non hanno fatto un favore nemmeno a loro stesse. Stiamo mantenendo così tanti sistemi che il ricorso ad altri ancora non è solo impossibile, ma anche insensato. La soluzione è l'integrazione dei sistemi combinando il meglio di ciascuno ed eliminando la complessità dell'insieme. Il mondo delle biblioteche sta facendo questo ora. Questa sezione cerca di mettere in evidenza le promettenti attività di sviluppo per integrare i sistemi di biblioteca ben oltre il catalogo. Cerca inoltre di mettere in luce non solo un punto ideale di arrivo, ma anche come questo ultimo sia davvero partecipativo.
L'area funzionale che appare più avanti nell'integrazione della biblioteconomia partecipativa è il reference. Questa affermazione non sorprende dal momento che il reference è immediatamente riconducibile ad una conversazione. Nel corso dell'ultimo decennio i servizi di reference sono diventati virtuali e si sono evoluti verso servizi di reference condivisi. La cosa più rilevante è che il reference digitale dà luogo a delle conversazioni di reference tangibili: i file possono essere ripuliti dai dati personali, possono essere messi dentro a knowledge base e usati come risorsa per altri utenti. Un nuovo sviluppo del reference è rappresentato dal reference blog dove più bibliotecari assieme ad altri utenti possono diventare parte di una comunità che pone domande e offre risposte, creando conversazioni che possono continuare oltre le singole transazioni.
Un'altra area funzionale di biblioteca che è coinvolta nella biblioteconomia partecipativa è rappresentata dai servizi di comunità. Per decenni le biblioteche di pubblica lettura hanno supportato gruppi e associazioni locali fornendo loro degli spazi d'incontro. Man mano che le biblioteche incorporano le tecnologie partecipative nei loro servizi possono creare spazi virtuali come forum di discussione, wiki e blog affinché possano essere usati dalle comunità di utenti. Se esistessero degli standard per queste aree di discussione, allora gruppi di diverse comunità potrebbero facilmente partecipare a sessioni condivise. Tutto ciò può essere significativo per gruppi come gli Alcolisti Anonimi o i gruppi Weight Watchers che sono organizzati localmente con un coordinamento nazionale. In ambito accademico i gruppi possono essere composti da associazioni di studenti, professori o personale tecnico amministrativo oppure da studenti iscritti ad uno stesso corso.
Oltre al reference e al servizio di hosting per le conversazioni di comunità, le biblioteche hanno creato collezioni digitali di materiali (digitalizzati, acquisiti tramite licenza da fornitori commerciali o raccogliendo contenuti digitali da loro prodotti). Parallelamente allo sviluppo delle collezioni digitali di materiali creati dalla biblioteca si colloca il tentativo di creare depositi istituzionali per i materiali prodotti dai docenti, i programmi dei corsi, la documentazione amministrativa e cose simili. Questi servizi sono sistemi partecipativi nei quali le collezioni sono prodotte dagli utenti e possono evolvere verso depositi digitali che comprendono i materiali degli utenti e le collezioni realizzate dai bibliotecari.
Tutte queste differenti conversazioni possono essere archiviate in un unico deposito e se adeguatamente progettato, le conversazioni del servizi di reference possono svolgersi parallelamente e nel caso possono mescolarsi alle conversazioni della comunità e al deposito digitale (che dopo tutto è una conversazione di comunità anche se formalizzata) per dare vita ad un deposito di comunità. I depositi di comunità permettono ai bibliotecari di essere più facilmente coinvolti nelle conversazioni delle comunità e consentono loro di salvare importanti manifestazioni di queste conversazioni per un uso futuro.
La biblioteconomia partecipativa può essere supportata da un'altra area funzionale di biblioteca: le collezioni. Tradizionalmente le collezioni comprendono libri riviste e altre risorse acquisite dalle biblioteche. Risorse elettroniche come le banche dati per le quali si paga l'accesso e non il possesso dei contenuti costituiscono una cospicua voce di spesa di bilancio. Recentemente hanno cominciato a essere selezionate e aggiunte alla collezione virtuale le risorse web (siti e sistemi RSS esterni).
Per localizzare queste risorse informative vengono utilizzati molti tipi di strumenti di ricerca. Il catalogo e le banche dati contengono descrizioni delle risorse e interfacce di ricerca. Per migliorare i servizi di accesso le biblioteche inseriscono descrizioni delle banche dati nel catalogo. Viceversa strumenti di ricerca federata integrano le descrizioni delle differenti basi di dati e permettono il recupero dei libri e degli articoli combinando le descrizioni del catalogo tradizionale e delle banche dati in un unico strumento. Se le conversazioni create dalle comunità fossero parte del catalogo potrebbero essere recuperate assieme alle altre risorse di biblioteca tradizionali.
Anche gli strumenti per descrivere le risorse informative possono essere partecipativi. Nella biblioteconomia tradizionale i bibliotecari forniscono i metadati che i lettori usano per la selezione. Esaminando i dati di utilizzo, possono essere creati dei recommender system che aiutano gli utenti a localizzare nuovi materiali. Nelle reti partecipative gli utenti saranno incoraggiati a aggiungere commenti ai documenti. Se vengono usati degli standard per aggiungere i commenti, allora questi ultimi possono essere condivisi dalle biblioteche per creare aggregazioni più ampie di commenti. Man mano che questi commenti vengono analizzati, possono essere combinati con i database relativi ai dati di utilizzo per creare dei recommender system più potenti che possano offrire agli utenti ulteriori possibilità di scelta basate su quanto stanno cercando.
Il risultato finale sarà un catalogo potenziato che permette agli utenti e alle biblioteche di trovare informazioni indipendentemente dai diversi sistemi che le ospitano. Il catalogo comunque è ancora solo un catalogo. Contiene surrogati di informazioni digitali e viene gestito separatamente dai documenti stessi. Nel caso di documenti fisici può rappresentare tutto ciò che la biblioteca può gestire, ma nel caso di contenuti digitali c'è un ulteriore passo da fare. La barriera artificiale fra catalogo (inteso come sistema di controllo inventariale) e i contenuti (residenti nel deposito di comunità) deve essere abbattuta.
A questo punto dell'evoluzione dei sistemi distribuiti in un vero sistema di biblioteca integrato, la Biblioteca Partecipativa, abbiamo due grandi collezioni; una di risorse e l'altra di informazioni sulle risorse. La prima collezione di contenuti digitali, il deposito di comunità viene costruita dalla biblioteca e dai suoi utenti in modo collaborativo. La seconda collezione, il catalogo potenziato, include i metadati, sia quelli formali che quelli creati dagli utenti (come punteggi, commenti, dati di utilizzo e simili). Sia il deposito di comunità che il catalogo potenziato sono partecipativi. Tuttavia per realizzare il sogno di un sistema di funzioni trasparente (trasparente sia per l'utente che per la biblioteca) questi due sistemi devono fondersi permettendo agli utenti di trovare le risorse e più importante ancora di trovare le conversazioni. Inoltre gli utenti devono essere in grado di aggiungere sia i metadati (come ad esempio etichette ai record del catalogo) e contenuti (come articoli, contributi a wiki, o immagini personali). Il risultato può essere inteso come un'unica risorsa informativa integrata che ai fini di questa conversazione è stata chiamata Biblioteca Partecipativa.
Gli utenti possono accedere alla Biblioteca Partecipativa direttamente dalla biblioteca o possono accedervi dai servizi di Google, MySpace o dalle loro homepage personali. Il punto è che l'accesso alla biblioteca avviene dove si svolge la conversazione, non nel momento in cui l'utente si accorge di avere bisogno di un'informazione dalla biblioteca.
Il modello conversativo fa emergere il problema della tutela. Oltre a fornire semplicemente dei sistemi che mediano la conversazione, le biblioteche funzionano come memoria viva della comunità. Le conversazioni costruiscono la conoscenza, ma qualcuno deve ricordare quanto è già stato detto e deve sapere come accedere a quel dialogo. Le conversazioni scientifiche ad esempio si fondano su conversazioni precedenti (teorie, studi, metodi, risultati e ipotesi).
Catturare le conversazioni e riprodurle al momento giusto è fondamentale. Questo può significare la tutela di oggetti (mappe, trascrizioni, ciano e fotografie), ma comporta anche il compito sempre più importante di salvare i dialoghi digitali. Per questo c'è bisogno di depositi istituzionali (che potranno essere successivamente integrati in modo trasparente con altri sistemi di biblioteca come precedentemente discusso). Devono essere conservati specificamente, siti web, conferenze, materiali didattici per i corsi, articoli. Inoltre, devono essere conservati in depositi realmente conversazionali che consentano il salvataggio degli oggetti (i documenti), dei metodi (i dati, gli strumenti, le policy) dei processi (verbali, conversazioni, presentazioni, siti web, liste di discussioni). Devono essere conservati in strutture informative che li rendano disponibili come conversazioni: in altre parole, gli utenti devono poter essere in grado di ricercare i materiali e di poter ricostruire l'intera conversazione da un suo frammento.
Pensate alle conversazioni che si stanno svolgendo nella vostra biblioteca mentre leggete questo documento. Immaginate il fisico che "chatta" con il giardiniere, e l'amministratore delegato che conversa con il volontario che sta leggendo l'ultimo best seller. Quale conoscenza può essere raccolta da queste nuove interazioni? Si può misurare? Si può potenziare/arricchire? Si può "catturare"? Si può richiamare qualora rappresentasse proprio ciò di cui ha bisogno un utente per soddisfare una sua esigenza informativa?
Notate anche che queste conversazioni non appartengono esclusivamente alle biblioteche. Di fronte alla scoraggiante varietà di risorse disponibili sul web, molte organizzazioni cercano di diventare l'unico punto di accesso. Bisogna tenere a mente che le conversazioni variano nelle modalità, nei luoghi, nei partecipanti e sopratutto sono profondamente personali. Questo significa che i partecipanti devono poter esercitare i loro diritti sulle loro conversazioni e spesso proprio nel luogo stesso dove si svolgono. Significa anche che la biblioteca come facilitatore ha bisogno di variare le modalità e i punti di accesso. In molti casi, converrà mettere a disposizione uno spazio in cui gli utenti possono conversare che sia personale, ma, allo stesso tempo, sempre più parte dello spazio di qualcun altro.
Ciò che possiamo imparare dai mashup del web 2.0 è che funzioni piccole e limitate (ma facilmente accessibili) permettono di incorporare strumenti più ampi nella vita dei singoli individui. Per esempio, nell'integrazione di ChicagoCrime e Google Maps che combina le mappe di Google e le statistiche dei crimini di Chicago era importante per l'host del sito che fossero il suo marchio e il suo design dell'interfaccia a caratterizzare la sua conversazione sul crimine. Le funzioni della tua biblioteca possono essere incorporate così facilmente in questo tipo di conversazioni? Un utente può fare ricerche nel catalogo e presentare i risultati nel suo sito web? Il punto è che le biblioteche devo diventare proattive in modi nuovi. Al posto del mantra "essere dove l'utente si trova" avremmo bisogno di "essere dove la conversazione si trova"
Non è abbastanza essere sui desktop degli utenti. Dobbiamo essere nei loro programmi di posta elettronica, nelle loro pagine di MySpace, nelle loro liste di IM, nei loro RSS feed.
Tutti questi esempi puntano a un significativo cambiamento mentale che i bibliotecari devono intraprendere per passare dal fornire informazioni da un unico luogo centralizzato ad una modalità decentrata che si offre nei luoghi in cui le conversazioni degli utenti avvengono. L'esempio del catalogo presentato in precedenza rappresenta un luogo centralizzato di conversazione. E se invece di essere solo in un catalogo, gli stessi dati fossero suddivisi in componenti più piccole e inserite nei browser degli utenti e nei programmi di posta elettronica? Proprio come il sistema di posta elettronica di Google ospita annunci pubblicitari basati sul contenuto dei messaggi, la Biblioteca potrebbe fornire link alle sue risorse in base a ciò su cui un utente sta lavorando. Disaggregando le informazioni contenute nel suo sistema la Biblioteca può fornire proprio ciò di cui l'utente ha bisogno, può offrire connessioni nei mashup e può vivere nello spazio dell'utente invece di costringere l'utente a andare nello spazio della biblioteca.
Incorporare le reti partecipative e un modello partecipativo nelle biblioteche comporta numerose sfide. C'è da aspettarselo quando trattiamo qualcosa di così fondamentale come la conoscenza e le conversazioni personali. Consideriamo ora le quattro le sfide principali che una biblioteca deve affrontare prima di poter realmente entrare nella biblioteconomia partecipativa.
Il pacchetto di software partecipativi che le biblioteche possono incorporare nelle loro attività quotidiane è molto ricco. Implementare un blog, un wiki, un sistema RSS feed non rappresenta un impresa difficile e questi strumenti possono essere facilmente usati per fornire informazioni sui servizi di biblioteca e conversazioni negli spazi degli utenti. Inoltre, questi sistemi sono testati su larga scala e sono gli stessi strumenti usati nei grandi siti partecipativi come Wikipedia e Blogger. Alcuni di questi pacchetti sono commerciali ma altri sono open source. Il software open source è più conveniente, più facile da adattare e in qualche caso più avanzato. Lo svantaggio è che richiede molta competenza tecnica da parte delle biblioteca (ma non tanta quanto si possa pensare) e non offre assistenza dedicata.
Il più grosso ostacolo tecnico comunque è rappresentato dai software attualmente in uso presso le biblioteche. I sistemi gestionali di biblioteca possono avere una lunga storia e includere un ampia gamma di funzioni. Codici proprietari e sistemi quasi monolitici hanno limitato il facile scambio delle diverse informazioni. Se fossero scritti oggi questi sistemi utilizzerebbero codici modulari, le Api facilmente abbinabili e permetterebbero ai clienti interfacce molto più personalizzabili. I sistemi gestionali potranno essere modificati in questo senso (dal momento che i clienti lo richiedono), ma possono volerci anni.
Molte biblioteche stanno cercando di smontare da sole questi sistemi integrati. Spesso accedono ai data base che stanno sotto ai sistemi gestionali per costruire le loro strutture di dati come nel caso del progetto Data Farm della University of Pennsylvania [21]. Una volta esposti i componenti del sistema, il catalogo diventa semplicemente un altro data base che può essere federato in nuove interfacce unificate. Una tale integrazione richiede comunque molta competenza tecnologica. Potrebbe essere un'opportunità che le società commerciali di sistemi gestionali di biblioteca o grandi gruppi consortili come OCLC potrebbero cogliere.
Nel frattempo potrebbe essere un'opportunità per la comunità bibliotecaria in senso più ampio. Questo rapporto tecnico è stato realizzato per rispondere ad un bisogno percepito. Come è stato messo in evidenza nella comunità della Library 2.0 e nelle conversazioni LITA [22], oggi le biblioteche sono interessate a incorporare le nuove tecnologie web nella loro offerta di servizi e nelle loro attività. Le tecnologie qui considerate necessitano di piattaforme per la sperimentazione. Piuttosto che far partire migliaia di esperimenti separati, la comunità dei bibliotecari dovrebbe creare una propria rete partecipativa. Esiste la tecnologia per realizzare un ambiente di prova dove le biblioteche possono installare varie combinazioni di tecnologie comunicative (blog, tagging, wiki), testare nuovi web service utilizzando gli aggregati di dati (dati catalografici, archivi di metadati e set di dati su larga scala) e persino incorporare nuovi servizi nell'offerta di servizi attuale (RSS feed per esempio). Combinando le risorse (fondi, tempo, competenze) in un unico ambiente di prova su larga scala, le biblioteche non solo otterranno un impatto maggiore per i loro investimenti, ma potranno realmente fare un'esperienza di vita come conversazione interconnessa. Queste connessioni se realizzate ad un livello di base faciliteranno la nascita de La Biblioteca. Si potrebbe definire la terminologia, testare le richieste, sviluppare le buone pratiche a livelli collaborativi, accelerando in questo modo l'innovazione e la disseminazione.
Oltre a occuparsi di conversazioni, le biblioteche si occupano di infrastrutture. Uno degli aspetti più importanti di una biblioteca è la sua capacità non solo di sviluppare una collezione su un determinato argomento, ma di conservarla nel tempo. Qualche volta le infrastrutture possono causare dei problemi (come nel caso dei sistemi proprietari) ma più frequentemente esse forniscono una base stabile da cui operare.
Molte conversazioni in corso necessitano di infrastruttura, ma non l'hanno o ne hanno poca. Pensate come il web potrebbe facilitare una conversazione nella vostra comunità. Potrebbe trattarsi di un ricercatore che desidera disseminare i risultati della sua ultima ricerca. Potrebbe trattarsi di un'organizzazione che cerca finanziamenti. Potrebbe trattarsi di un'impresa che cerca di gestire la sua conoscenza operativa di base. La questione è che tali individui e organizzazioni non si occupano di infrastrutture e potrebbero utilizzare un partner che invece lo fa. Immaginate un'organizzazione locale che viene in biblioteca e in pochi minuti può attivare un sito web con un RSS feed, un blog e una bacheca elettronica. La biblioteca facilita, ma non esercita diritti di proprietà sulle conversazioni di un individuo o un'organizzazione. Stabilisce, però, una forte partnership che può far ottenere risorse e supporto. Il vero potenziale delle reti partecipative nelle biblioteche non è di fornire ad ogni bibliotecario il suo blog, ma di offrire l'opportunità ad ogni membro della comunità di avere il suo blog e di rendere il bibliotecario parte della comunità. Inoltre le biblioteche possono rendere possibile la connessione di queste conversazioni con altri utenti, quando opportuno.
Le biblioteche partecipative rendono possibile l'estensione all'ambiente web del concetto di centro di comunità (centro intellettuale, centro di servizi, media center, centro informativo, meeting center).
Molte biblioteche pubbliche non hanno problemi a concedere i propri spazi fisici a organizzazioni locali no-profit. Perché non offrire spazi di incontro su web nella forma di siti o conferenze via web? Molte biblioteche universitarie cercano di "catturare" i contributi di ricerca dei loro docenti. Perché non contribuire al processo di creazione di tali contributi offrendo anche un luogo dove immagazzinare i dati di ricerca? La risposta a queste domande ci riconduce inevitabilmente al problema del tempo e dei finanziamenti. In questo rapporto tecnico, tuttavia, non si afferma che tali servizi debbano essere gratuiti. In effetti, le migliori partnership si realizzano quando tutti i componenti investono nel processo. Il vero problema è che le biblioteche non sanno quanto fare pagare tali servizi. I docenti sarebbero felici di inserire la biblioteche nelle richieste di finanziamento dei progetti di ricerca (per i servizi di creazioni di siti web o di hosting) ma hanno bisogno di indicare la spesa e i tempi di realizzazione. Molte biblioteche non sono abituate a scorporare i loro servizi e a presentarli singolarmente e questo rende difficile le partnership. Qualche volta il problema non è la mancanza di fondi ma l'impossibilità di riscuoterli.
Come sempre sono le politiche a costituire la sfida più impegnativa. L'idea di aprire le funzioni di biblioteca ad un circuito più ampio è piena di potenziali insidie. Come possono le biblioteche usare le tecnologie e i concetti di Facebook e MySpace senza essere colpite dagli stessi problemi? Gli utenti come possono essere resi partecipi della collezione senza che la biblioteca sia considerata responsabile di tutte le loro azioni? La risposta può risiedere in un concetto apparentemente oscuro: la gestione dell'identità.
Le conversazioni possono variare nelle modalità, argomento e durata. Possono cambiare anche i partecipanti. La biblioteca ha bisogno di conoscere lo status di un partecipante per determinare le policy (per esempio, possiamo rendere accessibile solo questa informazione a questa persona) e necessita di un identificativo unico come una tessera di biblioteca per farle rispettare. Nelle biblioteche tradizionali questo è il massimo che si può fare gestendo l'identità.
In un modello partecipativo, le distinzioni di identità diventano complesse e stratificate e richiedono un approccio nuovo. Questo nuovo modello di lettori che aggiungono informazioni direttamente ai sistemi di biblioteca non è però così radicalmente nuovo come potrebbe sembrare a prima vista. Ci siamo abituati all'idea dei profili di livelli stratificati di autorità in molti altri ambienti. La maggior parte dei sistemi informatici moderni consente una certa gradualità nei diritti degli utenti e nei livelli di responsabilità. Le comunità in rete hanno introdotto sistemi meritocratici in base ai quali chi offre con continuità contributi di qualità ad un certo sito, ottiene poteri maggiori nel sito stesso. Pensate ad esempio a Amazon, Wikipedia e persino a eBay: man mano che gli utenti danno il loro contributo alla comunità acquistano status e riconoscimenti. Da partecipanti a editor ,da lettori a autori, queste organizzazioni hanno considerato l'affiliazione come una scala mobile di fiducia. Le biblioteche devono adottare un simile approccio in tutti i loro sistemi. Lo si fa già, a livello di distinzione fra bibliotecari, paraprofessionali e altro personale. Tuttavia queste distinzioni tendono ad essere rigide e classiste con alte barriere fra i diversi livelli (il passaggio da un livello ad un altro richiede ad esempio un titolo di studio come un master) Alcune di queste barriere sono imposte da organizzazioni esterne (come requisiti per il servizio civile, livelli di carriera etc.), ma molte sono legate all'inerzia del sistema.
Un uso intelligente della gestione delle identità aiuterà le biblioteche ad evitare i problemi di MySpace e Facebook. Man mano che gli utenti acquistano più ampi diritti di accesso, maggiori responsabilità e autonomia, le biblioteche avranno bisogno di accertare le loro identità. Perchè un utente possa fare di più, è necessario che le biblioteche sappiano di più. Sapere più cose su di un utente può implicare la tradizionale verifica dell'identità o il tener traccia di un'attività in modo da poter giudicare le intenzioni in relazione alle azioni. Questi concetti possono essere sintetizzati in "Più ti conosciamo, più controllo puoi avere su servizi a valore aggiunto come i blog o il catalogo". I concetti sono illustrati in Blogger and LiveJournal: entrambi richiedono qualche livello di registrazione. Ad esempio, per entrare in LiveJournal bisogna essere invitati, in questo modo è la comunità a conferire l'identità. Il tema comune è che la verifica (e la creazione) dell'identità si basa sulla comunità. La differenza fra le biblioteche e MySpace consiste nel fatto che le biblioteche operano in una comunità prestabilita con norme di identità tradizionali mentre MySpace cerca di creare una comunità (dove l'identità è definita più da relazioni sociali che da azioni). Sia le biblioteche che i servizi sopradescritti basano i loro servizi o funzioni sull'identità.
Siccome la conoscenza si sviluppa attraverso la conversazione e le biblioteche facilitano questo processo, le biblioteche hanno un impatto potente sulla conoscenza generata. I bibliotecari possono interferire o modificare le conversazioni? Certamente sì. Dovremmo farlo? Non possiamo farne a meno. Le nostre collezioni, il nostro servizio di reference la nostra mera presenza influenza le conversazioni. Il problema è: in che modo? Allineando la mission della biblioteca direttamente con i bisogni di una determinata comunità si accettano i pregiudizi, le regole e le priorità di quella comunità. Anche se la biblioteca può cercare di espandere o cambiare la comunità, lo fa comunque dall'interno di essa.
Quando l'introduzione di filtri per la ricerca in Internet è diventato un requisito per il finanziamento federale di Internet, le biblioteche pubbliche e scolastiche non hanno potuto rifiutarsi o ignorare il fatto, perché esse sono agenti delle loro comunità. Le biblioteche scolastiche [23] hanno dovuto accettare i sistemi di filtro con il finanziamento federale perché le organizzazioni a cui sono affiliate, le istituzioni scolastiche hanno accettato i sistemi di filtro. Si vede da questo esempio che le biblioteche possono trasformarsi da facilitatori di conversazioni a partecipanti attive, ma fanno costantemente entrambe le cose. Così il problema non è se o no le biblioteche modificano le conversazioni, ma è quali conversazioni modificano e quanto attivamente?
Questi problemi non sono nuovi ai principi di fondo della biblioteconomia. Nulla nel modello partecipativo intende cambiare i principi sottostanti. Il modello partecipativo, tuttavia, mette in risalto il fatto che questi principi influenzano le conversazioni e hanno un impatto sulla comunità.
La raccomandazione generale di questo rapporto è che le biblioteche devono partecipare attivamente alle conversazioni in corso sulle reti partecipative. Devono farlo attraverso azioni concrete, pianificando un uso appropriato e innovativo della tecnologia. Si deve fare nel cuore della biblioteca e non nella periferia. Piuttosto che aggiungere meri blogs o photosharing, le biblioteche dovrebbero applicare i principi della partecipazione nel cuore delle tecnologie di gestione bibliotecaria già esistenti, come ad esempio il catalogo. Qualsiasi cosa di meno semplice non fa che aggiungere complessità e mette ancor più a dura prova le risorse già scarse.
A completamento di questa raccomandazione generale, gli autori suggeriscono due proposte particolari: estendere e approfondire la discussione e la conoscenza delle reti partecipative e della biblioteconomia partecipativa e creare un "ambiente di prova per la biblioteca partecipativa", sia per fornire ai bibliotecari le competenze partecipative necessarie, sia per supportare la ricerca continua nella biblioteconomia partecipativa.
Come è stato affermato all'inizio, questo documento ha dei limiti. Contiene certamente il significato profondo delle reti partecipative (sistemi che consentono agli utenti di diventare realmente parte dei servizi) e della biblioteconomia partecipativa (il ruolo dei bibliotecari come facilitatori e attori nelle conversazioni in generale), tuttavia il fuoco si è concentrato sulla tecnologia e il cambiamento tecnologico. Le idee contenute in questo documento sono già diventate parte di un'attiva conversazione. La prima bozza di questo documento è stata divulgata, perché potesse essere liberamente commentata, attraverso un wiki, la posta elettronica e bacheche elettroniche. I concetti qui contenuti sono stati oggetto di presentazioni in convegni e conferenze. In ogni caso, ora, si avverte il bisogno di ampliare sia la portata sia le dimensioni della conversazione. I principi teorici della biblioteconomia partecipativa necessitano di una presentazione rigorosa. Gli aspetti non-tecnici delle idee (e il connubio fra tecnico e non-tecnico) devono essere esplorati. Esistono delle implicazioni a livello di curricula formativi: come devono venire formati i "bibliotecari partecipativi"? La natura e la forma della Biblioteca e dei Sistemi Partecipativi devono essere discussi e analizzati in contesti teorici, sperimentali e operativi.
Per far questo, gli autori propongono una serie di conversazioni per sviluppare i concetti. Queste conversazioni, sia in presenza che virtuali, devono svolgersi all'interno della professione e trasversalmente fra ambiti disciplinari e di attività diversi. Le conversazioni più approfondite avranno bisogno di essere registrate in una serie di pubblicazioni che amplieranno questo documento per i ricercatori accademici e i professionisti.
Gli autori credono, comunque, che la prima proposta debba fondarsi su un'azione concreta. Per completare l'esplorazione più astratta delle reti partecipative e della biblioteconomia partecipativa deve nascere un "campo giochi" attivo dove coloro che conversano possano fare esperimenti concreti con le tecnologie discusse e possano quindi plasmare attivamente gli strumenti della partecipazione. Tale si definisce un ambiente di prova. Questo ambiente di prova potrebbe implementare una rete partecipativa di biblioteche e potrebbe fornire una piattaforma tecnologica comune per ospitare blog, wiki, forum elettronici, aggregatori di RSS ecc. Queste tecnologie condivise potrebbero essere usate sia per sperimentare nuove tecnologie, sia per offrire dei servizi reali alla biblioteche. In questo modo le biblioteche potrebbero non solo limitarsi a leggere di applicazioni software per blog, ma potrebbero metterli a disposizione dei membri delle loro comunità di utenti.
Attivando nuove iniziative di comunità, le biblioteche potrebbero aggiungere rapidamente wiki e RSS feeds ospitati nell'ambiente di prova condiviso.
L'ambiente di prova potrebbe, inoltre, mettere a disposizione delle biblioteche tutto il software disponibile affinché possano implementare le tecnologie in autonomia. L'ambiente di prova potrebbe fornire sia il software open source sia il supporto tecnico necessario per implementare le istanze a livello locale. Potrebbe, inoltre, sviluppare nuove metriche e strumenti di valutazione per i servizi della biblioteca partecipativa utili a coloro che devono prendere decisioni a livello programmatico e strategico.
In ogni caso, uno dei maggiori vantaggi prodotti dall'ambiente di prova potrebbe essere quello di modificare le innovazioni in sistemi bibliotecari integrati. L'ambiente di prova potrebbe collaborare con le biblioteche e le aziende produttrici di software gestionali per sperimentare nuove tecnologie e mettere a punto nuovi standard per accelerare il rinnovamento dei sistemi gestionali di biblioteca. L'obiettivo dell'ambiente di prova non sarà quello di creare nuovi sistemi gestionali, ma di facilitare l'integrazione delle tecnologie innovative nei sistemi gestionali commerciali e open source.
La comunità bibliotecaria sarà libera di decidere l'ubicazione e il modello di supporto dell'ambiente di prova. Sicuramente potrebbe essere collocato presso associazioni o organizzazioni bibliotecarie esistenti. Sarà comunque necessario che l'organizzazione ospite sia considerata il più possibile neutrale relativamente ai problemi di integrazione dei sistemi gestionali e che sia in grado di sostenere una infrastruttura diversificata a lungo termine. Dovrà inoltre essere un'organizzazione veloce, capace di identificare e di implementare le nuove opportunità tecnologiche rapidamente.
Un modello potrebbe essere quello che si basa su un finanziamento congiunto da parte di un gruppo di biblioteche interessate. Il finanziamento congiunto potrebbe supportare un'infrastruttura tecnologica open source e un piccolo gruppo di ricercatori e sviluppatori. Le attività del gruppo potrebbero essere supervisionate da un comitato formato dai membri finanziatori. Un tale modello è in grado di impiegare l'investimento monetario per le attività di sperimentazione attraverso un'ampia collaborazione e dovrebbe infine far risparmiare alle singole biblioteche tempo e denaro. In pratica, il tempo e il denaro che le singole biblioteche impiegherebbero in esperimenti singoli o isolati potrebbero essere investiti in uno sforzo comune con possibilità di ritorno maggiori.
Le biblioteche hanno la possibilità non solo di migliorare i servizi rivolti alle loro comunità di utenti, ma anche di contribuire al progresso delle reti partecipative. Le biblioteche, con la loro deontologia, il loro spirito di servizio, la loro conoscenza, senza pari, delle infrastrutture, hanno le carte in regola non solo per reagire all'innovazione tecnologica, ma per guidarla. Collegando l'applicazione, lo sviluppo e il miglioramento tecnologici alla missione di facilitare le conversazioni trasversali, le biblioteche possono ottenere enormi visibilità e risorse.
Impatto e leadership, comunque, derivano da una decisa e profonda comprensione del ruolo che le biblioteche svolgono nelle loro comunità di riferimento. L'affermazione che le biblioteche sono una componente indispensabile nel processo di generazione della conoscenza in tutti i campi dello scibile rappresenta un argomento di discussione potente a supporto del concetto di funzione estesa delle biblioteche. Alla fine blogs, wiki, RSS e AJAX svaniranno nel contesto dinamico di Internet, ma il concetto di reti partecipative di conversazioni durerà.
Gli autori vorrebbero ringraziare le seguenti persone e gruppi:
Ken Lavender per la sua capacità di redazione
Gli studenti di dottorato del IST 800 per averci fornito le loro
collaborazioni sulla teoria della conversazione:
Johanna Birkland, John D'Ignazio, Keisuke Inoue, Jonathan
Jackson, Todd Marshall, Jeffrey Owens, Katie Parker, David Pimentel,
Michael Scialdone, Jaime Snyder, Sarah Webb.
Gli studenti del IST 676 per le i loro importanti contributi e per
le loro esplorazioni sui concetti correlati alla biblioteconomia di
massa:
Marcia Alden, Charles Bush, Janet Chemotti, Janet Feathers,
Gabrielle Gosselin, Ana Guimaraes, Colleen Halpin, Katie Hayduke, Agnes
Imecs, Jennifer Kilbury, Min-Chun Ku, Todd McCall, Virginia Payne,
Joseph Ryan, Jean Van Doren, Susan Yoo.
Coloro che hanno commentato la bozza di questo documento Karen Scheider, Walt Crawford e John Buschman, Kathleen de la Peña McCook.
LITA per averci messo a disposizione un forum per il feedback.
Carrie Lowe, Rick Weingarten, e Mark Bard dell' ALA's OITP per il loro riscontro e supporto.
Lo staff dell'Instituto Lisa Pawlewicz, Joan Laskowski, e Christian O'Brien per il supporto logistico.
[1] Citato in Hardiker P and Baker M (1991)'Towards Social Theory for Social Work' in Lishman J (ed) Handbook of Theory for Practice Teachers in Social Work, London, Jessica Kingsley
[2] Pask, G. 1976. Conversation Theory : Applications in Education and Epistemology. New York: Elsevier
[3] Bertland, Linda H. (1986). An overview of research in metacognition: Implications for information skills instruction. School Library Media Quarterly, v. 15 (Winter), 96-99.
[4] <http://www.oreillynet.com/pub/a/oreilly/tim/news/2005/09/30/what-is-web-20.html>
[5] Suroweicki, J. (2004) The Wisdom of Crowds. New York: Doubleday
[6] <http://www.nature.com/nature/journal/v438/n7070/full/438900a.html>
[7] <http://www.google.com/apis/maps/>
[8] <http://www.w3schools.com/js/>
[9] Dal momento che i termini del Web 2.0 sono un po' ambigui, molte persone confondono il termine Mashup con Remix. Le Mashup sono dati e funzioni combinate (come il mapping), invece i Remix sono solo contenuti che si riusano e combinano. Così combinare una canzone con un pezzo di video per creare un "nuovo" video musicale sarebbe un Remix. Tracciare tutti i propri video su una mappa usando YouTube per venderli, e Google Maps per tracciarli geograficamente sarebbe un Mashup.
[10] Per esempio GMail, un servizio di web-mail ampiamente usato, è ancora considerato "beta" da Google.
[11] The tipping Point: How Little Things can Make a Big Difference, Malcolm Gladwell p.272
[12] <http://www.oclc.org/dewey/versions/ddc22print/intro.pdf> [PDF 190 k, 37 p.]
[13] <http://en.wikipedia.org/wiki/Ajax_(programming)>
[14] <http://www.w3.org/2002/ws/>
[15] <http://cites.boisestate.edu/v6i2a.htm>
[16] Ormsby, Eric. (2001). The battle of the book: the research library today. The New Criterion, October, 4-16
[17] Chad, Ken and Miller, Paul. (2005). Do libraries matter? The rise of Library 2.0. A white paper. <http://www.talis.com/applications/downloads/white_papers/DoLibrariesMatter.pdf> [PDF 710 k, 11 p.].
[18] <http://slashdot.org/articles/06/07/12/0016211.shtml>
[19] for example see: <http://www.msnbc.msn.com/id/11165576/> and <http://www.businessweek.com/magazine/content/05_50/b3963001.htm>
[20] <http://www.nbc.com/Saturday_Night_Live/segments/9166.shtml>
[21] Zucca, J. (2003). Traces in the Clickstream: Early Work on a Management Information Repository at the University of Pennsylvania. Information Technology and Libraries. (22) 4. 175-178.
[22] Library and Information Technology Association [NdT]
[23] Ad essere più precisi, le biblioteche pubbliche e scolastiche che accettano i finanziamenti e-Rate.
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