L'identità percepita delle biblioteche: la biblioteconomia sociale e i suoi presupposti
Starting from the changes occurred in the larger environment libraries work in, the article deals with the new research needs libraries should cope with. In doing so, it intends to stimulate a careful consideration of the peculiar characteristics of the qualitative research methodology applied to the library user analysis, which takes into account the complex dynamics concerning the subjective and psychological aspects of motivations, needs and perceptions by patrons. By means of this analysis the article aims at explaining the reasons why, over the last years, the new paradigm of 'social librarianship' has emerged and how this change should be interpreted by libraries and librarians. In the final part of the article some considerations about future perspectives for libraries are suggested.
Per parlare di identità delle biblioteche e della disciplina che se ne occupa bisogna inevitabilmente partire da molto lontano, ossia dai cambiamenti del contesto, non solo quelli più direttamente collegati ai contenuti e ai modi di trasmissione della conoscenza, bensì anche quelli apparentemente più estranei allo specifico bibliotecario. Il primo passo consiste dunque nel chiedersi che cosa è accaduto intorno alle biblioteche e in che modo tutto ciò ha a che vedere con il futuro di questa istituzione e con l'evoluzione della disciplina biblioteconomica.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti economici, politici, sociali e tecnologici che hanno avuto un impatto rilevante e - per certi versi - senza precedenti sugli stili di vita, le relazioni sociali, le modalità di apprendimento, il mondo del lavoro, nonché molti altri - se non tutti - gli ambiti della vita individuale e collettiva. Si è trattato di fenomeni in parte collegati tra di loro, in parte indipendenti l'uno dall'altro, che però insieme hanno contribuito e contribuiscono a modificare significativamente gli scenari all'interno dei quali ci muoviamo [2].
Dal punto di vista economico, non si può non richiamare la crisi economica e finanziaria che ormai da diversi anni sta pesantemente condizionando le economie dei paesi occidentali e gli equilibri dell'economia mondiale. La crisi non va però astratta dal contesto economico nella quale è nata e che si era andato configurando nei decenni precedenti. Ci si riferisce in particolare ai processi di globalizzazione e delocalizzazione, al neoliberismo e al capitalismo finanziario, all'affermarsi di un'economia sempre più immateriale in cui le componenti soft (come ad esempio le idee e l'innovazione) diventano centrali e determinanti rispetto al successo di un'iniziativa.
Sul piano sociale, da un lato i processi di urbanizzazione generalizzata e la trasformazione delle città in luoghi di flussi hanno trasformato e in parte standardizzato gli stili di vita delle persone. Dall'altro lato, la crisi economica ha prodotto o rafforzato alcuni processi di natura squisitamente sociale, come ad esempio l'erosione del ceto medio, il fenomeno della polarizzazione sociale, il delinearsi alla base della piramide sociale di un "nuovo proletariato" (che però può accedere a un'offerta di beni e servizi low cost) e di una categoria di nuovi poveri ed esclusi.
Questa società in trasformazione deve confrontarsi con scenari politici sempre più mobili nei quali l'assetto dei sistemi democratici tradizionali fondato sugli stati nazionali e sulla mediazione politica esercitata dai partiti e dai parlamenti appare sempre più in crisi, mentre i confini dello stato sociale si vanno assottigliando per effetto dei processi economici e sociali prima ricordati.
Lo smottamento che si registra sul piano economico, sociale e politico si inserisce all'interno - e in parte ne è conseguenza - di quella vera e propria rivoluzione che si sta verificando sul piano tecnologico, per effetto dei processi di convergenza al digitale dei contenuti e dei media e della pervasività della connettività, sul quale hanno recentemente riflettuto i redattori dell'Onlife Manifesto, sottolineandone appunto anche le conseguenze politiche e sociali [3].
Dentro questo panorama in profonda trasformazione, le biblioteche non possono certo dirsi estranee o indifferenti a quanto sta accadendo, bensì si trovano a rispondere a un'esigenza sempre più urgente di cambiamento e adattamento al rinnovato contesto nel quale operano e offrono i propri servizi, tanto più che alcuni dei suddetti fenomeni di contesto le mettono di fronte al rischio crescente di una marginalizzazione [4].
Per tutti questi motivi i bibliotecari si interrogano già da diversi anni sulle direzioni da prendere come professionisti e su come e quanto le biblioteche debbano cambiare o addirittura evolvere in qualcosa di radicalmente diverso. Diventa dunque cruciale interrogarsi su come porsi le domande giuste e come cercare correttamente le risposte.
Nel nostro Paese le attività di valutazione in biblioteca, ad oggi, si sono concentrate quasi esclusivamente sulla misurazione e valutazione dell'efficacia e dell'efficienza del servizio e, solo in anni più recenti, sulla soddisfazione degli utenti e sulla misurazione dell'impatto delle biblioteche.
La scarsità di risorse umane ed economiche a disposizione è sicuramente una tra le principali cause di questa tendenza, ma va anche riconosciuta una ancor debole consapevolezza circa il valore della conoscenza prodotta dalla ricerca applicata, ovvero le attività d'indagine che possono essere implementate non solo "in" biblioteca ma più in generale "per" la biblioteca, per comprendere e spiegare i processi, per prendere decisioni più consapevoli e generare, dunque, vero cambiamento.
Dal punto di vista metodologico, la cassetta degli attrezzi che i bibliotecari hanno a disposizione è divenuta sempre più composita: alle statistiche (indicatori) e alle tecniche quantitative (questionari), il cui utilizzo appare ormai consolidato, si sono aggiunte le tecniche qualitative (osservazioni, interviste in profondità, discussioni di gruppo), ancora poco diffuse ma sulle cui potenzialità negli ultimi anni si è sviluppata una prolifica riflessione teorica [5], supportata anche da un numero crescente di indagini empiriche.
Gli strumenti d'indagine si sono, dunque, arricchiti nel tempo in conseguenza del cambiamento degli oggetti di studio ritenuti interessanti. Ed è proprio questo il nodo centrale della nostra riflessione, ma ci arriveremo tra un attimo, quando avremo ripercorso brevemente cosa è accaduto in tema di valutazione, o di ricerca in biblioteca, negli ultimi trent'anni (Figura 1).
Figura 1- Indagini in biblioteca: i metodi cambiano quando cambiano le domande di ricerca
Negli anni Ottanta le attività di indagine si sono concentrate soprattutto sull'analisi dei cosiddetti "dati di struttura" e "dati di attività" [6]. I "dati di struttura" facevano riferimento alle sedi, all'articolazione degli spazi, alla presenza delle attrezzature, alla dotazione documentaria, ovvero a tutti quegli aspetti che non erano frutto di un'attività ma che costituivano l'"offerta" della biblioteca, dalla quale partire per organizzare il servizio.
I "dati di attività" si riferivano alla distribuzione delle risorse, agli acquisti, alle presenze, alle consultazioni, agli iscritti, ai prestiti, alle attività culturali, alle manifestazioni ecc.; si trattava in definitiva degli effetti dei servizi messi in atto dalle biblioteche che corrispondevano alle seguenti domande: "quanto viene usata la biblioteca?" e "cosa fa la biblioteca per accrescere quest'uso?".
Negli anni Novanta si comincia a prestare attenzione anche all'uso dei servizi da parte degli utenti. Si fa strada la consapevolezza che esistono aspetti volatili e immateriali del servizio che vanno presi in considerazione, sottoposti a verifica e misurati [7]. Sono stati così messi a punto efficaci strumenti per approfondire la soddisfazione degli utenti, divenuta ormai prassi della maggior parte delle biblioteche.
Negli ultimi anni l'attenzione si è spostata sul tema dell'impatto sociale ed economico delle biblioteche [8] e dalla valutazione dell'uso a quella degli utenti; si è cominciato, cioè, a riflettere con maggiore attenzione anche sugli aspetti più psicologici, sulle leve emotive e affettive che determinano le scelte di fruizione. Si assiste così a una rinnovata esigenza di conoscenza dei pubblici, anche in termini di analisi dei bisogni.
Oggi siamo consapevoli che gli utenti possono compiere scelte continuamente mutevoli, che non ci sono set di valori o bisogni permanenti, soggetti piuttosto ad aggiustamenti situazionali [9]. Non solo: siamo anche consapevoli che il dato sulla soddisfazione dell'utenza reale non soltanto sarà pregnante se (e solo se) a monte siano stati analizzati e individuati i bisogni e le motivazioni di fruizione degli utenti, ma che anche in questo caso tale dato potrebbe essere indicativo solo in parte.
È la difficoltà di decifrare l'identità percepita della biblioteca a mettere in crisi l'equazione "biblioteca efficace = frequentazione della biblioteca = soddisfazione", è il potere della percezione a rendere il tutto così instabile. Si è iniziato, dunque, a porgere attenzione a questo "nuovo" oggetto di indagine - la percezione, appunto - da intendersi non come un momento passivo e automatico di ricezione delle informazioni da parte dell'utente, ma come una vera e propria azione di selezione e costruzione attiva dell'esperienza, a partire dagli stimoli presenti nell'ambiente, in stretta sinergia con gli schemi, le aspettative, le motivazioni preesistenti nell'utente stesso [10].
Esiste un gap tra ciò che può essere fatto in un'ottica di servizio efficace e ciò che viene percepito dall'utente, perché la verità è che noi percepiamo le cose non per come esse sono fatte ma per come siamo fatti noi. È in quello scarto che si collocano una serie di agenti tra i quali i ricordi, le esperienze pregresse e altri fattori legati - non ultimo - alle caratteristiche del contesto di riferimento, che determinano la formazione dell'identità percepita della biblioteca [11]. Su questi aspetti, lo vedremo, possiamo intervenire solo indirettamente attraverso specifiche strategie comunicative. Dobbiamo farlo.
Per rispondere a questa "nuova" esigenza conoscitiva l'approccio tradizionale, quello quantitativo, non basta più ed è per questo che ci si è avvicinati alla metodologia qualitativa: perché la biblioteca è una istituzione che solo apparentemente ha un significato omogeneo e che, invece, assume tanti significati, almeno quanti sono i contesti in cui essa prende forma.
Perché la metodologia qualitativa è efficace da questo punto di vista?
Perché è un tipo di ricerca che adotta un approccio naturalistico verso il suo oggetto di indagine, perché studia i fenomeni nei loro contesti naturali, tentando di dare loro un senso o di interpretarli in termini di significato che la gente dà di essi [12]. La ricerca qualitativa getta un fascio di luce su aspetti quotidiani e apparentemente scontati, la cui comprensione oggi è improcrastinabile.
Senza entrare negli aspetti squisitamente tecnici della metodologia di ricerca, per i quali si rimanda ad altri sedi [13], qui può bastare mettere in evidenza quelli che sono i suoi principali apporti nel nostro ambito:
- la sua capacità di sviscerare e approfondire fenomeni nuovi;
- la sua capacità di tenere in considerazione il contesto di riferimento e di mettere l'utente al centro della ricerca, per renderlo il fine che indirizza le azioni in biblioteca e al contempo il mezzo della conoscenza, in quanto parte integrante del sistema e agente protagonista di una realtà socialmente costruita e non oggettivamente data;
- la sua "consapevolezza storica", che consente di esaminare fatti storici rilevanti rispetto al fenomeno biblioteca, introducendo nuovi interrogativi cui rispondere;
- la sua "consapevolezza contestuale", che consente di rendere conto della varietà dei significati che un'istituzione apparentemente omogenea come la biblioteca può assumere, a seconda del contesto di riferimento e nella comunità sociale in cui si colloca.
3. Verso la biblioteconomia sociale
Quello dell'identità percepita è un tema caldo, come ben sanno gli addetti ai lavori, perché strettamente legato al futuro incerto e problematico di un'istituzione che, come già detto, solo in apparenza ha un significato omogeneo e la cui interpretazione necessita strumenti di analisi specifici [14].
Il futuro della biblioteca (pubblica, in particolare) è un oggetto di studi sul quale si sono espressi molti studiosi, prendendo posizioni anche drasticamente diverse e a tratti inconciliabili: chi individua l'essenza della biblioteca nel suo essere un luogo e uno spazio fisico laboratoriale per la crescita delle persone; chi crede che della biblioteca vadano potenziate le funzioni di conservazione del sapere ed intermediazione che ad essa appartengono intrinsecamente, ben oltre il suo essere luogo; chi ne sottolinea la sua intrinseca socialità in una prospettiva partecipativa.
Istruzione, partecipazione, inclusione sociale, welfare sono temi che anche nel nostro settore hanno iniziato ad essere presenti, quasi sempre relazionati al posizionamento percepito della biblioteca pubblica nella società contemporanea e al ruolo che essa può giocare per uscire da una certa marginalità che la riguarda, se non addirittura per sopravvivere negli anni a venire [15].
Questa visione è confermata anche dai risultati di diverse indagini empiriche sulla percezione delle biblioteche, [16] dalle quali emerge con chiarezza il desiderio di assistere ad una trasformazione che vede le biblioteche essere - ma anche apparire - qualcosa di diverso, inventandosi mestieri nuovi: dal doposcuola, dove i ragazzi possono studiare assistiti da personale competente, all'alfabetizzazione informatica per le persone anziane; dall'aiuto ai disoccupati per reinserirsi nel mercato del lavoro all'assistenza agli stranieri per verificare lo stato del proprio permesso di soggiorno.
Inevitabilmente viene da chiedersi se, cambiando così profondamente le biblioteche, non stia cambiando o debba cambiare anche la disciplina che se ne occupa che, anche dal punto di vista interpretativo - l'abbiamo visto - si trova di fronte ad uno scenario in profonda trasformazione: gli strumenti di analisi tradizionalmente usati non bastano più, gli oggetti di studio e la prospettiva con la quale si analizzano stanno mutando, sempre più orientati all'esterno della biblioteca i primi, sempre più attenta ai segnali che arrivano dalla società la seconda.
È in questo scenario in trasformazione che si colloca la prospettiva interpretativa della "biblioteconomia sociale", come risultato di questa evoluzione.
L'espressione "biblioteconomia sociale" non è nuova e indica un filone di studi riconducibili in Italia alle ricerche di Paolo Traniello [17] che ha trovato, com'è noto, campo di applicazione nella cosiddetta "epistemologia sociale" di Jesse H. Shera.
Darne una definizione che ne cristallizzi il senso in questo momento costituirebbe un azzardo. Crediamo però si possa fare un tentativo attraverso la ricognizione di alcuni contributi importanti sul tema, attraverso i quali questa declinazione sta prendendo forma: la disciplina che progetta la biblioteca come spazio non solo fisico "della conoscenza condivisa, della produzione di intelligenza, delle opportunità, del trasferimento sociale di capacità, delle relazioni e del benessere" [18], il cui obiettivo è fornire una "prestazione sociale essenziale per creare pari opportunità fra i cittadini per l'accesso alla conoscenza" [19]. La disciplina che si occupa della biblioteca come sistema sociale fatto dalle persone per le persone.
Se volessimo sintetizzarne i tratti caratterizzanti si potrebbero mettere in luce i seguenti:
- la biblioteconomia sociale alla transazione antepone la relazione;
- non si pone in modo autoreferenziale rispetto al concetto di qualità del servizio bibliotecario, perché il concetto di qualità è socialmente e storicamente determinato;
- oltre alla soddisfazione dell'utente rispetto alla mission istituzionale delle biblioteche, contempla anche, a livello più generale, il benessere dell'individuo e l'impatto che la frequentazione della biblioteca contribuisce a generare;
- tiene in considerazione anche la dimensione simbolica, relazionale e sociale per essere in sintonia con l'evoluzione dei valori socialmente condivisi e fare in modo che le biblioteche riflettano lo spirito del tempo.
Crediamo sia importante sottolineare che mentre l'evoluzione sociale delle biblioteche è trasversale a diverse culture biblioteconomiche e presente anche a livello internazionale [20], il passaggio evolutivo di cui si sta parlando - e rispetto al quale, dovrebbe essere evidente, proprio gli strumenti di analisi e interpretazione giocano un ruolo chiave - riguarda nello specifico la biblioteconomia italiana [21].
Nel mondo anglosassone la connotazione "sociale" è già dentro il termine Librarianship, tanto che l'espressione Social Librarianship non esiste. Non sarebbe che un pleonasmo: la biblioteconomia anglosassone di fatto è già sociale.
Visto che si tratta di una evoluzione che in qualche modo nasce dall'esigenza di rispondere a nuove domande conoscitive non si può non fare riferimento al concetto di "slittamento di paradigma", ovvero il modo in cui lo storico della scienza statunitense Thomas Kuhn in un bellissimo volume del 1962 [22] per primo ha chiamato quei momenti di rottura della "scienza normale" che portano alle "rivoluzioni scientifiche", ovvero radicali sconvolgimenti all'interno delle discipline [23].
Egli sosteneva che la scienza fosse un processo costituito dall'alternanza di periodi tranquilli, caratterizzati da uno stabile accrescimento della conoscenza, a momenti di crisi, caratterizzati dall'incapacità degli strumenti di analisi tradizionali di risolvere certi problemi nuovi. In parole povere, quando si presenta un problema o 'un'anomalia' - come avrebbe detto Kuhn - che non si può risolvere entro il paradigma dominante, allora si verificano dei cambiamenti o slittamenti di paradigma. In ogni caso, un paradigma non viene mai abbandonato, per quanto inadeguato esso possa rivelarsi, per quanto compromesso da anomalie, finché non emerge un nuovo paradigma che possa sostituirsi ad esso. La decisione di abbandonare un paradigma è sempre al tempo stesso la decisione di accettarne un altro.
A questo proposito è possibile notare un altro slittamento di cui la nostra disciplina è stata protagonista: il passaggio dalla "biblioteconomia documentale" - che si è occupata essenzialmente della biblioteca intesa come sistema che seleziona, conserva e rende accessibili i documenti, il cui campo di indagine spaziava dall'acquisizione dei documenti alla loro catalogazione, dall'indicizzazione alla conservazione - alla "biblioteconomia gestionale" che, mettendo al centro dell'attenzione il servizio e il tema della gestione consapevole, ha arricchito negli anni Novanta il bagaglio professionale dei bibliotecari di nuovi strumenti: dalla qualità totale al marketing, dalla gestione per progetti ed obiettivi alle pratiche di misurazione e valutazione [24].
Ma attenzione: questo slittamento di paradigma, che ha visto la disciplina arricchirsi di nuovi strumenti di analisi, non ha delegittimato certe attività che ne costituiscono ancora il suo bagaglio cromosomico. Si tratta di una logica assolutamente inclusiva. Lo stesso vale oggi per la biblioteconomia sociale.
L'evoluzione della disciplina biblioteconomica verso la sua dimensione sociale è sostanzialmente andata di pari passo con una riflessione sulle funzioni della biblioteca che ha portato al riconoscimento sempre più diffuso del suo ruolo sociale, accanto a quello culturale e formativo [25].
Tale processo si è verificato in special modo per la biblioteca pubblica, chiamata a sviluppare e sfruttare la sua dimensione di spazio fisico di aggregazione per processi nuovi di creazione di senso e di conoscenza anche attraverso la socialità [26]. Ma una riflessione analoga sta investendo anche le altre tipologie di biblioteca, a cominciare da quelle universitarie, chiamate a diventare attori determinanti per la realizzazione della cosiddetta "terza missione" delle università, che appunto passa per la dimensione sociale, a complemento di quelle legate alla didattica e alla ricerca [27].
Tutto ciò premesso, è importante evitare qualunque ambiguità che possa portare a pensare che la biblioteconomia sociale si occupi della funzione sociale delle biblioteche. Come si è cercato di spiegare, la biblioteconomia sociale mette al centro dell'analisi le persone, partendo dal presupposto che le biblioteche non sono fatte soltanto di collezioni bibliografiche e di servizi, o meglio che le collezioni e i servizi acquistano significato solo all'interno dell'uso che ne fanno le comunità di riferimento.
Per questo la disciplina biblioteconomica - che già aveva efficacemente adottato e sperimentato metodi di indagine rivolti alle collezioni e ai servizi - negli ultimi anni è andata alla ricerca di metodi che permettessero alle biblioteche di comprendere i bisogni e i modi di apprendimento delle persone che compongono le comunità di riferimento, sia di coloro che già utilizzano le biblioteche, sia di coloro che non conoscono o non ritengono di avere bisogno dei servizi bibliotecari. Tale ampliamento dell'orizzonte della biblioteconomia è stato qualificato con l'aggettivo "sociale" perché ha individuato nei metodi delle scienze sociali gli strumenti più adatti a compiere questo ulteriore salto [28].
Dunque, la biblioteconomia sociale - esattamente come la biblioteconomia tout court - si occupa di tutte le tipologie di biblioteche e non solo delle biblioteche pubbliche, come talvolta si tende a pensare sulla base del presupposto che queste ultime sono le più attente alla loro dimensione sociale, ovvero si rivolgono a comunità più ampie e articolate al loro interno. È indubbio che per le biblioteche pubbliche la necessità e la difficoltà di comprendere le loro comunità di riferimento è amplificata dall'eterogeneità dell'utenza potenziale alla quale si rivolgono; d'altra parte, qualunque altra biblioteca di qualunque tipologia rischierebbe di essere fortemente autoreferenziale se non accettasse di ampliare il proprio orizzonte di analisi al di là delle proprie mura e non adottasse strumenti adeguati per comprendere modi e forme di accesso alla conoscenza delle persone alle quali si rivolge.
A questo proposito, si deve inoltre sottolineare che, in virtù dei profondi cambiamenti del contesto nel quale le biblioteche si collocano [29], le tradizionali categorizzazioni tipologiche, nonché i rassicuranti confini con cui è stato fin qui possibile identificare i propri bacini utenziali, tendono a sfumarsi se non ad essere completamente superati.
Da un lato, infatti, la distinzione classica tra tipologie di biblioteche come si è andata definendo storicamente a partire dalla seconda metà dell'Ottocento in risposta a un mondo sempre più articolato e specializzato tende progressivamente a perdere di significato, di fronte a un utilizzo via via più trasversale e ad aspettative dell'utenza sempre meno inquadrabili pienamente nelle funzioni tradizionali attribuite alle singole tipologie bibliotecarie. Oggigiorno, paradossalmente, le distinzioni tipologiche sono in qualche modo più forti e radicate nei bibliotecari che nelle comunità di riferimento, fors'anche perché esse rappresentano uno dei pochi punti fermi a cui aggrapparsi in uno scenario in grande trasformazione.
Dall'altro lato, diventa sempre più difficile tracciare i confini delle proprie comunità di riferimento, dal momento che la stessa distinzione tra mondo reale e virtuale tende a scomparire a favore della cosiddetta dimensione "onlife", ossia quella condizione di vita di perenne connessione in cui siamo ormai immersi [30]. Di conseguenza le biblioteche - attraverso i loro doppi digitali - devono confrontarsi non solo con i potenziali utenti che fisicamente possono accedere ai loro spazi, alle loro collezioni e ai loro servizi, ma anche con quell'indefinita platea che attraverso la rete può utilizzare non solo e non tanto i loro siti e i relativi contenuti, bensì soprattutto i contenuti e i servizi digitali che le biblioteche possono e devono disseminare all'interno dell'universo virtuale.
Questa rivoluzione copernicana che sposta l'asse dall'interno della biblioteca all'esterno, frammentandone le tracce e in qualche modo l'identità, pone al mondo bibliotecario - anche di fronte ai pesanti tagli determinati dalla crisi economica e dalla progressiva obsolescenza di alcune sue peculiarità - importanti interrogativi sui propri compiti e, prima ancora, su come esse siano percepite dalla società nel suo complesso, che finora ne ha supportato finanziariamente le attività e i servizi. In particolare, diventa cruciale per le biblioteche comprendere quale idea della biblioteca prevale nell'immaginario collettivo e nell'opinione pubblica e verificare come al suo interno si relazionano la dimensione fisica e quella digitale della biblioteca [31].
Certamente la biblioteconomia sociale può, per un verso, rendere i bibliotecari consapevoli della necessità di porsi tali interrogativi, per l'altro, offrire strumenti per trovare delle possibili risposte e individuare delle azioni da mettere in atto. È evidente, d'altra parte, che nessun metodo di indagine è in grado di anticipare il futuro, che resta - da numerosi punti di vista - una scommessa con la quale i bibliotecari devono accettare di confrontarsi con mente aperta e pronta persino a distruggere parte del proprio business, qualora risultasse necessario [32]. Nel frattempo è opportuno che i bibliotecari lavorino di più a colmare il gap percettivo, in quanto senza questo passaggio obbligato non è detto che la società accetti di continuare a sostenere finanziariamente i possibili utilizzi - dentro o fuori le biblioteche - delle competenze dei bibliotecari.
Abbiamo parlato di oggetti di indagine (utenti, contesto, impatto, percezione) e di strumenti di ricerca (metodologia qualitativa); proviamo ora a dire qualcosa anche sui principali destinatari di questo ragionamento: i bibliotecari. Proprio la formazione dei bibliotecari è forse la sfida più complessa con la quale la biblioteconomia sociale è chiamata a misurarsi.
La biblioteconomia sociale conferisce importanza alle classiche competenze LIS - ciò che i bibliotecari devono sapere - ma non solo: pone attenzione anche all'ascolto, alla leadership, alla fiducia - ciò che i bibliotecari devono saper offrire - risorse più scarse delle competenze stesse. A contare e a creare valore per gli utenti saranno sempre di più in futuro non soltanto la gestione efficace della struttura, dei documenti, delle raccolte, dei servizi, ma anche come i bibliotecari faranno ciò che già fanno, come lo sapranno comunicare e la loro capacità di creare opportunità di contatto, comunicazione, partecipazione, crescita per gli utenti.
L'aggiornamento del bagaglio professionale dei bibliotecari dovrà essere coerente con la vision delle biblioteche del terzo millennio: aiutare le persone a vivere meglio e aumentare il livello di benessere sociale, offrendo ogni giorno gli strumenti per conoscere e comprendere la società. Rispetto a questo obiettivo le indagini sugli utenti e un certo modo di sapersi comunicare al mondo saranno fondamentali: un approfondimento della metodologia della ricerca sociale e delle scienze della comunicazione potrebbero essere davvero decisive.
È pur vero che non è possibile pensare che i bibliotecari possano e debbano saper far tutto: non dovranno improvvisarsi sociologi o psicologi ma, avendo acquisito una certa sensibilità, potranno per esempio porsi nell'ottica di una proficua collaborazione con altre figure professionali e fare squadra. Il cambiamento di paradigma di cui abbiamo parlato porta con sé l'apertura ad altri ambiti disciplinari e necessariamente anche alla collaborazione con diverse professionalità. Per esempio è possibile pensare di costruire alleanze con altri professionisti, per i quali la biblioteca, nella sua dimensione sociale, può rappresentare un oggetto di studio interessante [33].
Se dunque non ci mancano gli strumenti di analisi, il tassello sul quale dovremo lavorare è l'affermarsi di una mentalità nuova: sempre più centrale sarà, infatti, la capacità di saper intravedere relazioni tra ambiti differenti e apparentemente difficili da assimilare, così da saper porre le domande giuste utilizzando di volta in volta i vari strumenti a disposizione. Sempre più strategica sarà la possibilità di fare squadra e stabilire contatti e sinergie.
Senza persone disposte ad affrontare questo tipo di cambiamento di mentalità il progetto della biblioteconomia sociale rischia di rimanere vuoto. Naturalmente non è facile superare tutti i condizionamenti burocratici e amministrativi che fare le cose richiede, dovremo essere bravi a creare nuove abitudini, nuovi comportamenti che sostengano nuove aspirazioni.
Rispetto al bagaglio di competenze e al ruolo futuro dei bibliotecari, un aspetto determinante sul quale investire risorse ed energie è certamente la comunicazione, strumento indispensabile per provare a colmare quel gap percettivo che rende ancora le biblioteche e il lavoro dei bibliotecari ignoti o comunque solo parzialmente conosciuti a una parte considerevole delle comunità di riferimento e della società nel suo complesso.
Del resto, come ci fa notare David Lankes [34], siamo noi ad essere remoti rispetto ai membri delle nostre comunità e non viceversa, e una volta preso atto della rivoluzione che la dimensione "onlife" produce [35] (avere tutto esattamente dove lo vogliamo, senza doverci muovere fisicamente, a meno che non decidiamo di farlo per motivi diversi dalla necessità), risulta evidente che sono i bibliotecari a dover andare verso le loro comunità (in senso fisico e virtuale).
Questo significa che bibliotecari e biblioteche non devono operare come un canale parallelo o alternativo, ma devono piuttosto rendersi presenti con le loro competenze nei contesti dove si svolgono le conversazioni e dove si realizza il processo conoscitivo e di apprendimento per supportarlo con gli strumenti che gli sono propri. Se apprendere significa capacità di accedere e usare le informazioni in modo significativo e rispondente ai propri obiettivi conoscitivi, e se è vero che oggi il bagaglio di competenze e gli strumenti acquisiti nel percorso formale di studi invecchiano molto più rapidamente che in passato, ponendo dunque la necessità di un aggiornamento costante attraverso canali formali e informali, alle biblioteche e ai bibliotecari si aprono ampie possibilità di mantenersi rilevanti nell'ambito dell'information e della digital literacy. Ciò presuppone però che le persone decidano di lasciarci partecipare ai loro processi di apprendimento.
Di fronte a questo scenario pieno di opportunità e anche di rischi per le biblioteche restano aperti grandi interrogativi rispetto alla natura e ai contenuti della conoscenza e dell'apprendimento nella società contemporanea, dal momento che è essenziale capire se, all'interno di questo orizzonte, esiste uno specifico dominio che è possibile attribuire a bibliotecari e biblioteche [36].
All'interno di un quadro complessivo le cui prospettive sono difficilmente predicibili, i suggerimenti che oggi si possono dare ai bibliotecari hanno in buona parte a che fare con l'apertura al mondo esterno e a quanto in esso si muove, dal momento che asserragliarsi nel proprio "orticello" non sembra essere in ogni caso - anche solo per le normali leggi dell'evoluzione - un atteggiamento produttivo e vincente, e tanto meno lo è oggi in un'epoca dominata dalla caduta dei confini.
Per la biblioteconomia diventa dunque essenziale aprirsi all'interdisciplinarità, il che significa per i biblioteconomi e i bibliotecari essere in grado di parlare con quelle altre professionalità che per motivi diversi incrociano i nostri interessi: dagli informatici agli architetti, dagli archivisti agli psicologi, dai sociologi agli statistici.
Alle biblioteche si impone invece un ripensamento delle tipologie bibliotecarie, che accolga il principio dell'ibridazione e della trasversalità di alcune funzioni, accanto all'identificazione e al riconoscimento delle necessarie complementarietà. Le biblioteche - che per decenni hanno vissuto dentro gli steccati della propria appartenenza tipologica ovvero delle strutture di cooperazione territoriale - devono "fare rete" con tutti i soggetti che gli sono affini: altre biblioteche, altre istituzioni, iniziative online, progetti di gruppi di interesse fisici e virtuali, entrando così a far parte di comunità più ampie nelle quali fare la propria parte.
La frammentazione estrema che ancora oggi si riconosce all'interno del mondo delle biblioteche - spesso prodotta dagli stessi bibliotecari, altre volte alimentata dalla disorganizzazione o dalle spinte centripete provenienti dall'esterno - è una delle principali cause della loro progressiva marginalizzazione e dell'inevitabile inconsistenza dei progetti portati avanti nel quasi totale isolamento. Nella rete funziona chi mette in comune, mentre nelle biblioteche si continua a curare il proprio giardinetto, sempre che non lo si abbandoni addirittura alle intemperie [37].
La spinta irresistibile al fare da soli e l'impagabile autonomia che deriva dalla scelta di non doversi confrontare sono ovviamente difficili da superare, ma uno sforzo da parte delle biblioteche a individuare i contesti e i soggetti con i quali sia possibile realizzare un gioco win-win è quantomeno dovuto. Forme di collaborazione nelle quali i soggetti in gioco possano fare i propri interessi rafforzandosi reciprocamente sono non solo possibili, ma anche sempre più probabili nel contesto iperconnesso nel quale viviamo. Si tratta solo di andarle a cercare.
La biblioteconomia sociale sembra suggerirci la necessità costante di cambiare e di adattarci al contesto. Indubbiamente la storia dimostra che solo i soggetti più capaci di adattamento sopravvivono. Non si deve però dimenticare che il mondo - tanto più oggigiorno - cambia in fretta e che l'andamento è spesso ciclico. E dunque è importante non inseguire il cambiamento per il cambiamento, ma essere sempre consapevoli delle proprie prerogative e specificità per riconoscere le effettive necessità di adattamento al contesto e di inserimento al suo interno.
In un momento di grande fluidità come è quello che viviamo i bibliotecari devono avere l'umiltà di accettare che la loro posizione attuale non li rende dei trend setters, in quanto si muovono ormai alla periferia del cosiddetto "docuverso" (secondo la definizione di Ted Nelson) e non ne costituiscono più il cuore pulsante. Sta però alla loro intelligenza e fa parte delle loro competenze la capacità di riconoscere le linee di tendenza per non lasciarsele sfuggire e farne parte attivamente tutte le volte che sono affini all'identità della professione e delle biblioteche.
Al termine di questo percorso che è partito dall'analisi del contesto per arrivare alla biblioteconomia e infine alle biblioteche, la domanda cruciale è forse la più banale, ma anche la più difficile a cui rispondere: spogliata di tutti gli strumenti e le configurazioni che essa ha assunto nel tempo in risposta ai modi di produzione e trasmissione della conoscenza, che cos'è la biblioteca nel suo nucleo essenziale [38]? E di conseguenza, quale funzione - se ce n'è una - resta valida tuttora e resterà valida anche quando niente della forma e della sostanza che hanno caratterizzato fin qui le biblioteche sarà rimasto in piedi? E a quel punto di cosa si occuperà la biblioteconomia?
Chiara Faggiolani, e-mail chiara.faggiolani@gmail.com
Anna Galluzzi, e-mail anna.galluzzi@gmail.com
[1] Le autrici condividono la responsabilità della stesura dell'intero articolo; nello specifico, Chiara Faggiolani è l'autrice dei paragrafi 2, 3.1, 4.1, mentre Anna Galluzzi ha scritto i paragrafi 1, 3.2, 4.2, 4.3, 5.
[2] Di buona parte di questi fenomeni si è parlato più diffusamente in Anna Galluzzi, Biblioteche pubbliche tra crisi del welfare e beni comuni della conoscenza. Rischi e opportunità, "Bibliotime", 14 (2011), 3, https://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiv-3/galluzzi.htm.
[3] In particolare si veda il volume pubblicato in open access contenente non solo il manifesto ma anche commentari e saggi dei partecipanti al gruppo di lavoro coordinato da Luciano Floridi: The Onlife Manifesto. Being human in a hyper connected era, Luciano Floridi editor, Heidelberg [etc.], Springer, 2015, consultabile su < http://download.springer.com/static/pdf/470/bok%253A978-3-319-04093-6.pdf?auth66=1420711995_65031ea9dfbcb89e8d8e158c4d0a077a&ext=.pdf >.
[4] Per un riepilogo del dibattito si veda Anna Galluzzi, Che ne sarà dell'impero bibliotecario?, "AIB Studi", 52 (2012), 3, p. 363-372, < http://aibstudi.aib.it/article/view/8654/7962>.
[5] Cfr. Alison J. Pickard, La ricerca in biblioteca: come migliorare i servizi attraverso gli studi sull'utenza, Milano, Editrice Bibliografica, 2010; Chiara Faggiolani, La ricerca qualitativa per le biblioteche. Verso la biblioteconomia sociale, Milano, Editrice Bibliografica, 2012.
[6] Cfr. Quanto valgono le biblioteche pubbliche? Analisi della struttura e dei servizi delle biblioteche di base in Italia. Rapporto finale della ricerca "Efficienza e qualità dei servizi nelle biblioteche di base", condotta dalla Commissione nazionale AIB "Biblioteche pubbliche" e dal Gruppo di lavoro "Gestione e valutazione". Coordinamento del gruppo e direzione della ricerca: Giovanni Solimine; gruppo di lavoro: Sergio Conti, Dario D'Alessandro, Raffaele De Magistris, Pasquale Mascia, Vincenzo Santoro, Roma, AIB, 1994.
[7] Giovanni Di Domenico, Progettare la user satisfaction: come la biblioteca efficace gestisce gli aspetti immateriali del servizio, in "Biblioteche oggi", 14 (1996), 9, p. 52-65.
[8] Cfr. Giovanni Di Domenico, L'impatto delle biblioteche accademiche: un progetto e un seminario, Roma, AIB, 2014; Id., L'impatto delle biblioteche pubbliche: obiettivi, modelli e risultati di un progetto valutativo, Roma, AIB, 2012.
[9] Cfr. Giampaolo Fabris, Societing. Il marketing nella società postmoderna, Milano, EGEA-Università Bocconi, 2009.
[10] Cfr. Vincenzo Russo, Processi di costruzione del significato: il sistema cognitivo, in Psicologia del consumatore. Consumi e costruzioni del significato, a cura di Giovanni Siri, Milano, Mc Graw-Hill, 2004, p. 3-63.
[11] Cfr. Chiara Faggiolani, L'identità percepita: applicare la Grounded Theory in biblioteca, "JLIS", 2 (2011), 1.
[12] Per una definizione di ricerca qualitativa si veda Handbook of Qualitative Research, a cura di Norman K. Denzin, Yvonna S. Lincoln, 2a edizione aggiornata e ampliata, Thousand Oaks, London, 2000.
[13] Cfr. Mario Cardano, La ricerca qualitativa, Bologna, Il Mulino, 2011; Piergiorgio Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Vol. 3: Le tecniche qualitative, Bologna, il Mulino, 2003.
[14] Cfr. Maurizio Vivarelli, Specie di spazi. Alcune riflessioni su osservazione e interpretazione della biblioteca pubblica contemporanea, "AIB Studi", 54 (2014), 2/3.
[15] Cfr. Sara Chiessi, Il welfare è morto viva il welfare! Biblioteche pubbliche tra welfare e valore sociale, "AIB Studi", 53 (2013), 3; Chiara Faggiolani - Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare. Verso la biblioteconomia sociale, Biblioteche Oggi", 31 (2013), n. 3, p. 15-20; Anna Galluzzi, Biblioteche pubbliche tra crisi del welfare e beni comuni della conoscenza. Rischi e opportunità, "Bibliotime", 14 (2011), 3, < http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-xiv-3/galluzzi.htm >; Cfr. Antonella Agnoli, Caro Sindaco parliamo di biblioteche. Milano: Editrice Bibliografica, 2011.
[16] A titolo esemplificativo si vedano Anna Galluzzi, Libraries and public perception. A comparative analysis of the European Press, Oxford, Chandos Publishing, 2014; Chiara Faggiolani, Posizionamento e missione della biblioteca. Un'indagine su quattro biblioteche del Sistema bibliotecario comunale di Perugia, Roma, AIB, 2013.
[17] Cfr. Paolo Traniello, Biblioteche e società, Bologna, Il Mulino, 2005. Si veda anche Giovanni Di Domenico, Biblioteconomia e culture organizzative, Milano, Editrice Bibliografica, 2010, p. 13-34.
[18] Cfr. Giovanni Di Domenico, Conoscenza, cittadinanza, sviluppo: appunti sulla biblioteca pubblica come servizio sociale, "AIB Studi", 53 (2013), 1, p. 13-25, <http://aibstudi.aib.it/article/view/8875>.
[19] Cfr. Giovanni Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica, "AIB Studi", 53 (2013), 3.
[20] Si veda a titolo esemplificativo il ruolo sociale descritto dal rapporto indipendente sulle biblioteche pubbliche del Ministero della Cultura, dei media e dello sport del Regno Unito pubblicato lo scorso dicembre 2014, online su < https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/388989/Independent_Library_Report-_18_December.pdf >.
[21] La biblioteconomia italiana secondo la classificazione in SSD (settori scientifici disciplinari) del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca - alla quale fa riferimento la normativa universitaria sia per le selezioni di ricercatori e professori, sia per la costruzione dell'offerta formativa - fa parte degli studi storici (area CUN 11) e non delle scienze sociali (area CUN 14).
[22] Cfr. Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1979.
[23] Questi temi sono stati già discussi in Chiara Faggiolani - Giovanni Solimine, cit.
[24] Cfr. Gestire il cambiamento, a cura di Giovanni Solimine, Milano, Editrice Bibliografica, 2003; Giovanni Di Domenico - Michele Rosco, Comunicazione e marketing della biblioteca. La prospettiva del cambiamento per la gestione efficace dei servizi, Milano, Editrice Bibliografica, 1998.
[25] Anna Galluzzi, Biblioteche per la città. Nuove prospettive di un servizio pubblico, Roma, Carocci, 2009.
[26] Antonella Agnoli, La biblioteca che vorrei. Spazi, creatività, partecipazione, Milano, Editrice Bibliografica, 2014.
[27] L'impatto delle biblioteche accademiche: un progetto e un seminario, a cura di Giovanni Di Domenico, Roma, AIB, 2014.
[28] Chiara Faggiolani, La ricerca qualitativa per le biblioteche, cit.
[29] Cfr. par. 1.
[30] Cfr. The Onlife Manifesto, cit.
[31] Anna Galluzzi, Libraries and public perception, cit.
[32] R. David Lankes, The atlas of new librarianship, Cambridge, MA, MIT, 2011.
[33] A testimonianza di quanto la biblioteca nella sua dimensione sociale possa rappresentare un oggetto di studio molto interessante per altre figure professionali si veda l'indagine condotta dal sociologo Costantino Cipolla tra la fine del 1974 e i primi mesi del 1975 sulle biblioteche della provincia di Mantova. Cfr. Costantino Cipolla, Biblioteca ed ambiente sociale. Analisi delle strutture bibliotecarie nella provincia di Mantova, in "La ricerca sociale", (1976), 14, p. 82. Un altro interessante esempio è la recente indagine condotta da un gruppo di ricerca coordinato dalla psicologa Rosa Maria Paniccia sulle biblioteche comunali romane: cfr. Rosa Maria Paniccia - Cecilia Sesto, Una ricerca-intervento con le Biblioteche Comunali Romane come luogo di convivenza nella città: Attese di Bibliotecari e Clienti a confronto, online su < https://www.academia.edu/8334245/A_research_-_intervention_wit_h_the_Municipal_Libraries_of_Rome_as_a_place_of_social_coexistence_in_the_city_Librarians_and_clients_expectations_in_comparison >.
[34] Ibid.
[35] Cfr. The Onlife Manifesto, cit.
[36] Interessanti i lavori di Marcia Bates sulla collocazione disciplinare di scienza dell'informazione e biblioteconomia: Marcia Bates,The invisible substrate of information science, "Journal of the American Society for Information Science", 50 (1999), 12, p. 1043-1050, <http://pages.gseis.ucla.edu/faculty/bates/substrate.html>; I.,Defining the information disciplines in encyclopedia development. "Information Research", 12 (4), paper colis 29, < http://InformationR.net/ir/12-4/colis/colis29.html>.
[37] Su questi temi si suggerisce la lettura del post di Andrea Zanni, Costruire comunità, e del dibattito che ne è scaturito: < http://aubreymcfato.com/2015/01/01/costruire-comunita/>.
[38] Questa domanda ha posto recentemente sul suo blog lo stesso David Lankes: <http://quartz.syr.edu/blog/?page_id=6442>, proponendo sia un'introduzione che una conversazione sul tema e suscitando così un ampio dibattito nei commenti.