La gestione dei diritti lungo le vie dell'accesso aperto: prospettive a dieci anni di distanza
Almost nothing has changed in the management of the rights of the open access after the event that created the first Italian unit Open Access (OA) ten years ago (after signing the Messina's Declaration). But let us not look at the past, it is better to look forward and change the lack of awareness on an aspect of extraordinary relevance, not only in terms of management of the research intellectual capital, but also in economic terms. How can copyright encourage the stream of information in the chain of scientific communication? This is the key question of the discussion about Open Access. Moral and economic rights are two sides of the same coin. The moral rights are based on the concept of 'reputation', the creation of a reputational position in a defined field of knowledge, through traditional quotations or through alternative metrics in the social communities online, can bring benefits in terms of carrier, employment or promotion, financing or attendance in projects. The free stream of data and information, useful for the impact of a research, also in the social field, is blocked in case of signing of editorial contracts with copyright transfer. On the side of the 'economic rights' or rights to exploit the paper, the theoretical model, which is at the bottom of the mechanism of the author's remuneration (royalties' payment) in the academic field, is twisted as the authors are not paid for their papers. That does not mean that the part concerning the economic rights is not as important for the academic authors. If these rights are turned down, the author can no longer use the paper for the different following actions that may concern research, teaching or even its simple distribution. The management of embargoes and consequently the problem of copies or versioning, is unfortunately underestimated and strictly combined to copyright. It is not always clear to the authors if it is possible to deposit with open access in full-text: in which contexts (personal website? institutional / disciplinary storage? Social web) and when the paper can be freely distributed.
Dichiarazione di Messina 2.0: la via italiana all'accesso aperto. Celebrazione del decennale della Dichiarazione di Messina. Messina, 4 novembre 2014 - Aula Magna
A dieci anni di distanza dall'evento che ha dato origine al primo nucleo italiano Open Access (OA) - con la sottoscrizione della Dichiarazione di Messina - cosa è cambiato nella gestione dei diritti di proprietà intellettuale lungo le vie dell'accesso aperto? Poco o niente, ma non volgiamo lo sguardo indietro al passato, meglio guardare avanti e pensare a come porre rimedio alla mancanza cronica di consapevolezza su un aspetto di straordinaria rilevanza non solo in termini di gestione del capitale intellettuale di ricerca, ma anche in termini economici.
Il progresso scientifico e tecnologico dipende dal controllo dei diritti di proprietà intellettuale nella ricerca, una delle zone chiave dove gli scienziati hanno ceduto da tempo agli editori il controllo del loro sistema di comunicazione.
Il copyright scientifico deve essere gestito. Il 90% delle produzioni intellettuali generate dal sistema ricerca internazionale è chiuso entro piattaforme editoriali con accesso a pagamento. I margini di profitto detenuti attualmente dagli editori commerciali sfiora anche il 50%, e questi sono soldi provenienti dalla ricerca pubblica che, se trattenuti dalle stesse istituzioni, potrebbero essere un utile investimento alla ricerca. Ecco perché la gestione del copyright è prioritaria, è una questione non solo legale, ma soprattutto economica.
Ad alcune domande che gli autori si pongono è possibile fornire delle risposte chiare. I bibliotecari dovrebbero sapere fornire entro le loro quotidiane attività un supporto al deposito di paper negli archivi istituzionali, e prima ancora un riferimento a come negoziare i propri diritti con gli editori. Questo intervento vuole essere una semplice guida a supporto di quanti operano nella gestione di archivi istituzionali a diretto contatto con dottorandi e autori.
Nell'accezione generalista con il termine "copyright" intendiamo anche il "diritto d'autore", per quanto giuridicamente il copyright è il sistema normativo anglosassone, mentre il diritto d'autore è un regime di diritti di proprietà intellettuale artistica e letteraria che vige in quasi tutti i paesi europei.
Il copyright è generalmente composto di due componenti: diritti morali e diritti economici.
Come sottolineato da alcuni studiosi - e in primo luogo da Martin Eve [1] - i diritti morali si basano sul concetto di "reputazione". Come per le economie simboliche descritte da Pierre Bourdieu, i diritti morali hanno una funzione economica, in quanto sono designati per consentire a un autore di accumulare forme di capitale - sociali, simboliche o culturali - intercambiabili sia tra loro sia, in qualche modo, anche con il capitale materiale (soldi).
Ad esempio, nel caso di autori accademici, la creazione di un posizionamento reputazionale in un determinato campo del sapere, attraverso le citazioni (tradizionali o via metriche alternative) entro le comunità sociali di rete, può portare benefici in termini di carriera, assunzioni o promozioni, o di finanziamento o di partecipazione a progetti. In tal caso vi è un vero e proprio ritorno materiale da una forma reputazionale di tipo morale, che altrimenti rimarrebbe puramente "simbolica", a una forma concreta riconducibile alla sfera economica.
Sul versante dei "diritti economici" o diritti di sfruttamento dell'opera, il modello teorico che sta alla base del meccanismo di remunerazione dell'autore (pagamento di royalties) nell'ambiente accademico è un modello distorto, in quanto gli autori non vengono remunerati per le loro opere. Ciò non significa che la parte che concerne i diritti economici - disegnata normativamente oltre due secoli fa per dare un monopolio limitato nel tempo ai produttori di contenuti in modo che potessero materialmente beneficiare del lavoro mentale "investito" nella creazione di "proprietà intellettuale" - non sia altrettanto importante per gli autori accademici. Di fatto, se si cedono questi diritti poi non è più possibile per l'autore riutilizzare l'opera per innumerevoli successive azioni che possono riguardare la ricerca o la didattica o anche la semplice disseminazione dell'opera ai fini di un suo impatto entro le comunità.
Questa è una tipica domanda che l'autore pone e si pone. I diritti sono sempre dell'autore, ma se vengono ceduti in modo esclusivo… pur mantenendo il diritto morale, si perdono i diritti economici alla base di ogni riuso futuro del proprio lavoro.
Gli editori richiedono agli autori di trasferire, spesso in modo esclusivo, tutti i loro diritti come parte del contratto editoriale. In questo caso gli autori, a seguito della cessione dei propri diritti, sono costretti a dover chiedere permesso e spesso anche a pagare per spedire una copia del lavoro ai loro colleghi, o per distribuire copie alla classe o per includere il proprio lavoro in un corso, per collocarlo sul proprio sito Web, o anche solo per aggiornare una versione precedente.
Le decisioni riguardanti l'utilizzo del lavoro, come la distribuzione, le fotocopie, l'accesso, il prezzo, gli aggiornamenti ed ogni restrizione all'uso appartengono al titolare del copyright.
Gli autori che abbiano trasferito il copyright senza considerare i propri diritti potrebbero non essere in grado di pubblicare il proprio lavoro su siti Web didattici, del dipartimento o di ateneo, di riprodurlo per i propri studenti o per i colleghi, di depositare l'opera in un archivio ad accesso aperto, o di utilizzare parti del proprio articolo in lavori successivi. Ecco perché è importante conservare i diritti, si tratta di una necessità.
L'editore non ha necessità di richiedere il © per pubblicare, ma quasi tutti lo fanno:
I contratti © Transfer Agreements inibiscono in vari modi non solo i processi di self-archiving, ma ogni genere di riulizzo per scopi didattici o di ricerca. Il momento in cui avviene il trasferimento dei diritti può creare ulteriori blocchi:
In realtà l'81% degli editori non offre agli autori sostanziali strumenti per far valere i diritti morali verso potenziali o reali violazioni da parte di altri soggetti. Gli autori invece necessitano del ©.
Vi sono due scuole di pensiero opposte [2]. La vicenda è nota ed è stata ampiamente trattata sul blog di Richard Poynder agli inizi del 2014, quando Elsevier inviò diffide a istituzioni accademiche e gestori di reti sociali per la rimozione delle versioni PDF finali editoriali non autorizzate di articoli scientifici, caricati nei siti web di università e nei repository di comunità sociali come Academia.edu.
In effetti il gigante editoriale ha usato quanto disposto dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA), una legge americana che permette ai detentori di copyright di richiedere la rimozione di qualsiasi opera pubblicata on-line senza il loro permesso, e quindi di richiedere ai singoli scienziati di eliminare dai loro siti web, ed in particolare dalle reti sociali, gli articoli pubblicati nelle riviste. L'azione suscitò un vero e proprio vespaio: da Twitter partì una campagna di denuncia che fece il giro del globo. Va ricordato che poco tempo prima Elsevier aveva comperato Mendeley, un social network concorrente a Academia.edu, di cui uno dei primi investitori fu il giornalista e politico oltre che ex Governatore della Banca d'Inghilterra Rupert Pennant-Rea, presidente del gruppo The Economist.
Poco dopo The Economist ha pubblicato un articolo dall'eloquente titolo "Vietato sbirciare", dove si denuncia il comportamento rigido e autoritario di Elsevier.
A seguito di queste discussioni Kevin Smith, responsabile della comunicazione scientifica alla statunitense Duke University, pubblica sul suo blog un provocatorio post sulla questione del trasferimento del copyright in relazione alla versione del lavoro di ricerca, sfidando l'assunto - fortemente sostenuto da tutta la comunità OA – che pone il momento del trasferimento del copyright quale asticella tra ciò che sta prima (diritti dell'autore) e ciò che sta dopo (diritti dell'editore). In altri termini la comunità OA sostiene che quando gli studiosi trasferiscono il copyright dei loro articoli lo trasferiscono solo per la versione finale editoriale.
Questa tesi è supportata anche da uno dei massimi esperti di copyright e di editoria elettronica del Regno Unito, oltre che professore di biblioteconomia e scienze dell'informazione all'Università di Loughborough, e cioè Charles Oppenheim, il quale ritiene che le ragioni dei sostenitori OA siano più che corrette. Oppenheim, è convinto che – sulla base al diritto del Regno Unito e dell'Unione Europea – quando un autore firma un trasferimento di copyright con contratto editoriale siano trasferiti solo i diritti della versione finale del documento, e che gli autori mantengano i diritti di tutte le versioni precedenti del loro lavoro, compresi, oltre ai preprint, i post-print dopo peer-review e le versioni manoscritte d'autore accettate (AAM). Essi sono quindi liberi di pubblicare tutte le versioni precedenti dei loro documenti sul web.
Secondo la visione opposta di Smith invece "ogni versione è una revisione dell'originale, e il diritto d'autore è lo stesso per tutti questi derivati. Quando il copyright è trasferito a un editore, tutti i diritti dell'intero insieme di versioni, in quanto derivate una dall'altra, sono inclusi nel trasferimento". Gli autori non sarebbero perciò autorizzati a usare nemmeno i loro postprint, perché i diritti di utilizzo di tali versioni da parte dell'autore non rientrerebbero nel contratto di trasferimento. In effetti – ad avvalorare questa tesi – è quanto dichiarato nei siti di numerosi editori, laddove appunto il periodo di embargo agisce proprio su quelle version,i e non sulla versione PDF finale editoriale che resta sempre e comunque di proprietà (e sul sito) dell'editore.
In altri termini un autore è autorizzato a usare il suo postprint solo se ha incluso nel contratto il diritto di farlo, in situazioni specifiche, o concessogli in licenza, di ritorno, come parte dell'accordo di pubblicazione on in un addendum al contratto. Certo, se questa ipotesi teorica è corretta, vi sarebbero pesanti implicazioni per la via verde dell'Open Access, anche perché in tale ipotesi gli editori avrebbero un maggiore controllo sui processi di auto-archiviazione, un controllo molto maggiore di quanto i sostenitori dell'OA suppongano o diano per scontato.
Attraverso la sottoscrizione del contratto editoriale e il conseguente trasferimento di copyright, tutti i diritti che l'autore può mantenere per sé devono essere indicati in specifiche clausole contrattuali. Solitamente questi accordi prevedono la cessione di tutti i diritti all'editore, con possibilità per l'autore di poter fare ben poco con il suo lavoro. Qualche volta, ma non sempre, è consentito all'autore di utilizzare la versione pre-referata (quella sottoposta alla rivista) o la post-print (nel senso di post peer-review), ma si tratta sempre di autorizzazioni limitate. Ad esempio, molti editori consentono la pubblicazione di queste versioni ma su siti definiti, di solito un sito personale o archivio istituzionale, e spesso rispettando un certo periodo di tempo, detto embargo, tra la pubblicazione sul sito dell'editore e il deposito in accesso aperto. Tali restrizioni non avrebbero senso se l'autore mantenesse realmente una sorta di diritto d'autore nelle versioni precedenti.
Una lezione importante da imparare da questo dibattito generato dall'articolo dell'Economist è che i contratti di pubblicazione sono estremamente importanti, perché determinano tutto ciò che un autore può fare o meno con il proprio lavoro in futuro. Per molti studiosi la sottoscrizione di tali accordi è una pessima idea. Le clausole del contratto dovrebbero essere negoziate, o meglio dovrebbero essere usate licenze a pubblicare, che permettono all'autore di mantenere i propri diritti o che prevedano che i diritti concessi in licenza all'autore siano abbastanza ampi e sufficientemente flessibili da consentire all'autore tutti i futuri riusi. Prima del trasferimento l'autore ha buone possibilità di negoziare tali accordi, ma una volta ceduti i diritti, le possibilità sono pari a zero. Quindi è fondamentale prestare attenzione al contratto stesso e non fare affidamento sul falso senso di sicurezza basato equivoci di fondo e su idee sbagliate che si hanno su come funziona il copyright.
Una lezione utile da imparare da questa situazione è che il versioning su di un articolo è qualche cosa di artificiale, un artificio costruito attorno all'articolo dagli editori per poter giustificare e reclamare un valore aggiunto sostanziale sulla versione finale pubblicata, valore che può esserci o meno, a seconda dell'articolo e dell'editore. Un altro vantaggio di mercato che gli editori ottengono da questa distinzione fittizia tra versioni da loro costruita è la possibilità di affermare che così supportano i diritti degli autori nel riuso di articoli per promuoverne un migliore accesso ai fini dell'impatto. Di fatto è un pretesto perché l'intricata rete di versioni consente all'editore di "schiaffeggiare l'autore" tutte le volte che usa il proprio articolo in modo non approvato dall'editore.
Da un'indagine effettuata dal JISC, congiuntamente ai servizi bibliotecari della LSE (London School of Economics and Political Sciences), non è sempre chiaro agli autori quale versione del paper (destinato alla pubblicazione in riviste accademiche con peer-review) sia possibile depositare ad accesso aperto in full-text. Non è nemmeno chiaro in quali contesti (sito web personale? archivio istituzionale? archivio disciplinare? portale? rete sociale tipo Researchgate o Academia.edu?) e in che momento il paper può essere liberamente diffuso.
Da un tipico progetto di ricerca, il 59 % degli autori produce quattro o più differenti tipologie di produzioni intellettuali di ricerca: report, working paper, capitolo di libro, relazione o presentazione a convegno, articolo di periodico. Per ciascuna tipologia gli autori producono e archiviano numerose versioni, generando il problema della copia. A complicare il quadro del versioning intervengono anche gli aspetti relazionali di coautori che afferiscono a differenti istituzioni e che possono depositare in luoghi differenti altrettante differenti versioni (fino a decine e decine), creando problemi di frammentazione in termini di analisi citazionale e conseguente impatto. Diviene oltremodo importante definire a livello di policy quale versione depositare in IR e pensare a infrastrutture che operino con ID permanenti.
Dalla stessa indagine è emerso che autori che hanno letto una prima versione di un paper che successivamente è stato pubblicato, citano prevalentemente la versione pubblicata.
Un gruppo di lavoro tecnico NISO (National Information Standards Organization) ha avviato una partnership con l'ALPSP (Association of Learned and Professional Society Publishers) per riunire bibliotecari, esperti dei sistemi editoriali e delle comunità di utenti per esaminare i problemi connessi con la proliferazione di diverse versioni di un articolo, al fine di fornire un modo semplice e pratico di descrivere le versioni di articoli di periodici accademici (VAP) che di solito compaiono in rete prima, durante e dopo la pubblicazione ufficiale su rivista.
I ricercatori, i loro enti di appartenenza, le riviste e gli editori stanno rapidamente smettendo di utilizzare solo copie statiche e uniche dei documenti di ricerca, che sono essenzialmente "immagini" di un documento stampato. I cambiamenti nel modo di creare, modificare, distribuire, convalidare, pubblicare, trovare, utilizzare e aggiornare gli articoli stanno producendo versioni multiple il cui stato e la cui provenienza sono spesso poco chiare. La possibilità di fare ricerche in rete ora consente di trovare più versioni, ma chiarisce raramente quali sono i rapporti tra le stesse.
Non si tratta semplicemente di un problema per le riviste stesse. Gli archivi (repository) desiderano fornire una documentazione autorevole del lavoro dei propri docenti; le biblioteche vogliono offrire "le copie più adatte" per i diversi utenti, i lettori devono sapere ciò che è stato sottoposto a revisione paritaria (peer-reviewed); e gli autori possono voler aggiornare il loro lavoro e controllare che sia utilizzata la versione più recente.
Rappresentazione grafica delle Versioni di articoli di periodici e dei Rapporti con la letteratura grigia e ufficiale;
Ipotesi, sfide principali, e procedure consigliate. NISO RP-8-2008 Versioni di articoli di periodici (VAP): consigli del gruppo di lavoro tecnico JAV (VAP) di NISO/ALPSP
Sì, è possibile e si può fare in molti modi:
Molti editori consentono agli autori di rendere disponibili i propri articoli su un sito web personale o in un sito dipartimentale. Consentendo questa operazione, essi fanno una chiara distinzione tra questo tipo si sito web e gli archivi istituzionali/di ricerca che nell'accordo non possono essere considerati alla stressa stregua, in particolare se si tratta di archivi disciplinari. Se un accordo consente una qualche forma di deposito, può anche indicare quale tipo di versione del documento è consentito depositare Se nell'accordo è proibito depositare in un archivio aperto, provare a scrivere all'editore per vedere se nel frattempo la politica è cambiata.
Ci sono due tipi di accordo per la pubblicazione di una ricerca scientifica: il contratto autore e la licenza utente. Le licenze poi possono essere esclusive o non esclusive. È bene proporre sempre una licenza non esclusiva, ed è sempre necessario stipulare un contratto o negoziare una licenza, ma non è obbligatorio trasferire tutti i diritti. Solitamente con il contratto di edizione - detto anche contratto autore - l'autore trasferisce all'editore i diritti in forma esclusiva, ma è sempre possibile proporre all'editore le seguenti alternative:
L'autore può anche garantire all'editore l'esclusività del copyright solo per la prima pubblicazione del materiale, e successivamente garantisce una licenza non esclusiva per altri usi per la durata del copyright in tutte le lingue e in tutti i media conosciuti.
È importante scegliere periodici, ovviamente peer-reviewed che adottino licenze non-esclusive con politiche che acconsentano il self-archiving, e quindi
È inoltre importante che gli autori comprendano come le licenze impattino sulla disseminazione delle loro pubblicazioni e sull'uso e riuso di articoli e dati delle loro ricerche.
Per gli articoli in periodici accessibili in abbonamento (chiusi), gli editori tradizionali richiedono un "trasferimento di copyright" a seguito del quale gli autori ritengono i diritti morali e una manciata (ma non sempre) di diritti di deposito con limitazioni nel riuso dei loro lavori. Dipende dal contratto che si è sottoscritto e ogni editore ne ha uno per ogni rivista.
Per gli articoli pubblicati in Open Access o "liberati" a seguito di pagamento APC (Article Processing Charge), che varia da 500 a 5000 dollari a seconda della rivista, l'editore usa un contratto di licenza, spesso di tipo esclusivo se è editore tradizionale, non solo per riviste ibride, ma anche per i programmi editoriali OA come quello di Elsevier [3].
L'autore spesso non sa che le leggi sul copyright gli riconoscono la proprietà esclusiva dei diritti, morali ed economici, diritti quest'ultimi che includono:
Questi diritti possono essere tutti o in parte trasferiti ad altri, ma è bene piuttosto trattenere la proprietà di alcuni diritti (non cedendoli tutti), o attraverso una licenza non esclusiva, o modificando il contratto autore-editore, o facendo sottoscrivere all'editore un'addendum al contratto tradizionale, come spiegheremo meglio in seguito. Ci sono una serie di piccoli/grandi passi che un autore può fare:
Un gran numero di informazioni per gli autori su come mantenere il copyright, compreso un esempio di licenza per la pubblicazione, e formulazioni alternative consigliate, sono disponibili nei seguenti siti:
<http://paduaresearch.cab.unipd.it/politiche_copyright.html>.
In sintesi: indipendentemente dal trasferimento del copyright, l'autore dovrebbe cercare di usare la proprietà intellettuale e tutti i diritti conseguenti, al fine di assicurare termini di licenze che promuovano sia l'accesso aperto sia l'utilizzo dei lavori pubblicati dagli editori. È bene ricordarsi però di concedere all'editore - anche su base non esclusiva - quei diritti che sono necessari affinché il lavoro possa essere indicizzato entro i servizi di indicizzazione (banche dati del settore) noti come servizi "A&I".
Antonella De Robbio, CAB Centro di Ateneo per le Biblioteche - Università degli Studi di Padova, e-mail: antonella.derobbio@unipd.it
[1] Curatore del noto blog <https://www.martineve.com> e autore del libro Open Access and the Humanities: Contexts, Controversies and the Future in pubblicazione a novembre 2014 dalla Cambridge University Press.
[2] <http://blogs.library.duke.edu/scholcomm/2014/01/28/setting-the-record-straight-about-elsevier/>; <http://poynder.blogspot.it/2014/02/guest-post-charles-oppenheim-on-who.html>; <http://www.economist.com/news/science-and-technology/21593408-publishing-giant-goes-after-authors-its-journals-papers-no-peeking>.
[3] <http://www.elsevier.com/about/open-access/open-access-policies/author-agreement>.