A recent paper by Paola Rescigno emphasizes the role of context provided by the whole collection of a museum, library or archive to determine the value of any object as a document. Indeed, collections are one of the relevant dimensions of knowledge organization together with users, individual documents, their epistemic perspective, and the phenomena they are about. Although any object can become a document as it is kept in a collection, there exist objects which have been created to be documents since their origin: these belong to an additional level of reality, that of cultural and intellectual products, including artifacts and mentefacts. Such level is acknowledged by ontology, the science of the kinds of existing entities. It is proposed that both documents and collections can be separated into two major categories, according to the absence or presence of an intentional communication of knowledge to other humans.
Nel suo ottimo articolo pubblicato su "Bibliotime" [1], Paola Rescigno riflette sul ruolo d'insieme della raccolta (archivio, biblioteca, museo) nel determinare il valore dei documenti che essa contiene: un testo, una statua o un reperto naturalistico acquistano un senso specifico, aggiuntivo rispetto a quello che avevano come oggetti autonomi, in quanto sono accostati ad altri documenti, e catalogati e presentati secondo un certo criterio.
Ruolo della raccolta che viene enfatizzato anche dai recenti scritti di Melanie Feinberg [2], nel riconoscere al curatore di una collezione (la biblioteca specializzata in un certo dominio, o quella di un privato) un ruolo autoriale: egli infatti, attraverso la scelta e l'ordinamento dei suoi documenti, afferma quella determinata prospettiva, esprime sé stesso attraverso l'intera raccolta. Ciò implicherebbe per Feinberg anche un'autorialità degli schemi di classificazione adottati dalla raccolta [3], anche se a questo proposito sembra opportuno distinguere tra le funzioni locali della collocazione (che può seguire del tutto o in parte una certa classificazione) e quelle più generalmente informative degli schemi di classificazione standard, destinati ad essere condivisi con altre raccolte, e non a caso registrati negli opac in un campo distinto da quello della collocazione, che invece appartiene ai metadati gestionali locali.
Entrambi gli studi vanno nella direzione di un giusto riconoscimento del contesto della collezione come una quarta dimensione dell'organizzazione della conoscenza, oltre alle tre classiche del fenomeno studiato, della prospettiva adottata e del supporto di registrazione [4]; ad essa se ne potrebbe aggiungere ancora una quinta: quella dell'utente, che della conoscenza così prodotta e raccolta farà un uso individuale, determinato dalla sua base culturale e dal suo interesse del momento, e quindi differente da quello di un altro utente della stessa raccolta. Un modello che è applicabile non soltanto alle concezioni consuete della biblioteconomia, ma più in generale a tutte le istituzioni della memoria, opportunamente considerate insieme da Rescigno e sempre più spesso accomunate nell'acronimo LAM (Libraries, Archives, Museums) [5], in quanto tutte in vario modo dedite alla fruizione di documenti [6].
E appunto il classico problema di come definire un "documento" viene interpretato da Rescigno, seguendo Ridi, alla luce della "potenza costitutiva" delle raccolte, con particolare riferimento a quei casi-limite di opere d'arte costituite da una ruota di bicicletta o una scatola di zuppa, che assumono il loro valore estetico solo in quanto conservate ed esposte in una raccolta; o agli oggetti che diventano documenti nel contesto attuale senza esserlo stati in precedenza, come un reperto archeologico o l'altrettanto classica antilope nello zoo di Suzanne Briet [7].
Il documento, allora, starebbe solo nell'interpretazione che qualcuno ne dà come tale. Una conclusione relativista, in linea col pensiero postmoderno dominante, che non lascia però del tutto soddisfatti e stimola ulteriori considerazioni. A permetterle può essere un altro fronte culturale, quello dell'ontologia, nel Novecento relegato quasi al silenzio ma ora in ripresa grazie al lavoro di filosofi come Nicolai Hartmann e, attualmente, Roberto Poli [8]. A monte delle sue applicazioni informatiche, l'ontologia è innanzitutto la branca della filosofia che si occupa della struttura del mondo, dei tipi di cose esistenti e delle loro categorie.
Uno dei contributi più significativi dell'ontologia sta nel riconoscimento che, in ciò che percepiamo come uno stesso oggetto, possono coesistere diversi livelli di realtà: in un essere umano, per esempio, sono presenti tanto un livello sociale (dato dalla sua storia culturale e le sue relazioni con altri uomini) quanto uno mentale (la sua esperienza psichica e le sue inclinazioni personali), uno organico (le cellule e le funzioni vitali che permettono la sua vita) e uno materiale (le molecole e gli atomi che lo formano); un uomo non si esaurisce onticamente in uno solo di questi livelli, ma li realizza al contempo tutti.
Riportando la nostra attenzione ai documenti, l'ontologia ci propone anche il riconoscimento di un livello dei prodotti culturali e intellettuali, quelli che Hartmann chiama lo "spirito oggettivato" e Popper il "Mondo 3". Il livello dei prodotti culturali - i manufatti, le opere d'arte e d'ingegno - ha infatti una propria esistenza indipendente, segue una storia svincolata da quella degli individui che li hanno partoriti, come risulta evidente per una piramide o una sinfonia. Questi oggetti evidentemente non constano soltanto di un livello materiale (la pietra di costruzione, le onde sonore), ma anche e specialmente di un autonomo livello culturale. Ed è esattamente quanto accade per quei documenti che siano nati come tali, che cioè siano stati prodotti fin dall'origine con la funzione di veicolare significati.
In questa prospettiva, il significato di un'opera d'arte o di una monografia non è tale soltanto occasionalmente, in quanto interpretata come tale o collocata nell'ambito di una raccolta documentaria: è invece la sua essenza stessa, la ragione per la quale è venuta in essere e senza la quale non ci sarebbe. La ruota di bicicletta e la scatola di zuppa sono documenti non come ruota o scatola, ma fin dall'inizio in quanto concepite come opere d'arte con un ruolo espressivo, e come tali presentate e discusse. Altre ruote e altre scatole non hanno in sé questo livello aggiuntivo, e per questo non avrebbe senso esporle in una raccolta artistica.
Naturalmente, vi sono invece altri oggetti che sono conservati ed esposti pur senza possedere questa natura espressiva originaria: l'antilope, il fossile, il frammento di vaso antico, e anche la lista della spesa di un personaggio storico (che seppur grafica non è nata come espressione pubblica) sono diventati documenti solo al momento di entrare nella raccolta.
Questo ci induce ad individuare due tipi assai diversi di documenti, aiutandoci a sciogliere meglio la storica ambiguità tra i diversi sensi della parola documento: (A) i "documenti" nati come tali - libri, statue, film, siti web -, che sono quelli solitamente discussi dalla teoria della documentazione; e (B) i "documenti" assunti come tali ai fini di un'indagine conoscitiva (una perizia giuridica, una ricerca scientifica, un'esposizione divulgativa). Solo per questi ultimi è corretto dire che a determinarne la natura di documento sia il contesto della raccolta. I documenti nativi, invece, mantengono sempre in sé la propria natura espressiva, che essa venga o meno interpretata in un particolare momento. Un libro contiene sempre sia il livello materiale che quello culturale, anche se viene usato da una persona non acculturata per accendere un fuoco. Non riconoscerlo, riducendo tutto a una questione di interpretazioni, significherebbe appiattirne la natura ontica.
Di conseguenza, anche le raccolte documentarie esistono in due tipi molto diversi [9]: quelle che conservano (almeno prevalentemente e come scopo principale) documenti portanti in sé fin dall'origine una propria natura espressiva, come le biblioteche o le gallerie e i musei d'arte; e quelle che conservano oggetti di altra natura, solo successivamente assunti quali veicoli di conoscenza, come i musei archeologici e naturalistici e gli archivi in cui sia conservata una lista della spesa. A permetterci questa distinzione è il riconoscimento dell'esistenza del livello culturale di realtà, che le filosofie materialiste e riduzioniste tendono a negare. In fin dei conti, l'alieno che osservando i documenti del tipo A non li riconosca come tali è... un alieno ignorante, nel senso che la sua conoscenza presente di quella cultura non gli basta a comprendere compiutamente la natura dell'oggetto, il che non significa che essa non esista.
Claudio Gnoli, ISKO Italia, e-mail: gnoli@aib.it
[1] Paola Rescigno, Archivi, biblioteche, musei: potenza costitutiva dei luoghi, "Bibliotime", 12 (2009), 3, <http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-xii-3/rescigno.htm>.
[2] Ad es. Melanie Feinberg, Two kinds of evidence. How information systems form rhetorical arguments, "Journal of documentation", 66 (2010), 4, p. 491–512.
[3] Si pensi all'originale Library of Avalon, dedicata all'occultismo e già presa ad esempio dal classificazionista Derek Langridge per il suo schema in cui tutti i soggetti sono collocati nella prospettiva dell'esoterismo, compresi: Astrology; Arthurian legend; fiction (SF, fantasy, historical and mythological); religions (comparative, Paganism, Wicca, Hinduism [...]); occult teachings; magic [...]; divination; Tarot; Runes; reincarnation; Qabala; UFOs; ESP; astral projection; channelling; clairvoyance; philosophy; psychology; prophecy; Earth mysteries; environmental issues; sustainable living; alternative technology. Cfr. <
http://libraryofavalon.org.uk/old-website/classification.htm>.[4] Claudio Gnoli, Metadata about what? Distinguishing between ontic, epistemic, and documental dimensions in knowledge organization, in Stabilité et dynamisme dans l'organisation des connaissances.
Actes de l'8e Colloque international de l'ISKO France, Lille, 27-28 Juin 2011, Hermès, in stampa. Ranganathan (Prolegomena to library classification, 3. ed., Bangalore, SRELS, 1967) ha descritto le stesse tre dimensioni come la "mente", la "lingua" e il "corpo" di un libro.[5] Ad es. Barbara Tillett, The bibliographic universe and the new IFLA cataloguing principles: lectio magistralis, Firenze, 14 March 2008, Firenze, Casalini, 2008.
[6] Riccardo Ridi, Il mondo dei documenti: cosa sono, come valutarli e organizzarli, Roma-Bari, Laterza, 2010.
[7] Suzanne Briet, Qu'est-ce que la documentation, Paris, EDIT, 1951; Michael Buckland, What is a "document"?, "Journal of the American society for information science", 48 (1997), 9, p. 804-809.
[8] Roberto Poli [et al.] eds., Theory and applications of ontology, 2 v., Springer, 2011.
[9] Ricordiamo qui la penetrante osservazione di Barbara Kyle (An examination of some of the problems involved in drafting general classifications and some proposals for their solution, "Review of documentation", 26 (1959), 1, p. 17-21: 19), per cui il fatto che un oggetto sia conservato in una biblioteca o in un museo dipende da fattori pratici più che dal suo contenuto. Infatti, molte biblioteche assumono contingentemente anche funzioni di archivio per raccolte di lettere o di fotografie inedite, laddove una raccolta di oggetti materiali tridimensionali è solitamente chiamata museo, che si tratti di documenti del tipo A o del tipo B.
Le pagine web sono state consultate il 3 novembre 2011.