AIB Notizie 10-11/2004
Contratti Co.Co.Co. e Co.Co.Pro.
Quali differenze? Analisi e commenti
Piera F. Colarusso
Dal 24 ottobre 2004 la legge 30/2003 è entrata pienamente in vigore per quanto riguarda la trasformazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti di collaborazione a progetto.
È quindi opportuno tornare a osservare il nuovo mercato del lavoro dopo la riforma dandone ove possibile lo stato di attuazione.
Walter Passerini sul Corriere della sera il 24 settembre segnalava le tre più rilevanti novità apportate dalla legge 30/2003:
1. ingresso dei privati nel collocamento e nella intermediazione di personale, per la riforma del settore al fine di facilitare l’incontro della domanda e dell’offerta di lavoro.
Stato dei lavori: autorizzazioni ancora in corso per Agenzie del lavoro, già operativa per Università (pubbliche o private) e Fondazioni universitarie (di alta formazione riferita al mercato del lavoro)
2. Borsa continua del lavoro: in corso di definizione gli standard; in sperimentazione in 4 o 5 regioni, ma ben lontana dal realizzarsi,
3. introduzione di nuove forme contrattuali più flessibili: a tale proposito però NIdiL-CGIL dice che «il proliferare delle tipologie contrattuali [...] ha prodotto nuove forme di esclusione sociale, la negazione di diritti e tutele sociali a quei lavoratori, soprattutto giovani, a cui vengono offerti lavori discontinui e precari, limitandone perciò le aspettative professionali e personali, e che più di ogni altro sopportano il peso di una flessibilità non regolata che sconfina perciò nella precarietà lavorativa ed esistenziale».
A conferma di ciò nella Conferenza di primavera dell’AIB dal titolo “Lavorare in biblioteca tra specificità dei servizi e atipicità degli operatori”, Anagni, 2-3 maggio 2003, Karen Precht (ALAI-CISL) diceva riferendosi al mondo delle biblioteche: «il futuro è reso incerto dalla sempre più estesa precarizzazione del comparto, determinata dall’uso e abuso dell’esternalizzazione, degli appalti e dei subappalti; dall’uso ed abuso delle collaborazioni, e di un rapporto qualità/costi sempre più rivolto al ribasso, dove le P.A., in un ottica di mero risparmio, consentono l’esecuzione dei propri appalti da parte di figure professionali a volte non adeguate o sottopagate».
Analizziamo dunque i cambiamenti, reali o presunti e i loro effetti, dando una rapida occhiata ai contratti cui si fa maggior ricorso nel nostro ambito:
Contratti di collaborazione a progetto (Co.co.pro.) derivanti dalle Co.co.co.: norme di riferimento legge 30/2003, decreto applicativo 276/2003 (artt.61-69) e circolare esplicativa 1/2004; art. 409 tit. III del cod. di proc. civ., legge 335/95 e successive modifiche della riforma previdenziale; testo unico delle imposte dirette e legge 342/2000 (assimilazione fiscale al lavoro dipendente).
«I rapporti di Collaborazione coordinata e continuativa hanno rappresentato un grande elemento di flessibilità nel mercato del lavoro italiano consentendo a imprese ed enti pubblici di far fronte a molteplici esigenze con costi accettabili e procedure agili da gestire», dice Angelo Di Gioia [Co.Co.Co: nasce il lavoro a progetto, in: Legge Biagi: una riforma per il lavoro, a cura di Giacinto Favalli e Andrea Stanchi, Milano, Etas, 2003]. Cui però si può obiettare che l’accettabilità dei costi e l’agilità delle procedure è stata resa possibile da un mercato senza regole e senza contratti di tutela.
Recentemente infatti (grazie anche alla nuova legge che lo consente) si va ancor più diffondendo l’uso di proporre compensi sempre più bassi: 40 centesimi di euro a scheda catalografica! e le cooperative di multiservizi (leggi: pulizie) si aggiudicano grossi appalti in biblioteche...
Dai dati Inps nel corso del 2002 relativi alla Gestione separata (L. 335/95) sono risultati iscritti quasi due milioni e mezzo di collaboratori coordinati e continuativi, non coperti da altre forme di previdenza [Di Gioia, op.cit.].
Ma questi tipi di contratti continueranno comunque ad esserci: secondo una stima del NIdiL-CGIL ci saranno ancora circa un milione di collaborazioni coordinate e continuative, si escludono infatti dai contratti a progetto:
- le professioni intellettuali che prevedono iscrizione ad albi professionali,
- i collaboratori di società e di promozione sportiva,
- i pensionati di vecchiaia,
- gli amministratori di società,
- i partecipanti a collegi e commissioni,
- i collaboratori delle P.A. (che fanno riferimento al T.U.della PA: dcr. lgs. 165/2000, art. 7, e dcr. lgs. 267/2000, art. 110 nel T.U. per gli EE.LL.),
- i collaboratori esentati da specifici accordi aziendali tra impresa e sindacati,
- gli agenti e i rappresentanti di commercio,
- le collaborazioni occasionali.
La circolare n. 1/2004: capo I par. 5 così recita: «La disciplina che emerge dall’art. 61 (che regola le collaborazioni a progetto) è finalizzata a impedire l’utilizzo improprio e fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative... [tali rapporti] dovranno necessariamente ricondursi a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro, o fasi di essi, pena la loro trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
Lo spirito repressivo della riforma, concretizzatosi nel decreto legislativo n. 276/2003 disciplinato dalla detta circolare, crea molte perplessità perché con la sua rigidità rischia di scoraggiare l’utilizzo di tali forme di collaborazione con l’effetto di creare nuovi disoccupati e anche incentivare il ricorso al lavoro nero. Ma «vi sono norme che prima affermano determinati diritti (ad es. art. 61 e ss.) e subito dopo dichiarano che quei diritti possono essere rinunziati e transatti in sede di certificazione del rapporto» (art. 68 dal titolo significativo: Transazioni e rinunce!)[Mario Fezzi, I contratti a progetto nella legge Biagi, alcuni dubbi interpretativi, «Online: rivista telematica di diritto del lavoro»], intendendo per certificazione una «validazione anticipata della volontà delle parti interessate all’utilizzazione di una certa tipologia contrattuale» (artt. 75-84 del decreto 276/2003).
Ribadisce Fezzi: «Prescindendo da una valutazione di merito, per cui il decreto ogni volta che concede qualcosa, subito dopo si preoccupa di indicare come si possa eliminare quel qualcosa, c’è da osservare che la normativa a tutela del lavoratore a progetto, tutt’altro che ampia e garantista, viene anche privata del requisito dell’inderogabilità in pejus [...] desta preoccupazione che diritti elementari e costituzionalmente garantiti (ma per i subordinati), come ad es. la retribuzione (art. 36 Cost.), possano essere oggetto di rinunce o transazioni, ad esempio: un contratto privo di corrispettivo (tramite la certificazione con rinuncia) che il collaboratore potrebbe essere indotto a sottoscrivere per un certo periodo [...] con la promessa di una successiva assunzione; in tal caso il lavoro a progetto potrebbe costituire un formidabile periodo di prova gratuito».
«Altro limite nella definizione di rapporti di Co.co.pro. è aver legato la prestazione al risultato indipendentemente dal tempo dedicato, ma nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente» e, vista la genericità dell’articolo sui compensi: «non c’è nessuna relazione fra prestazione e corrispettivo».
E così via: ogni articolo della legge e del decreto di attuazione meriterebbe un commento!
Le collaborazioni occasionali comprendono le coordinate e continuative «minime»: max. 30 gg. nell’arco di un anno solare sempre con lo stesso committente, con un compenso non superiore a 5 mila euro (obbligo di versamento all’Inps se sono realmente coordinate e continuative); il lavoratore agisce quindi in assenza di rischio economico, non è tenuto a rispettare un orario di lavoro preciso e la sua attività va intesa [...] come di supporto al raggiungimento di obiettivi momentanei del committente. Norma positiva che argina la totale discrezionalità che ha permesso in passato di attivare interminabili collaborazioni occasionali. Le occasionali vere e proprie non sono soggette a contributi Inps.
Prima di concludere questo excursus, merita qualche considerazione il capo 6. della circolare citata relativo alle tutele. Esordisce affermando: «Tra gli scopi dichiarati dal Legislatore era espressamente individuato l’incremento delle tutele per i collaboratori [...] l’art. 66 appronta un sistema di tutele minimo relativo a gravidanza, malattia e infortunio stabilendo che [...] il rapporto contrattuale rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo [...] per malattia e infortunio, la sospensione non comporta proroghe alla durata del contratto che si estingue alla scadenza (previsione derogabile dalle parti) mentre il committente può recedere dal contratto se la sospensione si protrae oltre un sesto della durata prevista, o per più di trenta giorni per i contratti di durata determinabile (aggettivo molto equivoco che si presta a un utilizzo discrezionale del termine). Commenta NIDiL-CIGIL: «ammalarsi, fare un figlio e persino infortunarsi sono per il collaboratore perdita di reddito, e nel caso di infortunio sul lavoro si perde anche il lavoro!».
Nel caso di gravidanza, oltre l’idonea certificazione scritta, la durata del rapporto viene prorogata di 180 giorni, modificabile nel contratto individuale.
Quel che risalta con maggior evidenza è il continuo riferimento alla contrattazione individuale, ovviamente sbilanciata fra le parti, in cui il datore di lavoro può inserire e far accettare deroghe alla stessa normativa espressa dalla legge.
Nel frattempo però il contributo INPS è passato dal 15% del compenso lordo (2003) al 17,80% nel 2004 e staremo a vedere cosa succederà nel prossimo futuro.
Ci sarebbe molto ancora da dire, ma la tirannia dello spazio costringe a concludere con quel che Walter Passerini dice riguardo alle «pericolose asimmetrie del mercato, che sono all’origine di molti abusi e diritti calpestati. [...] è indubbio che oggi troppi lavoratori, sull’altare della flessibilità, rischiano di diventare vittime designate della precarietà».
Prosegue dicendo: «Questa fascia di lavoratori, milioni di persone, rappresenta anche paradossalmente, una fonte di concorrenza sleale nel mercato del lavoro tra le imprese, tra chi è titolare di diritti e chi no, sulla base della formula contrattuale del tipo di rapporto di lavoro e non sul diritto di cittadinanza», diritto di cittadinanza che comprende «indennità di maternità, di malattia, infortunio, ma anche accesso al credito, defiscalizzazione delle spese di produzione, previdenza e così via. È inaccettabile per una società civile moderna assistere a una divisione tra cittadini di serie A e di serie B [...] i diritti sono tali indipendentemente dalla base contrattuale, ma in base alla cittadinanza».
Questa ultima citazione è quella che maggiormente tocca i punti più dolenti della situazione: la disparità ingiusta e palese che si verifica fra professionisti tutelati e no, che vengono a lavorare fianco a fianco esercitando la stessa professione e che in alcuni casi induce a ritenere questi ultimi di seconda categoria con conseguenti frustrazioni per gli interessati.
Ciò che pesa in maggior misura, e qui parlo soprattutto dei giovani, ma non solo purtroppo, è la impossibilità di fare progetti di vita, la difficoltà di metter su casa, ottenere mutui o anche un contratto d’affitto se non c’è chi garantisce per loro (vedi la rete parentale), oltre alla discontinuità del lavoro per cui lo stesso lavoratore a progetto vive, soprattutto in questi momenti di crisi, in uno stato di incertezza per il futuro (e non quello remoto, ma quello che sarà allo scadere del contratto).
Con l’impiego sempre più frequente e massiccio dell’esternalizzazione parziale o totale di servizi, le biblioteche si trovano a gestire gruppi sempre più consistenti di persone con varie tipologie di contratti che, proprio per il fatto di essere a termine, senza garanzie di continuità e con retribuzioni per nulla corrispondenti ai livelli professionali, possono produrre l’effetto di disinteresse per la qualità del lavoro offerto.
«Questa legge è brutta e mal fatta, non tanto e non solo da un punto di vista politico generale, ma per tutto l’impianto che è tecnicamente debolissimo [...] In un corpo normativo di ben 86 articoli […]le tipologie dei contratti si moltiplicano, con difficoltà di scelta per le imprese» [M. Fezzi, op. cit.] le quali in maniera sempre più ricorrente impongono contratti di lavoro autonomo (a partita IVA) per la maggior parte non corrispondenti a un livello retributivo adeguato sì che, pur di non perdere l’occasione lavorativa, alcuni operatori lavorano in perdita sperando in un futuro migliore!
p.colarusso@biblionova.it
COLARUSSO, Piera F. Contratti Co.Co.Co. e Co.Co.Pro.: quali differenze? Analisi e commenti. «AIB Notizie», 16 (2004), n. 10-11, p. 11-12.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2004-12-19 a cura di Franco Nasella
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