AIB Notizie 06/2004
La riforma del deposito legale e l'archivio regionale della produzione editoriale
Rosaria Campioni
La necessità di riforma della legge sul diritto di stampa vigente in Italia (legge 2 febbraio 1939, n. 374, modificata con decreto legislativo luogotenenziale del 31 agosto 1945, n. 660) era avvertita da diversi decenni, tanto da essere affermata anche nei diversi manuali di biblioteconomia su cui si sono formate generazioni di aspiranti bibliotecari. Nei manuali il diritto di stampa era quasi sempre trattato nella parte dedicata all’incremento delle raccolte, di cui potevano ‘beneficiare’ le biblioteche destinatarie degli esemplari che lo stampatore aveva l’obbligo di consegnare tramite la Prefettura (n. 4) e la Procura del Regno (n. 1).
Guerriera Guerrieri nel 1976 osservava: «Il diritto di stampa è inteso ad assicurare la conservazione di tutto il patrimonio librario che viene stampato in Italia. Anche da questa esigenza scaturiscono alcuni problemi. È sostenuta anzitutto la necessità di riforma della legge sul diritto di stampa per ottenere la completa e tempestiva consegna degli esemplari d’obbligo. E poi ci si domanda come la conservazione rigorosa del materiale può essere assicurata se se ne deve conciliare l’obbligo con quello della comunicazione in lettura e in prestito». Emma Coen Pirani nel Nuovo manuale del bibliotecario (1979) rilevava altri punti critici: «L’utilità dell’apporto degli esemplari d’obbligo per la biblioteca varia a seconda del numero e dell’attività delle tipografie esistenti nella provincia. Spesso però immette in biblioteca materiale non confacente al suo carattere e al suo pubblico, senza parlare della massa di materiale effimero e di scarso valore che ogni biblioteca è obbligata a conservare assumendo in questo caso funzioni di archivio della produzione tipografica della provincia. Compito che comporta enorme dispendio di energie per il personale delle biblioteche per l’ordinamento di questo materiale […] Va tenuto presente che l’obbligo si riferisce ai tipografi e non agli editori e accade che il tipografo svolga la sua attività in provincia diversa da quella dell’editore che può servirsi di diversi tipografi anche quando abbia una propria tipografia. Perciò opere in più volumi e periodici possono essere stampate parte in una provincia parte in altra». Uno dei giudizi senz’altro più severi è stato espresso, nella sua Guida alla biblioteconomia (1981), da Alfredo Serrai: «Le pubblicazioni pervenute per diritto di stampa, almeno in Italia, fatta eccezione per l’esemplare che va alla Biblioteca Nazionale di Firenze e che lì serve alla preparazione della Bibliografia Nazionale Italiana, si traducono in un fardello bibliografico piuttosto che in un profitto per le biblioteche che le ricevono obbligatoriamente … Il gettito del diritto di stampa è sostanzialmente estraneo alle raccolte della biblioteca, ne inquina i cataloghi per la parte che vi è introdotta, e ne riduce la capienza per la parte archiviata».
Dato il diffuso giudizio critico sulla legge vigente e il riscontro del grave ritardo per le procedure macchinose nella consegna delle pubblicazioni alle biblioteche, o addirittura del mancato adempimento da parte di alcuni tipografi, non sorprende che siano stati numerosi i tentativi di approvare una nuova legge, anche grazie alle sollecitazioni delle associazioni professionali. Mi limito a citare il disegno di legge n. 1611 comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 12 aprile 1995 che fu a un passo dall’approvazione, tant’è che un manuale di biblioteconomia uscito in quell’anno sosteneva: «Un modo particolare di acquisizione libraria che riguarda poche e particolari biblioteche è il diritto di stampa; per salvaguardare e conservare l’intera produzione libraria italiana, ogni editore deve consegnare, secondo le nuove norme, tre copie dei libri che pubblica alle biblioteche nazionali centrali di Roma e di Firenze, e alla biblioteca principale della regione in cui ha sede l’editore».
A una prima lettura la nuova legge 15 aprile 2004, n. 106 – Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all’uso pubblico – contiene molte novità rispetto a quella di sessantacinque anni fa. Balza subito agli occhi l’ampliamento delle categorie di documenti destinati al deposito legale che si estende alle microforme, ai documenti sonori e video, ai film, ai documenti diffusi su supporto informatico, nonché a quelli diffusi «tramite rete informatica non rientranti nelle lettere da a) a q)». L’inclusione di quest’ultima categoria ha già sollevato le critiche dell’Unione nazionale consumatori e ha destato notevole preoccupazione presso i curatori di newsletter e siti Web, tenuto conto del frequente aggiornamento sia dei contenuti sia della grafica; essa rischia tuttavia di procurare non poche difficoltà anche alle biblioteche destinatarie, dato che nel secondo comma dell’art. 1 si precisa che «Dalla predetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». È difficile immaginare una corretta archiviazione e gestione dei documenti digitali senza disporre di adeguate risorse economiche e tecnologiche che ne garantiscano la conservazione nel tempo. Il gruppo di studio dell’AIB sulle biblioteche digitali ha già opportunamente pubblicato un documento sulla nuova legge, sottolineando l’importanza del riconoscimento della stessa “dignità” attribuita ai documenti digitali rispetto a quelli su carta.
Altra novità è quella relativa al soggetto obbligato al deposito legale che in prima istanza è rappresentato dall’editore o comunque dal «responsabile della pubblicazione, sia persona fisica, che giuridica». Sono altresì cambiati i tempi per la consegna: nella legge del 1939 doveva essere fatta prima che le pubblicazioni fossero poste «in commercio o in diffusione o distribuzione», nella nuova legge «entro i sessanta giorni successivi alla prima distribuzione».
Nel comma 4 del primo articolo sono chiaramente indicati come soggetti destinatari soltanto le due biblioteche nazionali centrali mentre si rinvia al regolamento, da emanare entro sei mesi, l’individuazione di altri istituti depositari e del numero delle copie. L’obiettivo del deposito legale di «costituire l’archivio nazionale e regionale della produzione editoriale» (art. 1, comma 2) insieme alla finalità specificamente rivolta “alla documentazione della produzione editoriale a livello regionale” (art. 2, comma 1, lett. d)) inducono a ipotizzare che si preveda almeno una terza copia destinata a una biblioteca della regione in cui ha sede il responsabile del deposito legale. Circa la sorte di questo esemplare rimangono pertanto aperte varie possibilità di interpretazione: a) continua a essere trasmesso alla biblioteca pubblica del capoluogo della provincia che ha goduto fino a oggi del diritto di stampa e, in tal caso, l’archivio regionale della produzione editoriale andrebbe inteso come una costruzione virtuale formata dal complesso dei documenti consegnati dagli editori e conservati nelle biblioteche prescelte di tutti i capoluoghi di provincia di ciascuna regione; b) è consegnato a un numero limitato di biblioteche in ogni regione, individuate di concerto con la Regione e gli enti locali sulla base di considerazioni di ordine sia geografico-territoriale sia organizzativo-strutturale; c) è inviato a una sola biblioteca in ogni regione destinata a rappresentare concretamente l’archivio regionale della produzione editoriale. È evidente come questa terza possibilità porterebbe non solo a un cambiamento radicale della conservazione della memoria di un territorio e della produzione editoriale, che per ora si è sedimentata con riferimento alle tipografie a livello provinciale, ma richiederebbe anche risorse professionali appositamente dedicate per il trattamento di varie tipologie di documenti e contenitori di grandi dimensioni in particolare nelle regioni in cui hanno sede numerosi editori, basti per tutte citare la Lombardia.
A fronte dell’indeterminatezza circa la biblioteca territoriale e gli istituti specializzati responsabili della conservazione di specifiche tipologie di documenti sorprende il dettaglio delle altre fattispecie di deposito previste nell’art. 6.
La stesura del regolamento assume quindi un’importanza non secondaria per definire alcune problematiche fondamentali come quelle del numero delle copie e dei soggetti depositari, compresi quelli per particolari categorie di documenti. A tal fine è opportuno tener presenti anche le Linee guida del Consiglio d’Europa / EBLIDA per la legislazione in materia di biblioteche in Europa del 2000 che prevedono: «Le istituzioni di deposito dovrebbero essere in grado di fornire servizi bibliografici efficienti e accesso adeguato alle pubblicazioni depositate, preferibilmente attraverso reti elettroniche per aumentare l’efficacia. Le biblioteche nazionali e/o le altre agenzie bibliografiche nazionali dovrebbero attivamente cooperare con altre organizzazioni governative e non, al fine di meglio servire l’intera comunità bibliotecaria e la società nel suo complesso». Consapevoli che il deposito legale non vada interpretato come un canale di incremento delle raccolte di alcune biblioteche ma come lo strumento principe per raggiungere il duplice obiettivo di costituire l’archivio della produzione editoriale e di realizzare i servizi bibliografici nazionali di informazione e di accesso ai documenti, occorre l’impegno di tutti i soggetti interessati per far sì che una legge che presenta molti punti oscuri sia accompagnata da un regolamento che ne dia un’interpretazione chiara e condivisa e ne favorisca un’efficace attuazione. Se l’obiettivo della nuova legge è pure quello di costituire l’archivio regionale della produzione editoriale, insieme a un servizio bibliografico efficiente a livello regionale, è necessario che le Regioni siano coinvolte a pieno titolo. A tal proposito dispiace rilevare che la legge sia stata approvata senza sentire il parere della Conferenza Stato-Regioni (come previsto dal D. lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, comma 3) e la partecipazione delle Regioni non sia neppure contemplata l’elaborazione del regolamento, per cui si prevede soltanto il coinvolgimento delle “associazioni di categoria interessate” (art. 5, comma 1). L’individuazione condivisa con le autonomie locali degli altri istituti depositari, oltre alle due biblioteche nazionali centrali, potrebbe avere una ricaduta benefica sull’organizzazione bibliotecaria territoriale complessivamente intesa non solo ai fini della conservazione della produzione editoriale ma anche della valorizzazione della memoria della comunità. Dopo tanti decenni d’attesa sarebbe imperdonabile non trovare, per mancanza di leale cooperazione interistituzionale, una felice soluzione agli annosi problemi del deposito legale.
CAMPIONI, Rosaria. La riforma del deposito legale e l'archivio regionale della produzione editoriale. «AIB Notizie», 16 (2004), n. 6, p. IX-X.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2004-08-12 a cura di Franco Nasella
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