Vilma Alberani.
Flash di vita AIB
Desidero parlare di Giorgio de Gregori come persona, perché ciò che mi ha colpito sempre di lui è stato l’uomo: la cordialità e signorilità dei suoi modi, la semplicità delle sue espressioni e dei suoi ragionamenti, la sua riservatezza e generosità, la sua squisita disponibilità verso tutti e, in particolare, verso i più giovani.
De Gregori era un bell’uomo, un volto simpatico, sempre pronto al sorriso, due occhi di un celeste luminoso, uno sguardo profondo. Posso dire che non l’ho mai sentito alzare la voce, né adirarsi con qualcuno, comportamento eccezionale, particolarmente per chi scrive.
Nel 1961 quando mi sono iscritta all’Associazione ero giovane, agguerrita e tenace ma nello stesso tempo pronta ad accettare con gratitudine suggerimenti e critiche, decisa comunque a far valere le mie idee e difendere i miei progetti per cercare di realizzarli. De Gregori, nel parlare di me con Renato Pagetti (de Gregori-Pagetti, un grande connubio per l’AIB!), mi paragonava ad un
vulcano. Non gli ho mai chiesto il perché in quanto conoscevo bene la risposta, consapevole di ciò che fossi e facessi.
Prima della presidenza di Pagetti avevo partecipato soltanto a due congressi AIB: Viareggio (1961) e Venezia (1968), poi per molti anni non ne ho perso nessuno, sempre presente anche in sede assembleare.
La partecipazione alla XXXVI Sessione del Consiglio generale dell’IFLA, tenuta a Mosca nel 1970, che lo impegnò ad organizzare la delegazione italiana per quella manifestazione con tutte le implicazioni che questo evento richiese, ci mostrò un de Gregori amico fraterno. Amico per tutti i consigli e i suggerimenti per il viaggio e la permanenza, preoccupato per la nostra salute allorché fu necessario effettuare le terapie preventive per il colera e anche, se ben ricordo, per il tifo, in quanto un mese circa prima della partenza per Mosca, in qualche parte dell’Unione Sovietica, si erano verificate epidemie del genere.
Mosca è stata un banco di prova per i gruppi di lavoro AIB e, come ha detto Giovanni Floris in «Accademie e biblioteche d’Italia» (39, 1971, n. 3, p. 192-236), «ho potuto aggiornarmi ogni sera, durante l’intera tornata, nei piccoli, fraterni “collettivi” della nostra delegazione». Queste riunioni serali erano condotte congiuntamente da Pagetti e de Gregori, ed erano occasioni per fraternizzare, oltre che per discutere e scambiarci le idee. Queste “serate” diventarono una prassi anche per i successivi incontri internazionali.
Nel 1973, su segnalazione dell’AIB, partecipai alla “First European Library Summer School” (tema del corso: Library and information services and the new Europe), organizzata dal Department of Library and Information Studies del Politecnico di Liverpool e dal British Council, dove incontrai Luigi de Gregori, il primogenito di Giorgio. La mia partecipazione alla scuola fu resa possibile grazie a una scholarship del «Liverpool Daily Post», per il quale avrei dovuto rilasciare un’intervista.
Prima di partire, de Gregori si preoccupò di prepararmi alcuni appunti sulla situazione delle biblioteche italiane per aiutarmi nell’intervista prevista, che poi non ebbe luogo.
Caro dottore, cercavi sempre di darci il supporto necessario per essere all’altezza delle situazioni e poter far fronte a qualsiasi domanda.
Un inciso: A Liverpool, nel Christ’s College, le lezioni finivano alle 17,00, quando in città i negozi stavano chiudendo. Ho visitato Liverpool una sola volta e sono andata una volta a teatro. La nostra salvezza dalla noia serale è venuta da Luigi, che si era portato la chitarra, potendo così organizzare “cori” e “concerti” per farci passare serate piacevoli, confortate da qualche bevuta di birra che si procurava ad un pub situato nelle vicinanze (nel campus avevamo acqua, caffè inglese e tè a volontà). Luigi lavorava a Milano, ma non era (almeno così mi sembrò allora) molto interessato alla nostra professione. Qualche tempo dopo, seppi che aveva rinunciato all’incarico,
Molto riservato, difficilmente Giorgio si confidava con qualcuno di noi se non per motivi strettamente professionali. Cercai, allora, di entrare in confidenza con lui sull’argomento Luigi: egli avrebbe aspirato che i suoi figli seguissero la “carriera” di famiglia. Scherzai un poco con lui su questa sua aspirazione, tanto più che allora Francesco aveva già raggiunto il successo.
Poi nacquero i gemelli di Francesco, e Giorgio, come tutti i nonni, non ha più parlato con noi dei figli ma dei nipoti. Si era evidentemente rassegnato, per fortuna, ad accettare la loro strada.
Avrei tante altre piccole “chiacchiere” da raccontare, diatribe assembleari e altro, che il tempo ha immancabilmente sbiadito tanto da sembrare molto lontane.
Ho telefonato a Giorgio verso i primi di marzo di quest’anno per salutarlo, ma mi rispose con voce flebile e debole; capii che non stava bene. Egli stesso, parlando, mi disse che gli mancavano le forze. Cercai di rincuorarlo, gli dissi di curarsi perché avevamo bisogno di lui, perché volevamo vederlo al prossimo Bibliocom di ottobre. Andrea mi disse, qualche settimana dopo, che si era ripreso un poco e stavano lavorando alla sua biografia.
Nel frattempo ho perso il mio papà, un grande, immenso dolore, che non avrei mai creduto di provare. Mi manca, mi manca il mio più grande e fidato amico, mi mancano i suoi consigli e i suoi rimproveri. La successiva scomparsa di Giorgio mi fa mancare anche uno dei più validi punti di riferimento professionale. Con loro sono scomparse due figure importanti per me, due amici leali e sicuri, ed è scomparsa con Giorgio la memoria storica dell’Associazione.
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Sebastiano Amande
Ho conosciuto Giorgio de Gregori nei primi anni Sessanta. L’ho incontrato per la prima volta a Genova in Vico S. Antonio, nella sede della Soprintendenza bibliografica per la Liguria e la Lunigiana guidata da Maria Sciascia, sua grande amica.
Ero stato nominato da poco direttore della Biblioteca civica di Savona e per me, quello con Giorgio, rappresentava uno dei primi contatti importanti con i personaggi del mondo delle biblioteche, un mondo che avevo frequentato e amato da utente fin da ragazzo e verso il quale nutrivo un rispetto quasi sacrale.
Mi colpì subito la sua semplicità e la sua franchezza, un atteggiamento spoglio di ogni sorta di convenevoli che potessero creare in me qualsiasi stato di imbarazzo. Era quello il primo passo verso un’amicizia che sarebbe nata da lì a poco e rinsaldata, con il passar del tempo, fino al momento in cui, purtroppo, gli eventi ineluttabili della vita prendono, nonostante tutto, il sopravvento sulla volontà umana.
Ricordo, con piacere, di averlo invitato a Savona, nella sala rossa, la più importante del Comune, a tenere un’affollata conferenza sulla storia delle biblioteche italiane, illustrata con la proiezione di diapositive in bianco e nero, di un formato già anomalo per quel tempo, ma che Egli seppe, comunque, rendere straordinariamente interessante con la sua entusiasmante comunicativa.
Subito dopo l’alluvione di Firenze, ricordo ancora oggi, con commozione, l’incontro di Genova, alla Terrazza Martini, dove Giorgio illustrò, questa volta con l’aiuto di diapositive a colori, i danni che lo straripamento dell’Arno aveva provocato al patrimonio librario della Biblioteca Nazionale.
Egli seppe, in quell’occasione, rimarcare la particolare partecipazione dei giovani, giunti a Firenze da ogni parte d’Europa, con la piena consapevolezza di salvare dal fango, per restituirli all’umanità, documenti insostituibili per la storia della cultura.
Giorgio, a mio avviso, apparteneva a quella schiera di bibliotecari che non amavano essere definiti dotti, anche se per questi ultimi aveva ogni considerazione e rispetto, ma preferiva essere considerato un operatore sul campo, uno cioè che cercava, in ogni modo, di offrire concretamente agli altri quegli strumenti indispensabili senza i quali ci sono scarse possibilità di accrescere le proprie conoscenze.
Di qui la consapevolezza di un rafforzamento dell’Associazione italiana biblioteche, organismo operativo che Egli ha sempre considerato fondamentale nel proporre progetti e soluzioni nell’ambito biblioteconomico.
Ricordo con quale ardore Egli si batté per dare alla nostra Associazione una struttura più democratica, con un avvicendamento di assunzione di responsabilità, sia a livello nazionale sia a livello regionale, che non durasse oltre due mandati consecutivi di tre anni ciascuno (Congresso di Porto Conte del maggio 1969).
Importante fu anche la sua battaglia, sia pure nella sua difficile posizione di direttore della biblioteca della Corte costituzionale, a favore dell’applicazione, allora abbastanza controversa, dell’art. 117 della Costituzione che avrebbe permesso alle Regioni di emanare norme legislative in materia di biblioteche di enti locali, contro taluni preconcetti statalistici che pretendevano di condizionare l’autonomia stessa di tali biblioteche.
Fu uno scontro intenso che Giorgio condusse fianco a fianco con Renato Pagetti – l’allora mitico presidente nazionale dell’AIB, al quale era legato da fraterna amicizia – e che si concluse vittoriosamente consacrato in un documento, votato a Perugia nel maggio del 1970, nel corso del ventunesimo Congresso dell’Associazione.
Il rigore esemplare da cui era animato lo induceva a rinunciare anche a una possibilità di mediazione quando riteneva di essere nel pieno della giustezza, preferendo, piuttosto, essere consapevolmente sconfitto. Fu ciò che accadde nel Congresso di Alassio del 1975. Ma anche in questo caso la sua coerenza fu ampiamente premiata, perché successivamente fu dimostrato, nei fatti, che le preoccupazioni che lo avevano indotto a una posizione del tutto inflessibile non erano assolutamente infondate.
Che altro posso dire di Giorgio. Certo molte altre cose potrei aggiungere e sono sicuro che non annoierei chi mi legge.
A questo punto, però, penso che sia giusto terminare qui e ringraziare Giorgio per tutto quello che può avermi donato in questo lungo periodo in cui mi ha onorato della sua amicizia, che, sicuramente, proseguirà, radicata nel mio animo, per il tempo che ancora rimarrà.
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Simonetta Buttò
A Giorgio de Gregori devo moltissimo, sul piano umano e sul piano professionale, e i ricordi che mi legano a lui sono tanti, piccoli flash e lunghe chiacchierate distese. Forse però il ricordo che è rimasto più vivo nella mia memoria rimane quello di un mattina di maggio del 1998 in cui Giorgio mi chiamò per consegnarmi un dono per l'Associazione: si trattava di un suo lavoro incompiuto, provvisoriamente intitolato
Materiali per un repertorio bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del secolo XX.
Nonostante il tono scherzoso e l'atmosfera familiare della nostra sede nazionale quel gesto era un vero passaggio di testimone (Giorgio disse ironicamente che era il computer a mandarlo in pensione), un affidamento, una tradizione.
Scritte a macchina in formato quaderno le 169 schede biografiche di bibliotecari del Novecento racchiuse in altrettante cartelline erano strutturate in campi ben precisi: le date e i luoghi di nascita e di morte, il titolo di studio, i dati sulla carriera, le pubblicazioni professionali, la bibliografia sul personaggio. L'aspetto artigianale non poteva nascondere la serietà dell'impianto scientifico del progetto di pubblicare un dizionario in continuazione dell'opera di Carlo Frati e Marino Parenti, e tuttavia denunciava l'impossibilità di portare quell'opera a compimento negli stessi termini con cui era stata concepita, senza il computer, appunto, e da solo.
Quell'involucro ebbe la capacità di far nascere in me, che lo ricevevo per conto dell'AIB, un interesse nuovo, o solo inconsciamente covato, ma capace di espandersi rapidamente sfidando il limite delle risorse personali e del tempo.
Il volumetto che pubblicammo insieme fu forse poca cosa, ma rappresentava un inizio e, grazie a Giorgio, un inizio con il piede giusto.
Quello che è successo poi, e che sta ancora succedendo, è la prosecuzione in formato elettronico di quel primo embrione, l'apertura del progetto alla collaborazione di tanti studiosi, e non solo di discipline biblioteconomiche, la possibilità di correggere, emendare, accrescere.
Ora i collaboratori del dizionario sono già tanti, e speriamo che ancora molti altri se ne aggiungano, alle schede sono state accostate le fotografie tratte dall'archivio dell'AIB o da libri e riviste, sono stati creati link interni ed esterni.
La sua scheda, però, Giorgio l'ha scritta da sé, fedele al primo modello, perché trovasse posto accanto a quelle dei suoi amici e colleghi.
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Walter Capezzali
L’arrivo a Pescara di Giorgio de Gregori incaricato di dirigere la Soprintendenza alle Biblioteche (come allora si chiamava) di Abruzzo e Molise all’epoca ancora non divisi come entità regionali, si colloca negli anni difficili della “ricostruzione”; e l’illuminato bibliotecario, alle soglie dei quarant’anni di età e carico di entusiasmo e amore per la sua professione, interpretò nel migliore dei modi quello spirito, impegnandosi subito in una saggia e coraggiosa opera in favore delle biblioteche abruzzesi.
Anche se l’attuale generazione dei bibliotecari di questa Regione non ha avuto il privilegio di conoscere de Gregori e di collaborare con lui, pure ne conserva il ricordo attraverso le indelebili tracce del suo passaggio, ricco di iniziative concrete, illuminate da coerente pragmatismo.
Fin dal suo arrivo, egli si rese conto che il sistema bibliotecario regionale era tutt’altro che funzionante, e riuscì subito a impostare un programma di lavoro che doveva dare ottimi risultati. Concentrata l’attenzione sulle cinque biblioteche provinciali, le maggiori di Abruzzo e Molise, de Gregori le coinvolse subito in un progetto di collaborazione che intendeva costruire dal nulla un moderno catalogo collettivo, riuscendo a far finanziare dal Ministero e dalle amministrazioni provinciali il lavoro di catalogazione e di riproduzione meccanica delle schede. Nasceva così il CUR (Catalogo unico regionale) che egli aveva ideato, impostato tecnicamente e gestito con mano sicura. Come precisava nel gennaio 1961 licenziando la sua ultima relazione di quel progetto, grazie allo stesso era stato possibile realizzare, nell’arco di sette anni di effettiva attività, la catalogazione di quasi 200.000 opere.
A Giorgio de Gregori i bibliotecari abruzzesi devono anche le prime iniziative per il miglioramento della loro condizione professonale, favorendone la partecipazione ai corsi di preparazione agli uffici e servizi delle biblioteche popolari e scolastiche, da lui organizzati a più riprese nelle città capoluogo. E per tutti aveva attenzione e amicizia, soprattutto per quanti, bibliotecari “improvvisati” in un clima di ancora scarsa professionalizzazione, più di altri avevano bisogno di prendere coscienza del loro ruolo e dei loro compiti.
Fu sua anche l’iniziativa per la pubblicazione di un «Notiziario» che, a partire dal 1954, contribuì a far crescere il settore, permettendo quello scambio di esperienze che fino ad allora non era stato possibile, in tal modo togliendo finalmente i bibliotecari di cui aveva la responsabilità da un deleterio isolamento. Una pubblicazione periodica, questa, ben diversa da uno scontato bollettino burocratico, tutta tesa com’era al miglioramento professionale della categoria, e molto attenta all’attività nazionale e locale dell’AIB per la quale Giorgio de Gregori non nascondeva una particolare predilezione: fu lui a far nascere la Sezione abruzzese-molisana. In quelle pagine ormai ingiallite, venivano pubblicate a puntate le sue
Lezioni di biblioteconomia, lucide e moderne per quei tempi; e si rinvengono abbondanti notiziari che permettevano di evidenziare anche le iniziative delle biblioteche minori.
Un numero speciale del giugno 1955 ospitò le relazioni ed i resoconti del primo Convegno regionale dei bibliotecari, da lui fortemente voluto e concretamente organizzato, svoltosi tra Pescara e Chieti in quello stesso mese. In quella occasione, il Soprintendente sviluppò con tratto sicuro e lungimirante il tema “Funzioni e compiti della biblioteca pubblica nell’Abruzzo e Molise”.
Quando, nell’agosto del 1956, dopo le abbondanti nevicate del precedente prolungato inverno, crollò la già pericolante volta del grande Salone di lettura della Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, Giorgio de Gregori accompagnato da alcuni bibliotecari pescaresi accorse in aiuto, per mettere al sicuro l’importante patrimonio librario rimasto fortunatamente intatto nelle monumentali scaffalature lignee: e lavorò materialmente per molte ore consecutive nell’arco di due giorni, gomito a gomito con i bibliotecari aquilani e con altri numerosi volontari.
Lasciò l’Abruzzo e il Molise alle soglie del 1961, per andare a dirigere la Biblioteca della Corte costituzionale: ma non si dimenticò dei bibliotecari abruzzesi, con i quali intratteneva continui rapporti; e tornò più volte in Abruzzo, tanto da ritrovarsi alla “Tommasiana” dell’Aquila ancora nel 1964, nel giorno delle elezioni per il rinnovo delle cariche nazionali e locali dell’AIB. E quando a Roma, in occasione dei festeggiamenti in suo onore al varo dell’iniziativa per i “Soci d’oro”, gli feci omaggio di una foto di quell’incontro, non nascose la sua commozione e anzi mi invitò a non far cadere la memoria dei bibliotecari che in quella foto lo circondavano: il pescarese Raffaele Tiboni, l’aquilano (di adozione) Roberto Simari, il teramano Raffaele Aurini, dei quali aveva apprezzato professionalità e disponibilità.
Ora Giorgio de Gregori ha raggiunto Aurini, Simari e Tiboni nel paradiso dei bibliotecari, lasciandoci il ricordo della giovanile intraprendenza e del coraggioso impegno professionale, con cui ha segnato da pioniere il momento della prima modernizzazione del sistema bibliotecario di Abruzzo e Molise.
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Dario D’Alessandro
Caro Giorgio,
mercoledì mattina il cielo era terso e le montagne della Maiella e del Gran Sasso mi parevano più vicine del solito mentre percorrevo l’autostrada. Era l’Abruzzo che ti sorrideva, ringraziandoti in un affettuoso saluto per quanto tu avevi dedicato a lui del tuo tempo e della tua scienza. E non solo per il CUR – primo catalogo collettivo regionale ancor troppo poco approfondito dagli storici delle biblioteche – ma soprattutto per aver promosso la crescita dei bibliotecari abruzzesi formando un corpo di validissimi professionisti, i
mastini della catalogazione e della ricerca. Penso ad Aurini, a Mincarini, a Zuccarini ai quali sei rimasto sempre legato fino all’ultimo.
Anche io ti sorridevo quel mercoledì mattina sull’autostrada che mi portava a Roma ad un appuntamento al quale nessuna circostanza mi avrebbe impedito di essere puntuale.
E ricordavo la prima e l’ultima volta che ci eravamo visti.
La prima era stato il 28 febbraio del 1974.
In macchina, sulla
Giulietta di Mincarini in un pomeriggio piovoso, si andò tutti insieme a Teramo a dare l’ultimo saluto a Fernando Aurini. Ero da poco più di due anni direttore della “D’Annunzio” ed ero ancora molto giovane. In quelle poche ore, con le tue parole e con i tuoi consigli, tu mi trasformasti da conoscitore di cose biblioteconomiche ed amministrative in bibliotecario. Mi parlasti anche, da padre attento ed affettuoso, di Francesco e, con orgoglio malcelato, mi dicesti che in quel periodo lui teneva concerti in URSS. A Teramo da amico abbracciasti la famiglia di Aurini e così facesti con Mincarini e con me prima di riprendere il treno da Pescara per Roma.
L’ultima volta fu a Bibliocom quasi due anni fa.
Fu la tua ultima uscita ufficiale in AIB e lo facesti per noi bibliotecari abruzzesi che presentavamo il lavoro di masterizzazione dei periodici locali. So che non ti fu facile venire al Palazzo dei congressi, ma quando fosti lì i tuoi occhi brillavano di commozione. E anche in quell’occasione mi dicesti di Francesco e di un suo progetto su D’Annunzio ove D’Annunzio era solo lo spunto di un padre per parlare del figlio.
Passato il casello ho avuto tutto il tempo – il solito ingorgo delle otto del mattino me lo consentiva – per pensare a cosa avrei detto a Francesco, alle parole da usare per un figlio che ha perduto il padre.
Ho pensato e pensato.
Poi, quando è stato il momento, è stato Francesco che ha dovuto consolare me.
Siamo fatti così noi bibliotecari e tu lo sai benissimo.
Addio Giorgio, anzi, arrivederci.
Dario
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Gianni Lazzari
Giorgio de Gregori è stato, con la signora Massimi, la prima persona che ho conosciuto in AIB. Ero alle prese con i miei studi sulla biblioteca popolare (da cui trassi
Libri e popolo) e mi rivolsi all’Associazione per eventuali approfondimenti bibliografici o per acquisire eventuali testimonianze dirette. Al secondo piano della Biblioteca nazionale di Roma (la segreteria dell’AIB era lì, a quei tempi, prima di trasferirsi, con la Vinay, nei locali dell’ICCU) trovai questo signore gentilissimo, che mi parlò delle sue esperienze in Abruzzo e mi consigliò alcuni titoli presenti nel catalogo della piccola biblioteca dell’associazione. Quando, nel 1983, fui nominato segretario, ebbi la fortuna di frequentarlo quotidianamente. Prima ancora della sua storia e qualità professionale, conobbi l’uomo gentile, quasi umile, disinteressato, che dedicava tanto del suo tempo a riordinare il polveroso archivio storico dell’AIB, che mi chiedeva se c’era la piccola disponibilità economica per l’acquisto di cartelle o di contenitori, che si interessava delle azioni del CEN, dei rinnovi elettorali, della vita dell’AIB, felice dei suoi successi, partecipe delle sue preoccupazioni. Sempre, fino all’ultimo giorno di vita. Ebbi la fortuna, grazie a Giorgio de Gregori, di frequentare, purtroppo solo per qualche anno, Francesco Barberi, che in quel periodo curava la pubblicazione del suo
Schede di un bibliotecario; ricordo le pazienti discussioni sulle scelte tipografiche e mi colpiva la sensazione di un’amicizia vera, profonda, umana più che professionale, tra i due grandi maestri. Quando Barberi rimase immobilizzato a letto, Giorgio mi chiedeva di andarlo a trovare insieme, nella sua casa alla Balduina, si faceva trovare pronto alla fermata della metro di via Giulio Cesare e con la mia macchina andavamo insieme a fargli visita: ricordo ancora le parole che Barberi e de Gregori si scambiavano, parole non solo sulla salute e sulla malattia, ma soprattutto, fino alla fine, sulle biblioteche, sulle politiche, sulle responsabilità delle soprintendenze regionali, sull’associazione. Con de Gregori e con Serrai, alla morte di Barberi, andammo a casa sua, ad acquisire (e dividere tra l’AIB e la Scuola speciale) la sua biblioteca e il suo archivio.
Ora che Giorgio de Gregori è morto, quei ricordi sono ancora più vivi e ancora più forte è la sensazione, e il giudizio, di avere avuto la fortuna di incontrare un uomo buono, appassionato del suo lavoro, convinto della grande utilità sociale e culturale della professione del bibliotecario, convinto del ruolo dell’associazione, come rappresentante delle biblioteche strumento di progresso civile, un uomo silenzioso e sorridente, con la tenacia di chi serenamente sa che il suo impegno gratuito e costante è utile. Giorgio de Gregori merita l’affetto dei bibliotecari: dobbiamo restituirgli un po’ di quel grande amore che egli ha avuto per le biblioteche, per l’AIB, per i nostri valori.
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Andrea Paoli
Caro Giorgio,
sapessi quanto è difficile scriverti una lettera: quando avevo qualcosa da dirti usavo le parole e tu eri sempre pronto ad ascoltare. Però mi piace pensare che dove sei ora puoi finalmente leggere con i tuoi occhi e non con i miei, anche se tempo per leggere sul momento non ne avrai, travolto come t’immagino dall’abbraccio dei tuoi cari, primo fra tutti tuo Padre, con la “p” maiuscola, come ci tenevi che si scrivesse.
L’alpino Jahier l’hai già salutato? E il presidente Pagetti? E i tuoi amici Aurini e Casamassima e Barberi? E “Gis”, che ti ha preceduto di pochi mesi? Ti avranno fatto tutti una gran festa.
Caro Giorgio, voglio dirti quanto avevi colpito le persone che hai conosciuto. Chi ti ha incontrato anche solo per un giorno è rimasto affascinato dalla tua classe, dalla tua capacità di mettere tutti a proprio agio, dal tuo umorismo delicato, dalle tue buone maniere frutto di un’educazione d’altri tempi. Un gentleman.
Senti cosa ha scritto in questi giorni Giuliana Blundo, figlia della tua collega Maria Teresa alla Soprintendenza di Pescara: “in particolare ricordo, come una dote rara, quella sua gaiezza un po’ fanciullesca e la grande gentilezza e comunicativa spontanea con grandi e piccoli”. E’ bello che questo ritratto così vivo venga proprio dall’Abruzzo, da quella terra dove, mi dicevi sempre, hai trascorso gli anni più felici della tua professione.
Quelli come te, nati all’inizio del Novecento, hanno attraversato un secolo di cambiamenti tanto grandi che forse nessuna generazione a venire sperimenterà. Sei nato a piazza Navona, hai imparato a nuotare nel Tevere con due zucche legate sotto le ascelle a mo’ di galleggianti, hai vissuto sulla tua pelle la tragedia della guerra e poi hai preso a correre con il mondo, cercando di tenerne il passo. E finché hai potuto sei riuscito a seguirlo nella sua corsa, senza dimenticare le cose di una volta ma senza perderti nel loro ricordo. Non eri di quelle persone che vivono nel passato. Tu vivevi nel presente, anzi, nel futuro. Giusto un anno fa, quando ti ho raccontato che forse nel 2004 ci sarebbe potuta essere una conferenza dell’IFLA in Italia, mi hai detto con un sorriso: «Beh, sarebbe la mia terza conferenza a Roma, dopo quelle del ’29 e del ’64!» Eri un uomo “moderno” e la tua curiosità inesauribile era il segno della tua modernità. Volevi sapere come aveva fatto Eratostene a calcolare il raggio della Terra o capire come funzionava il moltiplicatore dei depositi bancari. E quando nello scrivere qualcosa non ti convinceva era immediato il ricorso al vocabolario. Anche l’ultima volta. “Basito”, abbiamo cercato, ché non eri sicuro del significato del termine per descrivere come eravate rimasti tu e Boselli di fronte all’osservazione di un collega tedesco in visita alla Nazionale di Firenze.
Quante ne abbiamo passate in questi sette anni e mezzo, vecchio alpino dal cuore d’oro. Scherzavamo su chi di noi due avesse tratto più vantaggio dalla compagnia dell’altro e non ci mettevamo mai d’accordo, e forse è giusto così. Una volta un ragazzo ti chiese quale fosse, per te bibliotecario, il libro che ti era piaciuto di più. Non avevi avuto esitazioni nel rispondere
La storia di San Michele. E ridesti di gusto quando ti raccontai che, chiedendolo in libreria, mi avevano indirizzato al reparto “Teologia e religione”… Non abbiamo fatto in tempo a terminarlo: lo leggevamo ogni tanto, un capitolo alla volta. Ultimamente ti piaceva di più leggere le storie degli alpini:
Quota Albania di Rigoni,
La guerra dei poveri di Revelli. E la tua passione “inconfessabile” per i gialli? Li leggevi di sera, per rilassarti dopo una giornata alla Corte o alla Soprintendenza e non ne parlavi con nessuno, come se per un bibliotecario fosse disdicevole darsi a una letteratura “minore”. Ma poi avevi scoperto con gioia che pure Barberi e Casamassima avevano il tuo stesso “vizio”…
Caro Giorgio, tanto quello che voglio dirti già lo sai. Da quando non c’era più la “stanza” di Montanelli, ad aprire la giornata era la tua domanda: «Che c’è di nuovo all’Associazione?» E io ti aggiornavo e commentavamo assieme gli avvenimenti di quest’AIB cui hai sempre voluto tanto bene.
Ciao Giorgio, ciao ai tuoi occhi celesti e alle tue macchie sulle mani. E ciao alla tua voglia di sognare. Perché eri un sognatore. Ma uno di quei sognatori in grado di trasformare i sogni in realtà con l’applicazione quotidiana, l’entusiasmo, la capacità di coinvolgere gli altri. Per questo ti piaceva così tanto Igino, sognatore come te. Mi ricordo il vostro primo incontro all’Associazione, sarà stato nel settembre del ’97: siete rimasti per quasi un’ora a parlare fitto fitto, seduti uno di fronte all’altro in un angolo della biblioteca dell’AIB. Sembrava che vi confessaste. Poi sulla via del ritorno mi dicesti: “Sarà un grande presidente”. Ti ricordi come scherzavi con lui in questi ultimi tempi? Lo minacciavi che avresti proposto un emendamento allo statuto perché lo volevi presidente a vita. In un modo o nell’altro sei stato accontentato.
Ti abbraccio forte forte
Andrea
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Alberto Petrucciani
Una biblioteca che brucia
«Un anziano che muore è una biblioteca che brucia», è stato detto per le culture orali dell'Africa. Ma anche nella nostra civiltà, civiltà della parola scritta, l'esperienza e la memoria di una persona che ci lascia sono una perdita che non possiamo nemmeno misurare. Con Giorgio De Gregori, che era entrato nelle biblioteche italiane nell'ormai lontanissimo 1937, abbiamo perduto un protagonista e testimone d'eccezione di vicende e stagioni che, anche se le conosciamo appena, stanno al fondo di quello che siamo.
Restano con noi, insieme ai ricordi affidati alla nostra altrettanto precaria memoria, documenti, carte, immagini. Per esempio le carte dell'Archivio dell'AIB, che Giorgio stesso aveva in gran parte raccolto e ordinato, e che testimoniano, attraverso la corrispondenza con centinaia di soci e bibliotecari che da ogni angolo d'Italia si rivolgevano all'AIB per le ragioni più diverse, come lui costituisse un punto di riferimento su cui si poteva sempre contare.
La serenità delle sue convinzioni e la sua energia fattiva sembra che non patissero né le sconfitte né le vittorie. Mi è capitato di leggere, non molto tempo fa, le trascrizioni delle discussioni svoltesi in alcuni congressi particolarmente "caldi" dell'Associazione. A Chianciano 1960 fu lui il portavoce della mozione maggioritaria che trasformò l'Associazione in senso professionale, a Castrocaro 1976 il relatore di minoranza (minoranza di uno, nel Consiglio direttivo) su una nuova proposta di riforma statutaria, che per le stesse ragioni di quindici anni prima non condivideva (e che poi, a sorpresa, non avrebbe raggiunto la maggioranza necessaria). Nell'una come nell'altra posizione, non veniva mai meno l'impegno a spiegare e convincere, la ricerca del dialogo e dell'incontro ma non del compromesso a tutti i costi, insieme al rispetto per le opinioni altrui e alla serena accettazione dell'esito del confronto.
Negli ultimi anni, occupandomi della storia della professione bibliotecaria nel nostro paese, ho fatto tante volte ricorso alla sua memoria e, soprattutto, alla sua straordinaria sicurezza di giudizio, che riusciva a rendere in poche parole il senso profondo delle vicende a cui aveva partecipato. Ci mancherà.
***
Igino Poggiali
Come socio di provincia avevo avuto poche occasioni di incontrare le persone più in vista dell’AIB al di fuori dei Congressi, della lettura dei loro lavori sulle riviste professionali e di qualche evento che accadesse dalle mie parti. Non deve stupire quindi che la mia prima, vera conversazione personale con Giorgio de Gregori risalga all’inizio del primo mandato da Presidente dell’AIB grazie ad un incontro organizzato, di comune accordo, presso la sede nazionale. Giorgio era accompagnato da un giovane taciturno e molto professionale che mi fece un’ottima impressione e che si sarebbe poi rivelato una vera risorsa per l’AIB: era Andrea Paoli. Alberto Petrucciani e Simonetta Buttò avevano collaborato all’organizzazione dell’incontro.
Ci sedemmo in un angolo della biblioteca da lui tanto amata e cominciammo a raccontarci fatti curiosi delle nostre storie alla luce di una visione della biblioteca che condividevamo da sempre senza aver avuto occasione di dircelo. Mi disse che era veramente felice che alla Presidenza dell’AIB fosse arrivato dopo molti anni un esponente delle biblioteche pubbliche e mi raccomandò di non farmi scoraggiare dalle difficoltà che avrei incontrato. Per rassicurarmi mi sciorinò una lunga serie di vicende dalle quali si traeva la conclusione che solo con il coraggio di osare si può rischiare di raggiungere risultati significativi e talvolta insperati. M parlò a lungo di Renato Pagetti che come me proveniva dalle biblioteche pubbliche e soprattutto della sua capacità di interlocuzione con la classe politica e di organizzazione dell’Associazione. Per Giorgio lo sviluppo delle biblioteche pubbliche era strategico proprio per dare forza e valore alle altre tipologie che altrimenti sarebbero rimaste compresse nella relazione con i ristretti pubblici specialistici di riferimento. Mi raccomandò di dare molto spazio ai giovani, di presidiare il livello internazionale dell’attività dell’AIB e soprattutto di tenere sempre alto il ruolo dei professionisti della biblioteca nella direzione dell’Associazione. Su questo fronte lui si era battuto fin dai tempi di Chianciano ed era confortato in questo orientamento dalla grande espansione del ruolo dell’associazione che da allora si era concretizzata.
Si rammaricava molto di non avere più il vigore di un tempo e di non poter fare molto di più che ricerche e ricostruzioni della storia dell’AIB. Mi fece capire che in altre condizioni di salute gli sarebbe piaciuto tornare a lavorare con noi con l’entusiasmo di allora. Io gli assicurai che la ricostruzione della nostra storia era per me importante quanto le azioni sul presente e che il suo lavoro mi sarebbe stato utilissimo nella mia attività di consolidamento del prestigio politico e culturale dell’organizzazione.
L’incontro si concluse con l’impegno di continuare a vederci e a scambiarci commenti e pareri sulle scelte strategiche e sulla vita dell’Associazione. E così fu. Andrea mi mandava i suoi messaggi, specie quando gli capitava di leggere le mie relazioni al Congresso o altri documenti di lavoro e gli girava le mie risposte, qualche volta ci sentivamo per telefono.
Tra i ricordi più belli che testimoniano quanto egli seguisse la nostra attività vi è la sua lettera pubblicata poi su «AIB notizie» n. 11/1999, in occasione della sua iscrizione all’Albo Professionale dei bibliotecari italiani. Era questa una delle realizzazioni dei sogni di Pagetti e di lui stesso nel segno di un rafforzamento deciso del profilo professionale del bibliotecario.
Ebbi la soddisfazione di fare un gesto pubblico per ricambiarlo di tanta benevolenza ed amicizia quando, nella prima edizione di Bibliocom, nel novembre 2000 nominammo il primo gruppo di Soci d’oro, quelli con più di trent’anni di vita nell’Associazione. In quell’occasione volle pronunciare un piccolo indirizzo di ringraziamento nel quale colse l’occasione per fare ancora una volta un appello ai giovani bibliotecari a difendere il prestigio delle biblioteche attraverso il consenso dei cittadini per la qualità dei loro servizi e la freschezza delle collezioni e disse appunto che «l'utente, che sarà certo di trovare sempre fresco e rinnovato quel materiale, eserciterà la sua pressione presso l'autorità finanziatrice per gli altri bisogni del lavoro di biblioteca. Questa "ricetta" può essere buona per ogni tipo di biblioteca, ma vale soprattutto per la biblioteca pubblica e per il servizio di lettura nei piccoli centri».
Come non riandare col pensiero al recente richiamo del Presidente Ciampi per la diffusione delle biblioteche negli 8000 comuni italiani?
Grande fu la sua gioia per la mia rielezione alla Presidenza nel 2000. Non potrò mai dimenticare le sue parole affettuose: mi sentivo il campione di una gara a colloquio col suo manager o con suo padre.
Si potrà capire quindi come mi manchi ora che si è spento proprio in coincidenza con la fine del mio mandato. Se è vero che il modo migliore per ricordare chi non c’è più è quello di seguire i suoi insegnamenti e il suo esempio credo che per i prossimi decenni, anche se non avrò cariche sociali, il lavoro in favore dello sviluppo della professione e del ruolo dell’associazione non mi mancherà.
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Concetta Mineo
Ho conosciuto Giorgio de Gregori in occasione del 23° Congresso dell'AIB a Civitanova Marche, il primo a cui partecipavo. Era esattamente l'ottobre del 1973. Ho un ricordo ancora molto vivo: durante il pranzo Giorgio chiese un po' di silenzio, sparì dietro una tenda e, subito dopo, abbiamo sentito una voce cantare: era il primo disco del figlio Francesco. Gli applausi furono scroscianti. Giorgio era un padre felice e orgoglioso!
Un altro ricordo è legato al 25° Congresso, ad Alassio. Giorgio aveva un affetto speciale per noi siciliane, eravamo le sole a partecipare ai Congressi: Angela Daneu, Emma Alaimo, Pina Li Calzi, me stessa. Conservo ancora una fotografia che Giorgio volle fare pranzando con noi; è datata 8 marzo 1975 e porta la sua firma con i saluti cordiali.
Addio, Giorgio!
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Carlo Revelli
Non ho mai lavorato direttamente con de Gregori, al quale mi lega peraltro un'affettuosa amicizia per la lunga conoscenza . Lo ricordo in un periodo cruciale per l'Associazione, quando questa si staccò dalla comoda quanto vincolante dipendenza dalla Direzione generale; infatti dopo la lunga presidenza di Apollonj, durata dal 1960 al 1968, ci fu la svolta con la presidenza di Pagetti e con la segreteria affidata proprio a de Gregori. Con la successiva presidenza di Angela Vinay l'Associazione ebbe ulteriore impulso. Ricordo che verso la fine della presidenza Vinay, in un congresso a Firenze, Giorgio de Gregori stava accanto all'ingresso con suo figlio, a salutare i colleghi. A proposito del quale figlio (che era presente anche alla premiazione dei soci d'oro), risalii nella considerazione di mia figlia sedicenne (tanto tempo fa) quando venne a sapere che ero amico del padre del cantautore. Per me, iscritto dal 1951, de Gregori rimane un punto fisso nella storia dell'Associazione, con la sua presenza fisica oltre che con i risultati della sua attività.
Omaggio a Giorgio de Gregori. «AIB Notizie», 15 (2003), n. 7, p. 7-12.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2003-07-26 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-07omaggio.htm