[AIB]AIB Notizie 1/2003
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Professione bibliotecario: un percorso in salita

Piera Colarusso

La Sezione Lazio ha sinora avuto un’intensa attività cercando di venire incontro alle aspettative dei soci, allargando il proprio campo d’azione ai settori più svariati: dall’aggiornamento professionale, soprattutto nell’ambito tecnologico, alle problematiche della professione nella maniera più trasversale possibile.
Avendo al proprio interno un componente dell’Osservatorio lavoro rappresentante del settore privati, le problematiche di questa categoria di soci, quali l’evolversi della situazione legislativa, sia in campo contrattuale (con particolare riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative) sia riguardo al riconoscimento della professione, sono particolarmente seguite. È quest’ultimo un problema particolarmente sentito da tutti i bibliotecari privati, dipendenti e no, perché genera i problemi più grossi di questo settore e cioè la mancanza di un contratto collettivo nazionale di lavoro e le gare d’appalto. Per tale ragione è con particolare piacere che tratterò tale argomento.
Prima di parlare del “cammino” per il riconoscimento della professione vorrei definire che cosa si intende per professione.
Nel senso più attuale del termine «si parla di professioni per quelle che comportano di norma conoscenze specializzate e sono esercitate a beneficio di un fruitore ... al quale il professionista presta la propria competenza e capacità di giudizio, assumendo quindi inevitabilmente una certa responsabilità » così dice Alberto Petrucciani (Nascita e affermazione della professione bibliotecaria in Italia (1861-1969) , in: La professione bibliotecaria in Italia e altri studi, Roma: BNCR, 2002 («Quaderni della Biblioteca nazionale centrale di Roma»; n. 9), p. 5-34) che prosegue: «Professionalizzazione, in sostanza, è rivendicazione collettiva di una funzione sociale specializzata, utile alla collettività oltre che al singolo fruitore, delicata per le conoscenze che richiede, il giudizio che comporta, e le possibili conseguenze negative della cattiva pratica. ... richiede quindi di essere svolta in autonomia ... Non arbitrio ma autogoverno della propria sfera di responsabilità, insomma, con le inevitabili possibilità di conflitto con il potere e/o con il mercato. Questo quadro, in sostanza, costituisce anche la ragion d’essere ... della tutela legislativa delle professioni».
A mio avviso, questa di Petrucciani mi sembra l’espressione che più corrisponde al moderno intendere la professione nel suo evolversi dalla forma liberale ottocentesca a quella che si adegua alle direttive europee.

Excursus storico: 1987-2002
Nel 34° Congresso AIB a Viareggio (28-31 ottobre 1987) la tesi n. 8 aveva questo enunciato: «L’efficienza dei servizi presuppone la consapevolezza della dimensione professionale da parte dei bibliotecari e il riconoscimento giuridico della professione» . Con tali parole si può dire che ha idealmente inizio il “cammino” verso quello che definiremo l’Obiettivo da raggiungere (la nostra delenda Carthago).
Si costituirono due gruppi di studio, quello sulle forme del riconoscimento che operò in stretta collaborazione col secondo, che si occupava della configurazione del sistema formativo su cui doveva necessariamente basarsi tale aspirazione.
Interessante per capire l’evolversi del concetto è la relazione di Giuseppe Colombo al Congresso nazionale di Cefalù (1989) dal titolo Uno statuto per la professione” (Atti del 35. Congresso nazionale di Cefalù, 30 settembre-4 ottobre 1989, Palermo: Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, p. 221-230) in cui pone preliminarmente la domanda: «quella del bibliotecario è un’autentica professione di particolare rilevanza pubblica, tale per cui sia indispensabile il riconoscimento giuridico? ... sopratutto trattandosi di professionisti-impiegati ... che sono comunque già tutelati dalle leggi e dai contratti di lavoro».
Come si può constatare il discorso all’interno dell’AIB riguardava soltanto i “professionisti-impiegati”; non si prendeva in considerazione l’esistenza di altri tipi di lavoratori (molto spesso soci AIB, persone ed enti) chiamati dall’esterno, come alcune società e cooperative, tuttora attive che agivano già dal 1978.
I due gruppi di studio raggiunsero poi l’obiettivo stabilito: 1) si definì la professione di bibliotecario documentalista ed esperto dell’informazione; 2) si stabilirono i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale, secondo lo schema tradizionale: laurea (in biblioteconomia), esame di Stato, iscrizione all’Albo professionale.
Lo spazio è tiranno, ma per chi volesse avere una idea più chiara dell’evolversi "ideologico" e della presa di coscienza del bibliotecario è molto indicativo un altro articolo di Petrucciani dal titolo L’identità professionale del bibliotecario (ivi, p. 231-245).
Tutto questo elaborare e dibattere ha il suo corollario il 12 febbraio 1991: viene ufficialmente depositata alla Camera da deputati democristiani, primo firmatario l’on. Amalfitano, la proposta di legge per l’istituzione dell’albo degli archeologi, storici dell’arte, archivisti e bibliotecari.
La discussione era iniziata da qualche anno all’interno del Ministero per i beni culturali e ambientali nell’ambito dell’Associazione nazionale dei collaboratori scientifici e tecnici del Ministero (A.N.Co.S.T.) e dell’Associazione dei funzionari tecnici (ASSOTECNICI) del ministero stesso. Gli scopi erano di ordine diverso: per gli “interni” si trattava di ottenere un rafforzamento del potere contrattuale rispetto ad architetti e geometri, in possesso di un albo, e quindi in grado di rivendicare passaggi di livello e contributivi; gli “esterni” invece ritenevano necessaria una normativa che permettesse il riconoscimento del loro lavoro e lo tutelasse.
L’incontro fra le diverse esigenze derivava dal fatto che i tecnici del Ministero avevano bisogno del supporto di liberi professionisti per una richiesta, strana se avanzata esclusivamente da chi era dipendente della pubblica amministrazione.
Questa vicenda mi sembra esemplare per capire le dinamiche all’interno delle associazioni nei rapporti coi collaboratori esterni.
Come tutti sappiamo la fine della legislatura portò all’interruzione dell’iter legislativo. In data 20 gennaio 1993 venne ripresentata una proposta alla VII Commissione Cultura Atto Camera 1768 a firma dei partiti del centro-sinistra. Le vicende politiche impedirono la realizzazione del progetto.

Direttive europee
Nel frattempo però la Comunità europea aveva emanato due direttive – rispettivamente nel 1989 (89/48/CEE) e nel 1992 (92/51/CEE) –, tese a regolamentare le professioni non riconosciute e consentire la libera circolazione lavorativa dei cittadini dell’Unione (di cui stralcio alcune parti significative):
Viene consentita «la facoltà di esercitare una professione, a titolo indipendente o dipendente, in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali ... è opportuno ... agevolare l'esercizio di tutte le attività professionali subordinate al possesso di una formazione post-secondaria ... definire in particolare la nozione di attività professionale regolamentata ... per tener conto delle diverse realtà sociologiche nazionali; è assimilata ad un'attività professionale regolamentata l'attività professionale esercitata dai membri di un'associazione od organizzazione che, ... sia oggetto, ... di riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e rilasci ai suoi membri un diploma; esiga da parte loro il rispetto di regole di condotta professionale da essa prescritte e conferisca ai medesimi il diritto di un titolo, di un'abbreviazione o di beneficiare di uno status corrispondente a tale diploma; ... i cittadini degli Stati membri potranno avvalersi del titolo professionale o dell'abbreviazione conferiti da dette organizzazioni o associazioni soltanto se è comprovata la qualità di membro delle medesime».
Il CNEL, nell’ottica di adeguamento, si mosse in quella direzione, con una proposta di legge mirante al riconoscimento di associazioni professionali aventi un effettivo controllo del settore di attività, con un proprio albo professionale e un codice deontologico.
Il riferimento ad albi professionali privati esistenti nell’Unione (ad esempio, quello dell’inglese Library Association) incontrò il favore dell’Associazione anche se poi si continuò, invano, sulla strada precedentemente intrapresa.
L’evolversi delle vicende politiche, la necessità di adeguamento alle direttive europee portarono in seguito a una scelta orientata alla autoregolamentazione. Dice Petrucciani: «sono i professionisti associati, non il Parlamento a definire una professione e i suoi contenuti, i suoi requisiti formativi, il suo codice deontologico, e quindi a costituire un albo, a regolare le iscrizioni a questo, a controllare – nell’interesse pubblico – qualità e correttezza delle prestazioni» (Verso l’albo professionale, «Bollettino AIB», 37, 1997, n. 3, p. 277-279.
Nel Congresso di Napoli (29-31 ottobre 1997) furono adottati il Codice deontologico del bibliotecario, il Codice di comportamento dell’AIB e il Regolamento di disciplina, si avviò il discorso dell’istituzione e gestione dell’albo professionale che venne approvato e sancito dall’Assemblea generale dei soci l’anno successivo nel 44° Congresso a Genova, 28-30 aprile.

Stato dell’arte: proposte e disegni di legge
Sulla via dell’adeguamento alle direttive europee, già dalla passata legislatura c’erano state proposte e disegni di legge per il riconoscimento delle professioni non regolamentate.
Alcune sono state riproposte, altre sono nuove. Citerò le più significative:
1) XIV legislatura - Progetto di legge 1048: Istituzione del certificato professionale controllato e delega al Governo per la disciplina delle professioni non regolamentate.
2) Senato della Repubblica – XIV legislatura – Disegno di legge S258, d’iniziativa del senatore Bastianoni.
3) XIV legislatura - Progetto di legge n. 2488.
La proposta delle prime due, quasi identiche se non in alcune espressioni, definito l’oggetto della legge «tutte le attività professionali, ... che non sono ricomprese nell’art. 2229 del codice civile, istituisce il "Certificato professionale controllato" rilasciabile a tutti i prestatori, iscritti alle associazioni professionali, che ne facciano richiesta e che dimostrino di essere in possesso dei requisiti.
Delega al Governo di individuare e riconoscere forme aggregative delle associazioni professionali, (organismi privati) necessariamente costituite da almeno dieci associazioni a cui devono partecipare associazioni dei consumatori riconosciute ai sensi della legge 30 luglio 1998, n. 281.
Sono organi “super partes” con uno statuto che è parte integrante dello statuto di ogni associazione aderente, con funzione di controllo sull’operato delle associazioni, devono rilasciare, la certificazione di qualità ai prestatori di attività.
Le associazioni aderenti accettano i poteri di verifica e controllo da parte delle forme aggregative cui aderiscono e l’esclusione dalle stesse in caso di inadempienze gravi;
si impegnano a versare regolarmente i contributi annui per l’anno in corso e per quello successivo.
Le associazioni professionali stabiliscono i requisiti necessari per il rilascio del certificato: i livelli di preparazione didattica (titoli di studio o percorsi formativi); definiscono l’oggetto dell’attività e dei relativi profili professionali; determinano gli standard qualitativi da rispettare; elaborano un codice deontologico e definiscono eventuali interventi sanzionatori nei confronti degli associati; il Ministro della giustizia, anche avvalendosi del ruolo consultivo del CNEL, verifica l’operato delle forme aggregative.
Il progetto 2488, analogamente alle prime descritte ha come oggetto le professioni non regolamentate (escluse dall’art. 2229 del codice civile), e in attuazione della direttiva 92/51/CEE istituisce “l’attestato di competenza”, con cui le associazioni professionali attestano il possesso dei requisiti, l’esercizio abituale della professione, il costante aggiornamento ... del professionista; il quale deve essere in possesso di una polizza assicurativa per la copertura dei rischi, a garanzia degli utenti.
Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituito il Dipartimento delle associazioni professionali, con il registro delle associazioni che abbiano caratteristiche prestabilite.
Le associazioni professionali autorizzate definiscono i requisiti necessari ai fini del rilascio del certificato, tra i quali: l’individuazione di livelli di qualificazione professionale (titoli di studio o di percorsi formativi alternativi); la definizione dell’oggetto dell’attività professionale e dei relativi profili professionali; la determinazione di standard qualitativi da rispettare nell’esercizio delle attività; l’elaborazione di un codice deontologico e la definizione di eventuali interventi sanzionatori nei confronti degli associati;
I codici deontologici e i requisiti stabiliti dalle associazioni professionali sono sottoposti alla valutazione del Dipartimento delle associazioni professionali».
Come si può riscontrare dalla lettura, questa proposta di legge, analogamente a quanto avviene in molti Stati dell’UE, consente alle associazioni professionali iscritte al registro di rilasciare l’attestato di competenza ai propri iscritti senza intermediazioni; mentre nel caso delle precedenti proposte il riconoscimento dovrebbe promanare da federazioni di associazioni, la cui competenza a valutare la qualità professionale degli iscritti alle varie associazioni suscita molti interrogativi, visto che la legge non dice come avverrebbero queste forme aggregative, e chi ne dovrebbe stabilire le componenti.
Noi siamo in attesa e cercheremo nei modi e nelle forme più opportuni di far conoscere ai legislatori quel che ci aspettiamo da una legge sulla regolamentazione delle professioni.
Intanto, però, l’Associazione si sta muovendo, soprattutto con l’Osservatorio lavoro con la politica dei "piccoli passi" intervenendo ove è necessario a cercare di risolvere problemi che vengono a ledere la dignità della professione, a far riconoscere la professionalità dei soci. Casi ce ne sono tanti, ricordo gli interventi per bandi non molto ortodossi, gare d’appalto a dir poco strane ecc.
Un evento dei più significativi, che ci fa ben sperare, è quello di un focus group della Regione Lombardia, che a nome dell'Osservatorio lavoro AIB (nella persona di Nerio Agostini) ha prodotto un documento relativo al profilo del bibliotecario di ente locale responsabile di biblioteca (reperibile sul sito http://www.biblioteche.regione.lombardia.it). Questo nuovo documento sarà poi inviato a tutti gli enti locali della Lombardia come direttiva prescrittiva in conformità al piano triennale 2001-2003.
Ci si augura che tale strumento per il riconoscimento della professionalità del bibliotecario di ente locale sia applicato correttamente, possa costituire un modello per altre regioni e sia recepito a livello contrattuale nazionale e decentrato.
Concludo questa panoramica sulla professione con una constatazione positiva: alla Sezione Lazio, al CEN, all’Osservatorio lavoro giungono sempre più frequenti lettere da parte di bibliotecari che, in quanto soci AIB, iscritti all’albo professionale, reclamano una maggiore considerazione per il proprio ruolo, alcune hanno forse pretese un po’ utopistiche e anche in anticipo sui tempi, ma sono sintomatiche della «consapevolezza della dimensione professionale» di cui parlava l’enunciato della tesi n. 8 del Congresso di Viareggio, e di un orgoglioso senso di appartenenza all’Associazione e a una categoria di professionisti che crede nella propria professione e vuole che anche gli altri la riconoscano e la apprezzino.

pieracolarusso@libero.it

COLARUSSO, Piera. Professione bibliotecario: un percorso in salita. «AIB Notizie», 15 (2003), n. 1, p. 11-12.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2003-02-10 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-01colarusso.htm

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