AIB Notizie 10-11/2002
Biblioteca di Alessandria: il simbolo e la realtà.
Giuseppe Vitiello
La storia delle biblioteche è stata spesso évenementielle e focalizzata sui fatti salienti della vita di una biblioteca, dai nastri rossi da tagliare al momento delle inaugurazioni di edifici e servizi agli occhi lucidi del personale all’andare e al venire dei direttori.
Dietro tali epifenomeni si possono indovinare trasformazioni amministrative che oltrepassano la semplice routine: nascita e trasformazione di ministeri, impegni presi con occhi gravi da ministri, bracci di ferro giocati nei corridoi tra direttori generali.
Quando tale storia ha come sfondo l’ampio scenario dei movimenti sociali, tra acculturazione degli strati deboli della popolazione, lotte di classe e conquiste operaie e sindacali, appare evidente, in Italia, il divario tra politiche culturali esplicite e condizioni reali delle biblioteche. E giungono puntuali le proteste in forma di saggistica: Primo: non leggere, si intitolava un libro assai popolare negli anni Settanta, una denuncia circostanziata delle politiche a (s)favore delle biblioteche dall’Unità all’età contemporanea; i “guai del Novecento” era il capitolo indignato di un’altrettanto popolare Storia delle biblioteche in Italia, ugualmente drastico il giudizio di un altro studioso: «un secolo di decisioni sbagliate». Con maggiore misura, ma uguale passione civile, la Storia delle biblioteche in Italia: dall’Unità a oggi di Traniello (2002) conferma questi pareri.
Tanto scarsa è l’attenzione del mondo politico italiano che si fa fatica a pensare a una dimensione “simbolica” delle biblioteche e a un loro ruolo economico e sociale, su cui gli eletti al Parlamento nazionale potrebbero, per esempio, fondare le proprie fortune elettorali. Eppure esempi di questo tipo non sono rari all’estero. Il movente che ha spinto Bill Clinton a fondare una biblioteca a Little Rock, nello Stato dell’Arkansas, è stato quello di inserirsi nel solco di una tradizione democratica rispettosa delle politiche per l’educazione e l’informazione. Ispirato da un brillante pensatore, François Mitterrand decise diversi anni fa di dedicare uno dei suoi “grandi cantieri” alla costruzione della Bibliothèque nationale de France, che prende appunto il suo nome. Su di un piano ancora più altamente simbolico, perché ritagliato sullo sfondo lacerante di una Germania prima divisa e in seguito riunificata, si è snodata la vicenda della Deutsche Bibliothek, infine accorpata nelle sedi di Francoforte (automazione, bibliografia nazionale), Lipsia (conservazione, collezioni antiche) e Berlino (documenti sonori). E, a un livello più modesto (si fa per dire), vale la pena citare il grande successo della Bibliothèque publique d’information nel Centro Georges Pompidou, dotata di più di un milione di volumi a libero accesso e forte stimolatrice di emulazioni e di vocazioni. Ormai, in Francia, i sindaci giocano spesso il proprio futuro politico sulla presenza o meno di una mediateca nei loro programmi elettorali: vedere (naturalmente, il film di Eric Rohmer L’albero, il sindaco e la mediateca) per credere.
In altra direzione, ma ugualmente sul registro simbolico, puntavano gli strateghi delle politiche culturali in Unione Sovietica, dove il processo di costruzione della società “ultima”, il principio del comunismo materiale e la formazione di una nuova personalità si attuavano attraverso la rete delle biblioteche “universali” – universali, a dire il vero, più per attaccamento ai valori comunisti che per varietà e diversità delle collezioni. La dimensione simbolica delle biblioteche dei paesi socialisti si esprimeva in una litania di cifre, in cui l’arma segreta era rappresentata dai criteri statistici. In quei paesi, infatti, le statistiche bibliotecarie erano gonfiate calcolando il numero delle riviste e dei volumi non in funzione dei titoli catalogati, secondo la tradizione occidentale, ma secondo la quantità di “pezzi” acquisiti. La differenza di parametro portava al risultato che collezioni pari a poche centinaia di migliaia crescevano fino a raggiungere svariati milioni di volumi. Chi fra i politici e gli ideologi intenti a recitare i fasti del regime se ne sarebbe accorto?
Altro esempio di simbolismo applicato alle biblioteche, la proliferazione di biblioteche nazionali nel mondo. La costituzione di una Biblioteca nazionale là dove sorgeva l’ex Comunale di Banja Luka nella Repubblica di Bosnia-Erzegovina intende affermare una solidarietà di sangue etnico al posto dell’assai più gloriosa tradizione ideale inter-etnica della Biblioteca nazionale e universitaria di Sarajevo, cannoneggiata appunto per motivi simbolici. Pittoresca è anche la proliferazione di biblioteche nazionali in Italia, dove la Biblioteca nazionale centrale “una e bina” di Roma e Firenze mostra fino a che punto sia longeva in Italia la tradizione del campanile. E che dire delle biblioteche nazionali di Mosca e San Pietroburgo, dove il sonno della ragione culturale impedisce di riconoscere il declino della potenza sovietica e la necessità di un compromesso tra Biblioteca nazionale Lenin, a Mosca, e Biblioteca nazionale “russa”, a San Pietroburgo?
È in questo modo che rappresentazioni collettive, simboli e miti fondatori di un paese, di una società, di una comunità riescono a loro volta a ri-fondare (gründen - begründen, come affermava Kerényi), nel bene come nel male. Fino ad arrivare al mito dei miti, il simbolo per antonomasia della biblioteca: la Bibliotheca Alexandrina, straordinaria creazione libraria dell’antichità, oggi letteralmente risorta dalle ceneri nella splendida proposta architettonica dello studio norvegese Snøhetta.
Parlare di Alessandria in occasione della sua inaugurazione (16 ottobre 2002) significa fare l’apologia stessa della storia. Significa raccontare dell’avida ricerca di documenti cui si era dedicata la dinastia dei Tolomei, dello stuolo di traduttori arruolato a lato dei bibliotecari per trasporre in greco i testi delle leggi ebraiche, delle alti scaffalature che circoscrivevano il “luogo di cura dell’anima”.
La rinascita della Biblioteca di Alessandria ha ufficialmente inizio nel 1990, con la Dichiarazione di Aswan, firmata da capi di Stato, accademici famosi e alcune teste coronate. La professione bibliotecaria era rappresentata da Hans-Peter Geh, all’epoca Presidente dell’International Federation of Library Associations, e dal bibliotecario emeritus della Library of Congress, Daniel Boorstin.
L’esercizio filologico applicato alle dichiarazioni dei politici ha ormai perso molto della sua credibilità: troppe sono infatti le varianti tra promesse e successive applicazioni. Nel caso della Dichiarazione di Aswan, tuttavia, tale esercizio può rilevare verità interessanti. Ad esempio, la presentazione della nuova Biblioteca di Alessandria mostra come la pax imperiale di un tempo si sia oggi trasformata in una pacifica ricerca del Graal conoscitivo (transposing Alexander’s dreams of empire into a quest for universal knowledge), di come si possa leggere retrospettivamente la storia “inventando” una tradizione di sapere condiviso (The Bibliotheca Alexandrina will stand as a testimony to a decisive moment in the history of human thought – the attempt to constitute a summum of knowledge, to assemble the writings of all the peoples […] a new spirit of critical inquiry, for a heightened perception of knowledge as a collaborative process), di come essa possa infine inaugurare una pista professionale che non teme gli steccati biblioteconomici (a public research library), a testimonianza della profonda novità della sua missione.
La Bibliotheca Alexandrina sciorina cifre con maestà faraonica e la loro approssimazione alimenta ulteriormente l’aura indistinta e solenne del mito: 500.000 rotoli si narra avesse l’antica Biblioteca d’Alessandria; la moderna avrà 4-8 milioni di volumi (quattro o otto? e secondo la contabilità occidentale o orientale?), 85.000 metri quadri per 11 piani in altezza (in un’altra notizia d’agenzia, 69.000 per 13 piani), 578 impiegati (quasi il doppio della Biblioteca nazionale centrale di Firenze). Il suo costo – 200 milioni di dollari – resta nella media delle costruzioni di grandi biblioteche: la Bibliothèque nationale de France è costata 110 milioni di euro solo di costruzione, la Deutsche Bibliothek 125 milioni di euro. Secondo prime valutazioni, la Biblioteca europea di informazione e cultura dovrebbe costare 180 milioni di euro, se realizzata entro il 2010. La Bibliotheca Alexandrina si è avvalsa della generosità e della cooperazione di un numero eccezionalmente grande di donatori provenienti dagli Stati più diversi. Innanzitutto la Norvegia, in prima linea nella sua missione di pace tra mondo arabo e il resto del mondo che, oltre al progetto architettonico, ha finanziato anche arredi per oltre tre milioni di dollari.
La costruzione è senz’altro affascinante: una calotta rovesciata e inclinata con dolce movimento verso il mare, a immagine, recitano le didascalie, «del sole egiziano, che illuminerà il mondo e la civiltà umana», mentre il granito locale, la pietra preferita dei faraoni, riporta le lettere calligrafiche di tutti gli alfabeti del mondo. I simboli si sprecano.
In che modo l’universalismo alessandrino continua oggi a ispirare la marcia dell’umana civiltà? Su quali dei miti d’oggi potrebbero contare i decisori bibliotecari per promuovere le loro scelte presso il mondo politico? La caduta in Borsa dei valori tecnologici e il conseguente declino di start-up e di società di telecomunicazione hanno forse solo rimandato l’avvento della società di consumo in rete. Resta però, più saldo che mai, il mito della biblioteca digitale, se non altro perché sorretto da una comunicazione scientifica che, sia nella versione commerciale sia nell’alternativa dell’Open Archive Initiative e degli archivi editoriali elettronici ad accesso libero, si avvia a raggiungere rapidamente il 100% elettronico. Tra tutti i simboli che hanno animato e rivivificato il mondo delle biblioteche, virtualità e digitalizzazione sono non solo quelli più attuali, ma anche più vicini alla loro missione universale e di pubblico servizio. E proprio perché cervelli elettronici regolanti il mondo delle informazioni virtuali, le biblioteche odierne si accorpano, si integrano, sono sempre più di grandi dimensioni. Ecco, dunque, un retaggio simbologico e professionale da intercettare, spiegare e presentare al personale politico, per il quale vale la pena che il mondo bibliotecario si mobiliti.
g.vitiello@iss-eu.org
VITIELLO, Giuseppe. Biblioteca di Alessandria: il simbolo e la realtà. «AIB Notizie», 14 (2002), n. 10-11, p. 3-4.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2002-24-12 a cura di Franco Nasella
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