Ripensando ai numerosi e utili spunti di riflessione forniti dai relatori intervenuti alla Conferenza, tenutasi a Spoleto dall'11 al 13 ottobre, non ho potuto fare a meno di notare l'assenza, tra le realtà prese in considerazione, delle biblioteche di istituzioni private. Eppure queste ultime sono spesso depositarie di patrimoni librari significativi quanto alla rarità del contenuto e al valore bibliologico, tali da presupporre un compito di tutela che va ben oltre l'attribuzione di una generica responsabilità di conservazione.
La Fondazione Ezio Franceschini (Firenze), per la verità, ha preso attivamente parte alla Conferenza tramite un intervento di Claudio Leonardi (che della Fondazione è direttore) alla Tavola rotonda sul tema "Oltre il libro". Da lui, forse, ci si aspettava un riferimento alla decennale esperienza sui manoscritti; egli è, invece, intervenuto sul tema della labilità dei programmi informatici che rappresentano, oggi, uno strumento necessario e imprescindibile per la realizzazione di archivi elettronici di qualunque tipo (dai cataloghi alle bibliografie, ai repertori) e all'esigenza di intervenire con una adeguata progettazione (ad esempio tramite software ad oggetti) e una metodologia operativa nella fruizione di questi strumenti (rilevando, tra l'altro, l'opportunità di salvaguardare i prodotti cartacei degli archivi elettronici).
Ma tornando al tema più tradizionale, quello, cioè, della conservazione del bene librario, ho riportato l'impressione che fosse necessario richiamare l'attenzione su realtà come la nostra, non visibili alla Conferenza, al fine di sensibilizzare l'amministrazione centrale, gli organi regionali, le istituzioni deputate alla formazione dei bibliotecari conservatori circa l'importanza di una adeguata formazione dei bibliotecari responsabili della gestione di questi patrimoni "privati".
La Biblioteca di cultura medievale, organo comune della Fondazione Ezio Franceschini e della Società internazionale per lo studio del Medioevo latino (SISMEL) si è costituita, storicamente, attraverso l'acquisizione di biblioteche private di numerosi studiosi della cultura medievale e romanza. In pochi anni abbiamo, infatti, realizzato un patrimonio di cui siamo responsabili rispetto alla comunità scientifica e alle istituzioni nazionali e locali che collaborano finanziariamente alla relativa gestione, documentazione, fruizione e conservazione.
Sono qui presenti le biblioteche di Ezio Franceschini (1906-1983), di Zelina Zafarana (1939-1983), di Lorenzo Minio Paluello (1907-1986), di mons. José Ruysschaert (1914-1993), di Bruno Nardi (1884-1968), di Carmelo Cappuccio (1901-1993) e di Gianfranco Contini (1912-1990).
È inutile dire che questi fondi librari, pur organicamente integrati nella nostra biblioteca, presentano, ciascuno, una loro intrinseca specificità contenutistica e disciplinare, utile, peraltro alla ricostruzione degli interessi e delle metodologie di studio dei proprietari originari (si pensi alle numerose note marginali autografe presenti sui volumi), dei quali si possiedono anche gli archivi.
D'altra parte la biblioteca procede a un costante aggiornamento del suo patrimonio: tralasciando gli acquisti, gli scambi, gli omaggi costituiti da volumi "nuovi" mi preme qui sottolineare un'altra, cospicua fonte di arricchimento bibliografico: l'acquisto presso librai e antiquari di edizioni di testi e monografie non più disponibili sul mercato editoriale: anche in questo caso, come per i libri "nuovi", si procede a una preliminare, accurata verifica scientifica delle raccolte non solo interne ma anche, spesso, di altre biblioteche dell'area metropolitana.
Tutto questo materiale bibliografico ha carattere di rarità, in Italia, sia per le caratteristiche di internazionalità, quanto alla lingua e al paese di pubblicazione, sia perché di argomento specialistico, relativo, cioè, alle discipline, alle istituzioni e alla storia culturale e letteraria del Medioevo. Stiamo, infatti, parlando di una biblioteca specialistica che accoglie ormai quasi 100.000 documenti bibliografici tra volumi, riviste, microfilm e CD-ROM e che si configura come raro esempio di realtà bibliologica in quanto raccoglie in modo unitario la produzione editoriale medievistica europea degli ultimi due secoli.
Proprio questa connotazione "moderna" rende particolarmente fragile il nostro patrimonio, tanto più considerando le modalità di acquisizione sopra descritte, per cui l'eventuale stato di degrado è concretamente verificabile solo al momento dell'accessione. Senza contare l'eterogeneità dei metodi di trattamento che può aver caratterizzato l'uso e lo stoccaggio dei volumi prima che questi siano giunti nelle nostre mani. Volutamente non faccio qui riferimento al fondo dei libri antichi (possediamo alcune centinaia di opere pubblicate prima dell'Ottocento, tra cui 85 cinquecentine): essi, infatti, godono sicuramente salute migliore rispetto alle più recenti pubblicazioni.
Vorrei sottolineare, invece, un altro aspetto che contribuisce a rendere più complesse le funzioni di tutela: quanto alla tipologia fruitiva la Biblioteca si configura come biblioteca di studio e di consultazione, talvolta, direi, di consultazione "selvaggia" visto il numero elevato e l'operosità di gruppi di ricerca e di imprese impegnate nella produzione di bibliografie e repertori, operanti presso la SISMEL e la Fondazione, che condividono i locali riservati presso la Certosa del Galluzzo, a Firenze. Abbiamo, peraltro, inteso favorire i nostri utenti con il sistema "a scaffale aperto" che consente, anche, di dirottare risorse economiche verso altre tipologie di servizi. Una scelta che comporta evidenti conseguenze, talvolta disastrose, sulla manutenzione del manufatto librario.
Non credo sia il caso di entrare, qui, nel merito delle strategie operative e delle metodiche di intervento finora adottate: l'evidente sensibilità ai problemi della tutela ci ha spinto a interventi continui e mirati, sia attraverso scelte di prevenzione (disinfestazione dei locali, copie doppie, microfilmatura), sia ricorrendo alla rilegatura e al restauro con i progetti previsti. Tutto ciò grazie all'intervento finanziario del Ministero per i beni e le attività culturali e con la supervisione dell'Istituto centrale per la patologia del libro e dei funzionari collaudatori della Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Ciò che voglio sottolineare è, invece, la sensazione di una inadeguatezza formativa con la quale, talvolta, si è dovuto intervenire nella definizione dei criteri operativi per la salvaguardia del patrimonio e, soprattutto, nella scelta e definizione delle metodologie di intervento sia attraverso i progetti di restauro sia nel definire i criteri più opportuni per gli interventi di rilegatura. Infatti non è sufficiente, a mio parere, una cultura bibliologica e una conoscenza, peraltro generica, delle caratteristiche strutturali dei manufatti librari, appresa dalla letteratura sull'argomento: occorre, invece, una approfondita conoscenza delle tecniche attraverso la visualizzazione di esperienze di intervento materiale.
Del resto si devono qui tener presenti due fattori caratteristici di realtà istituzionali private e medio-piccole come quelle in cui mi trovo a operare. Da una parte l'assenza di una strutturazione organica del personale bibliotecario e di una definizione di specifici profili professionali: diversamente dalle biblioteche statali, delle università e degli enti locali, dove predomina una netta divisione di ruoli, nella nostra biblioteca prevale una distribuzione indifferenziata delle varie operazioni tra i pochi bibliotecari disponibili, peraltro con collaborazioni saltuarie. La progettazione delle pratiche di prevenzione e degli interventi riparatori è demandata a chi svolge funzioni di coordinamento della biblioteca, nonché a chi segue le fasi di accessionamento e di prestito dei volumi. Il secondo aspetto è la preparazione "generica" di quei bibliotecari che si sono formati fino agli anni Ottanta, i quali, dopo la laurea in materie non biblioteconomiche, hanno potuto seguire, nel migliore dei casi, un corso di formazione esteso, ma di natura eclettica che toccava, magari, solo marginalmente gli aspetti della bibliologia e della conservazione nei suoi aspetti tecnici. Questi bibliotecari devono la loro formazione soprattutto ad una lunga esperienza sul campo.
Nella sua relazione in occasione della Conferenza, il Direttore generale dell'Ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l'editoria, prof. Francesco Sicilia, ha fatto riferimento alle linee programmatiche del Ministero, tra cui l'ampliamento dell'autonomia gestionale degli istituti, «a cui viene attribuito il totale esercizio del restauro» che sarà «coniugato con una politica di formazione del personale e di aggiornamento professionale». Maria Lilli Di Franco (Direttore scientifico della Fondazione per la conservazione e il restauro dei beni librari istituita a Spoleto) e Piero Innocenti (direttore del Dipartimento di storia e cultura del testo presso l'Università della Tuscia), rappresentanti delle istituzioni deputate alla formazione dei bibliotecari nel campo della tutela e conservazione del libro, hanno recepito questa esigenza di formazione di personale già operativo accennando alla futura apertura a corsi in tal senso finalizzati.
Ma, anche in questo caso, si è fatto riferimento esclusivamente a bibliotecari statali e di ente locale.
Ora, io credo che, al di là della connotazione privata di istituzioni come la nostra, debba essere sottolineato il servizio di interesse pubblico che riusciamo a svolgere per la comunità scientifica, mettendo a disposizione un patrimonio e un servizio di reference bibliografico specializzato, per altri versi non reperibile nelle biblioteche statali e universitarie, caratterizzate da finalità istituzionali diverse dalla nostra. Se è vero che anche per questo servizio ci è riconosciuto il ruolo istituzionale di biblioteca di conservazione, per poter rispondere a ragione delle responsabilità che si attribuiscono al bibliotecario conservatore, in particolare al bibliotecario responsabile delle pratiche di prevenzione e di intervento, quest'ultimo deve essere supportato dagli organi statali e locali sia attraverso la definizione di chiari indirizzi operativi circa la selezione del materiale da salvaguardare e le tecniche specifiche privilegiate, tramite protocolli di comune applicazione, sia con una adeguata specializzazione degli operatori: infatti la standardizzazione non può sostituire la sensibilità del bibliotecario conservatore rispetto al manufatto librario.