Bibliothecarius del Duemila ovvero
Studiate il greco e girerete il mondo (dell'informazione)
di Luca Bellingeri
Inutile nasconderlo. La notizia che, grazie alla deroga contenuta nella legge finanziaria 1998, sarebbero stati messi a concorso circa 600 nuovi posti negli organici del Ministero per i Beni culturali e che fra questi alcuni, seppur non moltissimi, avrebbero riguardato il settore delle biblioteche aveva creato grandi speranze e molte aspettative fra i molti, troppi, giovani in cerca di occupazione ed anche fra chi nel Ministero già lavorava.
Aspettative e speranze più che giustificate se si considera che l'ultimo concorso per bibliotecari laureati nel Ministero era stato bandito nell'ottobre del 1982, quando presumibilmente molti degli attuali aspiranti frequentavano ancora le scuole elementari, che occorre risalire ancora più indietro nel tempo per trovare un concorso per diplomati, che di concorsi interni per i dipendenti non c'è più traccia da quasi quindici anni e che, salvo qualche sporadica immissione di personale a seguito di procedure di mobilità, gli organici delle biblioteche, a tutti i livelli, risultano ormai bloccati da oltre dieci anni, con il curioso effetto di continuare a considerare "ragazzi" quanti, come il sottoscritto, hanno ormai raggiunto, e talvolta abbondantemente superato, i quarant'anni.
Apparirà dunque facilmente comprensibile la delusione, lo stupore e, perché no, lo sgomento, con cui sono stati accolti i bandi dei relativi concorsi, pubblicati sul supplemento Concorsi ed Esami della "Gazzetta ufficiale" dello scorso 1¡ settembre.
Molto è stato già detto, anche su queste pagine, nel precedente fascicolo, sulle incongruenze, i limiti, l'incoerenza dei requisiti previsti per l'ammissione ai diversi concorsi o per l'accesso, per i dipendenti, alla riserva dei posti. A tutto questo potrà, ci auguriamo, porre rimedio la giustizia amministrativa, correggendo alcuni degli errori più macroscopici e riammettendo al concorso candidati altrimenti ingiustamente ed inspiegabilmente destinati all'esclusione. Nulla invece potrà essere fatto per rimediare ad un'articolazione delle prove concorsuali che potrebbe tranquillamente essere stata formulata dal Narducci o dal Tiraboschi cento o duecento anni orsono.
Ma procediamo con ordine, limitandoci ad esaminare i bandi relativi ai tre profili (assistentente tecnico bibliotecario-VI livello, collaboratore bibliotecario-VII livello, bibliotecario-VIII livello) che più da vicino riguardano la nostra professione.
Requisiti di ammissione. Scontata la richiesta del diploma di scuola media superiore per il concorso a VI livello e della laurea per quello di VII (ma i diplomi di laurea breve a questo punto a cosa servono?) le maggiori sorprese si incontrano nel bando per VIII livello. L'art. 2 recita, infatti, che oltre al diploma di laurea (generico) è in questo caso necessario un "diploma post-universitario di specializzazione o perfezionamento equipollente in paleografia, biblioteconomia e bibliografia generale ovvero diploma di informatica rilasciato da una scuola ai fini speciali".
Come richiesto anche dall'Associazione da molti anni (si veda in proposito il numero monografico Professione biliotecario, a cura di A.M. Caproni, P. Geretto e A.M. Mandillo, "Bollettino d'informazioni AIB", 28 (1988), n. 1-2) l'Amministrazione dei beni culturali si è dunque finalmente decisa a selezionare personale dotato non solo di generici requisiti culturali, ma anche di una solida preparazione professionale? Questi futuri vincitori di concorso saranno finalmente quei nuovi professionisti dell'informazione di cui le biblioteche italiane hanno tanto bisogno?
Niente di tutto questo e non solo, come vedremo, per i contenuti delle prove che questi candidati dovranno affrontare (diametralmente opposti alle caratteristiche professionali di un moderno bibliotecario), ma soprattutto perché la figura cos delineata praticamente non esiste in natura! Dove trovare infatti candidati in possesso di un diploma post-universitario di specializzazione o perfezionamento che non siano ormai in età quasi pensionabile, considerato che queste scuole hanno cessato di esistere ormai da oltre dieci anni e che quindi, presumibilmente, i diplomati più giovani si avviano anch'essi (sembra un destino) verso la soglia dei quaranta anni? E potranno sperare di concorrere i diplomati della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari di Roma, dato che questa scuola, "con fisionomia di Facoltà", rilascia un titolo "avente valore di laurea" (come recita il relativo Ordine degli studi) o di seconda laurea per gli studenti già laureati e non di specializzazione post-universitaria? E i diplomati in Paleografia, Diplomatica e Archivistica o in Biblioteconomia della Scuola vaticana, istituzione notoriamente non universitaria? E potrà valere il diploma della Scuola di specializzazione per Conservatori di beni archivistici e librari della Civiltà monastica di Cassino, visto che in essa non figura espressamente alcuna delle discipline previste dal bando? E il dottorato in paleografia o diplomatica? Quali sono, infine, le scuole a fini speciali che rilasciano diplomi di informatica?
Mentre il concorso sembra dunque delineare una figura di candidato che praticamente non esiste, ancora una volta risultano invece ignorati i laureati in Conservazione dei beni culturali, la cui laurea viene considerata equivalente ad un qualsiasi altro diploma, e quindi bisognosa di arricchimento e completamento attraverso un corso post-universitario, dimenticando la specificità di quel corso di laurea, costituito proprio per creare quelle figure professionali per le quali oggi vengono banditi i concorsi.
Rimane infine un dubbio di fondo: come si conciliano i requisiti richiesti in questo bando (così come in tutti quelli per profili di VIII livello) con quanto disposto dall'art. 2 del d.P.R. n. 487/1994, che al comma 6 recita "per l'accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea"?
Riserva dei posti. Se, come abbiamo visto, non mancheranno i problemi, ed i ricorsi, per i candidati esterni che vogliano partecipare ai concorsi, non meno complessa, e talvolta grottesca, si presenta la situazione per quei dipendenti, inquadrati da almeno cinque anni nella qualifica inferiore, che vogliano accedere alla riserva del 30% dei posti. Anche in questo caso, infatti, i criteri, oltre a suscitare notevoli perplessità sul piano giuridico-amministrativo, appaiono decisamente discutibili da un punto di vista più strettamente professionale.
Così nel concorso ad assistente tecnico bibliotecario-VI livello (figura creata per l'occasione, forzando la preesistente qualifica di assistente tecnico) il requisito culturale richiesto per gli esterni è un diploma di istruzione secondaria, mentre quello per gli interni è il possesso della maturità tecnica o professionale, con il risultato, quanto meno singolare, di prevedere per l'accesso dall'interno un requisito più restrittivo che per gli esterni e per di più del tutto incongruo rispetto alla qualifica ed alle prove di esame previste (storia del libro e delle biblioteche, bibliografia e biblioteconomia).
Nel concorso a collaboratore bibliotecario-VII livello per il personale già inquadrato nella qualifica inferiore è invece sufficiente il titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per gli esterni. Tale previsione non appare in alcun modo giustificata dal bagaglio formativo e di conoscenze acquisito nello svolgimento delle mansioni di livello inferiore, dal momento che, almeno per quanto riguarda il Ministero per i Beni culturali, le qualifiche immediatamente inferiori di VI livello non prevedevano specifiche figure tecnico-professionali, comprendendo esclusivamente gli assistenti tecnici (addetti ai lavori ed alla manutenzione), restauratori ed amministrativi.
Per il concorso a bibliotecario-VIII livello la situazione è invece diametralmente opposta. Agli interni viene infatti richiesto il possesso dei medesimi requisiti culturali previsti per gli esterni, negando di fatto all'esperienza acquisita in anni di lavoro come collaboratore bibliotecario (figura, come è noto, dalle mansioni molto vicine a quelle del bibliotecario) qualsiasi valore rispetto alle conoscenze teoriche apprese nel corso di un diploma post-universitario.
Prove d'esame. Se quanto finora visto non può non suscitare perplessità e riserve, sicuramente le maggiori sorprese ed inquietudini ci sono riservate dai contenuti delle prove di esame. In questo caso infatti le osservazioni sono tali e tante che risulta impossibile esaminarle dettagliatamente. Mi limiterò perciò solo ad alcune sommarie riflessioni personali.
1) Fra le prove scritte è prevista una prova di paleografia latina (VII livello) ed una di paleografia latina e greca (VIII livello), delineando così una figura di bibliotecario essenzialmente conservatore, che contrasta fortemente con le attuali esigenze di una moderna biblioteca, ancorché dipendente dai Beni culturali. Per la cronaca ricorderò che la prova di paleografia greca non era obbligatoria in nessuno dei concorsi banditi dal Ministero negli ultimi 35 anni.
2) Per il profilo di bibliotecario viene richiesta, obbligatoriamente, la conoscenza del latino e del greco, da accertarsi attraverso la traduzione estemporanea di un brano dalle due lingue, ignorando che solo una ridottissima percentuale di quanti operano nelle biblioteche hanno la necessità di conoscere il greco, esigenza alla quale si sarebbe peraltro potuto ovviare prevedendo, così come è stato fatto per i concorsi ad archeologo e storico dell'arte, specifici bandi. L'ultimo concorso per il quale era prevista una traduzione scritta dal greco risale, sempre per la cronaca, al 1963.
3) Perdendo un'occasione importante e più volte sollecitata, non sono stati previsti concorsi specifici, rivolti a candidati con conoscenza di lingue, quali l'arabo, il cinese, il russo, la cui ignoranza non consente a tutt'oggi, salvo il caso, il trattamento di importanti fondi delle biblioteche italiane.
4) Scarsissimo rilievo viene dato alla conoscenza delle lingue moderne. Nulla viene richiesto in proposito nel concorso per VI livello, e nei concorsi per i livelli superiori è sufficiente la conoscenza di una lingua moderna a scelta fra inglese, francese, tedesco e spagnolo. Sarebbe stato opportuno richiedere invece obbligatoriamente la conoscenza dell'inglese e prevedere, almeno facoltativamente, la possibilità di sostenere l'esame su una seconda lingua straniera, possibilità peraltro contemplata in tutti i concorsi banditi dal 1967 in poi.
5) Nessuna attenzione viene dedicata all'informatica (anche se il relativo diploma rientra fra quelli previsti per l'ammissione). Come se l'automazione non fosse ormai una realtà consolidata, nulla viene richiesto in materia, nemmeno quei rudimenti dei principali sistemi operativi, che consentono di produrre un testo in videoscrittura o una scheda informatizzata, ignorando il ruolo fondamentale che la tecnologia ha assunto nelle biblioteche.
6) Considerato l'elevato livello culturale richiesto per accedere al concorso di VIII livello, appare infine quanto meno curioso che non sia stata prevista una valutazione dei titoli posseduti dai candidati, vanificando così la possibilità di valorizzare precedenti esperienze lavorative e persino lo svolgimento del volontariato presso le stesse biblioteche del Ministero.
Ma allora, da dove nascono bandi così concepiti? Oltre alla convinzione dei nostri nonni che "una solida cultura classica è alla base di ogni professione", cosa può aver portato il Ministero, la Direzione generale per il Personale, l'Ufficio Concorsi a delineare dei concorsi rispetto ai quali quelli del 1963 appaiono come modelli di lungimiranza e modernità? é vero che, così almeno pare, nessuno, ripeto nessuno, è stato interpellato fra i tecnici, le associazioni, i dirigenti, per fornire un parere o una consulenza sui contenuti dei bandi, ma possibile che fra quanti erano chiamati a questo compito nessuno fosse nemmeno lontanamente a conoscenza di quanto in questi ultimi anni è andato proponendo e realizzando lo stesso Ufficio centrale per i beni librari, impegnato in una politica per la digitalizzazione, la multimedialità, la riqualificazione del personale all'uso delle nuove tecnologie? Possibile che di quanto sta avvenendo nelle biblioteche italiane nelle stanze del Collegio Romano non sia arrivata nemmeno una pallida eco?
La risposta, chiara e allo stesso tempo tragica, è, come spesso accade, in una norma di legge. Quei requisiti di ammissione, quei criteri (ma non tutti) per l'accesso alla riserva dei posti, quei requisiti culturali da verificare attraverso le prove di esame sono tutti testualmente, letteralmente previsti dal d.P.R. n. 1219, che, oltre a definire nel dettaglio compiti e funzioni di ciascuno dei profili professionali introdotti a seguito della l. n. 312/1980, indica con estrema puntigliosità le modalità di accesso dall'esterno, quelle per il passaggio verticale, le conoscenze necessarie e le prove previste per verificarle. Tutte, assolutamente tutte le incongruenze, le contraddizioni, gli anacronismi contenuti nei bandi trovano la loro origine in quel testo, che il Ministero si è limitato dunque ad applicare.
Solo di un particolare non ha tenuto conto. Dall'emanazione del d.D.R. n.1219, nel 1984, sono trascorsi quasi quindici anni.
Quindici anni nel corso dei quali nelle biblioteche italiane è avvenuta un'autentica rivoluzione.