Questo documento raccoglie gli interventi informali sull'argomento circolati nella lista di lavoro della redazione di "OPAC italiani" <aw-opac@aib.it> fra il 21 e il 27 aprile 2000, ed alcuni interventi aggiuntivi redatti appositamente nei giorni successivi. Lo spunto è venuto dal problema di come gestire nella base dati del Metaopac Azalai Italiano (MAI) i cataloghi contenenti risorse elettroniche: il primo caso di questo genere ha riguardato l'opac della Biblioteca "Angelo Monteverdi" (BAM) dell'Università di Roma "La Sapienza".
Un commento a questa discussione è "L'Universo ovvero la Biblioteca: il catalogo in espansione" di Gianni Colussi, in "AIB-WEB Contributi", <https://www.aib.it/aib/contr/colussi1.htm>, 2002-01-21.
"La gente rimane sorpresa dall'intimità e dall'intensità delle comunicazioni online, ma non dovrebbe. Potremmo probabilmente fare un parallelo con quello che sta accadendo, paragonandolo agli epistolari e ai libri degli intellettuali del passato. La qualità della scrittura nelle loro lettere è spesso diversa e frequentemente migliore di quella dei loro libri. Una lettera ha intimità ed eloquenza perché è indirizzata a un pubblico conosciuto di lettori che l'autore rispetta, delle cui opinioni si cura. Non è scritta per un pubblico enorme, anonimo, come quello che potremmo supporre per un libro. Quell'intimità crea una qualità molto più alta di scrittura e discorso. Potremmo dire che è il rapporto a fare la differenza. Velocizziamo il tutto, e... abbiamo le teleconferenze online."
[Digerati / John Brockman. -- Milano : Garzanti, 1997.]
1 : Le risorse elettroniche come categoria parallela a monografie e periodici?
2 : Un'alternativa: la presenza di risorse elettroniche nel catalogo come filtro indipendente
3 : Verso cataloghi integrati di documenti su supporti diversi?
4 : Interfacce integrate e cataloghi integrati
5 : Documenti posseduti e documenti accessibili
6 : Fra tradizione bibliografica e nuove forme
7 : Selezionare, gestire e conservare documenti digitali
Epilogo : pensando al girasole di Montale
[Gnoli]
Considerare le risorse elettroniche (ER) come sezione
di opac, quindi come categoria parallela a "monografie" e "periodici",
può essere una buona soluzione.
[De Robbio]
Si tratta principalmente di gestire un parallelo, a
livello della struttura del record disegnato in banca dati MAI a suo tempo,
adottando la possibilità di poter gestire "sezioni ER".
[Gnoli]
Una tale scelta implica peraltro interessanti considerazioni di
teoria biblioteconomica: vuol dire che pensiamo alle ER come "né
monografie né periodici", un terzo tipo di materiale dal
punto di vista della continuazione e dell'aggiornamento. E questo
potrebbe avere un senso, perché proprio la frequenza e la non
sistematicità degli aggiornamenti, anche minimi, rese possibili dalle
tecnologie telematiche, sono una caratteristica peculiare delle ER.
[De Robbio]
Esatto. È facile che tra qualche decennio la distinzione
classica tra monografie e periodici non avrà più senso. Se poi pensiamo anche in
ottica FRBR non è poi così paradossale.
[Gnoli]
D'altra parte, per essere conseguenti, a questo punto non
dovremmo parlare di "ER periodiche" (esempio gli e-journal) o
"ER monografiche", perché si tratterebbe di contraddizioni in termini.
[De Robbio]
D'accordissimo. Non so se hai letto il mio pre-intervento
del 28 febbraio al convegno sui periodici elettronici a Bologna. Bene.
Ho scritto un lavoro, precedente alla relazione al convegno, dove mi
soffermo a riflettere sulla definizione di periodico elettronico.
L'articolo uscirà sul prossimo "Bibliotime" di luglio,
sebbene sia stato scritto prima della relazione alla giornata
bolognese. Era necessario per me focalizzare certi aspetti, prima di
giungere a considerazioni successive. È un'analisi sull'oggetto
digitale (ma non solo) in relazione alla sua definizione, che attualmente
non esiste.
Allora, possiamo parlare di qualche cosa se non esiste una definizione certa della cosa di cui dobbiamo parlare? A maggior ragione possiamo poi descrivere l'oggetto di cui vogliamo parlare in termini di "rappresentazione simbolica" dentro un catalogo (in questo caso nel MAI)? Dobbiamo prima conoscere caratteristiche, ruolo, funzioni e relazioni dell'oggetto che si deve descrivere. Le nature digitali sono nature instabili, effimere, poco maneggevoli. Bisogna distinguerle tra "locali" (CD-ROM), pagine web locali, banche dati dentro l'intranet, tutti beni che anche se "intangibili" (a parte i CD-ROM che sono tangibilissimi) possono comunque rappresentare un "posseduto". Ma se la risorsa è remota, cioè vi si accede in remoto non possiamo certo parlare di "posseduto", ma solo di accesso. E la differenza è enorme.
[Gnoli]
Lascio le ulteriori elaborazioni teoriche ad altri [...].
I nostri scopi in questa lista, come sappiamo, sono principalmente pratici,
e almeno per il momento sembra che ci troviamo d'accordo su questa soluzione.
[De Robbio]
In questo caso specifico la praticità va in linea
anche con le questioni più squisitamente filosofiche se vogliamo
entrare nell'intimità più profonda di queste nature ER.
[Rossi]
La proposta di ADR per selezionare le ER dal filtro
"tipo di documento" è compatibile col MAI, e, con alcuni
piccoli accorgimenti, si può evitare qualche caso di doppione di
risorsa in risposta.
Per selezionare le sole risorse elettroniche, oltre alla proposta (A) di ADR di un nuovo quarto "tipo di documento", potrebbe esistere anche un'altra possibilità (B), che espongo ai vostri commenti: l'inserimento in MAI di un quarto filtro di selezione degli opac (accanto a copertura, tipo di biblioteche e tipo di documenti) di questa forma: solo risorse elettroniche? -- Sì/No. [... Descrizione tecnica ...]
Questa possibilità B consente di individuare nel MAI "solo le risorse elettroniche", mentre trascura la selezione di risorse che sono "tutto fuorché elettroniche" (come resta sottinteso nella proposta A di ADR, giusto?).
A differenza che nella A, invece, la selezione del MAI della risorsa elettronica può distinguere il "tipo di documento" (monografia, periodico) dell'ER, ed il filtro "tipo di documento" rimane immutato.
La possibilità B permetterebbe all'utente del MAI [di richiedere] per esempio: "seleziona le risorse elettroniche che siano monografie/periodici/entrambi".
[Gnoli]
Certo che anche la seconda ipotesi prospettata dall'analisi
(come al solito profonda) di Paola merita di pensarci bene...
Per rifarmi ancora alle considerazioni teoriche: in questo caso, come Paola nota, sarebbe possibile distinguere fra ER periodiche (esempio e-journal) e ER monografiche (esempio i "Contributi" di "AIB-WEB"). Il problema sarebbero quelle numerose risorse intermedie, che non si presentano in particolare né come trattazioni monografiche né come periodici ma vengono aggiornate e integrate di frequente e in modi non sistematici.
Anche per questo, dubito che gli autori di ER, e anche gli stessi catalogatori di ER nei vari opac italiani, si impegnino in simili distinzioni formali. Noi catalogatori dei cataloghi, come al solito, dovremo lavorare con i casi che realmente troviamo, magari realizzati in modi poco rigorosi ma di fatto esistenti: come nota Paola, ci converrebbe aspettare di vedere qualche altro caso oltre a Roma, applicando una "literary warrant" degli opac, prima di definire in modo stabile le categorie della nostra classificazione.
[Ridi]
Si, concordo. Si tratta di un settore appena agli inizi, dove può capitare
di tutto.
A volte addirittura mi viene da prevedere che la distinzione fra monografie e periodici tenda a sfumare, in ambito elettronico, dove tutto è aggiornabile di continuo. D'altronde c'è già chi sostiene che un periodico "morto" diventi una monografia, e casi come "ESB Forum" o "AIB-WEB Contributi" sono di ardua collocazione. Voterei quindi contro, per ora, la distinzione fra ER monografie e ER seriali.
Più stimolante, in prospettiva (ma bisognerà vedere come si organizzeranno i singoli opac, al direttore della BAM l'ho già proposto) sarebbe la distinzione fra ER solo per utenti interni (locali o comunque consultabili solo in loco, con il MAI si arriverebbe solo alla localizzazione) e ER anche per utenti esterni (consultabili gratuitamente anche da utenti remoti, con il MAI si arriverebbe fino al fulltext).
[Gnoli]
Quanto ai problemi di rumore, anche in questo caso
penso che dovremmo regolarci coerentemente con quanto abbiamo fatto
per monografie e periodici, o con le tipologie di materiale, ecc.:
un po' di rumore è inevitabile, e siamo già rassegnati ad
esso nel caso di opac che contengano, ad esempio, sia una sezione
di periodici che una cumulativa di monografie e periodici. [...]
[De Robbio]
Certamente le ER comprendono sia nature monografiche che
seriali, [...] ma non è certo possibile effettuare una
differenziazione in categorie troppo strette nell'ambito del MAI.
Per più ragioni. Una di queste è legata alla condizione
che l'informazione digitale si stacca dal suo supporto e diviene puro
contenuto; diviene un bene intangibile, un servizio. E che siano
monografie digitali, e-journal, pagine web o banche dati poco cambia:
queste nature possono comunque essere a loro volta "chiuse"
(quindi in un certo senso "monografiche") o "aperte"
(repertori con comportamento seriale, banche dati con aggiornamenti).
Noi della redazione MAI, essendo ad un livello meta, dobbiamo comportarci in un certo senso come fa la CDD quando nei suoi "aggiornamenti" crea voci nuove laddove vi è una certa produzione. Garanzia letteraria appunto come giustamente riferiva Gnoli.
Per il momento abbiamo il solo "caso" dell'opac romano e tra l'altro comprendente ER di natura mista: monografica (monografie digitali pescate da dentro le biblioteche digitali e ridescritte in EasyWeb), nature seriali (periodici elettronici, sia in acquisto che free), pagine web, siti di biblioteche digitali... insomma c'è di tutto. Direi di creare, nel record opac, una sezione apposita denominata "Risorse elettroniche", collegata alla fascia dati sull'opac, soprattutto per i motivi più strettamente "filosofici" che ho spiegato sopra. Questioni di praticità prima di tutto, ma anche appunto di garanzia letteraria.
Altro caso: l'interfaccia fiorentina per i soli periodici elettronici, direi che non fa testo. L'ho inserita a suo tempo in MAI ma non ero (e ora sono ancora meno) convinta. Si tratta di un'interfaccia che consente di scegliere, con link, se entrare nell'opac dell'ateneo fiorentino (completo), oppure in ACNP [Catalogo Italiano dei Periodici]. È una pre-interfaccia a periodici elettronici, non è né un opac a sé stante, né una sezione o parte di opac, non so...
[Di Girolamo]
Dalla fitta e "corposa" corrispondenza recente fra ADR, PR
e CG estrapolo questa frase
L'informazione si stacca dal suo supporto e diviene puro contenuto, un bene intangibile. E che siano monografie digitali, o e-journal o pagine web o banche dati che possono comunque essere a loro volta "chiuse" (quindi in un certo senso "monografiche") o "aperte" (repertori con comportamento seriale, banche dati con aggiornamenti) poco cambia. [ADR]particolarmente "illuminante" per arrivare a conclusioni opposte a quelle da voi prospettate. Ditemi se sto andando completamente "fuori strada" sia dal punto di vista teorico sia da quello dell'applicazione pratica.
Da giovane assistente di biblioteca (ormai circa 18 anni orsono) ho sempre visto con malcelata insofferenza la presenza in molte biblioteche di schedari (e anche cataloghi a stampa) relativi a particolari tipologie di materiale.
Mi riferisco a materiale di diversa natura (monografie, periodici, atti di congressi, enciclopedie) e su diversi supporti (volumi, microedizioni, audiovisivi, CD-ROM).
Mi domandavo: se ha senso avere diversi cataloghi in base al contenuto (fondi speciali, cataloghi di particolari aree disciplinari) e alla modalità di accesso alle informazioni, il cui presupposto è l'organizzazione di percorsi ed indici di tipo diverso (cataloghi per soggetti, cataloghi per autori e titoli, cataloghi classificati), perché dobbiamo costringere il nostro utente a ripetere n volte la stessa ricerca a seconda del "contenente" di questa informazione?
E ancora, se un certo Cutter ha pensato di creare un catalogo dizionario dove far convivere chiavi di accesso ed intestazioni tra loro così diverse come quelle per autore e per soggetto, nel tentativo di facilitare il reperimento delle informazioni, quale certezza possiamo avere noi bibliotecari che il nostro utente sappia su quale supporto stia la sua benedetta informazione e consulti in prima battuta il catalogo più corretto?
In una fase di transizione e di incertezza come quella attuale, non possiamo presumere (nel senso di avere la presunzione) che il nostro utente sappia se un certo periodico sia solo di carta, abbia una versione elettronica che sia l'esatta copia (direi la copia fotostatica, visto l'uso del PDF) di quella di carta, o se sia altro (una edizione elettronica che in quanto tale non può essere ricondotta a quella cartacea pur esistente o addirittura un prodotto esclusivamente elettronico).
Mi metto nei panni del mio povero utente che, forse, preferirebbe consultare l'opac della sua biblioteca per trovare un'informazione: poco importa se poi per ottenerla dovrà andare allo scaffale contrassegnato PER.0212.5 oppure collegarsi allo "scaffale" con "segnatura" HTTP:// etc. etc.
La confusione è palese se pensiamo che alcune basi di dati commerciali (esempio CSA) affiancano ai record analitici degli articoli dei periodici (sia cartacei sia elettronici) e dei proceedings anche registrazioni di siti web selezionati e classificati dal medesimo staff che si occupa dell'indicizzazione della base dati ed utilizzando gli stessi strumenti semantici (classi, parole chiave, thesauri etc.).
Il cross access fra editori e fornitori di servizi di data base bibliografici diviene cross reference fra gli archivi più disparati...
Tutto questo per dire che istintivamente (ma accetto di essere sbugiardato da chi ha basi teoriche ben più solide delle mie...) mi piacerebbe la convivenza nello stesso opac di registrazioni relative a materiale disomogeneo.
Poi, quando la produzione elettronica sarà prevalente su quella tradizionale, probabilmente il materiale a stampa sarà reperibile solo su cataloghi specializzati come oggi lo sono quelli dei manoscritti o delle cinquecentine ed a quel tempo il prodotto ibrido carta/bit non esisterà più, semplificando la vita a noi catalogatori che potremo applicare tutti gli standard descrittivi a disposizione senza ricorrere a "pasticci" tipo quelli che usa SBN.
Insomma, se oggi dovessi progettare l'opac della mia biblioteca ci ficcherei dentro tutto: sia carta sia digitale... creando un bel po' di "rumore" al MAI.
Mi perdonerete ;-)
[De Robbio]
Non sono d'accordo a fare un opac mega dove ficcare dentro di tutto,
del tipo quello che vuol fare SBN adesso con le ER.
O meglio, non si tratta tanto di crearne uno mega, ma di adattare cataloghi
esistenti e nati per la gestione di documenti "cartacei" alle
nature digitali, oggetti completamente differenti. I cataloghi sono gli
strumenti che conosciamo, tra l'altro, in molti casi datati come
architettura: come possiamo pretendere da loro di essere ciò che
non sono?
Tutto evolve e si rinnova, ma pretendiamo che i cataloghi restino i contenitori costruiti ieri per risorse completamente differenti da quelle che stiamo imparando a conoscere. L'esperienza ormai dovrebbe insegnarci che è meglio ridisegnare qualcosa di nuovo, piuttosto che aggiungere moduli, pacchetti, procedure riadattando strumenti obsoleti (vedi SBN). Il catalogo come registro del posseduto fisico della biblioteca, come oggetto digitale che con i suoi confini circoscritti, cartacei ;-) ha svolto e svolge tuttora in modo coerente la sua funzione di tramandare la storia e la cultura dei popoli, non può, a mio avviso, ricoprire un ruolo che non gli spetta.
Non è possibile gestire con gli stessi strumenti, cioè coi mezzi che abbiamo avuto a disposizione dal 1876 ad oggi, le informazioni intangibili. Un catalogo tradizionale registra il posseduto e non l'accessibile.
[Di Girolamo]
Ciò che è posseduto è anche accessibile:
ma à vero anche il viceversa.
Le risorse elettroniche (esempio e-journal full text) sono accessibili in
quanto la biblioteca "possiede" i diritti all'accesso, avendone
pagato licenza d'uso. Gli utenti accreditati (da dominio o possesso di
userid/password) accedono al full text come gli utenti iscritti alla
biblioteca accederebbero ai volumi ed ai periodici a stampa. Conseguenza
è che il catalogo, ormai possiamo considerare anche l'opac come
"tradizionale", deve conservare le registrazioni di tutte le
risorse "possedute" e quindi "accessibili".
[De Robbio]
Attento... il catalogo registra il posseduto in quanto registra sulla
base di procedure inventariali che non possiamo ignorare. L'elemento di
stabilità di un catalogo tradizionale, e noi oggi abbiamo per le
mani cataloghi ancora mooolto tradizionali, è la certezza che
quello che sta lì dentro è posseduto in quanto copia/bene
fisico tangibile. L'immaterialità dell'informazione che si stacca
dal suo supporto diviene bene intangibile ovvero, secondo ormai molte
scuole di pensiero, compreso l'economista Jeremy Rifkin
["L'era dell'accesso: la new economy". Mondadori, febbraio 2000],
diviene servizio.
Ripeto: è un mio punto di vista, discutibilissimo, ma per conto mio introdurre elementi di instabilità entro un "luogo" (il catalogo) deputato da sempre a "luogo di garanzia" quale oggetto di coerenza e stabilità... ripeto la cosa mi inquieta e non poco. Togliere e mettere di continuo notizie che non si possiedono va a scardinare la natura stessa del catalogo. Inventare inventari e poi toglierli, e si sa che le procedure di alienazione e disinventariazione dentro i gestionali (attuali) sono complesse. Questa è una delle tante questioni, una delle più banali...
E naturalmente il dibattito al livello internazionale è vivo e acceso. Ma ciò non tocca comunque le scelte del MAI, ma caso mai le scelte che i gestori dei singoli opac faranno relativamente alle ER: dentro l'opac o fuori?
[Di Girolamo]
Infatti mi riferivo proprio a questa scelta strategica: voto per il "dentro".
[De Robbio]
Qui non c'è da "votare",
il MAI non c'entra: il MAI registra la situazione, le scelte avvenute.
Ma per ora vi è un solo esempio, e cioè quello di Roma
"Angelo Monteverdi" con EasyWeb. Il gestionale è a parte,
quindi fuori dall'opac classico. Le norme catalografiche utilizzate sono diverse
dalle ISBD, o meglio ISBD(ER) riadattate, dopo revisione su cui hanno
molto riflettuto; vi è stato ampliamento del campo delle note
codificando le informazioni in modo standardizzato. Vi è
un'interfaccia unica per la ricerca, e un'interfaccia per le sole ER a
parte. Sono catalogati anche i siti web o le biblioteche digitali tipo
CIBIT.
Mi viene quindi da fare, per analogia, una considerazione: per coerenza allora dentro i nostri opac tradizionali dovremmo catalogare anche le biblioteche e gli editori ;-) Nell'esperienza EasyWeb vengono descritti i siti tutti interi e poi i volumi digitali al loro interno... Secondo me bisogna fare attenzione a non confonderci le idee solo perché si tratta di informazione digitale. Va beh che in certe biblioteche vi sono bibliotecari che passano gli anni a descrivere e catalogare le locandine e gli avvisi pseudopubblicitari di carta (letteratura effimera) ;-) ... ma facciamo attenzione. Diamoci delle priorità...
[De Robbio]
Sono d'accordo con quanto dici, tanti cataloghi frazionati, per supporti
diversi, per nature differenti... D'accordo, ma i gestionali non sono
comunque le interfacce di accesso. È necessario non confondere il
gestionale/catalogo con tutte le sue procedure e l'interfaccia/le interfacce
di accesso. Di mezzo vi è spesso qualche altra base di dati
catalografica, e questo da quando vi sono le interfacce web. Perché siano
visibili in Web i dati dei cataloghi gestionali, i record catalografici
devono essere convertiti in formato adatto: UNIMARC spesso. Ma appunto
si tratta di una base di dati dentro il sandwich: da una parte il
catalogo gestionale, dall'altra l'interfaccia, di mezzo l'UNIMARC.
Questo in parole mooolto povere, ma a volte la situazione è ancora più complessa. Nulla vieta che vi possano essere decine di gestionali separati, ognuno con le proprie peculiarità specifiche, accessibili da interfacce singole ma anche da un'unica interfaccia generale. La tecnologia lo consente benissimo.
[Di Girolamo]
Al tempo. L'opac non è necessariamente l'interfaccia di
un solo gestionale. Bensì può essere la sommatoria
di registrazioni bibliografiche provenienti da gestionali diversi.
Ciò che rende omogeneo l'opac è la standardizzazione delle
registrazioni bibliografiche ivi contenute. Se non ricordo male l'EasyWeb
dello IUAV contiene record delle nature più svariate (libri, tesi,
progetti etc.), i cui campi sono però omogenei ed interrogabili
da un'unica interfaccia.
[De Robbio]
Stiamo dicendo forse con parole diverse la stessa cosa. Certo che i
campi devono essere standardizzati in modo omogeneo, altrimenti non
è possibile interrogare poi i diversi archivi in modo coerente
da un'unica interfaccia. Nel caso che citi, però, i differenti
archivi di IUAV si riferiscono tutti a materiale su carta.
Descrivere una risorsa digitale non è esattamente la stessa cosa.
E le ISDB(ER) nascono da un modello cartaceo, non sono assolutamente adatte a descrivere per esempio una banca dati come MathSciNet. MathSciNet è una risorsa elettronica e dunque a rigor di logica andrebbe descritta. Durante un corso patavino con i docenti dell'ICCU ho posto loro questi casi specifici, e il risultato dell'analisi in ISBD(ER) è stata una scheda mostruosa che nulla aveva a che vedere con la risorsa in questione ;-) Senza contare il tempo impiegato.
Ne abbiamo discusso, ma l'ICCU ha preso la decisione di catalogare i periodici elettronici (per il momento non le pagine web) dentro SBN , descrivendo le ER con le norme ISBD(ER) riadattate, ma ritoccate solo in alcuni dettagli minimi: l'area delle note resta quella che è: un accrocchio di informazioni fondamentali non standardizzate e non recuperabili perché non codificate. In SBN verranno descritte le ER come record a parte: un record per ogni formato (volume su carta, CD-ROM, versione on-line)... Con dei gestionali snelli e ben strutturati, dobbiamo tener conto di quanto ci costa, in termini appunto di costi di lavoro, avere dei gestionali complessi e pesanti nelle operazioni quotidiane.
L'utente mica si accorge di quello che ci sta dietro l'interfaccia, dunque per l'utente è ininfluente; ciò che conta è il risultato. Pensa per esempio a come faremmo a gestire gli e-journal con le ISBD (ER finché vuoi, ma pur sempre ISBD; e si sa che sono nate per la carta, e precisamente per le bibliografie piuttosto che per i cataloghi)... Te lo immagini? Tutto affogato nell'area delle note! Non abbiamo mica il MARC noi... Che è un "monolite", ma comunque estremamente strutturato.
[Di Girolamo]
Non pensavo a gestire tutto con ISBD. Ci sono molti
software di automazione biblioteche (ALEPH per tutti) che utilizzano MARC
anche come data entry: è evidente che in questo caso la ricchezza di
MARC permette la convivenza di materiale diversissimo nello stesso database,
ed anzi attraverso la creazione di relazioni "spinte" fra
entità (per usare una terminologia FRBR) garantisce un valore
aggiunto notevole a chi questo database si trova ad interrogare.
[De Robbio]
[...] Comunque dove vi è il MARC, intendo non in conversione,
ma come formato di base, si possono trovare moltissime soluzioni:
Paolo Pezzolo, che mi piacerebbe chiamare in causa, esperto in materia,
può confermarlo. Il MARC è un formato adattabilissimo,
sebbene taluni autori in letteratura straniera lo diano per un formato
ormai obsoleto per dei cataloghi moderni ed essenzialmente strutturato
per documenti lineari e non ipertestuali, cioè statici.
E ti immagini gestire, mi fermo solo all'aspetto gestionale, le tesi con la loro duplice anima (di documento d'archivio e documento bibliografico) in un catalogo che ingessa le procedure?
[Di Girolamo]
Non è il catalogo che ingessa le procedure: se spostiamo
l'attenzione dal catalogo al record bibliografico vediamo che la ricchezza
dell'informazione che un singolo record può offrire è enorme.
Il valore del catalogo è dato, IMHO, dalla capacità di
stabilire relazioni il più analitiche possibile.
[De Robbio]
Questione di punti di vista. I cataloghi ad oggi, per lo meno i
prodotti che vi sono in Italia, non fanno il servizio che dovrebbero fare.
A mio avviso non siamo giunti agli opac di terza generazione (per citare
Scolari al convegno delle Stelline 1999), ma purtroppo, a causa del Web e
delle sue rigide interfacce, si è perso tempo prezioso, e la
ricerca (intendo gli IR) per migliorare e rendere gli opac e i loro
gestionali che stanno dietro più funzionali si è arenata
a poco dopo gli anni Ottanta. In Italia pochi sono i gestionali
davvero efficienti e efficaci, e di conseguenza gli opac nel loro insieme
risultano strumenti non ancora potenti come dovrebbe essere.
I gestionali devono essere snelli. Se guardiamo agli Stati Uniti, ci rendiamo conto di come molto materiale stia "fuori dall'opac" (vedi mio articolo sul nuovo Voyager della Library of Congress, sul prossimo "Bollettino AIB").
[Di Girolamo]
A mio avviso la "snellezza" del gestionale qui da noi
è intesa come "abbassamento" della soglia qualitativa del
catalogo, e quindi ha come conseguenza la perdita di numerose informazioni.
Quanto alla scelta esterna all'opac, bisogna intendersi sul significato di
opac. Ricordo che in passato, prima del WWW, gli opac pareva potessero
"inglobare" tutte le informazioni relative alla biblioteche,
inglobando i cosiddetti CWIS (Campus Wide Information Systems): ricordate
Almatel? Ebbene con l'avvento del Web, gli opac sono ritornati ad essere
i cataloghi on line, lasciando tutte le altre informazioni al web site
delle biblioteche. Ecco, continuo a ritenere che le ER siano una risorsa
"bibliografica" prima che "informativa",
ovvero che la mediazione catalografica al loro accesso continui ad essere
indispensabile. Di qui la propensione ad integrarle nell'opac.
[De Robbio]
Allora... qui c'è un sacco di carne al fuoco... Intendo
"snellezza" del gestionale, non dell'opac. Sono due cose diverse.
L'opac è l'insieme del gestionale con la sua interfaccia, e quindi
quando parliamo di snellezza dell'opac per forza di cose si deve passare
attraverso la rigidità dell'interfaccia web che, come dicevo sopra,
ha arenato lo sviluppo dell'information retrieval. Anche le interfacce,
poche, Z39.50 si utilizzano su Web, e quindi l'efficacia di tale accesso
viene annullata dal Web: di converso le potenzialità del Web
vengono a loro volta annullate perché lo standard Z39.50, in
risposta ad una query posta da Web, riflette "solo" le
peculiarità cui è in grado di far fronte.
Per snellezza dei gestionali intendo i sistemi di automazione, che in Italia sono ormai datati, ma comunque non strutturati per le risorse elettroniche. Alcuni sistemi SBN, per esempio quelli su sistema operativo Adabas Natural (IMB), risalgono al 1984: Adabas Natural è un sistema pseudo-relazionale: questo significa in parole povere che è necessario effettuare numerose manovre per rendere visibili i dati (convertiti in UNIMARC) dall'interfaccia, e spesso con problemi di varia natura. Con l'UNIMARC riusciamo a sistemare ciò che nel gestionale è "distorto". Questo significa però che se il gestionale è limitato è difficile parlare di catalogarci dentro anche delle nature nuove e complesse. Ma chiaramente non parlo solo di SBN.
Quello che dici circa i CWIS mi trova d'accordo, anche alla Library of Congress è avvenuto così. Il vecchio LOCIS non era il catalogo, ma era il sistema, e comprendeva una serie di informazioni che ora in Voyager (il nuovo gestionale) stanno fuori. Da 36 milioni di dati, solo 12 stanno ora dentro il catalogo Voyager. Il resto è visibile da pagine web appositamente create e gestite in modo sganciato da Voyager: certo materiale sta su cataloghi distinti (come il catalogo del materiale in Braille). L'interfaccia WebVoyager consente di interrogare i vari archivi differenti ora confluiti in Voyager. è pur vero che le decine di archivi sono stati riunificati in Voyager, ma si trattava di materiale cartaceo. Pochissimi i periodici: il lavoro di controllo sui seriali e di bonifica è iniziato solo in ottobre 1999. Di digitale non c'è quasi nulla in Voyager, e quello che c'è sembra essere e-journal etichettato dentro il record MARC nel campo 856 7 e 856 41, e visibile da record in modo molto confuso.
Laddove le ER stanno dentro all'opac i meccanismi, complessi da spiegare in due parole, sono attuabili in quanto la struttura del MARC consente un recupero in batch di quei record che hanno campi prestabiliti individuabili, e quindi di creare gestionali secondari paralleli solo con alcuni campi utili. Los Alamos per esempio lavora sul tag 956, bada non 856 come invece ha tentato di fare la LC con scarsi risultati. È interessante l'esperienza di Los Alamos, anche perché dal gestionale secondario così estratto si generano le pagine web degli e-journal, più o meno come facciamo noi col MAI e i repertori di opac regionali.
[Di Girolamo]
Qui cara Antonella, fai autogol. Usare il 956 significa considerare
l'ER (o meglio l'URL della risorsa) come elemento descrittivo dell'item
e non della manifestazione né tantomeno dell'espressione
(per ritornare a FRBR). E quale è, nel catalogo tradizionale,
l'elemento che più caratterizza l'item, se non la collocazione e
l'inventario? Ecco che l'analogia URL = collocazione si ripresenta con
prepotenza. Ad ogni modo meglio l'856 di USMARC che il 300 di UNIMARC
(cioè le note) che mi pare troppo simile alla soluzione SBN/ISBD
di relegare in nota tutto ciò che è "elettronico".
[De Robbio]
Non si tratta di autogol. Si tratta di prendere atto che esistono
esperienze con il MARC che consentono di trattare in un unico gestionale
anche le ER. Ma noi non abbiamo il MARC nei nostri gestionali ma
essenzialmente SBN o altri formati proprietari che vengono successivamente
convertiti in UNIMARC, il che non è esattamente la stessa cosa.
Perché se un formato è originario MARC, che si lavori sul campo 856,
o il 300 o il 956, si può lavorare "dentro il catalogo",
che può contenere di tutto. Chiaramente optando per una scelta
tra: un titolo = un record (Los Alamos), piuttosto che un titolo = tanti
record quanti sono i formati (SBN).
Con il tag 856 USMARC, LC [Library of Congress] si è arenata, per esempio le 571 monografie di storia della matematica, tutte digitalizzate sul sito della Cornell University, non sono presenti nel catalogo LC sebbene gli stessi volumi (identici perché si tratta di edizioni passate allo scanner) siano posseduti dalla LC. Come lo spieghiamo? Non è posseduto LC?... LC ha buttato fuori dal suo catalogo ben 4 milioni di record (da 16 milioni de vecchio catalogo entro LOCIS a 12 milioni ora in Voyager), perché si trattata di documenti non posseduti.
Los Alamos per i periodici elettronici ha individuato il tag 956 e ha estratto un catalogo in parallelo, in batch, dove vanno aggiunti altri dati. Infatti, cercando un titolo di e-journal nell'opac di Los Alamos, vi è anche la versione elettronica nello stesso record relativo alla versione cartacea. Esiste solo un campo relativo alla versione elettronica, linkabile, con l'indicazione dell'URL in chiaro. Tutte le altre informazioni (descritte entro il tag 956 a, b, c, ...) sull'accessibilità, e così pure i soggetti assegnati alla risorsa, si vedono solo dalle pagine web. Questa base dati parallela è quella che genera le pagine a due piani che stanno nel Web. Come il nostro MAI ;-)... Del resto noi cataloghiamo ER: gli opac sono risorse elettroniche, li abbiamo catalogati in un gestionale a parte, mica dentro SBN... ;-) anche se a dire il vero gliel'ho anche proposto ;-)
Grazie della bella discussione: è sempre piacevole discutere con te.
[Di Girolamo]
Mi piacerebbe che diceste la vostra nel merito del dibattito:
ER dentro o fuori dall'opac?
[De Robbio]
Credo che non sia così facile definire confini, dentro o fuori.
Anche perché gli opac vanno conosciuti a fondo e non sono tutti
uguali. Le situazioni possono essere le più varie, come abbiamo visto
nei dialoghi precedenti. Una cosa è certa: la questione va presa con
le dovute cautele, e bisogna avere le idee molto chiare su quello che
significa l'oggetto catalogo da una parte, su quello che significa
l'oggetto interfaccia dall'altra, l'opac nel suo insieme. Non basta,
è necessario conoscere bene cosa è una risorsa elettronica,
non tanto su CD-ROM, ma remota... e purtroppo nei dibattiti in giro,
molti son quelli che parlano di ER e poi di fatto non ne hanno mai visto
una ;-) Molti di quelli che discutono di e-journal non hanno mai aperto
un articolo in PDF o non sono mai entrati in un e-print server,
ma discutono di norme catalografiche astratte ;-) In Italia i dibattiti
vanno un po' così, all'estero no... Dunque mi piacerebbe sentire
il parere di qualcun altro della lista "AW-opac", ma non solo.
[Ridi]
Per ora mi sono stampato tutto (eh... il fascino del possesso...) per
leggermelo domani in treno. Dubito di riuscire a intervenire in modo
analitico. Me la cavo (almeno per ora) con uno slogan:
meglio dentro (unicità del catalogo) ma con possibilità di estrazione (per la valorizzazione in pagine web o altro) e interrogazione separata (per delimitare la ricerca e consentire cumulazioni ER trasversali con metaopac o Z39.50) facilitate, per mantenere qualche forma di distinzione fra catalogo e bibliografia.
Io poi avrei il pallino che le ER che si includono nell'opac andrebbero in qualche modo conservate (ah... il fascino del possesso...) da parte della biblioteca (o meglio del consorzio a cui aderisce); ma questo è un altro discorso, fuori dalla portata di intervento dei metaopacisti (metaopachi?).
[Gnoli]
Forse il problema è che "risorse elettroniche"
è una categoria troppo ampia e inclusiva per pensare di trattare
tali oggetti tutti allo stesso modo. È come se si considerassero
la Gazzetta dello Sport, una tesi di laurea, il catalogo di Adelphi e
gli atti di un congresso tutti insieme chiamandoli solo "risorse cartacee"...
Ora, il concetto tradizionale di catalogo è quello di un elenco di documenti (o di altri oggetti) posseduti: altrimenti si sconfina nelle bibliografie. È vero che l'era telematica ci suggerisce di rimettere in discussione perfino questi concetti basilari; ma per il momento non abbiamo riferimenti sicuri alternativi, e allora facciamo un passo alla volta: se parliamo di cataloghi, parliamo di documenti posseduti.
Possiamo concedere che il "possesso", come è stato detto, non sia necessariamente cartaceo ma anche digitale: allora un CD-ROM in locale, o al limite anche un'abilitazione all'accesso tramite l'indirizzo IP o la password della biblioteca, possono essere considerati come "possesso di una copia" della risorsa da parte della biblioteca, e la risorsa può essere catalogata nell'opac.
Ma un documento a testo completo liberamente accessibile da qualsiasi punto della rete non si può proprio considerare come una "copia posseduta": citarlo o fare un link ad esso significa invece fare della bibliografia. Certo mi rendo conto che il confine è lieve.
Ne trarrei questa conseguenza: ogni risorsa documentalistica dovrebbe autodefinire i propri confini, cioè dichiarare in partenza se intende essere un catalogo, o una bibliografia, oppure una meta-risorsa che ingloba entrambe le funzioni (magari in modi snelli e facili per l'utente, al quale interessano i contenuti e non le forme, come nota MdG).
Purtroppo invece la situazione è assai confusa, e gli stessi curatori degli "opac", delle "banche dati", dei "portali" e di tutti questi oggetti dai nomi di moda sembrano talvolta avere le idee poco chiare sull'identità degli strumenti che forniscono. È questa situazione, fluida ma soprattutto pasticciata, che ci costringe ad aspettare prima di escogitare delle strutture abbastanza stabili con cui trattare efficacemente nel MAI i cataloghi di "risorse elettroniche".
[Visintin]
Che differenza c'è fra la decisione di ciascuna biblioteca di accogliere
(sottoporre al trattamento usuale) e rendere accessibile una qualunque
pubblicazione a stampa ricevuta in dono e la medesima decisione riguardo
ad una pubblicazione elettronica accessibile solo attraverso l'Internet?
Che differenza c'è fra la consultazione della BNI disponibile presso una biblioteca e quella delle "Pagine gialle" disponibili presso il telefono sulla scrivania della bibliotecaria?
Che differenza c'è fra la possibilità di consultare un manoscritto soltanto presso la sala antichi e rari, nelle mattine di martedì e giovedì dalle 9 alle 13 e quella di consultare una base dati soltanto da un terminale abilitato della biblioteca, su appuntamento?
Che differenza c'è fra il poter servirsi liberamente della biblioteca del dipartimento presso il quale si studia, il poter prendere in prestito gratuitamente i libri della biblioteca del proprio quartiere, e il disporre di una registrazione che ci permetta di accedere (non importa da quale punto della rete) a servizi in linea pagati da una biblioteca?
In tutti questi casi, la sola differenza che conta è che cosa si possa e che cosa non si possa fare grazie a ciascuna biblioteca, in ciascun momento della giornata. I lettori se ne ricordano sempre, anche senza rendersene conto. Ce ne ricordiamo noi?
[Ridi]
Come ho suggerito al direttore della BAM, potrebbe essere
più pratico per gli utenti (oltre che più in linea con la
tradizione bibliografica e catalografica) riorganizzare gli accessi
all'opac in modo da consentire la scelta fra la consultazione di:
Rimarrebbe, con tale distinzione, il dubbio di dove classificare l'accesso al full-text di alcune tipologie di documenti elettronici:
Fermo restando che sia [I] che [II] dovrebbero confluire in [C], che resterebbe lo strumento più omnicomprensivo (possibilmente dotato di filtri incrociabili per restringere la ricerca alle sole risorse elettroniche locali o remote oppure consultabili a distanza da chiunque o solo da utenti registrati), resta il dubbio se:
[De Robbio]
Quando parli di "tradizione bibliografica e catalografica"
secondo me, per le risorse elettroniche non vi è tradizione bibliografica
o catalografica, questa esiste solo per il cartaceo.
[Ridi]
Dissento radicalmente. La tradizione di cui parlo è unica, e non si
distingue in cartacea ed elettronica. È proprio questo il senso di
"appartenere" ad una tradizione.
[De Robbio]
Si dà il caso che attualmente anche la teoria sui metadati
sia talmente impregnata di tradizione cartacea da inficiare un buon
meccanismo di recupero delle risorse digitali. Lo stesso standard
Dublin Core, improntato fortemente sullo schema ISBD ne è l'esempio più
lampante. Gli stessi creatori, il gruppetto di bibliotecari dell'Ohio,
lo ammettono, a malincuore, ma lo ammettono.
Una nuova tradizione per le risorse elettroniche non è ancora stata tracciata
e quella relativa al cartaceo è solo un trampolino di lancio.
Ce lo diranno gli storici della biblioteconomia ;-) fra 1000 anni... al
prossimo cucù della Biblioteca dell'Orologio, quella progettata da
Danny Hill, per allungare la durata dell'attenzione della civiltà...
È pure vero che chi non ha basi teoriche tradizionali forti non può comprendere "come" avviene il cambiamento, e difficilmente riesce a cogliere come si possono configurare strumenti vecchi e come utilizzare o creare i nuovi. La bellissima metafora di "Rosetta stone" che non solo mi affascina per il suo significato più profondo, ma che ritengo faccia un "salto oltre la tradizione" per creare nuova tradizione -- che ora non esiste -- si basa sulla mappatura tra sistemi di metadati, quale meccanismo di navigazione in "percorsi incrociati", similmente al metodo di antica decifrazione dei geroglifici egiziani. Chiavi di lettura dei dati attraverso metadati. Questa sarà la nuova tradizione.
Ma non possiamo basarci solo su quanto esiste per la carta. Ogni sistema che regola i metadati differisce per due grandi zone concettuali: in termini di struttura e in termini di contenuto dei dati stessi da descrivere: e siamo sempre a giocare in termini di forma e contenuto. I contenuti si differenziano a loro volta in termini di regole che governano la loro formulazione e in base all'ambiente, differiscono in termini di linguaggio.
La vecchia tradizione che è nata nell'analisi di "tipi" cartacei esiste, e va tenuta sempre come punto di riferimento. Ma l'informazione che si stacca dal suo supporto per divenire puro contenuto cambia le regole del gioco: cambia i modelli mentali, cambia il sistema di comunicazione, cambia le normative (vedi i diritti nel contesto digitale), insomma cambia anche ciò che è "tradizione". Abbiamo tanto da imparare ancora.
Parlo di tradizione biblioteconomica associandola al concetto di metadati perché mi sembra fondamentale capire i nuovi processi di mappatura delle risorse che verranno descritti e contenuti in diversi contenitori a seconda delle proprie peculiarità specifiche. Ognuno di questi ambienti descriverà risorse "tipizzate" con i propri metadati, che si attengono a un sistema regolato. Ogni sistema di metadati fa parte del sistema più ampio mappato, globale, di riconoscimento. La mappatura individua le similarità di ogni metadato, il sistema di navigazione tra nature differenti (cartacee, digitali, ...) riconcilia le differenze, rende i sistemi autonomi in grado di divenire interoperabili. È lasciando che ogni essere digitale singolo, nella sua interezza di contenitore specializzato, si esprima, nei suoi propri termini di diversità, nelle sue peculiarità insite solo nella sua natura, che si crea il tutto. I metadati servono a questo e sono la nuova tradizione sui cui si tracceranno "percorsi incrociati".
I grossi cataloghi alla SBN onnicomprensivi sono superati concettualmente. Paradossalmente, la mia ottica non è di ridimensionare il catalogo, è di non stravolgerlo, di non soffocarlo. Il catalogo non può essere una bibliografia. Non ci possiamo descrivere dentro i posseduti degli altri. E questa è pura tradizione classica biblioteconomica. Non si tratta di ridimensionare il catalogo, ma di lasciargli espletare le funzioni che esso da sempre ha espletato con egregia coerenza.
Le norme esistenti mal si adattano alle risorse elettroniche, ancora poco conosciute, ma soprattutto ancora in fase di evoluzione.
[Ridi]
Questo può capitare, per due motivi:
In entrambi i casi si tratta di capire meglio e ipotizzare soluzioni, nel solco della tradizione ma anche innovando, se necessario.
[De Robbio]
Tu giustamente ti poni il problema degli accessi, ma per me, questo
è un problema secondario, o meglio, non secondario, primario certo,
ma conseguente al gestionale. Cioè prima viene il catalogo nella
sua struttura. Con le interfacce, o semplici o meta, gli accessi si
organizzano come si vuole, ma dopo. Il problema sta nella base di dati
catalografica che ci sta dietro: come organizzarla.
[Ridi]
Dipende dai punti di vista e dalle priorità. Sia noi adesso (discutendo
all'interno di una redazione che si occupa di repertoriare gli opac esistenti)
sia io quando ho fatto quelle proposte (miranti a migliorare la
presentazione e l'uso dei record prodotti dal software in uso in quella
biblioteca) siamo più orientati ad occuparci di accessi, perché dei
gestionali sappiamo meno e soprattutto non possiamo cambiarli. Inutile
discutere se viene prima l'uovo o la gallina se il nostro mestiere è
catalogare uova o proporne disposizioni più utili e gradevoli.
[De Robbio]
Vi sono più condizioni di cui tener conto:
[Ridi]
Esatto. I migliori software dovrebbero prevedere numerosi possibilità di
personalizzare l'output, riguardo a formato, ordinamento, ecc. Una
possibilità è l'esportazione automatica in formato HTML, in modo da
poterci facilmente costruire pagine web sempre aggiornate. Un esempio lo
trovi nei bollettini delle nuove accessioni della Biblioteca della Scuola
Normale Superiore.
[De Robbio]
Moltissimi opac ora non consentono la creazione automatica di pagine web:
la SNS di Pisa è uno dei rari esempi.
Per il momento anche all'estero non sono molti i sistemi che consentono
la creazione automatica di pagine web di risorse elettroniche da banca dati
(come il nostro MAI per capirci). L'esempio di Los Alamos di qualche anno
fa ha fatto da pioniere in tal senso.
[Di Girolamo]
Catalogo vs bibliografia = opac vs VRD = possesso vs accesso?
[Ridi]
Si, il leitmotiv è questo.
[Di Girolamo]
Bene, proseguiamo con le analogie fra atomi e bit (più frequenti di quanto
si creda, almeno IMHO).
[Ridi]
Concordo. Però aggiungere i bit agli atomi ci aiuta a creare teorie più
ampie, più omnicomprensive, più esplicative.
[Di Girolamo]
La distinzione fra risorse "locali" e quindi
"possedute" e quindi "inventariate" che avrebbero tutti
i diritti di stare in opac e le risorse "remote" cui si accede
liberamente o mediante autenticazione, ma che per la loro
"precarietà" sarebbe inopportuno stessero in opac (per tutte le
ragioni "gestionali" elencate da ADR) regge, ma fino ad un certo
punto.
Pensiamo ai periodici di carta che la biblioteca riceveva in dono da enti ed istituzioni (es. banche, università, centri di ricerca etc.) e che da un giorno all'altro hanno cessato la stampa ma non la pubblicazione, nel senso che si sono trasformate in ER free (per tutti, naturalmente): vorreste dirmi che fino a che erano di carta aveva senso che stessero in opac, mentre una volta diventate elettroniche, e "non inventariabili" se ne devono perdere le tracce ed il nostro povero utente che le cerca in catalogo le dovrà considerare "cessate" alla data della loro "trasmigrazione"?
[Ridi]
No. Voglio dire che, se le accettavi in dono vuol dire (dovrebbe voler
dire) che le reputavi omogenee alle linee di espansione della tua
collezione e che reputavi utile (analisi costi/benefici) per l'economia
globale della tua biblioteca e per la soddisfazione dei tuoi utenti
investirci il tempo (che poi è denaro) necessario per catalogarle,
rilegarle, spolverarle, stoccarle, distribuirle, ecc. anche se il costo
bruto dell'acquisto era stato eliminato.
Quindi, ora che tali risorse si webbizzano, perché non investire almeno
altrettanto tempo nel creare (e mantenere) le schede relative (=
bibliografia) e magari nel salvarle sul tuo server (= catalogo)?
[Di Girolamo]
Con questo non significa che ogni opac debba contenere tutto il materiale
ER free disponibile su questa terra!
[Ridi]
Certo che no. Ciascuna biblioteca deciderà secondo la propria politica
degli acquisti e delle selezioni (e secondo le proprie risorse
umane/economiche).
[Di Girolamo]
Come fra l'immondizia che giornalmente
la biblioteca riceveva in dono si faceva una scelta su cosa catalogare e
conservare e cosa no, anche fra la tanta spazzatura digitale i bibliotecari
dovranno fare delle scelte e decidere di conservare l'accesso (notare
l'ossimoro, please ;-)) alle risorse ritenute valide, di qui all'eternità.
[Ridi]
OK, ma perché giungano ai posteri non basterà correggere ogni tanto
gli URL. Bisognerà accedere alla conservazione, ovvero
salvare in locale e periodicamente far migrare su nuovi formati e supporti
ecc. (cfr. tematiche della preservazione del retaggio digitale e multimediale).
[Di Girolamo]
Allo stesso modo, se si decide di disdire un abbonamento elettronico, e se
non ci si è fatti "fregare" da editori, intermediari, aggregatori o
integratori, avremo sempre il nostro bel CD-ROM con le annate cui eravamo
abbonati, che potremo inventariare e trattare in opac come meglio crediamo
e sappiamo.
[Ridi]
Giusto, ma temo che il "demone del perverso" ci spinga talvolta perfino a
"fregarci" da soli, gettando perfino quello che produciamo noi stessi (cfr.
tematiche della archiviazione retrospettiva delle vecchie pagine dei web
bibliotecari).
[Di Girolamo]
Ed ancora, tanto per mettere altra carne al fuoco, se l'unità descrittiva
fondamentale di una pubblicazione elettronica seriale non sarà più il
fascicolo (che, concordo, in Web ha lo stesso "valore" del numero di pagina
di un documento HTML) bensì l'articolo (quello, per intenderci,
identificato da SICI) ciò significherà che un catalogo di spogli di
periodico, o titoli analitici, si debba considerare una bibliografia e non
più, appunto, un catalogo? Non credo proprio. Più probabilmente i
nostri opac dovranno diventare così analitici da conservare anche questo
tipo di registrazioni bibliografiche, accanto a quelle dei titoli e degli item
fisici.
[Ridi]
Secondo me sono due assi diverse e indipendenti. Contenuto/contenitore e
locale/remoto. Con tutti gli incroci possibili.
[Di Girolamo]
Ed infine, se, tanto per complicare, ogni oggetto digitale sulla Rete
avrà una sua propria identità, tanto da averne anche la relativa
"carta" (leggi DOI) e la nostra biblioteca (reale o digitale che sia) ne
vorrà conservare traccia (naturalmente solo degli oggetti da lei prodotti
o conservati), dovrà per questo considerarli altro dagli oggetti più
tradizionali, solo perché fatti di materia, sebbene abbiano lo stesso
contenuto informativo (fotografie, manoscritti, pre-print, letteratura
grigia etc.)?
Concordo con ADR che tutto ciò è complicato e che gli attuali sistemi di automazione biblioteche (almeno italiani) sono inadeguati al massiccio ingresso di "nature" così diverse da ciò con cui i bibliotecari si sono cimentati per secoli.
Ciò su cui non concordo è invece il "ridimensionamento" della funzione del catalogo che appare dai suoi interventi: continuo a pensare che il catalogo, l'opac e come lo si vorrà chiamare in futuro, sia stato e sia lo strumento in grado di coniugare al meglio le esigenze bibliografiche con quelle gestionali.
[Ridi]
Non mi pare che né ADR né io proponiamo un ridimensionamento.
Solo una maggiore attenzione a distinguere fra ciò che si può
fare (tecnologicamente) e ciò che si vuole fare (biblioteconomicamente),
in vista degli obiettivi ritenuti prioritari.
[Di Girolamo]
Da un catalogo si può estrarre una bibliografia, non
è lecito il viceversa.
[Ridi]
E infatti i migliori VRD (virtual reference desk) che stanno nascendo sono
alimentati da un database, anche se purtroppo non è sempre interrogabile
direttamente come un opac.
[Di Girolamo]
Ebbene, non sarà la diversità della forma o l'intangibilità del
contenitore (bit invece che atomi) a modificare il contenuto, che come tale
potrà continuare ad essere catalogato e solo attraverso il catalogo potrà
essere recuperato, ovunque esso sia: sullo scaffale, dentro un CD-ROM o
su un web server.
[Ridi]
Comunque, per acquisire una risorsa elettronica non è
indispensabile possederne anche la versione cartacea. Il punto è: questi
documenti elettronici (OK, sono le scansioni di documenti cartacei, ma adesso sono
dei documenti elettronici) dove stanno? Sul loro server o sul
tuo server? Questo è il punto.
[De Robbio]
Nel catalogo devo metterci i dati inventariati, il catalogo produce
il registro dei beni (almeno succede così in quasi tutti i cataloghi
italiani). Ci metto forse inventari fasulli? Lo posso anche fare, ma questa non è coerenza.
E sei poi questi mettono accesso a pagamento alle risorse oggi libere?
A maggior ragione, se ragioniamo in termini di utenza, dovrei linkarli!
[Ridi]
OK, linka pure anche quelli che non possiedi su carta. Non cambia niente.
In entrambi i casi la tua è una funzione bibliografica, perché
segnali documenti che stanno altrove. Di alcuni di essi possiedi una
edizione cartacea, di altri no, ma cosa cambia?
Inciso: a voler spaccare il capello in n parti, il link a risorse elettroniche remote mi pare in realtà qualcosa di intermedio fra il catalografico e il bibliografico.
[De Robbio]
Infatti, sta qui il problema...
[Ridi]
È vero, non possiedo il documento, ma ne
fornisco una accessibilità immediata (finché dura, ma anche i documenti
posseduti possono essere rubati o incendiati), addirittura maggiore di
quella che fornisco dei libri posseduti, che spesso vanno chiesti in
determinati luoghi, orari, condizioni, ecc. Un po' meno del catalogo, un
po' più della bibliografia, che si limita a giurarmi che il documento
esiste, ma senza fornirmi indizi su dove trovarlo. In questo caso l'indizio
ce l'ho, e piuttosto consistente, si chiama URL e potremmo anche
considerarlo la collocazione o segnatura di un'altra biblioteca... E qui
fermo l'inciso per non debordare su altri temi. Insomma, la distinzione
bibliografia/catalogo forse potrebbe essere vista più come una coppia di
polarità che come uno switch sì/no.
[De Robbio]
Se invece parto dal posseduto del mio catalogo faccio un link solo a quelli
di cui ho descrizione e gli altri no. Che faccio, non li inserisco?
[Ridi]
Eccoci, ci stiamo avvicinando al nocciolo. Il problema economico.
Al numero delle schede catalografiche viene posto un limite dalle
mie capacità economiche di acquisizione dei documenti, che costano
(anche i doni). Alle schede bibliografiche, di documenti elettronici
remoti, quale limite porrò? Quello del costo della loro
selezione e manutenzione che riesco a permettermi, seguendo
le stesse linee guida che indirizzano la mia politica delle acquisizioni.
[De Robbio]
Oppure me ne frego e inserisco anche gli altri?
[Ridi]
È una scelta economica. Sono risorse utili per i tuoi utenti? Quanto?
Quanto tempo (che non dedicherai ad altre cose) puoi permetterti di
dedicare loro? Analisi costi/benefici...
[De Robbio]
Un record per ognuno?
[Ridi]
Beh, se sono tutte singole monografie mi parrebbe naturale. Oppure potresti
catalogare la collezione come documento contenitore. Niente di nuovo
(ecco la "tradizione"): in genere si cataloga ciascun periodico con una
sola scheda alla testata, ma talvolta, in centri specializzati, ci si puo'
permettere il lusso di effettuare spogli, di catalogare analiticamente
anche i microdocumenti contenuti. Analisi costi/benefici...
[De Robbio]
Non è questo il punto. Ma dato un periodico esistente su più formati:
carta, CD-ROM, online sul sito dell'editore, oppure sul sito dell'aggregatore,
online su "OCLC FirstSearch", su "JSTOR", sul sito
dell'associazione per il solo table of contents, e via dicendo...
quante schede faccio? Una sola con tanti link o più record distinti?
Qui la tradizione classica ci insegna che dovremmo fare tante descrizioni quante sono le edizioni, perché di edizioni diverse si tratta. Questo è quello che la tradizione ci insegna. Non possiamo negarlo o far finta di niente. La tradizione biblioteconomica non ci dice certo di prendere la descrizione di un periodico su carta e di inserirci un campo attraverso un tag (856, o altro che sia) per il link. Ciò che linkiamo è altra opera, distinta. E questo lo sappiamo bene. Se facciamo questo è solo perché accettiamo un compromesso. Tale compromesso va a snaturare l'essenza del catalogo. Ebbene, SBN rispetta la tradizione e ha scelto un record distinto per ogni chiamiamolo "supporto"... Library of Congress aveva scelto il tag 856, ma ora pare stia cambiando rotta. Los Alamos ha scelto, dopo travaglio durissimo, di optare per un record solo utilizzando il tag 956, ma estraendo un nuovo catalogo autonomo che genera liste web. Bene, questi problemi se li stanno ponendo tutti. Si tratta di scelte. Ma difficilmente quando si fa una scelta di tale rilevanza, poi è facile tornare indietro. O si sceglie A o si opta per B, dunque bisogna sapere operare una scelta ponderandola bene, valutando tutti i pro e i contro.
I cambi di URL come li gestisco?
[Ridi]
Manutenzione. Con ausili software ma sempre e comunque tanto lavoro umano
(lo sappiamo bene nella redazione di "OPAC italiani"). Vale la pena? Dipende.
Analisi costi/benefici...
[De Robbio]
E se poi lo fa anche Firenze o Pisa o Ferrara?
[Ridi]
Eccoci. Cooperare, consorziarsi, creare cataloghi collettivi seguendo
aggregazioni ragionevoli. Vale per i romanzi cartacei e vale per le ER.
"Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte [...]"
[Visintin]
Il catalogo (non un catalogo, non i cataloghi) è sempre e
solo uno [Carlo Revelli. Il catalogo / in collaborazione con G.
Visintin. Milano: Ed. bibliografica, 1996]. Mi spingo ad asserire che anche
nel docuverso o in quel suo sottinsieme che è la rete vige il medesimo
principio (sì, da Parigi in qua), multi-, meta- o semplici opac compresi
[Anna Rita Zanobi - Paola Ferro. Guida pratica alle prove d'esame.
Milano: Ed. bibliografica, 1999, alla luce delle osservazioni suggerite in
proposito da G. Visintin in AA. VV. (alias Claudio Gnoli, Riccardo Ridi,
Michele Santoro e Giulia Visintin). AAAA: acronimi, anglicismi e
altre amenità. "Bibliotime", n.s., 2 (1999), n. 2,
<http://spbo.unibo.it/bibliotime/num-ii-2/aavv.htm> [poi <http://www2.spbo.unibo.it/bibliotime/num-ii-2/aavv.htm>]].
Il catalogo è lo strumento dal quale avere risposte a poche semplici domande -- non sto a ripeterle qui -- tutte sempre e inoltre definite dalla caratteristica comune di riferirsi all'esistenza nel patrimonio documentario di una biblioteca -- ovvero nella totalità dei patrimoni documentari della totalità delle biblioteche o in parti circoscritte di una o entrambe [Fabio Metitieri - Riccardo Ridi. Ricerche bibliografiche in Internet. Milano: Apogeo, 1998, p. 5-6]. Chiamo patrimonio documentario tutto ciò di cui la biblioteca dichiara -- attraverso il proprio catalogo -- di disporre [Associazione italiana biblioteche. Gruppo di lavoro "Gestione e valutazione". Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane: misure, indicatori, valori di riferimento. Roma: AIB, 2000, p.35].
La dimensione propria di ciascun catalogo è funzione delle caratteristiche specifiche di ciascuna biblioteca [Riccardo Ridi. Biblioteche in rete e biblioteche virtuali. In: Biblioteche, clicca qui / a cura di Maria Stella Rasetti. Empoli: Rea.net, 1998, anche <http://www.comune.empoli.fi.it/biblioteca/ridi.htm> [poi <http://www.comune.empoli.fi.it/biblioteca/reanet/cliccaqui/ridi.htm>]; (cito deliberatamente come pubblicazione un floppy disk, senza specificarlo)]. In questa funzione, il catalogare consiste appunto nella tensione fra possibilità offerte dall'organizzazione del catalogo e organi catalografici effettivamente possibili, i.e. congrui, utili e opportuni.
Si possono dire speciali tutte le domande diverse da quelle alle quali il catalogo è in grado di rispondere, ma come definire la specialità dei documenti (perché, naturalmente, qual è il documento normale?)? [Carlo Revelli. La catalogazione del materiale speciale. In: Biblioteche speciali. Milano: Ed. Bibliografica, 1986, p. 143-161, in particolare p. 153-152]. I cataloghi speciali servono a rispondere a domande speciali, non a quelle intorno a documenti speciali. Vero, ma non pertinente alle risorse elettroniche, "grazie a Dio" [Antonio Scolari. Catalogare i CD-ROM: alcune considerazioni. In: E.S. Burioni ricerche bibliografiche. CD-ROM: catalogo 1994. Genova: Burioni, 1993, p. 196-199, anche in "ESB forum", <http://www.burioni.it/forum/scol-cdcat.htm>, la citazione a p. 197].
Non incombe al lettore la scelta dei sentieri da percorrere nella ricerca [G. Visintin, Nomi di persona: i nomi. "Bollettino AIB", 38 (1998), n. 1, p. 59-64, in particolare le considerazioni finali di p. 63]: se il catalogo permette la risposta ad una domanda imperniata sul titolo, deve bastare il titolo, e non deve occorrere (trave e fuscello) conoscere con certezza di che si tratti. È il catalogo -- e vieppiù il catalogo dei cataloghi -- a doversi disporre secondo le domande che gli vengono rivolte [Eugenio Gatto. Dal catalogo della biblioteca ai cataloghi dei lettori. In: Il futuro è arrivato troppo presto? Roma: AIB, 1997, p. 79-85].
Un commento a questa discussione è "L'Universo ovvero la Biblioteca: il catalogo in espansione" di Gianni Colussi, in "AIB-WEB Contributi", <https://www.aib.it/aib/contr/colussi1.htm>, 2002-01-21.