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Devo premettere innanzitutto che la discussione sul tema delle riforme
legislative, all'interno della Commissione per i servizi bibliotecari nazionali
e per la tutela, non è ancora approdata a delle conclusioni. La Commissione
ha però individuato le linee di lavoro che ritiene consone al mandato
che le è stato conferito, ovvero i temi dei Servizi bibliografici
nazionali e della Biblioteca nazionale d'Italia, e quello dell'autonomia
degli istituti, concetto questo strumentale rispetto ai primi due ma importantissimo.
Si tratta ora di approfondirli e contestualizzarli, derivandone delle proposte
di integrazione o emendamento alla seconda parte del decreto legislativo
più volte richiamato stamane.
L'altro argomento su cui siamo impegnati, fra quelli che costituiscono il
nostro programma complessivo, che potete trovare nelle pagine della Commissione
in AIB-WEB, è il Servizio bibliotecario nazionale: è stato
costituito nell'ambito della Commissione un gruppo di lavoro, coordinato
da Giovanni Bergamin, che affronterà il tema del SBN soprattutto
dal punto di vista delle rete dei servizi.
In un suo recente ed importante lavoro, Paolo Traniello, ricostruendo storicamente le vicende della biblioteca pubblica in Italia dall'unificazione in poi, rileva come tipica di molta biblioteconomia italiana una "sostanziale indifferenza per i problemi istituzionali", specie per quanto riguarda la riflessione teorica sulla natura della biblioteca pubblica "come istituto dell'autonomia locale". Questa considerazione me ne fa venire in mente un'altra, il fatto cioè che l'approccio di tipo istituzionale sia sempre stato dominante tutte le volte che qualcuno, in genere "altri", abbia realizzata o tentata una riforma dell'ordinamento delle biblioteche italiane. In altre parole, si è generalmente anteposto il "chi deve fare cosa" al "cosa deve essere fatto". La ricostruzione di Traniello evidenzia dei parallelismi sorprendenti rispetto al dibattito in corso attualmente: nel 1869 la Commissione Cibrario, dai cui lavori derivò il primo abbozzo dell'attuale assetto delle biblioteche pubbliche statali, prevedeva che i Comuni potessero richiedere il trasferimento delle biblioteche statali presenti sul proprio territorio, a condizione che non rientrassero fra quelle definite nazionali. Nulla però si diceva riguardo alle funzioni che poi avrebbero dovuto svolgere. In un recente documento del Gruppo di lavoro del MURST sul sistema bibliotecario delle Università, in cui viene delineata una possibile riforma delle universitarie dei beni culturali, si prevede il loro passaggio alle Università "che ne facciano motivata richiesta", e si suggerisce che soluzioni analoghe vadano sperimentate "anche per biblioteche statali non universitarie di potenziale interesse strategico per il sistema bibliotecario universitario italiano". Nessuna garanzia viene data, peraltro, relativamente al mantenimento o al miglioramento degli attuali livelli di servizio pubblico. Il documento è perfettamente in linea con l'art. 146 del decreto legislativo, che ha indotto l'Associazione a denunciare una logica di spartizione piuttosto che di riforma. Può darsi che non vi sia nulla di male ad adottare le stesse categorie d'analisi, lo stesso metodo e fin lo stesso linguaggio della Commissione Cibrario del 1869, e forse è inevitabile, ma il rischio di percorrere strade che si sono già rivelate infruttuose è evidente. La logica del mero "conferimento di funzioni e compiti" è, per le biblioteche, una logica astratta. Meglio sarebbe se i vari soggetti istituzionali si confrontassero sul piano della definizione dei ruoli, dei programmi di sviluppo dei servizi, degli investimenti, della politica del personale. L'AIB si è trovata a dover affrontare la questione dalla parte sbagliata: il buon senso avrebbe voluto che si fosse sancito prima, e innanzitutto, in una legge quadro (e c'è una proposta AIB di legge quadro sulla quale non c'è stato modo di discutere), il diritto dei cittadini all'informazione ed ai servizi di accesso alla conoscenza, poi che si fosse disegnata l'architettura generale dei servizi, e che da queste basi fossero derivate le leggi di riforma con l'identificazione delle titolarità istituzionali dei vari livelli di servizio e la definizione dell'autonomia delle biblioteche. Senza un disegno politico e al di fuori di questo contesto l'approccio istituzionale dimostra tutti i suoi limiti, e la riforma non può che risultare angusta, "stare stretta" alle biblioteche.
Non volendo peraltro condannarsi all'impotenza, occorre individuare proposte
praticabili, a partire dall'approfondimento e dalla contestualizzazione
di ciò che generalmente definiamo servizi bibliografici nazionali.
Se è vero che dal punto di vista dell'utente finale, o meglio del
cittadino, i servizi bibliografici nazionali si identificano con una rete
integrata di biblioteche efficaci, dal nostro punto di vista l'espressione
rimanda ad un complesso di strutture, strumenti e servizi intermedi che
di quella rete di biblioteche efficaci sono la condizione, oltre a costituire
i mezzi per raggiungere gli obiettivi generali del Controllo bibliografico
universale e della Disponibilità universale dei documenti. Mi riferisco
naturalmente ad una bibliografia nazionale tempestiva, curata da un'agenzia
bibliografica nazionale articolata territorialmente o funzionalmente e alimentata
da leggi, o prassi concertate con gli editori, di deposito di documenti
di ogni tipo; ad un catalogo collettivo nazionale corrente integrato da
campagne di retroconversione; ad un servizio nazionale di circolazione dei
documenti. Non c'è tempo di fermarsi ora su questi punti, che restano
irrinunciabili, vorrei piuttosto notare come i cambiamenti nei modelli culturali
e nei modi di fruizione del testo, indotti anche dall'evoluzione tecnologica,
ci portino a prendere in considerazione anche altri mezzi, necessari per
raggiungere i medesimi obiettivi generali. Cercherò di spiegarmi
con degli esempi: se facciamo una passeggiata per i siti WEB delle più
importanti biblioteche nazionali europee, e andiamo in cerca dei progetti
in corso, troveremo che lo sforzo maggiore, finanziario, organizzativo e
direi di progettualità complessiva, è rivolto, oltre che alla
retroconversione dei cataloghi e all'integrazione fra questi e i servizi,
soprattutto alla digitalizzazione dei documenti.
La strategia di sviluppo dei sistemi informativi delineata dalla British
Library fin dal 1995 è esemplare al riguardo: lo scopo principale,
l'obiettivo-guida è quello del miglioramento dell'accesso alle collezioni,
da perseguire con una gamma di interventi che vanno dall'esplicitazione
dei servizi disponibili per ogni notizia reperita nell'OPAC (condizioni
di disponibilità, presenza del documento digitalizzato, servizi di
circolazione e consegna remota), realizzando quindi un'integrazione piena
fra OPAC, informazioni generali e richiesta di servizi, fino alla costituzione
di una massa critica di documenti digitalizzati e disponibili in rete. Nel
Digital Library Programme della British Library è contenuta la seguente
definizione: "la biblioteca digitale consisterà in una massa
critica di documenti archiviati elettronicamente (testi, immagini fisse
e in movimento, suoni ed ogni loro composizione) disponibili su richiesta
dell'utente in qualunque luogo e in qualunque tempo all'interno di un servizio
regolato ed organizzato". Sono fatti salvi, è poi opportunamente
aggiunto, i diritti dei legittimi titolari sui documenti soggetti a copyright,
documenti che nel caso delle collezioni della biblioteca nazionale costituiscono
pur sempre una minoranza. Con questa impostazione la biblioteca persegue
in maniera più ampia di prima l'obiettivo della disponibilità
universale, in quanto può raggiungere il pubblico delle reti, e conferma
il suo ruolo di agenzia di servizio per la rete delle biblioteche pubbliche:
queste ultime costituiscono l'intermediario per eccellenza dell'accesso
pubblico ai servizi della biblioteca nazionale, ad es. per quanto riguarda
la consegna elettronica dei documenti a testo pieno.
La politica di digitalizzazione della Bibliothèque Nationale de France
è stata illustrata in un recente intervento alla I Conferenza nazionale
delle biblioteche: il programma, ideato agli inizi degli anni '90, ha come
scopo ultimo quello di permettere "un reale accesso a distanza alle
collezioni", consentendo ad un tempo di "conservare meglio",
"comunicare meglio", e fornire agli utenti, tramite postazioni
specializzate, specifici strumenti di lavoro sui documenti digitalizzati.
Attualmente la biblioteca dispone di 83.000 documenti in formato immagine,
corrispondenti a 24 milioni di pagine, e di 4.000 in formato testo, oltre
a 50.000 immagini digitalizzate di carte geografiche, stampe e fotografie.
Un sottoinsieme di questa base dati, dedicato all'ottocento francese e denominato
Gallica è già disponibile sul sito della BNF: è composto
da 2.600 opere digitalizzate in formato immagine e 295 in formato testo,
corrispondenti a circa un milione di pagine, oltre a 7.000 fotografie; Gallica
ha carattere enciclopedico e intende rivolgersi, tramite un uso accorto
del linguaggio visivo, anche al grande pubblico.
Non intendo qui fare una rassegna delle iniziative in corso, ma non vorrei
dimenticare la Biblioteca Reale olandese, con il progetto di deposito permanente
dei documenti elettronici in linea e fuori linea, basato su specifici accordi
con gli editori, e la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che, con
il progetto Arricchimento dei servizi della Bibliografia Nazionale Italiana,
si propone di "aumentare la fruibilità dei record bibliografici"
collegandoli alle immagini digitalizzate di frontespizi, indici e pagine
preliminari. E' prevista una copertura totale della BNI dal 1990, per un
totale di circa un milione d'immagini. 450 notizie e 18.000 immagini sono
già disponibili sul sito della BNCF. Anche la Discoteca di Stato
sta avviando un progetto di conversione digitale dei suoi archivi sonori,
che prevede fra l'altro un'importante accordo strategico con la RAI, la
quale ha iniziato a sua volta la digitalizzazione integrale della sua audiovideoteca.
Ho voluto richiamare questi esempi per significare che la costituzione
della biblioteca digitale rientra ormai a pieno titolo nell'ambito dei servizi
bibliografici nazionali, proprio in quanto ne realizza le tradizionali finalità.
Nel mondo delle reti le biblioteche nazionali stanno dalla parte dei produttori/fornitori
di informazioni di cui altri divengono utenti. La digitalizzazione è
inoltre un'occasione per la diffusione nelle biblioteche di tecnologie e
standard commerciali che serviranno loro per non essere tagliate fuori dal
mercato dei servizi dell'informazione, e un volano per l'evoluzione della
normativa, da quella sul deposito legale a quella relativa al diritto d'autore
ed ai diritti connessi. Comporta infine, in quanto ridefinisce in qualche
modo la mappa dei servizi, la necessità di ripensare le politiche
della conservazione e della tutela.
Su quest'ultimo punto vorrei fermarmi un momento: se prendiamo in considerazione
i flussi finanziari che da un quindicennio, e forse più, sono stati
dirottati sulle biblioteche pubbliche statali da tutta una serie di leggi
speciali, vediamo che essi hanno sostenuto soprattutto progetti di catalogazione
informatizzata, e solo recentemente, specie nell'ambito delle iniziative
per le biblioteche della Commissione Europea, progetti di adeguamento tecnologico
mirati al miglioramento della qualità dei servizi. Esiste un progetto
di ricerca CNR sulla deacidificazione della carta, ma non ho mai sentito
parlare, ad esempio, di un progetto di rilievo nazionale di monitoraggio
dello stato delle collezioni e di una politica coordinata della conservazione;
neanche le soprintendenze bibliografiche regionali mi pare abbiano brillato
al riguardo. Credo sia evidente che la conservazione non si esaurisce negli
interventi di restauro bibliografico, e che la tutela, a sua volta, rimanda
ad un concetto più ampio di quello di conservazione.
Le politiche per la digitalizzazione e quelle per la tutela e la conservazione
sono interdipendenti e condividono la finalità generale di garantire
ora e nel tempo l'accesso ai documenti; sono attività costose, e
vanno dunque pianificate alla luce di principi di economicità complessiva
sulla base dell'adozione di standard tecnologici e di metodologie noti e
condivisi, allo scopo di evitare sprechi di risorse e duplicazione di iniziative;
si configurano come strumenti che concorrono al raggiungimento degli obiettivi
dei servizi bibliografici nazionali e implicano un forte coordinamento nazionale
che non può non venire riconosciuto dalla normativa.
Se appare dunque grave che nella prima parte del decreto legislativo non
si sia voluto esplicitare fra le funzioni di competenza dello Stato, come
proposto dalla Commissione per i servizi bibliotecari nazionali e la tutela,
e recepito dal CEN, la promozione ed il coordinamento dei servizi bibliografici
nazionali, è tanto più necessario che nella seconda parte
essi vengano individuati con chiarezza anche nei loro aspetti istituzionali.
L'art. 6 comma 6 del decreto, riconfermando gli art. 12 e seguenti del
D.P.R. 805/1975, esprime chiaramente la volontà di non procedere
al riassetto dei rapporti fra BNCF, BNCR e ICCU, riassetto per il quale
lo stesso D.P.R. 805 rimandava ad un provvedimento ulteriore mai emanato
e che doveva servire alla definizione, cito, "di un coerente e coordinato
sistema bibliografico". Più che proporre degli emendamenti al
decreto, si tratta quindi di scrivere un nuovo articolo dedicato ai servizi
bibliografici nazionali ed all'organismo che dovrebbe promuoverli, coordinarli
ed in larga parte gestirli. Un articolo, cioè, in cui vengano delineati
i compiti e la struttura della Biblioteca Nazionale d'Italia. Ancor prima
di fare ipotesi in questo senso, però, ritengo necessario individuare
delle "aree funzionali" che nella Biblioteca Nazionale d'Italia
dovrebbero comunque essere presenti:
un'area relativa all'Archivio nazionale del libro e degli altri supporti
dell'informazione, con tutti i servizi connessi, all'interno della quale
ricadrebbe gran parte di quanto argomentato finora;
un'area relativa alla ricerca scientifica e tecnologica ed all'applicazione
sperimentale delle soluzioni;
un'area relativa alla formazione permanente, alla riqualificazione ed all'aggiornamento
professionale del personale;
un'area relativa all'analisi dei problemi giuridici ed economici del mercato
dei servizi per l'informazione e la conoscenza (in primo luogo il diritto
d'autore ed i diritti connessi), alla concertazione ed alla sperimentazione
di accordi generali con i vari attori del mercato;
un'area per la gestione ed erogazione dei servizi, dal SBN ai servizi per
la circolazione dei documenti ai servizi editoriali etc.
Naturalmente ciascuno degli istituti che comporranno la Biblioteca Nazionale
d'Italia potrà operare su più aree, anche se alcune di esse
corrisponderanno a specifiche tipologie di istituti, come l'area per la
ricerca scientifica e tecnologica, propria degli istituti centrali, ICCU,
ICPL, Discoteca di Stato per il materiale sonoro; o l'area dei servizi,
da gestire tramite agenzie la cui natura giuridica è da determinarsi
ma che possano agire ove opportuno con criteri di mercato e che prevedano
la compartecipazione dei vari livelli della pubblica amministrazione e la
presenza dei privati. In tutte le aree andrà favorita la prassi del
convenzionamento e degli accordi con altri soggetti istituzionali, università
ed enti locali.
Risulta evidente da queste considerazioni come la Biblioteca Nazionale d'Italia
non possa che essere diffusa, cioè articolata funzionalmente e territorialmente.
Il modello francese, che ha comportato ad es. che la collezione digitalizzata
nazionale risulti composta da documenti che provengono per il 90% dalla
Bibliothèque Nationale e solo per il 10% da altri organismi, non
è evidentemente applicabile in Italia.
L'individuazione degli istituti che costituiranno la Biblioteca Nazionale
d'Italia richiede valutazioni ben più approfondite di quanto non
si possa fare ora e una maggiore attenzione agli specifici contesti amministrativi
e di servizio delle varie realtà locali. La Commissione per i servizi
bibliotecari nazionali e la tutela, comunque, ha individuato come base per
la discussione, o come soglia minima, la biblioteche nazionali centrali
di Firenze e Roma, la Discoteca di Stato, gli istituti centrali, ICCU e
ICPL, e quelle fra le biblioteche pubbliche statali già definite
nazionali. Questi organismi dovrebbero costituire una rete di istituti autonomi,
ma fortemente coordinati e integrati, e partecipi del medesimo progetto
culturale e di servizio. Tale unitarietà di progetto implica un livello
unitario di amministrazione, come è previsto dall'art. 4 comma 3
della legge 59/1997, che fa riferimento ai principi di "responsabilità
ed unicità dell'amministrazione", di "identificabilità
in capo ad un unico soggetto anche associativo della responsabilità",
e prevede l'attribuzione di "funzioni e compiti omogenei allo stesso
livello di governo". Trattandosi di servizi bibliografici nazionali
tale livello di governo sembra proprio dell'amministrazione centrale. Le
forme di gestione dovranno in ogni caso basarsi sul principio dell'autonomia.
Anche sotto questo punto di vista il decreto presenta delle incongruenze,
laddove prevede una forma di autonomia gestionale piena ed effettiva per
le Soprintendenze regionali (art. 6 comma 3) e , sembrerebbe, anche per
le Soprintendenze speciali (art.7 comma 3), ed una forma ridotta per i musei,
le biblioteche e gli archivi: per questi l'autonomia può derivare
da un successivo provvedimento, da emanarsi sulla base dell'individuazione,
da parte del Dipartimento competente, dei presupposti, delle condizioni
e degli standard organizzativi e funzionali. Un procedimento macchinoso
ed incerto, che rinvia le decisioni, adatto forse per un istituto isolato
ma tale da inserire elementi di incertezza e squilibrio nella gestione di
un organismo articolato e complesso quale la Biblioteca Nazionale d'Italia.
Un'ipotesi da verificare potrebbe essere allora l'applicazione anche agli
istituti componenti quest'ultima del regime previsto per le Soprintendenze
speciali, un regime cioè di piena autonomia scientifica, organizzativa,
finanziaria e contabile, che troverebbe il proprio unico limite nel vincolo
di adempimento delle funzioni e dei compiti propri del progetto culturale,
organizzativo e di servizio della Biblioteca Nazionale d'Italia. Una volta
garantiti questi compiti e queste funzioni il singolo istituto resterebbe
libero di impostare la propria politica di servizio a livello territoriale
anche attraverso convenzioni o accordi programmatici con altri soggetti
istituzionali.
Riterrei opportuno verificare questo abbozzo dal punto di vista giuridico
e dell'assetto istituzionale complessivo.
Copyright AIB 1998-05-07, a cura di Elena Boretti
URL: https://www.aib.it/aib/commiss/cnsbnt/docum01.htm