Anche per questo motivo, il documento non intende offrire una quadro esaustivo e non ha carattere di ufficialità. In esso sono presenti paragrafi dedicati a questioni che stanno suscitando notevole interesse (per esempio, i consorzi per l'accesso alle risorse elettroniche o l'assetto che stanno assumendo i sistemi bibliotecari di ateneo), mentre non vengono approfonditi altri temi che pure meriterebbero pari attenzione: si pensi alla discussione sulla normativa in materia di diritto d'autore o alle tante realizzazioni nel campo dell'edilizia bibliotecaria, per citarne solo qualcuno.
Prevediamo che la struttura del Rapporto e la sua articolazione interna non rimarranno sempre le stesse ogni anno e che, accanto a un aggiornamento costante su alcuni aspetti, altre questioni possano essere proposte a rotazione, a mano a mano che maturino sviluppi significativi e che risultino chiaramente individuabili momenti di svolta e di discontinuità. Naturalmente, siamo consapevoli del fatto che il Rapporto, pur mantenendo queste caratteristiche e questi limiti, sia migliorabile e speriamo che in futuro si possa fare di più di quanto non ci sia riuscito in occasione di questa prima "uscita", in verità piuttosto sperimentale, che lo rende appena qualcosa in più di un "numero zero".
Una delle principali difficoltà che abbiamo incontrato, e che ci auguriamo di superare nei prossimi anni, è dovuta alla carenza di dati quantitativi, che in un documento di questo tipo dovrebbero essere molti di più di quanti non siamo riusciti a raccogliere quest'anno.
Quando ci si propone di ricostruire un quadro nazionale della situazione delle biblioteche italiane delle diverse tipologie (pubbliche, universitarie, statali, scolastiche, ecclesiastiche, private ecc.), ci si trova a fare i conti con la quasi totale assenza di dati organici, comparabili e attendibili.
Infatti, a differenza di altre nazioni, in Italia non sono chiaramente individuabili le competenze nella raccolta ed elaborazione di dati sull'organizzazione bibliotecaria nazionale: nessun ente è specificamente preposto a tale attività, né è possibile affermare che esista una ripartizione dei compiti in questo senso tra organismi diversi. Indubbiamente, il particolare assetto del nostro sistema bibliotecario - la cui principale caratteristica rimane probabilmente quella di non essere un sistema - induce a pensare che difficilmente un unico organismo possa gestire da solo un'attività tanto complessa, all'interno di un quadro molto frammentato di competenze.
Probabilmente, l'obiettivo può essere raggiunto solo attraverso la convergenza delle diverse iniziative che vengono avviate separatamente dai diversi enti di riferimento per le singole tipologie di biblioteche e da alcuni organismi a carattere interistituzionale.
Il fatto che da qualche tempo l'ISTAT e altri soggetti in rappresentanza di Stato e Regioni stiano lavorando alla costituzione di un sistema informativo allo scopo di perfezionare i rilevamenti statistici riguardanti le istituzioni culturali e di diffonderne i risultati a livello nazionale e internazionale può far sperare che in futuro si possa disporre di dati completi e aggiornati sul complesso delle biblioteche, raccolti in forma metodologicamente corretta, anche se per il momento non si sono ancora visti i risultati di questo lavoro.
Allo stato attuale delle cose, è praticamente impossibile ricostruire un quadro certo e omogeneo delle biblioteche italiane, così come non è possibile fornirne con esattezza il numero complessivo e i principali dati sulla consistenza e il funzionamento.
Utilizzando le diverse fonti disponibili, è possibile stimare con una certa approssimazione che le oltre 15.000 biblioteche italiane (nelle quali operano circa 20.000 unità di personale) posseggano quasi 200 milioni di documenti, che esse acquistino annualmente quasi 7 milioni di volumi, che i loro utenti annui siano poco meno di 10 milioni e che i prestiti erogati si aggirino intorno ai 65 milioni.
Si ritiene che nel 2001 le spese di funzionamento abbiano superato i 1000 miliardi di lire, di cui poco più del 10% destinati all'acquisto di documenti.
Appartiene certamente al primo gruppo la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione che, giunta alla definitiva approvazione dopo un lunghissimo iter legislativo avviatosi nel gennaio 1998, all'indomani dell'emanazione delle cosiddette leggi Bassanini, ha radicalmente riformato gli artt. 114-132 della Costituzione, ridisegnando profondamente i rapporti fra Stato, Regioni e altri enti locali.
Rovesciando integralmente la precedente impostazione della norma costituzionale, che all'art. 117 elencava analiticamente le materie oggetto di competenza legislativa regionale, il nuovo testo individua infatti 17 materie (fra cui la tutela dei beni culturali) sulle quali la legislazione esclusiva è dello Stato e 20 materie (fra cui la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali), oggetto di legislazione concorrente fra Stato, cui spetta la determinazione dei principi fondamentali, e Regioni.
Spetta invece alle Regioni, come recita il comma 4 del nuovo art. 117 della Costituzione, «la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato», nonché la potestà regolamentare in ogni materia, a eccezione di quelle di legislazione esclusiva dello Stato, salvo delega alle stesse Regioni (art. 117, comma 6). Le funzioni amministrative, a norma del comma 1 del nuovo art. 118, «sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».
Senza entrare nel merito della norma, le cui affermazioni di principio dovranno nei prossimi mesi trovare attuazione in successivi provvedimenti legislativi (il Disegno di legge recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 14 giugno e ora dovrà essere presentato all'esame del Parlamento), basti qui considerare il riflesso che una tale riforma potrà avere in materia di biblioteche, soprattutto quando si consideri che, a differenza di quanto previsto dagli artt. 148 e 150 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nella legge costituzionale non si accenna alle attività di gestione degli istituti culturali, così da portare alcuni commentatori, seppur isolati, a ritenere che la disciplina normativa riguardante il funzionamento degli istituti statali debba spettare per intero alla potestà legislativa delle singole Regioni e che, più in generale, sulla base del nuovo art. 118, non potranno più esistere istituti culturali, e quindi biblioteche, di competenza statale.
Mentre dunque, con la riforma della Costituzione, si aprono nuovi scenari in materia di competenze e assetto federalista dello Stato, l'attività legislativa delle Regioni in materia di biblioteche e beni culturali è stata essenzialmente incentrata, ancora per tutto il 2001, nell'attuazione del primo processo di riforma, avviato dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 (legge Bassanini).
In assenza di nuove leggi regionali di settore (l'ultima, la l. reg. Emilia-Romagna, n. 18, risale al 24 marzo 2000), fra i provvedimenti più rilevanti devono infatti essere ricordate le leggi regionali di attuazione del d. leg. n. 112/1998 (che, all'art. 3, comma 1, stabiliva che «Ciascuna regione [...] determina, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire tutte le altre agli enti locali»), e in particolare la l. reg. Piemonte 26 aprile 2000, n. 44, successivamente modificata dalla l. reg. 15 marzo 2001, n. 5, le l. reg. Puglia 30 novembre 2000, n. 22 e 11 dicembre 2000, n. 24 e la l. reg. Veneto 13 aprile 2001, n. 11.
Completa il quadro, anche se non direttamente derivante dagli adempimenti prima ricordati, trattandosi di regione a statuto speciale, la l. reg. Friuli-Venezia Giulia 15 maggio 2001, n. 15, con la quale vengono dettate Disposizioni generali in materia di riordino della Regione e conferimento di funzioni e compiti alle autonomie locali.
Seppure con grave ritardo rispetto al termine previsto dal decreto 112, originariamente fissato in sei mesi, poi prorogati a dodici, quasi tutte le Regioni (a eccezione a quanto ci consta di Liguria, Campania e Calabria) hanno così provveduto con proprie norme a fissare la nuova distribuzione di competenze, anche in materia di beni culturali e quindi di biblioteche, fra i diversi livelli territoriali, riorganizzando al contempo le relative attività.
Indirettamente e involontariamente collegate al quadro istituzionale appena delineato risultano essere anche due disposizioni di particolare rilievo per le biblioteche, contenute nella l. 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), che all'art. 33 (Servizi dei beni culturali) dispone che possa essere affidata a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico (e quindi anche delle biblioteche statali), mentre al successivo art. 35 (Norme in materia di servizi pubblici locali) introduce un art. 113 bis nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (d. leg. 18 agosto 2000, n. 267), in base al quale «i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono gestiti mediante affidamento diretto a: a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) società di capitali» e solo in via residuale (comma 2) «è consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1», aprendo orizzonti del tutto nuovi, e da tempo attesi, nelle forme di gestione dei servizi culturali.
Entrambe le norme, tuttavia, proprio alla luce delle rilevanti novità introdotte nell'assetto istituzionale dalla l. cost. n. 3/2001, sono state fatte oggetto da parte di numerose regioni di ricorsi di legittimità costituzionale attualmente pendenti presso la Corte costituzionale, per supposta violazione dell'art. 117 della Costituzione, in quanto prevedono una potestà regolamentare dello Stato in materie di chiara competenza regionale.
Atteso da più parti come occasione per dare risposta a molti degli annosi problemi che affliggono da decenni il settore delle biblioteche pubbliche statali, il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, emanato con d.P.R. 29 dicembre 2000, n. 441, si limita in realtà a indicare, senza risolvere, alcune questioni fondamentali che riguardano il settore, rinviandone la definizione, senza vincoli di tempo, a successivi regolamenti di secondo grado.
Basti qui ricordare la questione relativa allo sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali (compito attribuito al Ministero dall'art. 2 del decreto istitutivo 20 ottobre 1998, n. 368), solamente accennata nell'articolo relativo alla Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali (art. 8), o quella delle biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma, accomunate, a motivo delle funzioni svolte, nell'articolo relativo alle biblioteche pubbliche statali (art. 16), ma di cui non si prevede, nemmeno in prospettiva, quella riunificazione in un unico istituto, seppur con sedi diverse, da più parti e da tempo ritenuta l'unico modo per eliminare duplicazioni e conflittualità e raggiungere l'obiettivo dell'attuazione, anche in Italia, della piena visibilità del concetto di "biblioteca nazionale", così come inteso in tutti i paesi del mondo.
E ancora il tema degli istituti centrali, dei quali avrebbe dovuto essere chiarito il ruolo di coordinamento e di indirizzo, anche nei riguardi delle Regioni, nel campo dell'inventariazione, catalogazione, conservazione e restauro, e il loro rapporto con le direzioni generali di riferimento, le soprintendenze regionali e il neonato Segretariato generale, o quello del ruolo e della posizione della Discoteca di Stato.
Infine, a conferma della natura parziale e insoddisfacente del regolamento anche per quanto riguarda l'assegnazione dell'autonomia, mentre viene concesso un anno dall'entrata in vigore del Regolamento per l'individuazione delle soprintendenze speciali alle quali assegnarla, per tutti gli altri istituti, tra i quali anche alcune biblioteche pubbliche statali, si dovranno attendere, senza che siano previsti precisi limiti di tempo, successivi decreti ministeriali.
Restando in tema di regolamenti, da segnalare anche il d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, che all'art. 21, fra le condizioni generali degli istituti penitenziari, tratta del Servizio di biblioteca, prescrivendo che «la direzione dell'Istituto deve curare che i detenuti e gli internati abbiano agevole accesso alle pubblicazioni della biblioteca dell'istituto, nonché la possibilità, a mezzo di opportune intese, di usufruire della lettura di pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici funzionanti nel luogo in cui è situato l'istituto stesso».
Per quanto concerne i temi di interesse più strettamente bibliotecario, la necessità di portare a soluzione i problemi del deposito legale ha spinto l'AIB a riprendere la proposta di disegno di legge, già discussa e giunta alle soglie dell'approvazione finale in Parlamento nella XIII legislatura.
Dopo un'attenta revisione dell'articolato, resa necessaria dal rapido sviluppo tecnologico che in questi ultimi anni ha cambiato in modo rilevante il settore dell'editoria e le modalità di diffusione delle opere, la proposta è stata accolta e presentata nella sua interezza dal gruppo DS-Ulivo (A.S. 1057), mentre contestualmente veniva presentato un analogo disegno di legge di iniziativa governativa (A.S. 894) e due disegni di legge (A.C. 852 e A.C. 2283) del gruppo DS-Ulivo alla Camera.
Il testo governativo appare estremamente semplificato rispetto alla formulazione proposta dall'AIB, sono stati eliminati gli articoli più significativi che indicavano i depositanti, i depositari, le tipologie di materiali e il numero degli esemplari da consegnare, e tutta la regolamentazione della materia viene di fatto rinviata a un successivo regolamento governativo.
Anche se in linea generale può apparire condivisibile la ratio del rinvio a un successivo regolamento, strumento certamente più agile e più facilmente adeguabile alle esigenze legate a una realtà in continua evoluzione, l'impianto del disegno di legge governativo genera tuttavia molte perplessità.
Basti pensare che mentre si rinvia al decreto successivo (art. 3) la regolamentazione dei depositi di primaria importanza (le biblioteche nazionali, la biblioteca territoriale, gli istituti specializzati responsabili a livello nazionale della conservazione di specifiche tipologie di documenti) si lasciano invece nel testo (art. 4) le altre fattispecie di deposito (deposito delle pubblicazioni ufficiali per le biblioteche della Camera, del Senato e del Ministero della giustizia, deposito a richiesta per le stesse biblioteche delle altre opere edite dagli organi dello Stato, delle regioni, degli enti locali ed enti pubblici e deposito a richiesta per la biblioteca centrale del CNR delle opere inerenti alle aree della scienza e della tecnica), con il paradossale risultato di privilegiare queste ultime (che avranno valore di legge) e penalizzare i depositi primari (destinati a trattazione in una norma di secondo livello), per i quali è soprattutto richiesta e giustificata una nuova legge.
Nel corso del 2001, inoltre, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea hanno definitivamente approvato la Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione.
Approvata dopo un lungo iter la direttiva, in 61 "considerando" e 15 articoli, mira a integrare le legislazioni dei paesi membri relativamente al diritto di riproduzione, al diritto di comunicazione di opere al pubblico e al diritto di distribuzione, in riferimento alle opere, su supporto di ogni tipo, anche digitale, soggette al diritto d'autore.
L'art. 5 è molto importante, perché norma le Eccezioni e limitazioni (che nella normativa nazionale erano sotto il titolo delle Utilizzazioni libere), cioè la facoltà degli Stati membri di disporre eccezioni e limitazioni ai diritti sopra citati, per garantire il giusto equilibrio tra i diritti dell'autore e altri interessi sociali. In questo articolo, tra l'altro, sono previste le "eccezioni" a vantaggio delle biblioteche o della didattica e della ricerca scientifica.
La legge comunitaria 2001, n. 39/2002 prevede l'emanazione di un decreto legislativo, da parte del Governo, entro il 22 dicembre 2002, recante l'attuazione della direttiva. Anche qui, parte fondamentale del decreto legislativo in fase di discussione (sono in corso, mentre scriviamo queste note, gli incontri presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e le audizioni delle categorie interessate, prima dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri e del conseguente invio alle Camere per l'espressione del parere parlamentare) è, per quanto riguarda le biblioteche, la Sezione I del Capo V, che regolamenta, calando le disposizioni della Direttiva europea nell'impianto della legge 22 aprile 1941, n. 633, le eccezioni e limitazioni.
Il decreto legislativo dovrà sciogliere alcuni punti di ambiguità dell'ultima "novellazione" della legge 633/41 (la legge fondamentale che regola il diritto d'autore in Italia, soggetta nel corso degli anni a profonde e non sempre coerenti modifiche), rappresentata dalla legge 18 agosto 200, n. 248, Nuove norme di tutela del diritto d'autore.
Questa legge ha introdotto la distinzione tra riproduzioni libere effettuate per i servizi di biblioteca e riproduzioni effettuate nelle biblioteche pubbliche per uso personale.
Per esse la legge di riforma dispone il limite quantitativo del 15% nella riproduzione del volume o del fascicolo di periodico e la corresponsione di un compenso forfetario, da parte delle biblioteche, determinato in base ad accordi tra la SIAE e le associazioni di categoria. La legge dispone inoltre l'esenzione per la riproduzione di opere rare fuori dai cataloghi editoriali.
Le difficoltà interpretative di alcune definizioni (opera rara, biblioteca pubblica - la Direttiva europea usa opportunamente l'espressione "biblioteche accessibili al pubblico" - servizi di biblioteca), insieme alla mancanza di rilevazioni delle riproduzioni effettuate per uso personale in biblioteca su materiale soggetto al diritto d'autore, hanno portato alla stipulazione di accordi per comparto (biblioteche pubbliche di ente locale, biblioteche scolastiche, biblioteche universitarie ecc.), che prevedono la corresponsione di un compenso forfetario in base a criteri estrinseci (numero di abitanti, di utenti registrati ecc.).
Gli accordi sono temporanei, in quanto alla fine del periodo di sperimentazione (due o tre anni) si dovrà procedere alla stipula degli accordi definitivi.
Per finire, con la legge n. 62/2001 Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali. Modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 516, è stata modificata la legge precedente e sono stati stanziati 134 miliardi di lire per il triennio 2001-2003 a vantaggio delle imprese editoriali, sotto forma di sconti fiscali e agevolazioni creditizie.
Per le biblioteche la legge, che definisce il prodotto editoriale su supporto cartaceo o informatico, «destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici», prevede la possibilità di usufruire dello sconto del 20% sul prezzo fisso di copertina, rispetto al limite del 15% ordinariamente previsto per il primo anno.
Il 5% del fondo istituito per progetti di innovazione tecnologica è riservato a imprese attive per la "promozione della lettura" in Italia, mentre, a vantaggio delle biblioteche scolastiche, è prevista la possibilità dell'acquisto di prodotti editoriali, da devolvere agli istituti scolastici pubblici e privati, su richiesta delle singole istituzioni scolastiche, secondo parametri fissati dall'Autorità di vigilanza.
Un evento di sicuro rilievo è stato l'incontro "I sistemi bibliotecari di ateneo fra coordinamento e innovazione" organizzato dai coordinamenti delle Università di Bologna, Padova e Sassari, con la collaborazione della Commissione nazionale Università e ricerca (CNUR) dell'AIB, il giorno 5 ottobre 2001, nell'ambito di Bibliocom 2001, in cui si è cercato di fare il punto su diversi aspetti: stato dell'arte nella creazione dei sistemi, software di gestione adottati, situazione normativo-regolamentare, nuove opportunità per i profili professionali in base anche all'ultimo Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Università.
In sostanza luci e ombre sembrano caratterizzare la situazione attuale, in cui non mancano, va anche aggiunto, elementi di forte aggregazione. In questo senso l'esperienza più importante è quella dei consorzi per la condivisione delle risorse elettroniche. Attualmente ne sono attivi tre: Cilea, CIPE e Ciber, e sono molte le università che vi aderiscono.
Appare di notevole rilievo la decisione presa dai consorzi di agire di concerto nella contrattazione con alcuni editori: questo può consentire non solo a tutte le università di avere condizioni uguali sull'intero territorio nazionale, ma anche e soprattutto di sommare le forze per avere maggior peso contrattuale.
Altra importante esperienza di collaborazione è quella del Gruppo interuniversitario per il monitoraggio dei sistemi bibliotecari (GIM), a cui aderiscono gli atenei di Padova, Trento, Firenze, Milano Bicocca, Bologna, Parma e Politecnico di Torino, con la partecipazione della CNUR.
In questo gruppo di lavoro si sta tentando di individuare e definire metodologie, misure e indicatori comuni per la valutazione dei servizi delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari delle università.
L'iniziativa assume tanto maggior rilievo in quanto si prefigge anche di favorire l'introduzione sistematica delle rilevazioni statistiche e dell'uso di indicatori in un contesto come quello italiano in cui finora ha prevalso una sostanziale anarchia o casualità.
Non va inoltre dimenticato che nell'anno accademico 2001/2002 è entrata in vigore la riforma degli ordinamenti didattici con l'istituzione della laurea triennale.
Questa riforma ha senz'altro prodotto delle novità per quel che concerne l'offerta didattica, ma non pare fino ad ora avere avuto una ricaduta positiva sulle biblioteche delle università. Anzi se di ricaduta si può parlare è da giudicarsi senz'altro negativa, in quanto il lievitare delle spese per il pagamento delle retribuzioni legato all'aumento degli insegnamenti attivati ha prodotto una generalizzata contrazione delle spese per l'acquisizione del materiale librario, rimarcando ancora una volta un forte sbilanciamento fra l'offerta didattica e l'offerta di servizi bibliotecari.
Sempre aperta resta anche la questione dell'eventuale passaggio alle università delle biblioteche universitarie dipendenti dal Ministero per i beni e le attività culturali. A parte il caso dell'ateneo di Bologna, in cui questo passaggio è avvenuto (pur non avendo ancora dato esecuzione all'opzione di trasferimento e al conseguente reinquadramento del personale), nelle altre sedi nulla è mutato. Cercando di sintetizzare permangono senz'altro alcuni nodi problematici ancora irrisolti.
Il panorama complessivo non spinge dunque né a eccessivo ottimismo né a tetro pessimismo.
Gli anni Novanta del secolo appena trascorso hanno senz'altro visto il diffondersi di una maggiore consapevolezza della necessità di avere dei sistemi bibliotecari di ateneo ben funzionanti.
Nel 2001 questa consapevolezza può dirsi sufficientemente radicata, anche se molta è la strada che le singole realtà universitarie devono percorrere per raggiungere obiettivi concreti.
L'incontro "Sistemi bibliotecari di ateneo tra realtà e prospettive", che si è tenuto a Roma il 21 giugno 2002, organizzato dalla Lumsa, dalla Sezione Lazio dell'AIB e dalla CNUR, è un'ulteriore riprova di come la riflessione su questi temi sia molto vivace e necessiti di continue occasioni di confronto.
Probabilmente i modelli organizzativi possono essere molteplici e necessariamente calibrati sulle esigenze specifiche delle università. Resta il dato di fatto di un cammino intrapreso che va sostenuto dai diversi attori in campo.
C'è infatti bisogno che la diffusa consapevolezza si tramuti in azione concreta da parte di docenti, studenti e bibliotecari perché si possano offrire quegli standard di servizio che non fanno parte solo delle legittime richieste degli utenti, ma rispondono anche alle aspirazioni di quanti quotidianamente lavorano in biblioteca.
Ciò nonostante il ritardo rispetto agli altri paesi industrializzati rimane pur sempre notevole, a causa di alcuni fattori che rallentano le iniziative di cooperazione.
Tra questi vanno segnalati la scarsa autonomia amministrativa delle biblioteche, la frammentazione organizzativa in particolare nel settore universitario, le difficoltà burocratiche da superare per dotare i consorzi e le altre forme associative dello stato giuridico più appropriato alle loro funzioni, la carenza di politiche - con le dovute eccezioni riscontrabili in alcune aree territoriali - in grado di incentivare concretamente la cooperazione, sia a livello nazionale che locale.
Inoltre è da rilevare che la maggior parte delle iniziative si collocano al Centro e al Nord, confermando ancora una volta lo storico divario tra le diverse aree del paese, anche se recentemente emerge un maggiore attivismo anche nel Sud e nelle isole, che sta traducendosi in nuovi progetti e programmi.
L'accesso all'informazione e lo sviluppo di collezioni elettroniche sono sicuramente le aree più interessate alle nuove iniziative di cooperazione.
Il settore universitario è quello che in questo ambito manifesta maggiore vitalità (soprattutto per quanto riguarda i programmi di acquisizione e gestione di informazione elettronica), ma è da notare più recentemente una certa intraprendenza anche da parte delle biblioteche statali e delle biblioteche pubbliche.
Un ruolo rilevante a livello del dibattito professionale e del coordinamento delle iniziative consortili per l'acquisizione di risorse elettroniche è svolto da INFER (Italian National Forum on Electronic Resources, ovvero Osservatorio italiano sulla cooperazione per le risorse informative elettroniche), un gruppo di discussione nato circa tre anni fa a cui partecipano responsabili di biblioteche e di centri informatici universitari e docenti universitari.
Lo scopo di INFER è di promuovere la cooperazione nel campo della comunicazione scientifica e in particolare per quanto riguarda l'accesso alle risorse informative elettroniche, di richiamare l'attenzione degli amministratori sulla necessità di sostenere questo tipo di programmi, di attivare la collaborazione tra le varie iniziative affinché raggiungano la dimensione critica per realizzare economie di scala e per promuovere strategie in un quadro di riferimento nazionale e intersettoriale.
Per dare un'idea più precisa degli sviluppi in corso, accenneremo brevemente alle iniziative più rilevanti nel corso di quest'ultimo biennio.
Il Cilea (Milano) dispone - nell'ambito del programma "Cilea Digital Library" - di una notevole gamma di servizi comprendente le licenze di periodici di importanti editori e dei più noti servizi di informazione e basi di dati.
Il Caspur (Roma), nel quadro del programma Ciber a cui aderiscono diverse università del Centro e del Sud, ha concluso accordi con importanti editori di periodici accademici.
Questi due enti hanno in corso varie trattative per aumentare l'offerta di servizi con l'acquisizione di ulteriori licenze elettroniche.
Il CIPE (Cooperazione interuniversitaria per i periodici elettronici) è un'iniziativa più recente, maturata in ambito bibliotecario con l'intento di sviluppare un modello consortile più complessivo, in grado di sostenere le biblioteche nella transizione verso i nuovi media. Promosso inizialmente dalle Università di Bologna, Firenze, Genova, Padova, Venezia Ca' Foscari e dall'Istituto universitario europeo, questo programma sta registrando un'adesione che va ben oltre l'area geografica che lo ha visto nascere: attualmente ne fanno parte 13 università (oltre a quelle già citate: Ancona, Modena, Parma, Pisa e Sassari) e un certo numero atenei hanno avviato contatti per potervi partecipare. Sul piano organizzativo il CIPE può essere definito un consorzio di fatto.
Infatti, pur non avendo i requisiti giuridici per definirsi tale, il suo impianto si basa su un accordo tra enti che prefigura la struttura e i livelli di partecipazione che generalmente caratterizzano questo tipo di associazione in ambito bibliotecario (comitato di gestione, board ecc.).
Il CIPE ha realizzato accordi con importanti editori scientifici e sta estendendo il suo campo di azione oltre la sfera dei giornali elettronici, avviando trattative con diversi fornitori di servizi di informazione.
Sia Cilea che Ciber e CIPE hanno in corso trattative con editori e fornitori internazionali per aumentare la loro offerta di servizi con l'acquisto di ulteriori licenze elettroniche.
Oltre alle attività portate avanti individualmente, va richiamata l'attenzione sul fatto che questi tre consorzi si incontrano periodicamente nel contesto di INFER trovando, nonostante le difficoltà, momenti di concreta e fruttuosa collaborazione, riuscendo addirittura a proporre ad alcuni editori tavoli di trattativa comune, prefigurando accordi a livello nazionale.
L'accordo pluriennale concluso nel 2002 dai tre consorzi italiani con l'editore Kluwer ha ricevuto positivi apprezzamenti a livello internazionale, sia nell'ambiente bibliotecario che in quello degli editori.
Nell'ambito della produzione di indici di periodici, merita particolare menzione, sia per il contenuto che per gli aspetti metodologici, il programma di cooperazione ESSPER (Economia e Scienze Sociali PERiodici), lanciato dal Libero Istituto universitario Carlo Cattaneo di Castellanza (Varese).
Il progetto, che inizialmente riguardava i periodici italiani di economia, è stato poi esteso ai periodici delle discipline giuridiche. ESSPER si basa su un accordo informale di cooperazione a cui aderiscono circa 60 biblioteche.
Il programma non beneficia di finanziamenti esterni ed è sostenuto direttamente dalle biblioteche che vi partecipano.
In questo campo va segnalata l'iniziativa dell'Università di Firenze con il progetto Firenze University Press, per il quale ha stipulato un accordo con la Biblioteca nazionale centrale di Firenze per il deposito volontario delle pubblicazioni elettroniche nel quadro del progetto EUROPE.
La realizzazione di una infrastruttura nazionale per la diffusione della produzione scientifica italiana a livello internazionale è l'obiettivo principale del progetto Dafne (District Architecture for Network Editions) che dovrebbe essere operativo nel 2003.
Il progetto, finanziato dal MIUR (già MURST), si basa sulla cooperazione tra università, editori e distributori commerciali, società di servizi e la Biblioteca nazionale centrale di Firenze.
Per il 2001 la crescita annuale degli OPAC italiani si è stabilizzata attorno al 15% e ha riguardato principalmente i sistemi di ente locale, le cui biblioteche coprono aree comunali o provinciali. Vediamo la crescita degli OPAC italiani dal 1999 al 2001:
1999 | 2000 | 2001 | |
cataloghi a copertura nazionale | 15 | 18 | 18 |
cataloghi a copertura regionale | 27 | 31 | 39 |
cataloghi a copertura provinciale o comunale | 284 | 316 | 363 |
totale | 326 | 365 | 420 |
connessi al MAI | 88 | 137 | 140 |
La valutazione dell'incremento tiene conto dei processi di accorpamento dei sistemi mono-biblioteca verso sistemi collettivi, fusione avvenuta nel corso di questi due anni nell'ottica di una riorganizzazione e integrazione dei servizi, che ha riguardato in maniera ingente i sistemi bibliotecari provinciali.
La misura di aggiornamento relativo alle informazioni che descrivono gli OPAC a repertorio è pari al 40% annuale. Questo dato, che corrisponde alle variazioni intervenute per l'anno 2001 sugli OPAC modificati e/o aggiornati dai redattori dello staff di OPAC italiani (redazione AIB-WEB) e del MAI (redazione Cilea), è in diminuzione a causa della maggiore stabilità acquisita da certi OPAC che hanno trovato una loro identità all'interno di contesti di rete ben definiti o in assetti più organizzati a livello di servizio.
Gli OPAC universitari italiani costituiscono circa il 40% del totale. Il 64% sono OPAC di biblioteche specialistiche, il 28% sono OPAC di biblioteche generali e l'8% sono sistemi misti. Il 39% si riferisce a sistemi collettivi di biblioteche, di cui il 42% è distribuito all'interno di aree comunali, il 29% in aree provinciali, il 20% in aree regionali e il resto (9%) distribuiti in Italia.
Il settore degli OPAC scolastici è cresciuto con grande rapidità in questi due anni, e ora interessa il 10% degli OPAC italiani.
Per i periodici esistono i due grossi archivi nazionali, quello SBN e quello ACNP, con un corollario di iniziative coordinate (nazionali o regionali) che hanno dato origine a cataloghi per particolari discipline, orientati a utenze specifiche e in certi casi connessi a banche dati bibliografiche di settore:
I numerosi OPAC italiani possono essere interrogati cumulativamente attraverso le metainterfacce che il servizio MAI mette a disposizione per l'utenza (bibliotecaria e non); infatti il sistema metaOPAC consente di interrogare cumulativamente l'intero posseduto di più di 140 OPAC, quadruplicando le connessioni rispetto al prototipo iniziale del maggio 1999.
Gli OPAC connessi al MAI sono più di un terzo degli OPAC italiani, pari al 34% degli OPAC di singola biblioteca, il 47% degli OPAC collettivi di copertura comunale, il 57% degli OPAC di copertura provinciale (collettivi), e 64% degli OPAC di copertura regionale (collettivi).
L'attività di manutenzione ha comportato la chiusura di alcune connessioni per fattori di varia natura, tra cui l'accorpamento tra sistemi, il server OPAC sottodimensionato, la chiusura dell'OPAC al pubblico, i mutamenti verso software non ancora connessi al MAI o non più rispondenti ai requisiti di connettibilità.
Nell'ultimo anno sono state chiuse 19 connessioni di OPAC accorpati in altri, 6 connessioni a server sottodimensionati e 22 connessioni per gli altri motivi. Il 10% circa delle connessioni attive hanno richiesto l'adeguamento dei dati di connessione nell'ultimo anno.
I cambiamenti intervenuti nei sistemi OPAC connessi hanno riguardato la configurazione dei server, oppure l'applicazione OPAC, oppure la versione del software. In questi casi è stato possibile riconnettere perché le nuove applicazioni sono risultate ancora rispondenti alla connettibilità MAI.
L'incremento delle connessioni, realizzato nonostante i fenomeni penalizzanti descritti, è dovuto in parte alla possibilità di ampliamento del "convertitore", che è la componente del software Azalai che gestisce la connessione ai diversi software OPAC.
Nell'attività di connessione si è andata evidenziando la necessità di individuare delle strategie. Gli accessi italiani, infatti, rispondono a esigenze locali e vanno in parte a sovrapporsi dal punto di vista di un servizio cumulativo di recupero.
È evidente come, nel panorama relativo ai cataloghi delle biblioteche italiane, le applicazioni OPAC siano "oggetti" in movimento continuo, sebbene strettamente connesse ai sistemi di automazione a cui si riconducono.
Queste sono le famiglie di OPAC connesse al MetaOPAC per il 2001:
Dalle statistiche relative al catalogo si possono verificare regolarmente i dati relativi alla crescita e alle percentuali delle catture sulle nuove catalogazioni (superiori al 60%). Sappiamo inoltre che gli accessi giornalieri, dopo la realizzazione dell'OPAC dell'Indice e la disponibilità in Internet del catalogo, sono attualmente di media 160.000 nei giorni feriali, con punte superiori in alcuni giorni ai 200.000 accessi. I 5 milioni e mezzo di titoli corrispondono a circa 12 milioni di localizzazioni, cioè di segnalazioni della presenza delle opere (libri, periodici, edizioni musicali) nelle biblioteche partecipanti.
L'incremento del catalogo è caratterizzato inoltre dall'attività di catalogazione retrospettiva, che permette un corretto accrescimento del catalogo con l'inserimento delle descrizioni dei fondi antichi di molte biblioteche. A questa opera si lega inoltre una costante attività di manutenzione che ne migliora la qualità.
Tra i progetti degli ultimi anni, rilevante è stato il riversamento nell'Indice gestionale di SBN del CUBI (Catalogo unico delle biblioteche italiane), che descrive la produzione editoriale italiana 1886-1958, avvenuto nel novembre del 2000, a cura della Biblioteca nazionale centrale di Firenze.
È attualmente in corso il progetto della valorizzazione dell'Indice, finanziato con i fondi del Lotto, che porterà in 18 mesi, con la cooperazione di otto biblioteche di diversa appartenenza amministrativa, alla pulizia del catalogo per quanto riguarda i titoli e alla costituzione di un authority file nazionale per gli autori e i titoli uniformi delle opere. Per la realizzazione di questo strumento, di grande aiuto per i catalogatori, sono utilizzati i dati estratti dal catalogo collettivo SBN che, dopo la verifica e la rielaborazione sulla base degli standard nazionali e internazionali, saranno riversati in Indice a disposizione delle biblioteche della rete SBN. È prevista anche la loro diffusione in formato Unimarc per favorire gli scambi internazionali.
Si è costituito inoltre nel 2001 un gruppo interistituzionale sui metadati per seguire l'evoluzione a livello internazionale delle scelte che si vanno determinando per la descrizione e la gestione delle risorse digitali. Il risultato dei primi lavori del gruppo sono stati illustrati nell'aprile 2001 in un seminario promosso dall'ICCU.
Nel corso dell'anno 2001, inoltre, sono state realizzate alcune modifiche delle procedure di riversamento della base dati Musica nell'Indice per agevolare le attività di aggiornamento della base dati con i record inviati dalle diverse biblioteche che utilizzano la procedura per descrivere e recuperare importanti fondi musicali. L'esempio più significativo è stato quello del conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli che, nell'ambito del progetto di rinnovamento della biblioteca, ha contribuito a incrementare finora la base dati Musica SBN con 40.000 record.
Un immediato riscontro delle possibilità che si aprono a un catalogo di qualità è stato l'accordo con la rete statunitense del Research Libraries Group (RLG) per l'acquisizione di record SBN (circa 130.000) e la partecipazione dell'Italia al Consortium of European Research Libraries (CERL), formato da diversi paesi europei per la creazione del catalogo del libro antico in Europa, la base dati HPB (Hand Press Book 1455-1831), alimentata anche con i record (circa 60.000) che finora l'ICCU ha fornito al consorzio.
Lo stesso istituto ha curato anche la traduzione in italiano del manuale per la consultazione della base dati approntato dal CERL e contribuirà nel consorzio alla costituzione delle liste di autorità della base dati del libro antico relative agli autori, tipografi, editori, luoghi di stampa, utilizzando la lista dei tipografi della base dati delle edizioni del XVI secolo, EDIT 16.
EDIT 16 è la base dati realizzata dall'ICCU dal censimento delle edizioni del Cinquecento. Dal 2000 la base dati è visibile in Internet e utilizzabile sempre più ampiamente come strumento specifico per lo studio delle edizioni del XVI secolo. Nel 2001 è stato portato a termine lo studio di fattibilità per l'evoluzione della base dati su Web.
Per quanto riguarda lo sviluppo della catalogazione dei manoscritti, l'impegno comune tra importanti biblioteche di conservazione, alcune università, la Commissione di Indici e cataloghi del Ministero per i beni e le attività culturali e l'ICCU ha consentito di fissare gli standard per la descrizione uniforme del manoscritto e per la bibliografia sui manoscritti. Sulla base di tali standard sono stati aggiornati nel 2001 i software dei due progetti Manus e Bibman. Con il primo software si è realizzata, grazie a progetti specifici già completati o ancora in corso, la catalogazione di importanti fondi manoscritti. Si stanno anche creando, con l'implementazione di nuove funzionalità delle procedure, le condizioni idonee alla catalogazione dei palinsesti greci, oggetto di recupero nell'ambito del progetto europeo Rinascimento virtuale. Con il secondo software si è costituita la base dati di bibliografia sui manoscritti, alla quale partecipano circa 40 biblioteche che hanno raccolto finora 60.000 citazioni controllate e normalizzate. Su entrambe le basi dati il lavoro del 2001 è stato finalizzato al loro trasferimento in Internet. Per la base dati Bibman questo è avvenuto nei primi mesi del 2002.
Con la base dati dell'Anagrafe delle biblioteche italiane, consultabile anch'essa in Internet, è stato realizzato dall'ICCU, con la collaborazione di Regioni, università, istituti culturali, uno strumento di informazione generale sulla realtà bibliotecaria italiana che porta a sintesi un mosaico di informazioni provenienti da fonti diverse. La base dati, articolata su base regionale, contiene, oltre i dati anagrafici, notizie sui patrimoni, sui servizi al pubblico, sulle specializzazioni di circa 12.500 biblioteche. Dalla base dati deriva il repertorio a stampa del Catalogo delle biblioteche d'Italia, del quale sono stati pubblicati finora i volumi relativi alle biblioteche di 18 regioni. Sono di prossima pubblicazione quelli dedicati alle biblioteche di Emilia-Romagna e Lombardia. Nel 2001 si è compiuto il progetto di evoluzione del repertorio, che potrà offrire, dopo la fase di test ancora in corso, a tutti gli utenti la consultazione in Internet di una base dati arricchita di nuove informazioni e funzionalità di interrogazione e alle istituzioni e alle singole biblioteche la possibilità di aggiornare i dati in linea.
Ma soprattutto con "SBN on line" si è fatto un ulteriore passo avanti verso il miglioramento dei servizi: gli utenti possono consultare da un unico punto di ingresso, con modalità identiche, cataloghi di pubblico dominio di diverse istituzioni (biblioteche, archivi, musei), possono raccogliere una bibliografia secondo le proprie esigenze integrando molteplici fonti di informazione, possono infine localizzare i documenti e chiederli in prestito o in riproduzione. Dalla ricerca nell'OPAC dell'Indice si può passare all'OPAC di polo in modo da ottenere un risultato ottimale della ricerca: conoscere la segnatura e la disponibilità dell'opera nella biblioteca nella quale questa è stata localizzata.
Nell'ambito di "SBN on line", dal mese di aprile del 2000 sono state sperimentate le procedure di prestito SBN/ILL da 50 biblioteche della rete SBN con risultati soddisfacenti che fanno bene sperare per il loro utilizzo definitivo. L'ICCU ha coordinato la sperimentazione e ha curato con la collaborazione delle biblioteche il monitoraggio delle procedure e la loro necessaria evoluzione. Il sistema di prestito ILL è ora a regime e può essere utilizzato da tutte le biblioteche (anche non partecipanti alla rete SBN) che vorranno registrarvisi. Al servizio di prestito l'ICCU sta dedicando particolare attenzione impiegando risorse umane e finanziarie perché ritiene che, nell'ambito dei servizi, il prestito sia il più significativo per il raggiungimento del secondo obiettivo fondamentale di SBN, l'accesso ai documenti.
Per agevolare le operazioni amministrative e contabili legate al servizio è stata stipulata nel 2001 una convenzione tra la Direzione generale per i beni librari e le Poste italiane che stabilisce, nell'ambito dei servizi postali esistenti, condizioni favorevoli per le biblioteche pubbliche statali, sia per il pagamento dei rimborsi da parte degli utenti, sia per il trasporto dei materiali. Tale forma di convenzione potrà essere adottata, a seconda delle esigenze, anche da altre amministrazioni che decideranno di utilizzarla.
Alla fine del 2001 inoltre sono stati rinnovati gli organi di governo di SBN: il Comitato nazionale di coordinamento (livello politico-amministrativo) e il Comitato tecnico di gestione. Primo compito del Comitato nazionale di coordinamento è stato quello di discutere e approvare un piano di ripartizione dei finanziamenti derivanti dalle licenze UMTS per la realizzazione di progetti da attuarsi a livello centrale e territoriale. Nel Comitato tecnico si è avviata la discussione sul progetto di evoluzione dell'Indice. È questo, infatti, il progetto più importante del 2001 per lo sviluppo della rete e della cooperazione. Nel corso dell'anno si è conclusa la gara per l'affidamento del progetto e si è avviata, dopo la stipula del contratto, la fase delicata dell'analisi e delle scelte di percorso. Per i bibliotecari e per gli informatici si apre ora un periodo di lavoro impegnativo perché con il progetto devono essere raggiunti obiettivi di notevole rilevanza per SBN: l'integrazione delle basi dati che costituiscono l'Indice, l'apertura del sistema a software diversi, la gestione allargata a diverse tipologie di documenti, la disponibilità per gli utenti di nuovi servizi.
Dal punto di vista più strettamente tecnologico, va ricordato come a SBN sono state spesso mosse critiche in quanto sistema chiuso e poco flessibile. Tuttavia negli ultimi anni l'ICCU ha cercato di modificare questa immagine, agendo in due direzioni: apertura e dialogo con altri sistemi, sviluppo di un nuovo applicativo SBN, più moderno e rispondente all'evoluzione tecnologica. Questa azione si è concretizzata nel 2001 con il rilascio, dopo un periodo di sperimentazione assai lungo, del pacco SBN-Unix client/server. Questa versione è stata adottata dal Polo della Regione Liguria ed è così entrata in esercizio effettivo.
Sull'altro versante, la politica di apertura verso altri sistemi è inizialmente rimasta limitata al software Sebina SBN, che ha praticamente preso il posto della precedente versione VM-SQL. A esso sono passate molte biblioteche che già avevano aderito a SBN. Il più importante passaggio nel 2001 è stato quello del polo di Trieste con 245.000 notizie bibliografiche.
Assai più significativo sembra invece l'avvio del progetto di costituzione di un nuovo Indice, il cosiddetto SBN2, che dovrebbe consentire una maggiore compatibilità con standard e formati internazionali (catalogazione derivata, importazione Unimarc e USmarc e così via) e il colloquio con altri software non SBN. Il progetto è stato affidato all'Associazione di imprese Finsiel-Akros e dovrebbe concludersi entro il settembre 2003. Molti produttori (quelli di Aleph, della Suite Nexus, di So.se.bi.) stanno attendendone gli esiti per cominciare a sviluppare nuove interfacce e procedure di colloquio con l'Indice.
Le caratteristiche più significative dei nuovi sistemi sono: uso di sistemi operativi diffusi come Windows e Unix (e negli ultimi tempi anche Linux), architettura client/server, interfaccia grafica, supporto integrato dei vari formati MARC e, più in generale, l'adozione di architetture aperte e in linea con i principali standard. In particolare: il protocollo di rete TCP-IP, l'uso di sistemi di gestione di basi dati relazionali (RDBMS) aperti e ampiamente diffusi come Oracle, SQL, Informix ecc., ISO10646 (Unicode) per i set di caratteri, ISO 10160-10161 per il prestito interbibliotecario, EDIFact per il dialogo con i fornitori, Z39.50 per la ricerca e il recupero dell'informazione. Un po' tutti i principali produttori hanno da tempo annunciato l'adozione di queste caratteristiche, ma il percorso è stato molto più lungo di quanto non potesse sembrare all'inizio. Soltanto da poco si può dire che esse siano realmente presenti e utilizzabili, e neanche in tutti i casi (per esempio ISO10646-Unicode non è ancora adottato da tutti i sistemi).
Si tratta in generale di prodotti di dimensioni medio-grandi, costosi, progettati e dimensionati per la gestione di reti di biblioteche o per grandi enti. Alcuni di essi, molto quotati all'estero, non hanno avuto un grande successo e in certi casi non sono riusciti neanche ad affacciarsi sul mercato italiano: è il caso di Voyager (il quotato sistema di Endeavor/Elsevier scelto dalla Library of Congress), GEAC, Virtua/VTLS (che in Italia ha cambiato più volte distributore, con scarsi risultati). Sono invece saldamente presenti, anche se con un peso molto differenziato, alcuni grandi prodotti basati su architettura client/server come Aleph, Amicus, Q-Series. Nel mondo informatico si è più di recente affermata anche una seconda tendenza, che preferisce, rispetto al modello client/server, un'architettura più centralizzata, basata sul Web e su client leggeri.
Il sistema universitario italiano comprende attualmente 87 atenei (71 università, delle quali 14 non statali, più 3 politecnici, 3 scuole superiori e 10 ISEF), con quasi 1.700.000 iscritti e circa 160.000 laureati o diplomati all'anno (dati 2000). Negli iscritti ai corsi di laurea le femmine hanno superato i maschi dal 1993/94, e il lieve incremento delle iscrizioni realizzatosi nell'ultimo decennio dipende da questa componente, essendo sostanzialmente stabile quella maschile. Nel complesso, gli iscritti all'università ammontano a quasi il 25% dei giovani nella classe di età 18-26 anni. Fra i laureati, il "sorpasso" femminile è avvenuto già dall'a.a. 1990/91, per una maggiore continuità negli studi e rapidità nel raggiungimento del titolo; le femmine costituiscono ora oltre il 55% dei laureati. Nel complesso, i laureati o diplomati negli atenei italiani ammontano a quasi il 14% sulla classe di età 24-30 anni. L'abbandono degli studi universitari e il loro prolungamento oltre la durata legale rimangono fra i maggiori problemi del sistema universitario italiano (per esempio, l'80% dei laureati o diplomati risulta fuori corso, il 29% da 4 anni o più), ma mostrano segnali di miglioramento.
Nel corso del 2000 è stata realizzata l'attesa riforma degli ordinamenti didattici universitari, con due cicli in successione (il primo di tre anni e il secondo di due), definiti come "laurea" (contrariamente al precedente "diploma universitario" introdotto con la riforma del 1990) e "laurea specialistica". Il nuovo ordinamento dovrebbe consentire una maggiore flessibilità nei percorsi di studio e favorire una più larga e rapida acquisizione di un titolo universitario, anche se di primo livello, riducendo abbandoni e prolungamenti. Nello stesso tempo, la complicazione dei nuovi ordinamenti potrà comportare inconvenienti non solo temporanei. Inoltre, la maggiore concorrenzialità fra gli atenei e la loro ampia autonomia nell'attivare corsi (anche più di uno) entro ciascuna delle classi di laurea stabilite a livello nazionale fanno temere la proliferazione di offerte scarsamente specifiche e qualificate, proliferazione che farebbe seguito alla moltiplicazione di atenei e facoltà, a livello provinciale, che ha contraddistinto la fase precedente.
Nell'ambito della riforma del 2000, particolare rilievo ha la conferma di una laurea in Scienze dei beni culturali (classe 13), che assorbe definitivamente i percorsi di studio archeologici o storico-artistici nei corsi di laurea in Lettere, e l'introduzione della laurea specialistica in Archivistica e biblioteconomia (classe 5/S): per la prima volta anche in Italia un titolo universitario esplicitamente dedicato alla formazione dei bibliotecari, a sostituire l'indirizzo Archivistico-librario della vecchia laurea quadriennale in Conservazione dei beni culturali.
Il corso di laurea in Conservazione dei beni culturali, istituito nel 1979 a Udine ed esteso all'Università della Tuscia e dal 1991 a un buon numero di atenei in tutto il territorio nazionale, ha suscitato soprattutto negli anni Novanta notevole attrazione fra i giovani, in controtendenza rispetto all'endemico calo delle iscrizioni ai corsi di laurea caratteristici della Facoltà di Lettere e filosofia. Nel 2000/01 il corso era arrivato a raccogliere oltre 23.000 iscritti in 17 sedi, più quasi 3000 iscritti in vari corsi di diploma affini (Operatori dei beni culturali), per un totale di 26.339 studenti. Chiaro il trend di crescita nel numero complessivo degli iscritti ( 15% nell'ultimo anno, 10% nel penultimo), più altalenante, dopo il notevole successo iniziale, l'andamento delle nuove immatricolazioni, circa 6000 all'anno compresi i diplomi ( 14% nell'ultimo anno, -5% nel penultimo): abbastanza ridotto per la "gioventù" del corso ma in forte aumento il numero dei laureati o diplomati (1014, di cui 853 laureati, nell'anno solare 2000).
Si tratta, nel complesso, di un settore piccolo rispetto all'insieme dell'istruzione universitaria (1,6% rispetto al totale degli studenti, 2% sugli immatricolati, 0,6% dei laureati o diplomati), ma consistente rispetto al gruppo di lauree o diplomi "letterari" in cui viene statisticamente inserito (16% degli iscritti, 23% degli immatricolati e 7% dei laureati o diplomati).
A questo quadro bisogna aggiungere l'unica scuola universitaria attiva nel campo della formazione dei bibliotecari, la Scuola speciale per archivisti e bibliotecari (SSAB) dell'Università di Roma "La Sapienza", con circa 500 iscritti complessivi e circa 150 immatricolati all'anno, dei quali circa due terzi all'indirizzo per Bibliotecari, un 10% circa a quello per Conservatori di manoscritti, e il resto a quello per Archivisti. Negli ultimi anni la SSAB ha mostrato una tendenza alla contrazione del numero di iscritti e immatricolati, con un aumento d'altra parte nel numero dei diplomati (68 nel 2000, di cui 41 da Bibliotecari e 7 da Conservatori di manoscritti); con il 2001/02 la sua offerta didattica si è adeguata al modello "3 2" della riforma didattica.
Nelle immatricolazioni del 2001/02, primo anno della riforma a regime, fra le 42 classi di laurea di primo livello (a cui si aggiungono quelle speciali per sanità e difesa), quella in Scienze dei beni culturali (classe 13) è al 12° posto per numero di immatricolati (9079), sotto il boom di Scienze della comunicazione (terza con quasi ventimila immatricolati) e i livelli poco superiori di Scienze dell'educazione e della formazione e di Lingue e culture moderne, allo stesso livello di Scienze e tecnologie informatiche, e si impone largamente al primo posto fra i corsi caratteristici delle Facoltà di Lettere (nell'ordine Lettere, Scienze e tecnologie delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda, Filosofia, Scienze storiche). Il corso di laurea in Scienze dei beni culturali mostra una marcata femminilizzazione (75% degli immatricolati), superiore per esempio a Scienze della comunicazione (64%) e a Lettere (73%), ma inferiore a Psicologia (80%), Lingue e culture moderne (81%) e Scienze dell'educazione (87%); il dato è sensibilmente inferiore (66%) nei corsi di laurea autonomi in campo archivistico-bibliotecario.
Nel complesso gli iscritti, che erano oltre 26.000 fra lauree e diplomi nel 2000/01, sono certamente molto saliti con i nuovi corsi (9079 immatricolazioni nel 2001/02 contro le 5920 dell'anno precedente, 53%). Forte impatto ha avuto ovviamente l'avvio dei corsi in Beni culturali in 24 nuovi atenei, fra i quali molti dei maggiori, che ne erano privi (Milano Statale, Padova, Roma "La Sapienza", Napoli "Federico II", Catania) o avevano solo un corso di diploma (Torino, Milano Cattolica, Pavia, Firenze, Bari).
L'offerta attuale nella classe 13 risulta di 71 corsi in 41 atenei: fra questi, 9 (in altrettanti atenei) sono dedicati specificamente alla formazione di bibliotecari e archivisti, mentre 33, di cui due a distanza, hanno carattere generale (18 con un indirizzo specifico per bibliotecari e archivisti), e 29 riguardano altri settori specifici (beni artistici, archeologici, musicali ecc.). Nel complesso sono quindi almeno 27 i corsi indirizzati alla formazione dei bibliotecari, in 26 atenei e con sedi in 25 città diverse. Il notevole incremento rispetto ai 17 corsi di laurea quadriennali in Conservazione dei beni culturali ha comportato inevitabilmente una flessione, maggiore o minore, nelle immatricolazioni nelle sedi di corsi di laurea preesistenti (-23%), corsi che evidentemente attraevano studenti da un bacino più ampio (senza dimenticare l'altro effetto concomitante dovuto alla espansione del ventaglio di offerte di ciascuna singola sede universitaria).
Nel complesso, quindi, è in forte crescita l'offerta di formazione universitaria nel campo dei beni culturali e notevole, e pur esso in crescita, l'interesse dei giovani, ponendo questo campo fra i pochi che esercitano una vasta attrazione, con una tendenza positiva durevole da molti anni.
Tuttavia, come è noto, le iscrizioni ai corsi in Beni culturali si concentrano fortemente sugli indirizzi o curricula storico-artistici, e in misura minore archeologici, con percentuali molto ridotte per gli indirizzi archivistici e biblioteconomici. Questo dato, mai quantificato nelle statistiche nazionali, risulta oggi evidente per i 9 atenei nei quali entro la classe 13 è stato attivato un corso di laurea autonomo in scienze archivistiche e biblioteconomiche, invece di ricorrere - come è stata la scelta prevalente, in due terzi dei casi - a un curriculum distinto all'interno di un corso di laurea comune in Scienze dei beni culturali. Nei 9 corsi specifici, il numero delle immatricolazioni nel 2001/02 è andato da 29 a 7 studenti (totale 152, media 17), cifre sicuramente insoddisfacenti; analoghi dovrebbero essere i dati sulle immatricolazioni ai curricula archivistico-biblioteconomici entro corsi di laurea generali in Scienze dei beni culturali.
Questi dati sembrano indicare una scarsa attrazione per gli studi biblioteconomici, almeno a livello della scelta iniziale dopo la scuola media superiore, scarsa attrazione che va probabilmente legata alla scarsa visibilità e penetrazione dei servizi bibliotecari nel nostro paese e, nello stesso tempo, alla scarsa conoscenza e allo scarso apprezzamento delle relative professionalità.
L'esperienza mostra che l'attrazione per questo campo di studi, e/o l'interesse per le potenzialità occupazionali che offre, tendono successivamente a crescere, manifestandosi sia in cambiamenti di indirizzo nel corso degli studi sia in entrate "tardive" in corsi di studio specifici, dopo precedenti percorsi nei più diversi ambiti generalmente umanistici. Indicazioni forse più significative di quelle delle immatricolazioni al triennio potranno venire, nel prossimo anno, dalle iscrizioni alle nuove lauree specialistiche (classe 5/S).
Di contro ai numeri poco esaltanti, va rilevato però che i laureati nei corsi in Beni culturali hanno finora conseguito un rapido ed efficace inserimento nel mondo del lavoro, inizialmente soprattutto con collaborazioni o incarichi a termine ma anche con il conseguimento di posti di ruolo, mostrando fra l'altro di sfruttare, temporaneamente o definitivamente, opportunità di occupazione anche in campi affini (editoria, produzioni multimediali, servizi Web, comunicazione ecc.).
Non è possibile in questa sede quantificare l'incidenza di altre attività di formazione d'interesse bibliotecario, ma è utile ricordare - per la loro novità e l'interesse suscitato - i corsi di perfezionamento o master per bibliotecari scolastici (all'Università di Padova dal 1998 e a quella della Tuscia dal 2001), l'attività della Scuola vaticana di biblioteconomia, quella della Scuola regionale per operatori sociali IAL di Brescia e i numerosi corsi di formazione e aggiornamento organizzati da singole amministrazioni, dall'AIB e da società private. Informazioni aggiornate sull'offerta in questo settore possono essere recuperate tramite il repertorio AIB-WEB Formazione, a cura di Elisabetta Di Benedetto e Gabriele Gatti.
Per quanto riguarda le opportunità di lavoro offerte in questo campo, per il presente rapporto è stata condotta una ricerca sulle segnalazioni di bandi di concorso e altre offerte di lavoro, anche a termine e in campi affini, diffuse regolarmente a partire da ottobre 1998 nella lista di discussione dei bibliotecari italiani, AIB-CUR, a cui partecipano attualmente oltre tremila iscritti. La rubrica AIB-CUR Lavoro, che comprende lo spoglio attento e completo della serie della «Gazzetta ufficiale» dedicata ai concorsi e numerose segnalazioni da altre fonti, è disponibile anche in forma cumulativa in AIB-WEB.
Le segnalazioni sono state distinte in:
Sono stati invece esclusi i concorsi riservati a personale già in servizio, così come i bandi per trasferimenti e altre procedure di mobilità: occorre avvertire tuttavia che in genere nei concorsi per i livelli più elevati, anche se non riservati, i vincitori molto spesso operano già nelle biblioteche, della stessa amministrazione o di un'altra, con qualifiche inferiori.
Non sono stati inclusi i concorsi a professore o ricercatore universitario nel settore della Biblioteconomia e i bandi per dottorati, specializzazioni, borse di studio o assegni di ricerca di vario genere. Sono stati escluse infine le segnalazioni di posti di lavoro all'estero, anche in istituzioni comunitarie (dove, come si sa, lavorano parecchi bibliotecari italiani).
Non facile è anche la delimitazione dei posti che possiamo considerare "per bibliotecari", sia riguardo alla qualifica sia riguardo alle competenze richieste e all'attività da svolgere. Sono stati considerati i posti di carattere dirigenziale e direttivo per i quali è richiesta la laurea (ex VII q.f. e superiori) e quelli per diplomati (ex VI e V q.f.): questi ultimi costituiscono nella maggioranza dei casi la prima occasione di lavoro stabile anche per i laureati (fenomeno, del resto, che si rileva abitualmente, pur se in misura inferiore, anche nei paesi europei più avanzati dal punto di vista bibliotecario). Sono state quindi escluse le offerte a livello inferiore (ex IV q.f.), che del resto solo in rarissimi casi si riferiscono specificamente ad attività di biblioteca.
Riguardo ai profili professionali e alle relative mansioni, sono stati compresi quelli esplicitamente relativi alle attività del bibliotecario, escludendo per esempio i bandi per archivisti o conservatori di musei. Nel settore degli enti locali, sono stati inclusi (sulla base della selezione operata da AIB-CUR Lavoro, fondata in gran parte sulle materie e prove d'esame indicate nei bandi) numerosi posti per qualifiche generiche del settore culturale, certamente o molto probabilmente destinati in tutto o in parte ad attività bibliotecarie. Nel settore dell'università, sono stati esclusi i posti offerti con qualifiche di tecnico (5-10 posti all'anno con prove d'esame o destinazione inequivocabilmente bibliotecarie) e quelli per professionalità informatiche, dedicate a operare presso biblioteche e relative strutture di servizio o coordinamento. Nel settore della ricerca (istituti del CNR ecc.) sono spesso richieste competenze di documentazione, ricerca in banche dati, utilizzazione di Internet ecc.: questi casi sono stati compresi solo quando veniva indicata una destinazione in biblioteca o centro di documentazione oppure compiti di trattamento della documentazione (e non meramente di ricerca documentaria), spesso uniti ad altre attività (per esempio riguardanti le pubblicazioni dell'istituto). Nel settore privato, infine, sono state considerate anche offerte atipiche (per esempio in librerie commissionarie e software houses), purché rivolte a persone in possesso di una formazione biblioteconomica.
Riguardo alle cifre, occorre infine avvertire che si è considerato il numero dei posti messi a concorso, pur essendo ovviamente possibile, e non raro, che le amministrazioni procedano a un numero maggiore di assunzioni, sulla base della graduatoria degli idonei, oppure che i concorsi stessi vadano deserti o siano superati da un numero di candidati inferiore a quello dei posti banditi.
Nel complesso, l'offerta di lavoro a tempo indeterminato nell'amministrazione pubblica, registrata nella fonte utilizzata, risulta di circa 180 posti all'anno, per oltre due terzi da diplomati. Principali datori di lavoro sono gli enti locali (Comuni, con qualche presenza delle Province), con il 64% delle offerte nel triennio 1999-2001, seguiti dalle Università con il 27%. Assente da anni il Ministero per i beni culturali (salvo due piccoli concorsi nel 1998 e 1999), qualche offerta viene dal settore della ricerca (istituti del CNR e altri enti, per il 7% nel triennio considerato), con profili e mansioni che comprendono competenze di documentazione ma non sono sempre facili da classificare, ed eccezionalmente da altri enti pubblici.
Dal punto di vista della distribuzione geografica, la grande maggioranza dei posti offerti è al Nord (72%, contro l'11% del Centro e il 17% del Sud e delle isole), e la percentuale arriva a superare l'80% per i posti negli enti locali: circa metà dei posti offerti dagli enti locali italiani sono in Lombardia; seguono a grande distanza l'Emilia-Romagna e poi il Veneto. Nelle università la distribuzione è un po' meno squilibrata, sempre con la Lombardia al primo posto ma con una discreta offerta anche in regioni del Centro (Lazio) o del Mezzogiorno (Campania, Puglia). Nel complesso, dopo la Lombardia e le altre tre grandi regioni del Nord seguono un po' sorprendentemente Puglia e Campania, poi il Lazio, a centro classifica la Toscana e la Sardegna, e con percentuali modestissime le altre regioni.
Rispetto ai pochi dati di confronto disponibili sull'ultimo decennio (due studi svolti sui concorsi segnalati nella «Gazzetta ufficiale» del 1990 e del periodo gennaio 1994 - marzo 1996), il quadro dell'offerta di posti di lavoro a tempo indeterminato nell'amministrazione pubblica appare sostanzialmente statico, con un certo incremento rispetto al principio degli anni Novanta e una certa flessione rispetto alla metà del decennio; l'andamento altalenante è probabilmente legato soprattutto alle contingenze della finanza pubblica e alla loro ricaduta sulle assunzioni (spesso bloccate per tempi più o meno lunghi).
La tendenza più recente, dal confronto dei dati 2001 con quelli dell'anno precedente, appare positiva in termini quantitativi, soprattutto per gli enti locali, ma con preoccupanti segnali di diminuzione dei posti per laureati rispetto a quelli per diplomati.
Preoccupante appare anche la crescita del divario fra le aree più avanzate e quelle più arretrate: aumenta la percentuale di posti di lavoro al Nord, e principalmente in Lombardia (che copre da sola circa il 60% dei posti offerti nell'ultimo anno). Nel 2001 solo in 7 regioni (5 del Nord, più il Lazio e la Campania) risultano offerti almeno 5 posti a tempo indeterminato.
Molto dinamica, al contrario, risulta l'offerta di occupazione a termine o con incarichi di collaborazione, sia attraverso concorsi e selezioni per posti a tempo determinato nelle amministrazioni pubbliche sia attraverso la ricerca di collaboratori da parte di aziende di servizi, principalmente nel campo della catalogazione, e di strutture bibliotecarie. Nella grande maggioranza dei casi non viene indicato il numero delle persone da reclutare (che, quando specificato, va da 1 a 15), cosicché è necessario quantificare piuttosto il numero delle offerte, tenendo conto del fatto che quelle diffuse pubblicamente e registrate da AIB-CUR Lavoro sono presumibilmente solo una minoranza. Le selezioni per assunzioni a tempo determinato nelle amministrazioni pubbliche risultano una decina all'anno (prevalentemente in forma di graduatorie di idonei senza un numero di posti predeterminato), equamente divise fra enti locali e università. Gli avvisi di ricerche di collaboratori, quasi sempre per lavori di catalogazione (in un caso, nel 2000, di redazione di schede di restauro), mostrano una sensibile crescita, arrivando a 19 nel corso del 2001: nella grande maggioranza dei casi diramati da aziende di servizi o cooperative, ma talvolta anche da istituti bibliotecari o enti diversi (come il Formez). Nel complesso, possiamo ritenere che attraverso queste forme di selezione trovino occupazione temporanea circa 300 persone all'anno (considerando solo le offerte segnalate in AIB-CUR, presumibilmente una minoranza).
Restano saltuarie e quantitativamente molto limitate (una decina all'anno nella fonte utilizzata), per quanto interessanti, le offerte di impiego stabile in strutture bibliotecarie fuori dall'amministrazione pubblica (organismi internazionali, istituzioni straniere, istituti ecclesiastici o privati, imprese e studi professionali) o in aziende di servizi per le biblioteche (software houses, librerie commissionarie ecc.).
Dal 1998 l'AIB gestisce l'Albo professionale italiano dei bibliotecari, albo privato istituito sulle linee indicate dalle direttive europee sul riconoscimento dei titoli professionali e dai disegni di legge sulle professioni non riconosciute avviati nelle ultime legislature ma non ancora giunti all'approvazione. Al 31 dicembre 2001 l'Albo registrava 566 bibliotecari qualificati, dei quali 106 iscritti nel corso dell'ultimo anno.